Ricerca per Volume

PRIMA SERIE

AVVERTENZA

l. Il presente volume comprende l'anno 1861, dall'8 gennaio al 31 dicembre: per dare, infatti, compiutezza alla documentazione ed alla comprensione delle singole questioni non si è ritenuto di dover prendere come termine a quo -come sarebbe apparso naturale -la data della proclamazione del Regno d'Italia.

Gli inconvenienti dell'interferenza, per il periodo gennaio-giugno 1861, con l'edizione nazionale, tuttora in corso, dei carteggi del conte di Cavour, sono stati risolti, ripubblicando, con una scelta rigorosa, solo alcuni dei documenti già dati alla luce, secondo il modello dei curatori della Die Auswiirtige Politik Preussens (1858-1871), rispetto alla stampa dei Gesammelten Werke del principe di Bismarck.

2. Il materiale dell'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri, tutto esaminato, è stato attinto principalmente alle seguenti serie:

a) Archivio del Gabinetto e del Segretario Generale:

Telegrammi: registro telegrammi in partenza n. 13; registro telegrammi

in arrivo n. 28. Corrispondenza confidenziale del Ministro degli Affari Esteri: registro

n. 13 (24 agosto 1860-6 ottobre 1861); registro n. 14 (7 ottobre 1861-4 maggio 1863).

Missioni all'estero : cartella 4 : missione straordinaria del marchese di Torre Arsa presso le corti di Svezia-Norvegia e Danimarca; cartella 5: missione straordinaria del marchese Camillo Caracciolo di Bella presso la corte di Portogallo; cartella 6 : missione straordinaria del generale Enrico Morozzo della Rocca per l'incoronazione del Re Guglielmo I di Prussia.

Cartelle sulla questione romana e busta contenente corrispondenza con gli agenti dell'emigrazione politica ungherese. b) Serie Divisione Politica:

Minutari corrispondenza del Ministero con Agenti Diplomatici all'estero:

registri del 1861.

Rapporti degli Agenti Diplomatici e Consolari all'estero: pacco 155: legazione 'in Atene; pacco 161: legazione a Berlino; pacco 162: legazione a Berna; pacco 165: legazione a Bruxelles; pacco 168: legazione a Bucarest; pacco 173: legazione a Costantinopoli; pacco 77: legazione a Francoforte; pacco 180: legazione a Lisbona; pacco 181: legazione a Londra; pacco 187: legazione a Madrid; pacco 195: legazione a Parigi; pacco 214: legazione a Washington; pacco 225: consolato a Belgrado; pacco 263: consolato a Roma.

3. È stato possibile integrare il materiale dell'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri con altri preziosi fondi privati.

Dall'Archivio Reale dei Savoia già Alessandro Luzio aveva edito le lettere di Urbano Rattazzi sulla sua missione a Parigi. La liberalità dell'attuale Capo di Casa Savoia ha permesso non solo di collazionare quei documenti già editi ma di dare anche alla luce per la prima volta alcuni preziosi carteggi di Vittorio Emanuele II, di Bettino Ricasoli, del Conte Vimercati e del generale Solaroli, conservati a Cascais.

Il barone Bettino Ricasoli junior ha messo generosamente a disposizione della Commissione i documenti dell'Archivio del suo avo, custoditi nel castello

xv

di Brolio. Nel fondo Ricasoli-Celestino Bianchi dell'Archivio Centrale di Stato di Roma si è rinvenuta una copia della relaz'ione del generale Solaroli al re Vittorio Emanuele II sulla sua missione presso le corti di Svezia-Norvegia e di Danimarca, copia che ci è stato dato di collazionare non sull'originale che non esiste nell'Archivio dei Savoia a Cascais, ma su minuta nell'Archivio privato del marchese Carlo Solaroli di Briona in Torino. Nello stesso Archivio abbiamo trovato copia anche della lettera del 5 agosto 1861 inviata dal Solaroli al Re.

Fruttuose ricerche, in ispecie per la collazione di documenti già precedentemente ed'iti, sono state effettuate fra le carte del marchese Vittorio Emanuele d'Azeglio, depositate nell'Archivio di Stato di Torino, ed in quelle del generale Morozzo della Rocca, conservate presso il Museo del Risorgimento della stessa città. L'Archivio Minghetti, conservato nella Biblioteca dell'Archiginnas'io di Bologna, contiene alcune lettere del Vimercati, del Nigra, del Passaglia -parte recentemente edite e parte inedite -e di esse è stato possibile serv'irsi nelle note.

Dei documenti non contenuti nell'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri è stata data di volta in volta la indicazione archivistica completa, adoperando le seguenti abbreviazioni:

A C S R, b fase. ins.: Archivio Centrale dello Stato, in Roma, busta, fascicolo, inserto.

A C R: Archivio della Casa Reale, in Cascais.

A R B, cassetta: Archivio R'icasoli, in Brolio.

A S T, m.: Archivio di Stato di Torino, mazzo.

B A B, Carte Minghetti, cart.: Biblioteca dell'Archiginnasio Bologna, Carte Minghetti, cartone. M R T: Museo del Risorgimento di Torino.

Nel corso del volume s'i fa inoltre riferimento ai seguenti Libri Verdi:

L. V. l: Note scambiate tra il Governo Italiano e quello di Francia relative al riconoscimento del Regno d'Italia. Documenti presentati dal Presidente del Consiglio, Ministro degli Affari Esteri (Ricasoli), nella tornata del 27 giugno 1861. (Camera dei Deputati, Sessione 1861, Stampato n. 108).

L. V. 2: Documenti e proposte relativi alla Questione Romana presentati dal Presidente del ConsigliÒ dei Minist1·i, Ministro degli Affari Esteri (Ricasoli), nella tornata del 20 novembre 1861. (Camera dei Deputati, Sessione 1861, Stampato n. 125).

L. V. 3: Documenti relativi lilla vertenza tra il Governo Italiano e quello di Spagna intorno al ritiro degli Archivi Napolitani, presentati dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro degli Affàri Esteri (Ricasoli), nella tornata del 3 dicembre 1861. (Camera dei Deputati, Sessione 1861, Stampato n. 137).

Per le raccolte documentarie sfruttate con maggiore frequenza sono state adoperate le seguenti abbreviazioni:

Cavour-Nigra, IV: Il earteggio Cavour-Nigra dat 1858 al 1861, a cura della R. Commissione Editrice, vol. IV, La liberazione del Mezzogiorno, Bologna, 1929.

Q. R., I e II: La Questione Romana negli anni 1860.:1861. Carteggio del conte di Cavour con D. Pantaleoni, C. Passaglia, O. Vimercati, a cura della Commissione Reale Editrice, 2 voli., Bologna, 1929.

Cavour-Azeglio, vol. II, t. II: Cavour e l'Inghilterra. Carteggio con V. E. d'Azeglio, a cura della Commissione Reale Editrice, vol. II, t. II, Bologna, 1933. Ricasoli, VI: Lettere e documenti del barone B. Ricasoli, pubblicati per

cura di M. Tabarrini e di A. Gotti. vol. VI, Firenze, 1891.

I documenti cavouriani già editi sono indicati col numero d'ordine progressivo che hanno nelle rispettive pubblicazioni; per ì documenti ricasoliani, invece, dato il criterio adottato nell'edizione dal Tabarrini e dal Gotti, si rimanda alle pagine del volume dove essi sono stati dati alla luce. Quando è stato possibile, i documenti già editi sono stati collazionati di su gli originali: i passi tralasciati nei testi editi o da essi discordanti sono stati posti tra due asterischi.

Giova avvertire infine che in quanto al riconoscimento del Regno d'Italia, per l'indole della presente raccolta, si è documentato solo ciò che ha importanza politica generale. rinviando per le comunicazioni ufficiali sull'argomento scambiate con tutti gli altri Stati europei ed extra europei alla Gazzetta Ufficiale del Reqno d'Italia del tempo.

4. Nel licenziare alle stampe questo volume, esprimo la pm viva gratitudine ai collaboratori tutti della Commissione che presso l'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri -sotto la guida intelligente ed esperta del prof. Ruggero Moscati -mi hanno con molta diligenza aiutato nella collazione del testo e nella preparazione degli Indici e tra essi in special modo al dott. Enzo Piscitelli, che con la sua infaticabile operosità e col suo acume mi è stato di validissimo aiuto, ed agli Archivisti di Stato Francesco Bacino e Giampiero Carocci, che hanno posto a servizio dell'opera la loro specifica competenza. Vadano pure i miei ringraziamenti più caldi al dott. Mario Nobili e al dott. Antonio Gigli, che mi hanno facilitato molto le ricerche nell'Archivio di Brolio; al prof. Ernesto Sestan, che mi è stato preziosissimo collaboratore nella collazione delle carte Ricasoli; alla signorina Maria Avetta, che ha curato la collazione sugli originali di alcuni documenti delle carte Cavour; al conte C. A. Buraggi, che mi ha introdotto presso il marchese Solaroli di Briona, e infine al prof. Luigi Salvatorelli, cui debbo un'attenta revisione del testo e suggerimenti fecondi.

WALTER MATURI

XVII

II . Doclimenti diplom<ttici · Serie I ·Vol. I


DOCUMENTI
1

IL GENERALE SOLAROLI A VITTORIO EMANUELE II (l)

(A. -C. R.) L. -P. Londra, 8 gennaio 1861.

Jeri passai la giornata da Lord John Russell e sula domanda in via di discorso che li feci se l'Imperatore aderiva alla cessione della Venezia, mi disse lei voi aludere a ciò che i giornalli dicono della missione di Lord Granvil; Lord Granvil non a avuto nessuna missione ma aggendo a Parigi ed amico di Valeschi, che è tuttaltro che italiano, Lord Granvil li domandò se l'Imperatore si sarebbe unito all'Inghilterra per la cessione della Venezzia? Costui che l'Imperatore si unirebbe all'Inghilterra per la cessione di Venezia se si volesse fare una confederazione con Napoli e Toscana, ma non per l'unione tanto più che l'ambizione del Piemonte non finisce costì, e i suoi Ministri parlano digià di voler Trieste la Dalmazia ed il Tirolo, e fors'anche Viena. Queste parole lord Granvil le scrisse confidenzialmente a me, donque in questo momento sarebbe inutile di fare la proposta, ma però non abbandono !idea e disse lui vede quanto e danoso il discorso prononciato dal sig. Vallerio a Ancona, e son poi stupito che il Governo nonlabia richiamato, o disaprovato sul giornalle Ufficiale, e l'Austria poi che sta sempre attenta, colse subito l'occasione e disse che mi parlate di cedere Venezzia: vedete cosa vole Vittorio Emanuele e sogionse dirà donque a S. M., nel presentarli i miei rispetti, ed a~ Conte di Cavour i miei saluti, che è tempo di fare giudizzio, e da governo sagio, e forte, ed abbandonare tutte le idee di rivoluzione se si voi riuscire; e sogionse queste parole li scriverò fra pochi giorni a Sir James Hudson.

Li domandai in seguito sula flotta avanti Gaeta? Lui mi disse come l'imperatore non voi che si dica che sia stato forzato, mi fece dire da Lord Cawly che aveva positivamente proposto una sospensione d'ostilità e di lavori, per quindici giorni, e che se era accettata dal Piemonte, dopo quindici giorni avrebbe richiamato la flotta, e lasciato Francesco II al suo destino. Su questo mi disse altre cose, ma come non sono cose per il momento, li dirò poi a voce a V. M. Mi disse anche che non è assolutamente vero che la Russia, Prussia ed Austria abbiano detto all'Imperatore di tenire a Gaeta la flotta, è tanto vero che su diciò non a potutto mostrar nulla, e tutto ciò che i Ministri di queste potenze hanno detto, è che i loro Governi erano contenti di vedere che l'Imperatore protegeva la sovranità.

Oggi devo prendere congedo di Lord Palmerston, e domani lascierò Londra, e domenica mattina sarò a Torino, e dirò a V. M. ciò che mi disse.

l · Documenti diplomatici -Serie I -Vol. I

(l) Sulla missione Solaroli, cfr. C. DE VECCHI DI VAL CISMON, P. Solaroli a Londra nel dicembre 1860, in • Rass. Storica del Risorgimento • XXI, 1934, pp. 1192 e sgg.; ivi, pp. 1195-1196, anche il resoconto Solaroli dell'ultima conversazione con Palmerston.

2

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

Berlino, 7 febbraio 1861.

R. 296.

Après le départ de notre Ambassade Extraordinaire (1), j'ait fait une visite au Ministre des Affaires Etrangères afin d'exprimer encore une fois les remerciements les mieux sentis de S. E. le Général de La Marmora pour toutes les attentions dont il avait été comblé par la Cour de Prusse. A cette occasion

M. de Schleinitz s'est dit satisfait du langage de notre Ambassadeur sur les intentions de notre Gouvernement et la conduite politique qu'il se propose de suivre dans les circonstances actuelles. Il m'a ensuite répété les déclarations qu'il avait faites au Général sur les deux questions de Venise et de la proclamation du Royaume d'Italie.

l. « L'opinion des sommités militaires se prononce affirmativement sur l'importance de la Vénétie pour la défense des frontières méridionales de l'Allemagne. L'abandon de cette position équivaudrait à une grande bataille perdue. Ainsi le Cabinet de Berlin ne saurait conseiller à l'Autriche de renoncer à cette province, ou favoriser d'une manière directe une cession. Cependant si le Gouvernement Impérial y consentait de son propre mouvement, nous ne l'en empecherions pas, surtout s'il y avait moyen de s'entendre sur des compensations, et d'obtenir des engagements rassurants pour l'avenir. En attendant nous sommes heureux d'apprendre quf' vous ne méditez aucune attaque contre l'Autriche. De notre còté nous ne jetterons pas d'huile sur le feu ».

Soit dit en passant, vis-à-vis d'un de mes collègues M. de Schleinitz énonçait en outre que, si la Prusse devait tenir compte des considérations stratégiques, elle chercherait à les concilier avec les intérets de la politique générale et du maintien de la paix.

2. « Quant à la formation du Royaume d'Italie, nous eussions désiré que cette question fùt réglée par un concert européen, mais on ne peut guère y songer puisque l'Angleterre semble décidée à prendre les devants. Pour ce qui nous concerne, nous ne prenons aucun engagement préalable de reconnaissance. Nous verrons comment la situation se dessinera, et nous espérons que vous saurez éviter de nous mettre l'épée dans les reins, que vous saurez tourner les difficultés ».

Il n'y a rien dans ces déclarations qui ne soit la répétition de ce que

M. de Schle'initz m'avait dit à plusieurs reprises. En les rapprochant des dis

cours tenus hier à la Chambre des Députés (1), V. E. sera à meme de se prononcer sur le programme de la politique prussienne à notre égard.

(l) Allude alla mtsswne straordinaria del gen. Alfonso La Marmora per l'avvento al trono di Guglielmo I. Cfr. il • Rapport du Général de La Marmora, Milan 17 février 1861 • sulla sua missione (già pubblicato dallo stesso LA MARMORA, Un po' più di tuce, ecc., Firenze, 1873, pp. 17 e sgg.) ove si riferiscono, a proposito della costituzione del Regno d'Italia, le seguenti dichiarazioni fatte all'ambasciatore straordinario del Re dal barone Schleinitz, ministro prussiano degli affari esteri: c Quant à la question de savoir ce se que nous ferons dans le cas assez probable où le nouveau Parlement proclamerait Victor Emmanuel Roi d'Italie, nous ne pouvons dire qu'une chose, c'est que nous nous attendons à ce qu'on ne nous mette pointle couteau sur la gorge. Nous chercherons par tous les moyens possibles à éviter une rupturede nos relations diplomatiques, tout comme nous les avons maintenues jusqu'ici. Le Comte de Cavour, avec son esprit éclairé, saura trouver une manière de s'entendre avec nous sur les moyens de sortir de cette diffìculté •. Cfr. anche L. CHIALA, Lettere edite e inedite det conte di Cavour, Torino, 1887, VI, pp. 670-674 e pp. 683-89.

3

IL DOTTOR CONNEAU A VITTORIO EMANUELE II

(A. C. R.)

L. P. Parigi, 14 febbraio 1861.

Rendo infinite grazie alla M. V. per l'onore che Ella mi ha fatto di dirigermi i di Lei caratteri e per la fiducia che la M. V. mette nella mia divozione alla M. V. e all'Italia.

Ho domandato all'Imperatore se era contento dei rapporti suoi col signor conte Vimercati (2) e la risposta è stata, qual già la presentia, che Ei ne era soddisfattissimo.

In quanto alla nomina del signor conte di Castellane, sotto qual forma che si sia, essa è per adesso impossibile. L'Imperatore non potendo nelle circostanze attuali domandare per esso l'exequatur non può nominarlo, né può neppure chiamarlo a reggere provvisoriamente un consolato qualunque senza fare una vacanza, il che far Ei non può attualmente. In quanto alla sua nomina

V. M. può esser sicura che essa avrà luogo subito che le circostanze lo permetteranno. Disgraziatamente noi viviamo in un tempo molto strano. Tutti i nemici dell'Imperatore e del suo Governo sembrano essersi coalizati, e gli affari d'Italia sono il campo in cui combattono la politica dell'Imperatore.

cher à la lisière extréme du territoire fédéral? • S. E. s'est bien gardée d'ajouter la phrase quisuivait immédiatement: c L'Allemagne peut-elle croire que l'ltalie songe à attaquer la Confédération Germanique? • M. de Schleinitz, j'aurai soin de le relever, était d'autant moins autorisé à jeter ce cri de défiance en s'appuyant sur un journal sans caractère officiel, que nous lui avons naguères donné les explications les plus catégoriques (désaveu du décret Valeria) •. [Aproposito di Trieste e del Lloyd, cfr. i documenti citati in A. TAMBORRA, Cavour, i croati e U confine orientale (1859-1861), in c Nuova Antologia •. vol. CDXLX. settembre-dicembre 1950, pp. 358-361].

Ritornando su questa discussione e su questo voto, il Launay scriveva a Cavour 1'11 febbraio 1861, n. 300: c Pour mieux se rendre compte de la signification de ce vote, il suffit de réfléchir qu'en cas de rejet nos adversaires s'en seraient prévalus de toutes manières pour encourager la Cour et le Gouvernement à faire cause commune avec l'Autriche. Sans vouloir cependant lui attribuer une valeur exagérée, il est permis d'en déduire que, si l'acceptation de la proposition Wincke ne fait point faire au Gouvernement un pas en avant en notre faveur, elle l'empèchera de faire un pas en arrière. Qui sait mème si le Ministère n'applaudit pas secrètement à une manifestation destinée à paralyser les tendances dynastiques et belliqueuses du Roi Guillaume et à lui rendre p!us difficile de remplir, le cas échéant, la promesse verbale, donnée à Toeplit.; à l'Empereur François Joseph, d'un concours actif si la France intervenait une seconde fois en Italie, Ies armes à la main? Quoiqu'il en soit, en comparant les discours tenus à la Chambre en 1859 et en 1861, il ést évident que nous avons gagné du terrain en Allemagne gràce aux efforts de la presse èclairée, et que nommément la question de Venise est appréciée avec plus de justice •·

Qui i non cattolici hanno vestito le divise dei cattolici, torturano i fatti, tacciono

o negano l'evidenza, combattono coll'armi della menzogna o della calunnia, e denaturando tutti i fatti attaccano gli atti non chè le intenzioni stesse dei governanti. È d'uopo all'Imperatore di gran prudenza e di gran circospezione. Tutto ciò che fa e dice è esaminato e scrutinato con malevolenza per trarne delle conseguenze favorevoli agli attacchi diretti contro di Lui. Che la M. V. sia convinta di una cosa, ed è che nessuno più dell'Imperatore desidera e vuole il bene dell'Italia e che lo vuole non solo per il vantaggio dell'Italia soltanto, ma si bene per la sicurezza della Francia stessa. Ma chi pensa come lui sono qui pochi, e non tutti hanno le vedute estese e generose dell'Imperatore. Esso peraltro riescirà, e con esso la M. V., e l'intento tanto desiderato sarà ottenuto. Dio voglia che ciò accada presto e senza dar luogo a turbamenti. Questo è il voto più ardente che nutro in cuore.

(l) Con rapporto Berlino, 6 febbraio 1861, n. 295, il Launay aveva data notizia del dibattito svoltosi, in quel giorno e nei giorni precedenti, alla Camera dei deputati prussiana su!ia risr-ost~ al discorso del trono. Vi si era trattata anche la questione italiana, a proposito di un emendamento del barone di Wincke che è cosi riassunto nel rapporto: c II n'est dans l'intérèt ni de la Prusse ni de I'Allemagne de s'opposer à la consolidation progressive de l'Italie •.• Gràces au concours des Polonais, -prosegue il rapporto -l'amendement a obtenu une majorité de 13 voix: 159 contre 146. Le Ministère s'est abstenu de voter... Les discours de nos adversaires n'ont pas été autre chose qu'un anachronisme. Ils ne tenaient aucun compte des événements accomplis depuis 1859. Le Baron de Wincke a été mordant, éloquent, selon san habitude. II sera de bon goùt que nos journaux l'encensent de toutes manières. Le Baron de Schleinitz a pris la parole à deux reprises. Selon la règle invariable, au Iieu de poser le principe de non intervention à l'instar de la France et de l'Angleterre, il a réservé la liberté d'action de san Gouvernement. Pour faire rejeter l'amendement précité, il s'est prévalu d'un article de l'Opinione e n réponse à la Gazette Prussienne dans lequel il était dit: • L'Allemagne considéreraitelle camme une violation de san territoire, si l'Italie en attaquant Vérone était obligée de tou

(2) II conte Ottaviano Vimercati, successivamente nominato addetto militare presso la legazione italiana a Parigi (13 agosto 1861).

4

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI

(Ed. in Q. R., II, 256)

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 21 febbraio 1861.

Le Général Klapka (l) étant venu me voir de retour des Principautés et de Constantinople, je l'ai engagé à mettre par écrit son opinion sur la question Hongroise. C'est ce qu'il a fait dans la lettre que je crois utile de vous transmettre afin que vous la soumettiez à l'Empereur. Vous trouverez à la suite de la lettre copie d'une convention signée entre Klapka et le Prince Cou:~:a, dont l'originai est entre les mains du Général.

Je dois ajouter que le Général m'a dit en me remettant sa lettre, qu'il n'avait pas cru devoir se préoccuper d'une éventualité qui cependant pourrait bien se réaliser, c'est à dire, le cas où l'Empereur d'Autriche, renonçant au système de concession dans lequel il est entré il y a quatre mois, reviendrait à celui de compression et de rigueur. Dans cette hypothèse Klapka croit que tous les efforts des hommes modérés et sages, ceux meme de Kossuth qui est dans une veine de modération, ne parviendraient pas à éviter une insurrection générale.

Je pense que l'écrit du Général Klapka, le plus raisonnable et le plus distingué des Chefs de l'émigration Hongroise, résume la situation actuelle d'une manière fort exacte. Il importe infiniment que l'Empereur en prenne connaissance, et il serait fort à désirer qu'il voulut bien me faire savoir quelles instructions je dois donner à Klapka. Celui-ci sait que nous sommes décidés à ne rien faire pour la Hongrie que d'accord avec la France. Non que nous

ne prévoyons pas le cas, où la France restant neutre, nous prissions part à une guerre avec l'Autriche, mals parceque nous voulons que meme dans ce cas notre intervention rentrat dans les vues de l'Empereur.

Le Père Passaglia de retour à Rome m'a mandé par le télégraphe, que le terrain est assez bien disposé. En conséquence je fais partir aujourd'hui un individu (l) avec le projet de convention, des instructions et des notes pour Pantaleoni (2) et le dit Père.

Désirant que l'Empereur soit au courant de ces négociations, je vous envoie une traduction du projet et une analyse des pièces qui l'accompagnent.

Passaglia me recommande le secret le plus absolu. J e prierai en conséquence l'Empereur de ne rien faire savoir pour le moment à Gramont. Il peut toutefois nous aider d'une façon efficace en tenant à Rome un langage analogue à la brochure de la Guerronnière. J'ai commencé à tàter Antonelli à l'endroit des intérets temporels. Le premier e5sai n'a pas réussi. L'intermédiaire, qui l'approche de très près, n'a point repoussé les ouvertures qui lui ont été faites. Je pousserai la tranchée dans cette voie, en cheminant toutefois avec la plus grande prudence, car il serait fort dangereux de faire une fausse démarche avant que la brèche ne soit ouverte. Plus tard si nous faisons des progrès j'invoquerai le concours que l'Empereur est disposé à nous preter (3).

Je vous prie de vous faire rendre et de me renvoyer par occasion la lettre de Klapka.

ALLEGATO l ( 4).

KLAPKA A CAVOUR

Turin, 15 février 1861.

Je n'ai pas eu le temps dans l'entretien que j'ai eu l'honneur d'avoir avec Vous, de Vous présenter un exposé complet des impressions que j'ai rapportées des bordes du Danube, et en général des questions que soulève aujourd'hui l'état de la Hongrie. Permettez moi de reprendre ici cet entretien et de vous adresser des renseignements qui me semblent de nature à interesser par plus d'un coté la politique italienne. Peut-etre jugerez vous, Monsieur le Comte, convenable de les communiquer à l'Empereur, dont les intérets dans une pareille question se trouvent nécessairement liés à ceux d'Italie.

La situation de la Hongrie Vous est suffisamment connue. Il ne me parait cependant inutile d'en dire quelques mots.

Les concéssions du 20 octobre n'ont pas produit les résultats que semblait en attendre le Gouvernement autrichien. Loin de ralentir le mouvement de la nation, elles l'ont au contraire précipité. C'est ainsi que le pays pour ne pas consacrer par son silence un nouvel empiètement de la prérogative royale, a reclamé avec plus de vigueur que jamais son ancienne constitution avec les réformes de 1848. Le Gouvernement autrichien a d'abord fermé l'oreille à ces vceux; mais il semble à la veille d'y céder. Il lui importe d'arreter à tout prix l'élan des esprits et de mettre fin à un mouvement qui risque de l'emporter lui meme. La loi électorale

de 1848 a été presqu'entièrement rétablie, et la Diète est convoquée pour le 2 avril.

Cette situation donne une grande force au parti qui prétend arriver par dcs moyens légaux à l'autonomie de la Hongrie et sa politique risque de prévaloir sur celle de la grande généralité de la nation, qui ne croit pouvoir arriver que par l'intervention de la force, au triomphe complet de ses droits. Il importe dans cette situation d'étre fixé sur certaines éventualités et principalement sur lé!! question de la paix et de la guerre.

Si nous pouvions donner aux chefs du parti d'action l'assurance formelle que la guerre éclatera dans quelques mois, ils sauraient trouver les moyens d'empécher par leurs exigences que la Diète se réunisse. Et dans le cas ou elle se réunirait, ils feraient trainer si bien les débats sur le Diplome d'inauguration qui d'après nos lois fondamentales doit précéder le couronnement du Roi, que la nation n'aurait pas le temps d'etre liée par un pacte avec l'héritier des Habsbourgs avant l'ouverture des hostilités. La question resterait ainsi toute entière: l'Autriche se trouverait déjouée dans ses calculs et la Hongrie resterait debout dans sa force et dans son droit pour entamer la lutte.

Si au contraire nous ne pouvions transmettre à nos amis que des prévisions et des perspectives de paix, le parti des tempéraments ne tarderait pas à prévaloir. La Diète une fois réunie poursuivrait ses travaux. Les formalités voulues par nos lois seraient remplies. Le couronnement aurait lieu, et la Hongrie liée de nouveau aux Habsbourgs par un pacte sollennel, entrerait dans une voie légale.

La guerre, une guerre assez prochaine serait donc dans l'intéret de la Hongrie. Si ce cas devait se réaliser, il faudrait qu'elle piìt compter comme par le passé, sur le concours du Gouvernement du Roi. Elle aurait besoin en particulier d'étre soutenue par les moyens suivants:

l -Recrutement plus actif de la Légion hongroise dont l'existence seule est un appel et un encouragement de tous les instants pour la Hongrie.

2. --Ressources plus abondantes pour continuer nos préparatifs dans les Principautés, achever l'organisation dans le pays, et pour nous assurer le concours des chefs les plus influents chez les Serbes et les Roumains. 3. --Envoi de deux bàtiments de guerre dans le Danube et d'un autre à Constantinople. Ces navires devraient étre chargés d'armes et de munitions en prévision de tout évènement.

A coté de cet appui matériel qui nous serait donné par l'Italie, nous devrions pouvoir compter aussi sur l'appui au moins moral de la France. C'est ce qui nous a trop manqué jusqu'ici. La plupart des obstacles que nous avons recontrés dans les Principautés, nous les devons, il faut le dire, à quelques agents du Gouvernement français, qui. exagérant sans doute leurs instructions ou n'en comprenant pas peut-étre la véritable portée, nous ont suscité toute sorte d'entraves et sont parvenus méme à paralyser le Prince Couza, qui surpris de cette resistance, n'a pas osé tenir ses engagements à notre égard. Telle a été surtout le role de

M. Tillos à Bukharest. Le meilleur service que pourrait nous rendre provisoirement la France, ce serait d'éloigner cet agent et de lui donner pour successeur

M. Piace qui seui, gràce à l'influence qu'il exerce, peut sans méme engager son Gouvernement, nous préter un appui sérieux dans les Principautés.

Il importerait aussi à la Hongrie de savoir si en cas de mouvement le Gouvernement français adopterait à son égard comme à l'égard de l'Italie le principe de non intervention, ou si elle ne risquerait pas de se voir exposée une seconde fois à l'invasion des armes russes.

Dans le cas où la guerre ne devrait pas étre engagée prochainement, l'agitation cessant en Hongrie comme nous l'avons vu, il n'y aurait plus à compter sur un mouvement. Toutefois il serait encore dans l'intérét de l'Italie d'entretenir des rapports constants avec la Hongrie: car elle pourrait y trouver une force le jour où, ce qui est inévitable tòt ou tard, elle se trouverait elle meme aux prises avec l'Autriche. Dans ce cas la Diète hongroise habilement conduite pourrait refuser tout concours d'hommes et d'argent à l'Autriche, qui se trouverait ainsi

pr1vee de ses ressources les plus prec1euses et ne pourrait plus opposer la mème resistance aux justes revendications de l'Italie. Cette éventualité peut-ètre menagée d'avance. Pour y réussir il faudrait que le Gouvernement du Roi entretìnt des intelligences suivies avec les Chefs de l'opposition dans le sein de la Diète aussi bien qu'au dehors. Le refus de l'Assemblée nationale de concourir aux projets de l'Autriche en guerre avec l'Italie, pourrait avoir pour résultat définitif une scission violente et par conséquent une insurrection.

Dans cette prévision il importe mème en cas de paix de continuer les préparatifs d'armement qui sont commencés dans les Principautés. Ce serait un arsénal précieux et nécessaire pour le jour de la lutte.

Telles sont, Monsieur le Comte, les explications par lesquelles j'ai cru devoir C()mpléter notre entretien. En tenant ce langage je crois servir non seulement la cause de la Hongrie, mais encore celle de l'Italie elle-mème. Ci-incluse j'ai l'honneur de vous soumettre la convention arretée entre le Prince Couza et moi lors de mon dernier séjour à Yassy. Tout dépend maintenant des instructions que l'Empereur voudra donner à ses agents dans les Principautés.

ALLEGATO 2.

CONVENZIONE TRA IL PRINCIPE CUZA E KLAPKA

Yassy, 9 janvier 1861.

Dans l'entrevue qui a eu lieu le mardi, 8 janvier 1861, entre Son Altesse le Prince Couza et le Général Klapka, les choses suivantes ont été convenues:

Le Prince consent à ce que des envois d'armes et de munitions soient faits à la Hongrie, par les Principautés-unies, mais afin d'éviter toute indiscrétion et tout malentendu à l'avenir il est bien stipulé que ces envois passeront désormais comme étant la conséquence de la commande d'armes qui a été faite officiellement par le Gouvernement Roumain et accepté par le Gouvernement français. Les navires prendront donc leurs expéditions dans un port français et les armes seront envoyées de manière à ce que l'on puisse établir qu'elles sont adressée,; par le Gouvernement Impérial, en exécution continue de la commande faite.

Comme les quantités qui arriveront ne pourront ètre contròlées par personne, elles seront reçues ostensiblement dans les Principautés, par les agens du Prince, et remises à sa disposition. Ce sera alors à Son Altesse à aviser aux moyens de transport, pour faire conduire les armes et munitions aux endroits de depòt, dans le voisinage de la frontière transylvaine. A cet effet le Prince se servira, à son gré, soit de ses transports militaires, soit des hommes, au nombre d'environ une trentaine, avec les chevau:x: et les chariots nécessaires, qui seront préparés par les soins du général Klapka, et qui, pendant toute la durée de l'opération, seront entièrement à la disposition du Prince.

Les dépòts seront formés sur différénts points, notamment à Okna, et à Slanik, où leur existence est très facile à dissimuler, et dans les autres endroits où il serait reconnu à la fois utile et prudent d'en établir.

Vu l'urgence probable des événements, le transport des armes aux lieux de dépòt s'exécutera aussitòt que possible après leur arrivée, et, en attendant, le Prince consent déjà à y faire parvenir à l'avance une certaine quantité des fusils provenant de l'envoi fait en 1859 et dont l'Empereur a fait cadeau.

Lorsque le moment sera venu de faire passer les armes au-delà de la frontière, le Prince décidera des moyens qui seront employés à cet effet et il ne s'opposera pas à ce qu'un certain nombre de Hongrois viennent, sur son territoire, par petits groupes, avec quelques chariots pour aider à ce transport.

Pendant toute la durée de l'opération, il est bien entendu qu'il ne sera mis en mouvement ni une arme ni un homme, et qu'il ne sera fait aucune démarche, sans que le Prince en ait été informé au préalable et qu'il y ait donné son consentement. Il sera tenu constamment au courant de ce qui se préparera, afin d'indiquer lui-mème ce qui sera dans les limites de la prudence. S'il était fait quelques envois d'armes et de munitions en dehors de ceux provenant des ports français, ils le seront exclusivement aux risques et périls des expéditeurs, et seront démentis par le Prince, au cas où il seraient découverts. Le Prince n'acceptera que ceux dont il aura été prévenu à l'avance, et pour les quels il aura donné son consentement, toujours sous la réserve qu'en cas de découverte, il sera le premier à procéder contre eux. Les affaires seront conduites de manière à ce que l'on ne puisse jamais prouver au Prince sa participation, car il est aussi utile pour les uns que pour les autres, que le territoire des Principautés-Unies restant en dehors: de l'action, puisse toujours étre un port de refuge.

Aucun corps de Hongrois ne pourra s'armer ni s'organiser dans le pays; toutefois ceux qui y viendront chercher asile seront bien reçus, pourvu que le Prince en connaisse exactement le nombre et que ces hommes restent dans les lieux de résidence qui leur seront assignés.

En échange du concours que le Prince donne aux Hongrois, dans ces graves circonstances, il est stipulé formellement, en faveur des Roumains de la Hongrie et de la Transylvanie, que ceux-ci jouiront des mémes droits que les Hongrois, qu'ils auront l'autonomie de leur culte et de leur administration communale avec l'usage de leur langue nationale.

En outre les limites entre les Principautés-Unies et le Royaume de Hongrie seront régularisées, par une commission mixte, qui aura pour objet l'établissement de bonnes frontières pour les deux parties.

Si la Bukovine veut s'annexer aux Principautés-Unies, les Hongrois s'engagent à y aider par leur concours moral et matériel.

Enfin si le moment favorable à l'indépéndance complète des Principauté-Unies se présentait, les Hongrois donneraient au Prince l'appui de leurs forces, aussi bien que dans le cas où le Prince jugerait cet appui utile dans d'autres éventualités.

(l) Cavour conosceva il generale Klapka, l'eroico difensore di Komarom nel 1849 e uno dei capi più autorevoli dell'emigrazione ungherese, dal 1856 -glielo aveva presentato a Ginevra James Fazy, l'anima del partito radicale ginevrino -e dal 1859 era in relazioni continuate con lui per ciò che concerneva i problemi dell'Europa danubiana e balcanica.

(l) -Il padre Molinari, rosm1mano. (2) -Il dottor Diomede Pantaleoni e l'abate Carlo Passaglia erano stati incaricati di una particolare missione presso la Santa Sede. (3) -Allude alle negoziazioni Bozino-lsaia-Aguglia con il cardinale Antonelli largamente documentate in Q. R., II, che si sono tralasciate perchè furono in sostanza di importanzasecondaria. (4) -Manca in Q. R.
5

ISTRUZIONI DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL DOTTOR PANTALEONI E ALL'ABATE PASSAGLIA SULLE TRATTATIVE CON LA SANTA SEDE. (l)

(Ed. in N. BIANCHI, Storia documentata della diplomazia europea in Italia (1814-1861), Torino, 1872, VIII, pp. 423-430, 700-704)

a) ISTRUZIONI INTORNO AL MODO DI CONDURRE LE TRATTATIVE

Torino, 21 febbraio 1861.

Il popolo italiano è profondamente cattolico. La storia dimostra che niun scisma poté mai metter vaste radici in Italia, e il numero degli acattolici nella penisola è così infimo, che l'art. l dello Statuto proclama una verità di fatto. L'affluenza, con cui il popolo continua ad accorrere ai templi e ad assistere al divino servizio, prova che gl'Italiani non cessano d'essere sinceramente devoti al culto de' loro padri, anche quando combattono per l'indipendenza del loro paese e decidono col loro voto delle sue sorti avvenire.

Questa perfetta omogeneità delle popolazioni italiane sotto il rapporto reli

gioso dimostra che, quando venisse a cessare in Italia il funesto dissidio esistente

n. -2, le cui conclusioni abbiamo accolto.

fra la Chiesa e lo Stato, il clero non avrebbe a temere che alcuna rivalità, alcuna influenza opposta alla religione cattolica combattesse o limitasse l'esercizio legittimo dell'azione, che naturalmente gli compete. L'Italia è quindi la terra in cui la libertà produrrebbe gli effetti più favorevoli agli interessi della Chiesa, il campo destinato dalla Provvidenza all'applicazione del principio Libera Chiesa in libero Stato.

Rivendicare la completa indipendenza della Chiesa dallo Stato nella sfera delle cose spirituali, è senza dubbio la più nobile ed elevata missione che Papa Pio IX possa assumere. A buon diritto il sommo Pontefice cercò ed in qualche paese ottenne di far abolire le limitazioni apposte dalle leggi Giuseppine, Leopoldine e Tanucciane alla libertà della Chiesa. L'esito infelice del Concordato austriaco prova non già che lo scopo fosse impossibile a raggiungersi, ma che il metodo scelto per attenerlo non fu quello più conforme all'indole de' tempi ed alle attuali aspirazioni dei popoli cristiani. Per questo rispetto altresì è facile dimostrare, che l'Italia è il solo paese cattolico in cui lo Stato possa consentire ad agevolare al Pontefice l'adempimento della sua gloriosa missione, e che Re Vittorio Emanuele è il solo che possa dar l'esempio agli altri principi di rinunciare a franchigie, la cui gelosa custodia fu finora uno de' cardini della politica europea.

Il sistema delle guarenzie Giuseppine, Leopoldine e Tanucciane ebbe origine da quella serie di fatti, per cui le relazioni fra la Chiesa e lo Stato, mutando affatto carattere, assunsero l'indole di rapporti internazionali. Il Sommo Pontefice divenne, coll'assodarsi delle moderne monarchie, un principe temporale ed assoluto come gli altri re. Tale sua qualità accrebbe negli altri principi i wspetti e le gelosie che scemarono, invece di accrescerla, la sua autorità nelle cose spirituali: le provvisioni da esso emanate, anche in materia affatto religiosa, furono considerate come atto di un estero governo, ed assoggettate perciò al placet governativo. Quindi avvenne che, per conservare alla curia romana un angusto ed irrequieto dominio temporale, la Chiesa subisse in tutto l'orbe cattolico una vera diminuzione di sovranità spirituale, ed il potere del vescovo di Roma fu cagione che i vescovi di tutte le altre diocesi cattoliche fossero nominati non dalla Santa Sede né dal clero, ma da un potere indipendente e

spesso in lotta con essi.

Non v'ha dunque che un modo di fondare sopra solide basi l'indipendenza completa ed effettiva del papato e della Chiesa: è il rinunciare al potere temporale e dichiarare col Vangelo, che il regno della Santa Sede non è circoscritto da condizioni di tempo nè di spazio. Parimenti non v'ha che un governo, quello di Re Vittorio Emanuele, il quale possa e voglia farsi strumento di questa gloriosa trasformazione del papato. Gli altri governi europei non accorderanno mai alla Chiesa quella completa libertà d'azione cui essa ha diritto: non avendo alcun compenso a chiederle, alcun vantaggio ad ottenere da questo atto di giustizia, essi non s'indurranno giammai a rinunciare a privilegi, di cui si mostrarono finora gelosissimi difensori. Re Vittorio Emanuele per contro si glorierebbe d'inaugurare per primo da Roma il sistema della completa indipendenza della Chiesa; e, solo quando egli ne avesse dato l'esempio, gli altri principi sarebbero costretti dalla pubblica opinione a smettere ogni egoistica preoccupazione, ed a lasciare alla Chiesa quell'impero dell'anima che alla Chiesa si compete.

Queste considerazioni inducono il governo di S. M. a proporre, come basi di negoziati puramente officiosi, da un lato la rinuncia al potere temporale, dall'altro l'offerta delle più ampie guarentigie di completa indipendenza nello esercizio del potere spirituale.

A tale intento mira il progetto formulato qui appresso in articoli, che potrebbero considerarsi come un accordo preliminare. Le avvertenze apposte in nota a ciascuno di quegli articoli determinano con esattezza le facoltà concesse ai negoziatori nel discutere le proposte ed il vero senso da darsi alle medesime. Prima però è d'uopo accennare quali modi paiono più acconci a riuscire nell'intento.

I negoziatori non dovranno mostrarsi soverchiamente solleciti di incominciare le trattative. Essi dovranno lasciare che penetri lentamente negli animi la convinzione dell'impossibilità che le cose a Roma durino a lungo nello stato attuale. La necessità di un cambiamento di sistema facendosi sentire vieppiù viva coll'andar del tempo, indurrà anche i più ostinati difensori del potere temporale a dare ascolto alle proposte di cui si tratta.

I negoziatori si adopreranno però con ogni mezzo per togliere i dubbii sulle disposizioni del Governo del re e sul sincero e vivo suo desiderio di una conciliazione. Ma essi paleseranno la loro convinzione che trattative le quali non avessero probabilità di riuscita tornerebbero pregiudizievoli tanto allo Stato che alla Chiesa. Esse non farebbero invero che accrescere l'irritazione degli animi, e renderebbero talmente contraria la pubblica opinione, che per lungo tempo non sarebbe più possibile addivenire ad alcun accordo.

I negoziatori si asterranno perciò dal rimettere per ora al cardinale Antonelli la credenziale che viene loro spedita dal ministero degli affari esteri. Questo documento non sarà consegnato se non quando i cardinali destinati a trattare siano stati formalmente designati dal Santo Padre.

Si dovrà insistere sulla necessità di mantenere il più assoluto segreto sui negoziati. È indispensabile infatti che la diplomazia estera, la quale ha grandissimo interesse ad impedire che la Chiesa acquisti in Italia le franchigie che le vengono negate altrove, ignori, ove ciò sia possibile, l'esistenza od almeno l'indole precisa di queste trattative.

Quando il Sommo Pontefice abbia designato i cardinali che avranno lo incarico di trattare, e quando i negoziati saranno intavolati in guisa da non lasciar dubbio sulla loro sincerità, il modo di condursi dipende dalle disposizioni dell'animo del Santo Padre.

Il sistema migliore, quello che è più conforme alla dignità delle parti ed allo scopo sublime che esse si propongono di conseguire, sarebbe certamente di presentare direttamente al Pontefice, se non tutti gli articoli qui appresso formulati, almeno il principio da cui sono ispirati, e che si riassume nella massima: Libera Chiesa in Libem Stato.

A tal fine i negoziatori dovranno svolgere le considerazioni accennate in principio delle presenti istruzioni, insistendo sopratutto sull'immenso avvenire che quel principio, applicato in Italia, schiuderebbe alla Chiesa in tutto il resto del mondo civile. Riescirà loro agevole di dimostrare che non solo i

lO

governi cattolici, ma persino quelli protestanti sarebbero in breve lasso di

tempo costretti a svincolare la Chiesa dalla tutela che pesa su di essa, e che

le impedisce di esercitare la legittima sua influenza sulla mente e sulla coscienza

de' popoli. Ove i negoziatori potessero giungere direttamente sino al Pontefice,

essi potrebbero fare appello agli istinti nobilissimi e generosi dell'animo suo,

dimostrandogli come l'abnegazione di cui farebbe prova rinunciando ad un

potere del quale più non esistono ormai che le fallaci apparenze, e di cui

serberebbe in ogni caso il lustro e la dignità, accrescerebbe infinitamente la

augusta autorità della sua parola nelle materie religiose; e che quest'esempio

rianimerebbe nel clero il culto delle morali virtù, e farebbe rinascere in tutto

l'orb~ cattolico il rispetto dovuto ai vescovi e ai sacerdoti.

Se poi i negoziatori si accorgessero che queste ed analoghe considerazioni non valessero a decidere il Santo Padre ad entrare immediatamente nella via che solo può condurre questi negoziati ad un pratico risultato, essi potranno incominciare a far conoscere le condizioni che lo Stato sarebbe disposto a fare alla Chiesa, ponendone in piena luce l'importanza. Quando le persone incaricate dal Pontefice di trattare si fossero rese capaci di tutti i vantaggi offerti dallo Stato alla Chiesa, i negoziatori passerebbero a dimostrare che tali concessioni implicano, come conditio sine qua non, la rinuncia al potere temporale.

È a prevedersi che i negoziatori pontificii cercheranno di attirare i negoziatori sardi sul campo delle questioni religiose, e vorranno mutare l'accordo proposto in guisa da farlo divenire uno de' vieti concordati, in cui, ben lungi dal concordarsi l'indipendenza reciproca dello Stato e della Chiesa, Chiesa e Stato usurpano reciprocamente l'uno il dominio dell'altro. I negoziatori per parte di S. M. avranno quindi presente che, qualunque sia il metodo seguito per iniziare e condurre i negoziati, il risultato cui essi debbono mirare è inscindibile, e che il Governo del re non farà mai alcuna concessione alla Chiesa nel campo spirituale, se essa non rinuncia affatto ad ogni dominio temporale. Non si tratta infatti di comporre alcune dissidenze esistenti fra i rapporti attuali fra la Chiesa e lo Stato, ma di cambiare affatto la base stessa di questi rapporti e di sostituire all'antagonismo e alla lotta che da tre o quattro secoli esistono fra la società civile e la società religiosa, un sistema armonico d'indipendenza reciproca e di mutua libertà.

Converrà quindi che i negoziatori si astengano dal dar forma precisa di articoli alle basi contenute nel progetto, sia per tutte le concessioni di cui in esse si fa parola, sia per alcuna di esse, se non hanno acquistata la certezza (e possibilmente la prova) che è implicitamente ammessa e sarà trattata in buona fede la proposta della rinuncia al potere temporale.

Abbiamo sinora contemplato due metodi di negoziare: il primo che consiste nel convincere direttamente il Pcntefice della necessità di questa trasformazione del papato, e che è incomparabilmente il migliore: l'altro che abbiamo testè accennato presenta maggiori incertezze, ma può tuttavia condurre a buon fine le pratiche.

Però l'esperienza degli avvedimenti che la curia romana suoi mettere in uso in questo genere di trattative, suggerisce l'ipotesi che i negoziatori per parte della Santa Sede vogliano limitarsi· a trattare alcune delle questioni religiose pendenti fra il Governo ed il Pontefice, relativamente alle antiche provincie della monarchia di Savoia ed alla Lombardia. Questo metodo di negoziati è sommamente péricoloso, e non può condurre ad alcun accordo definitivo. ··

Epperciò i negoziatori per parte del re, senza rifiutare assolutamente la discussione, non dimenticheranno che in questo campo il Governo del re non può consentire ad alcuna concessione. Il reverendo padre Passaglia e il signor dottor Pantaleoni si proporranno in questo caso per unico scopo, di convincere i negoziatori pontifici dell'assoluta impossibilità di riuscire ad accordi che non abbiano base affatto diversa da quella degli antichi concordati. Il Governo del re è convinto che ogni parziale modificazione degli attuali rapporti fra la Chiesa e lo Stato (qualunque ne fosse d'altronde l'intrinseco valore) nuocerebbe anzichè giovare. Non vi può essere pace durevole fra le due società se non vi ha una mutazione radicale nei loro rapporti.

Le circostanze in cui versa l'Italia sono così gravi, che il principio del potere temporale da un lato, quello della tutela della Chiesa dall'altro, debbono entrambi scomparire per lasciar luogo all'adozione leale e compiuta della massima: Libera Chiesa in libero Stato. N i una concessione parziale basterebbe a ricondur la pace nelle coscienze e dare all'Italia la tranquillità di cui ha d'uopo. L'era de' concordati è finita. Sarebbe miglior partito lasciare ciò che esiste, con tutti gli abusi e gl'inconvenienti che ne sono la conseguenza, che consacrare di nuovo, e dare con un miglioramento parziale nuova sanzione al sistema d'ingerenza reciproca, che ebbe effetti così funesti per la Chiesa del pari che per lo Stato.

Qualunque dei tre metodi accennati sia adottato nelle trattative, lo scopo che i negoziatori dovranno proporsi rimane immutabile. Il Governo lascia loro la scelta prudente de' mezzi: esso confida nel loro patriottismo e nella loro accortezza, e spera che sapranno far persuasa la Santa Sede delle rette intenzioni del Governo di S. M., mantenendo sempre immutabile e indiscutibile la base dei negoziati.

Quando i negoziatori per parte di S. M. abbiano acquistata la convinzione

che sarà ammessa in principio la rinuncia al potere temporale (qualunque sia

del resto la forma che sarà scelta per tale rinuncia), essi potranno comunicare

e discutere gli articoli preliminari alle presenti istruzioni annessi, seguendo le

avvertenze contenute in nota a parte, e che alle presenti vanno parimenti unite.

b) PROGETTO DI CONVENZIONE FORMULATO IN ARTICOLI

Torino, 21 febbraio 1861.

l. Il Sommo Pontefice conserva la dignità, la inviolabilità e tutte le altre prerogative personali di sovrano, e inoltre quelle preminenze rispetto al re e agli altri sovrani, che sono fissate dalle consuetudini. I cardinali di santa romana Chiesa conserveranno il titolo di principe e le onorificenze relative. Sono irresponsabili per gli atti che compiono nella qualità di consiglieri del Sommo Pontefice.

2. Sarà assegnata al Sommo Pontefice una quantità di beni stabili e mobili tali che forniscano una rendita di . . . . . ad esso, e di . . . . . al Sacro Collegio.

Apparterranno pure al Sommo Pontefice il Vaticano ed alcuni altri palazzi. Questi luoghi saranno considerati come non soggetti alla giurisdizione dello Stato.

3. È stabilito il principio della libertà e indipendenza della Chiesa e dello Stato, e conseguentemente: A) Il Sommo Pontefice conserva in ogni caso le sue nunziature all'estero, e manda legazioni inviolabili anche in caso di guerra; B) Esercita in ogni forma canonica il suo potere legislativo, giudiziario ed esecutivo; C) Ha libera comunicazione con tutti i vescovi e i fedeli, e reciprocamente

senza ingerenza governativa; D) Convoca e celebra a suo grado ogni maniera di Concilii e di Sinodi; E) I vescovi nelle loro diocesi e i parrochi nelle loro parrocchie sono pari

menti indipendenti da ogni ingerenza governativa nell'esercizio del loro ministero e nell'amministrazione dei sacramenti; F) È libera la predicazione, la stampa, l'associazione e l'insegnamento ecclesiastico, purchè non offendano l'ordine pubblico.

4. -Lo Stato, rispettando la libertà della Chiesa, non porge in alcun caso ad essa il braccio secolare per l'esercizio dei suoi diritti spirituali. Nei rapporti temporali il clero, come ente morale, e gl'individui che ne fanno parte, sono soggetti alle leggi generali dello Stato come ogni altro cittadino. Lo Stato non riconosce la personalità civile di veruna corporazione religiosa. 5. -La nomina dei vescovi sarà fatta con un sistema elettivo nei modi da combinarsi. Lo Stato rinuncia a qualunque diritto su tale materia, tranne un veto nei casi gravi. Lo Stato rinunzia alla Chiesa la nomina dei canonici e dei parrochi, che sinora furono governative. 6. -Sarà assegnata nel regno d'Italia tanta quantità di beni stabili e mobili quanto basti al mantenimento e al decoro dell'episcopato, dei capitoli, delle cattedrali, dei seminarii e del clero avente cura di anime.

Le diocesi si calcoleranno sul numero di ottanta. Questi beni una volta fissati, pagheranno le tasse pubbliche, ma saranno dipendenti unicamente dal clero senza alcuna specie di sindacato governativo.

La quantità dei beni per la parte che sono stabili non potrà venire aumentata senza l'assenso del Governo. Inoltre il Governo pagherà una pensione vitalizia ai membri delle corporazioni disciolte.

7. -Ogni legge, ogni concordato, consuetudine o privilegio, sì dello Stato che della Chiesa contrario ai principii sopra fissati, s'intende abolito. 8. -I presenti capitoli, firmati dal Segretario di Stato di Sua Santità il Sommo Pontefice e dal ministro degli affari esteri di S. M. il Re, saranno sottoposti al Parlamento italiano: quindi dopo aver ricevuto la sanzione del Sommo Pontefice e del re, non solo formeranno legge, ma faranno parte dello Statuto fondamentale del regno, e saranno inoltre considerati come un trattato bilaterale.

Immediatamente appresso, il Governo di S. M. prenderà formale possesso degli Stati Pontificii. Una Commissione di sei personaggi, scelti tre per parte, si riunirà in Roma per determinare nel più breve tempo possibile le applicazioni, e per risolvere le vertenze che si riferiscono alla presente convenzione.

C) AVVERTENZE AL PROGETTO

Torino, 21 febbraio 1861.

Art. l. -I negoziatori avranno cura di dichiarare che il Governo di S. M.

intende conservare anzitutto intatta la dignità del S. Padre ed il culto della

Santa Sede, che esso considera non meno come gloria nazionale, che quale sacro

riguardo dovuto alla società cattolica universale. Quindi tutti i titoli, onori e

privilegi di sovrano saranno accordati al Papa, e mantenuti a perpetuità ai suoi

successori.

Anche ai cardinali saranno accordati tutti gli onori necessari all'alto loro

grado. Fra i cardinali italiani alcuni avranno seggio in Senato. La scelta spet

terà naturalmente al Governo del Re; ma ove ciò possa giovare al buon esito

dei negoziati, si potrà stabilire che un numero di cardinali italiani, da determi

narsi, debba sedere in Senato.

Art. 2. -Nella determinazione della quantità di beni mobili e stabili da prelevarsi per costituire un'annua renàita al Pontefice ed al Sacro Collegio, si potrà prendere per base la somma delle spese che occorrono annualmente pel Sommo Pontefice e per le persone addette al suo servizio. Per quanto spetta al Sacro Collegio, la base da fissarsi per ogni cardinale, che non fosse provvisto d'altre prebende, sarà il così detto piatto cardinalizio, senza però che non lo si possa eccedere.

I negoziatori determineranno tassativamente i palagi, ville e residenze da lasciarsi al Pontefice, riservandosi di chiedere nuove istruzioni in caso di domande troppo onerose per parte dei negoziatori pontificii.

Essi dovranno dichiarare che l'immunità della giurisdizione, dallo Stato concessa ai suddetti palazzi e residenze, tende esclusivamente a guarentire la inviolabilità personale ed indipendenza del Pontefice, ma non comprende un diritto di asilo assoluto.

Il modo da seguirsi per procedere all'arresto dei condannati che in essi fossero ricoverati, dovrà essere determinato da speciale accordo.

Art. 3. -Le franchigie concesse da quest'articolo sono così importanti, che i negoziatori riesciranno facilmente a dimostrare ch'esse darebbero alla Chiesa in Italia una condizione immensamente più vantaggiosa di quella che mai le sia stata concessa in alcun altro paese.

Rispetto alla lettera A faranno osservare che il Pontefice conservando le nunziature all'estero, anche in caso di guerra, sarebbe veramente posto in condizione superiore ad ogni causa di temporali conflitti. Il Pontefice vedrà in questa concessione la più irrefragabile prova della indipendenza che gli sarebbe guarentita.

L'alinea B indica che la Santa Sede continuerà ad avere il diritto non solo di emettere decisioni in materia canonica, ma di pronunziare sentenze, censure e pene ecclesiastiche. S'intende da sè, ed è più sotto avvertito espressamente, che lo Stato non sarà mai obbligato a prestare il braccio secolare per l'esecuzione delle provvidenze ecclesiastiche.

Sugli alinea C, D, E, non occorre fare altra osservazione se non che essi contengono l'abolizione implicita dei diritti di placet, exequatur, caveat, ecc. S'intende implicitamente che in casi di straordinarie solennità r~ligiose, come giubilei o concilii, specialmente se ecumenici, l'autorità ecclesiastica dovrà avvertire anticipatamente l'autorità civile per le disposizioni necessarie al mantenimento dell'ordine pubblico. Così pure è sottinteso che l'autorità civile potrà dare in ogni caso di urgenza i provvedimenti necessari per la salute pubblica, la tranquillità interna, ecc.

Circa l'alinea E, è d'uopo avvertire che gravi considerazioni politiche esigerebbero l'adozione in Italia del matrimonio civile come in Francia e nel Belgio. Però, coerentemente ai principii che informar debbono questi negoziati, lo Stato non imporrebbe mai alla Chiesa la celebrazione del matrimonio religioso. Ciò costituirebbe un sistema di gran lunga più conforme agli interessi ed alla dignità della Chiesa che quello vigente in Francia e nel Belgio.

Del resto non occorrerebbe che la Santa Sede approvasse esplicitamente il principio del matrimonio civile. Basterebbe un assenso tacito, di cui sarebbe prova sufficiente l'astensione da ogni protesta.

Dichiarando libera la predicazione, la stampa e l'insegnamento ecclesiastico, si concedono al clero i più grandi mezzi di influenza morale.

La limitazione apposta colle parole « purchè non si offenda l'ordine pubblico» tende ad evitare che la parola ?"eligiosa venga adoperata per fini politici, allo scopo di rovesciare il governo esistente od eccitare l'infrazione delle leggi e dei regolamenti.

Anche qui la S. S. farà prova di quella temperanza, di cui diede splendidi esempi nella storia dei secoli scorsi, ammettendo quei principii di libertà di coscienza e di stampa, che sono il più manifesto bisogno dei popoli moderni.

Art. 4. -Lo Stato non può ammettere in principio alcuna deroga alle massime di uguaglianza civile e giuridica di tutti i cittadini.

Però, ove ciò ·si ravvisasse indispensabile pel buon esito dei negoziati, si potrebbe stabilire che anche i cardinali i quali non sedessero nel Senato, godessero della giurisdizione privilegiata concessa dallo Statuto ai senatori del regno.

Ove ciò venisse chiesto per tutti i vescovi, i negoziatori faranno osservare che questo principio non sarebbe conforme ai principii da cui muovono le trattative. Essi obbietteranno che in Francia, nel Belgio, ed in quasi tutti gli altri Stati cattolici i vescovi non godono d'alcuna giurisdizione privilegiata. Recentemente monsignor Dupanloup fu tratto, per affari di stampa, innanzi al tribunale correzionale, nè ciò diminuì punto il rispetto a quel prelato. Tuttavia, ove si insistesse maggiormente, i negoziatori accoglieranno la proposta ad referendum.

L'ultimo alinea relativo alle corporazioni religiose ha d'uopo d'essere attentamente ponderato. Negando ad esse la personalità civile, il Governo non intende di porre ostacoli alla loro esistenza nello Stato.

Intende bensì d'impedire che acquistino i diritti economici che ai corpi morali sono attribuiti dalle leggi. Il che non toglie che individualmente i membri di esse possano possedere come i Rosminiani.

Alcuni istituti sacri di beneficenza, i quali sono governati da corporazioni religiose, potranno essere esentati dando la personalità civile all'istituto.

I vescovadi e le parrocchie avrebbero facoltà civile di possedere beni stabili. Sarebbero riservati alla Santa Sede i suoi diritti circa al permesso di alienare i beni vescovili e parrocchiali.

Art. 5. -Circa la nomina dei vescovi il Governo intende di cercare un sistema, mercè cui il clero stesso di ciascuna diocesi concorra per via di elezione alla nomina dell'ordinario. Il modo sarebbe da concertarsi in appresso.

I negoziatori però agiranno con somma cautela, accogliendo solo ad referendum le proposte relative.

Il Governo riserverebbe a sè in ogni caso grave che potrebbe pure determinarsi, un diritto di veto. Ma finchè la Chiesa e tutti i membri del clero non abbiano sinceramente accettato ed applicati i principii liberali che ispirano questi accordi, il Governo non può rinunciare del tutto al suo diritto attuale. Egli è per ciò che si dichiara che per la prima volta la nomina ai vescovati vacanti si farà d'accordo fra il re e il Governo pontificio.

L'ultimo alinea contiene la rinuncia per parte dello Stato alla nomina governativa dei canonici e dei parroci. Con ciò non si intende di detrarre ai diritti di patronato laicale, che appartengono al re, e che formano parte del suo patrimonio privato.

Art. 6. -Il numero delle diocesi attualmente esistenti in Italia è fuori di ogni proporzione col numero di quelle degli altri paesi cattolici. Esso si aggira intorno ai 260, in guisa che ogni diocesi comprende una popolazione minore di centomila abitanti.

L'annesso quadro comparativo dimostra che la Francia, il Belgio e la Spagna stessa, hanno diocesi molto più vaste (1).

Egli è evidente che se si mantenesse tale ingente numero di vescovi, sarebbe impossibile accordare a ciascuno di essi una rendita conveniente all'indipendenza del loro sacro ministero, e alla dignità del loro ufficio. Si propone perciò di ridurre le diocesi al numero di ottanta, il che sarebbe una proporzione di circa

300.000 fedeli per ogni diocesi, assai inferiore a quelle esistenti in Germania. Ove questo numero fosse giudicato inammessibile, i negoziatori potranno giungere fino alla cifra di cento, ed accogliere ad referendum le altre proposte.

I tre alinea seguenti costituiscono un progresso radicale nelle dottrine circa la proprietà del clero. Il sistema proposto è quello che guarentisce maggiormente l'indipendenza dei vescovi e dei parroci dallo Stato.

Non solo esso è migliore di quello vigente in Francia, in cui il clero è salariato dal Governo, ma è migliore altresì di quello testè accettato dalla Santa Sede nel concordato colla Spagna, mercè cui il clero fu indennizzato della perdita dei suoi beni con cedole dello Stato.

Il Governo rinunciando ad ogni ingerenza nell'amministrazione dei beni vescovili e parrocchiali, costituisce le parrocchie e i vescovadi in condizioni molto più vantaggiose di quelle concesse agli altri corpi morali proprietari di stabili. Il sottoporre questi beni alle pubbliche tasse, ed il richiedere l'assenso governativo per l'acquisto d'altri beni, è coerente ai principii di tutte le legislazioni., circa i beni dei corpi morali (1).

(l) Belgio Francia . . 6 diocesi, cioè l 86 per ogni 700 mila abitanti. 400 • Austria . 83 320 » Germania 17 300 » Irlanda . 27 270 • Spagna . Svizzera . . . 37 230 » 20 • [Nota del documento].

Art. 7. -Benchè la disposizione recata in questo articolo sia generica, i negoziatori dovranno, prima di ammetterla in modo definitivo, fare una diligente enumerazione di tutte le leggi e regolamenti da abrogarsi per parte dello Stato e della Chiesa, valendosi, ove d'uopo, degli studi di valenti giureconsulti.

Art. 8. -L'articolo relativo alla rinuncia del potere temporale non fu formulato. Esso potrà anche essere concepito in modo veramente negativo, purchè non rimanga dubbio sulla realtà ed efficacia di fatto della rinuncia.

I negoziatori accoglieranno solo ad referendum ogni progetto di redazione.

(l) -Sulla questione se il vero testo delle istruzioni inviate al Pantaleoni e al Passaglia sia quello edito dal Bianchi oppure quello edito da E. ARTOM, L'opera politica del Sen. Isacco Artom nel risorgimento italiano, Bologna, 1906, pp. 176-187, cfr. la nota di A. Luzio in Q. R., I, 308,
6

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO

(Ed. in Cavour -Inghilterra, vol. II, t. II, 1301)

L. P. Torino, 23 febbraio 1861.

Cette lettre vous sera remise par le Général TUrr, que je recommande à votre obligeance accoutumée. C'est un de ces braves enfants de la Hongrie, qui ont plus de courage et d'entrain que de sagesse.

Il a été le compagnon fidèle de Garibaldi dans tous ses exploits; mais comme le Roi l'a comblé de ses bontés, il est plein de dévouement pour S. M. et il a été bien de fois un intermédiaire très utile entre le Gouvernement et Garibaldi. Vous saurez étre aimable avec lui, sans vous compromettre trop ouvertement. Du reste il est dans les meilleures dispositions, et il parait convaincu de la nécessité d'empécher Garibaldi de faire un coup de téte.

J'espère que le discours du Roi (2) aura fait une bonne impression en Angleterre, et qu'il en sera de méme de la loi que je viens de présenter au Sénat, et par laquelle le Royaume de Sardaigne se transforme en Royaume d'Italie.

Nous avions décidé d'abord de ne pas prendre l'initiative de cette mesure et d'attendre que la proposition en fU.t faite par les Députés. Mais comme il m'est revenu qu'on aurait commis dans cette occasion de très grandes imprndences (on voulait déclarer que la Vénétie appartient au Royaume d'Italie), j'ai coupé court à tous ces beaux projets en présentant moi-méme la loi.

2 · Documenti diplomatici . Serie I • Vol. I

(l) -È quasi superfluo aggiungere che la ripartizione della massa dei beni assegnati ai vescovati ed alle parrocchie sarà fatta in guisa da far si che ogni parrocchia abbia una congruaquantità di redditi, per modo che lo Stato non abbia a soggiacere in appresso ad alcun onere finanziario per tale rispetto. [Nota del documento]. (2) -Il discorso della Corona pronunziato dal Re Vittorio Emanuele II il 18 febbraio alla inaugurazione della sessione del Parlamento.
7

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., II, 276)

L. P. Parigi, 28 febbraio 1861.

En recevant les documents concernant les négociations avec Rome et les affaires de Hongrie que V. E. a bien voulu m'envoyer, je me suis empressé de communiquer les premiers à M. Thouvenel, en le priant d'en donner connaissance à l'Empereur.

Tous les pourparlers au sujet de cette importante affaire ayant passé par l'intermédiaire du Ministre, j'ai jugé plus convenable de m'adresser à lui pour faire parvenir à S. M. les nouveaux renseignements.

En meme temps j'ai demandé par l'intermédiaire de Conneau, à etre reçu par S. M. pour une communication à lui faire, et j'ai dit au Docteur de quoi il s'agissait. L'Empereur envoya de suite Conneau chez moi me priant de lui donner la lettre de Klapka, en ajoutant qu'il m'aurait vu le surlendemain; connaissant que S. M. a l'habitude de rendre difficilement les papiers qu'on lui remet, j'avais fait préparer une copie de la lettre que j'ai remise à Conneau en le priant d'insister auprès de l'Empereur pour qu'il me donne une réponse catégorique autant que possible sur les demandes que le Général Klapka avait signalées dans sa lettre, la première tendant à faire envoyer à Bukharest M. Piace en remplacement de M. Tillos, la seconde à savoir s'i en cas d'un mouvement en Hongrie la France proclamerait comme en Italie le principe de non intervention.

Comme M. Thouvenel avait le meme jour communiqué à S. M. les pièces

concernant les affaires de Rome, l'Empereur me fit écrire par Conneau l'étrange

lettre que je vous envoie (1), et me recevant le jour suivant 26 me demandait

avec empressement et avant tout si j'avais reçu la lettre que Conneau devai.t

m'avoir écrite. A ma réponse affirmative S. M. voulut savoir ce que j'en pensais.

Je répondis que nos négociations avec Rome étant fondées sur le nouveau prin

cipe de la séparation totale entre l'Eglise et l'Etat, ce qui implique la renoncia

tion totale du pouvoir temporel en échange de larges concessions pour le

spirituel, la cession de la Sardaigne au Pape, en attaquant le principe unitaire

che teme che una concessione così limitata quanto quella del progetto non ne ritardi la conclu;ione. In tutto si scorge nell'Imperatore il desio di concludere non solo, ma di concludere in modo che non vi abbia da parte o d'altra a rimanere diffidenza, sospetti o timori per l'esistenza

avvenire».

italien, infirmait aussi le grand et nouveau principe de libre Eglise dans libre Etat, qui dans les vues de V. E. était appelé à servir de base à toute la catholicité.

D'ailleurs le projet impérial à mon avis déplaçait la question sans la résoudre, car le Pape aurait rencontré dans l'ile de Sardaigne les memes difficultés qu'il rencontre à gouverner comme souverain Rome. S. M. me dit alors que le Piémont avait tellement délaissé l'ile de Sardaigne que celle-ci ne serait peut-etre pas fachée d'avoir un gouvernement séparé si médiocre qu'il fut. Je répondis à l'Empereur que le Piémont ayant des ressources très modérées, pouvait avoir négligé la Sardaigne, mais que l'Italie avec ses moyens plus grands, ne manquerait pas à present de tirer de l'ile de Sardaigne tous les avantages que ce pays peut lui offrir comme ressources directes et comme position maritimement stratégique.

L'Empereur dit alors qu'il fallait à son avis trouver un moyen pour trouver au St. Père un coin de terre quelconque pour que la renonciation du temporel se fasse plus facilement, car le principe de souveraineté serait en quelque sortii' sauvegardé. S. M. voyant que la proposition formant le sujet de la lettre de Conneau ne pouvait avoir à mon avis aucune chance de succès, il a été convenu que, pour le moment, je ne vous en parlerais pas.

Ensuite l'Empereur m'a parlé des nouveaux et graves embarras toujours croissants que la question papale soulève en France. Le Sénat se déclare ouvertement contre l'Empereur dans cette question.

Le Corps Législatif, quoique plus prudent, renferme dans son sein une quantité de mécontents qui ne manqueront pas de faire connaitre par des amendements leurs opinions.

Le Clergé, exalté, tàche par tous les moyens de soulever les esprits. « Vous voyez dans quelle position m'ont placé mes sympathies bien connues pour l'ltalie », a dit l'Empereur.

Ici je me suis permis de dire à l'Empereur que je ne voyais pas comment on aurait pu empecher le développement de l'idée nationale en Italie, à moins de la comprimer par la force, ce qui aurait enchainé la politique de la France à celle de l'Autriche, qui n'aurait pas manqué de faire tomber sur l'Empereur toutes les haines qu'inspire un noble élan comprimé.

En passant à la lettre de Klapka, l'Empereur me dit qu'il avait des renseignements qui lui permettaient de douter de l'accord meme entre les chefs du mouvement et qu'il partageait sur beaucoup de points l'opinion de Klapka, mais qu'il voyait un très grand danger à s'appuyer sur le Prince Couza, car l'attention de la Russie est toute tournée de ce còté.

J'ai profité d'un de ces moments de silence si fréquents dans les conversation de l'Empereur pour tirer de ma poche l'originai de la lettre de Klapka et lui mettre sous les yeux le passage qui contient l'appel que le Général fait aux sympathies de la France.

Au sujet du remplacement de M. Tillos par M. Piace, S. M. sans me répondre positivement, s'est laissé comprendre comme assez disposé à y adhérer.

Pour ce qui concerne la déclaration de non intervention dans le mouvement hongrois, l'Empereur m'a fait comprendre toute la gravité d'une résolution à ce sujet dans les moments actuels. Il a ajouté:

«Il y a deux mais, j'avais l'assurance que la Russie n'interviendrait pas. Mais, depuis, ses susceptibilités se sont réveillées à l'égard de la Pologne et surtout en vue des complications que le mouvement hongrois aurait amenées dans les Principautés où est toujours la base d'opération du parti d'action hongrois ».

J'ai renouvelé mes instances en disant à S. M. qu'il aurait été bien regrettable de voir abandonner un mouvement dont on pourrait tirer tant de profìt. L'Empereur me dit alors:

« Je réfléchirai et je vous ferais faire une réponse demain par Conneau ».

Impatient d'avoir cette réponse je me suis rendu hier au soir chez le Docteur qui me dit: « L'Empereur me charge de vous dire qu'il veut réfléchir encore quelques jours avant de vous donner la réponse que vous attendez ».

Dans tout le cours de mon entretien j'ai pu remarquer dans l'Empereur une très grande perplexité dont on retrouve facilement les causes.

Le premier motif ce sont les complications des affaires de Syrie qui, sans donner à la Porte le coup de gràce que peut-ètre l'Empereur désirerait, ne font que prolonger au contraire une agonie dont il est difficile d'apprécier la durée et dont le terme pourrait échoir à un moment où l'Empereur ne serait plus, autant qu'à présent, à mème de dominer la position.

Sur ce point je crois que M. de La Valette n'est pas entré assez dans les vues de S. M. Vous savez, Monsieur le Comte, que l'Empereur désire souvent paraitre entrainé par les événements. Or M. de La Valette ne les a pas assez poussés dans le sens de la pensée intime de son maitre. Il ne faut pas l'oublier: les frontières du Rhin sont toujours le but caché de toutes les manoeuvres de sa politique.

La politique a compris ces tendances et les exagère mème pour isoler l'Empereur, contre qui elle voit une coalition impossible, car l'Angleterre et la Russie se trouvent séparées par des interèts opposés; l'Autriche, paralysée à l'intérieur, ne peut peser dans la balance et est elle mème contrecarrée par Ja Prusse en Allemagne.

Une autre cause de l'hésitation de l'Empereur est la situation intérieure, qui devient de jour en jour plus alarmante parce que l'an n'a pas osé jusqu'à présent, de rompre cette couche qui prète à l'opinion publique des intentions hostiles nullement partagées par les masses.

J'a'i vu hier au soir M. de Persigny qui est décidément furieux contre le Clergé, le Sénat, et ce qu'on appelle le monde des salons. Il a proposé la mise en jugement de l'Evèque de Poitiers, dont vous aurez remarqué dans les journaux

d'hier le mandement que je vous envoie, du reste, ci-joint. M. de Persigny espère qu'aucun amendement ne passera au Corps Législatif et pousse l'Empereur à répondre bien vertement à la députation du Sénat qui lui présentera l'adresse.

M. Billault se dit à bout de ressources et ne sait plus à quel saint se vouer pour faire entendre raison à son auditoire indiscipliné.

Camme je vous ai mandé par télégraphe, un amendement sera proposé au Sénat, qui va, dans le sens du pouvoir temporel, bien au delà de celui proposé par la commission, dont on en est à regarder l'acceptation camme un triomphe. Vous me demandez, Monsieur le Comte, des détails sur l'affaire Mirès.

Sans vous parler de lui qu'on regarde comme perdu, je vous dirai que plusieurs personnes y sont compromises, notamment dans l'affaire des chemins de fer romains, dont le dossier a été renvoyé du Tribuna! Civil à la police correctionnelle et qui aura la plus grande publicité. Je dois pourtant ajouter qu'on exagère beaucoup le nombre des compromis, parmi lesquels on a l'impudence de faire fìgurer le feu Prince Jéròme et ses enfants. Rien de vrai dans tout cela, sauf que le Prince Jéròme avait emprunté sur sa propriété de Villegongis 40/m. frs. qui ont été rendus.

Par contre dans l'entourage de l'Empereur il y a quelques personnes qui ont trempé dans ces tripotages. Quant au fìls de Baroche, entre autres, sa complicité parait prouvée. On parle de Bacc'iocchi, de Fleury, de Morny, etc. mais le président du Tribuna! que je vois très souvent m'a assuré que rien encore n'est constaté à leur égard.

Pour ce qui regarde la position fìnancière de la maison Mirès, la nomination de M. de Germiny à administrateur provisoire est une preuve de l'intention du Gouvernement de sauvegarder les intérèts publics, d'autant plus qu'à la caisse Mirès affiuaient tous les petits capitaux. Mgr. Sacconi et le Cardinal Antonelli fìgureront aussi pour avoir reçu le pOt de vin. Cela paraitra, car il est décidé que l'affaire des chemins de fer romains aura la plus grande publicité, quel que soit le nombre et la position des compromis. Inutile de vous dire, Monsieur le Comte, que tout cela ajoute au trouble de la situation actuelle.

Après avoir reçu votre télégramme de ce matin, je me suis rendu chez

M. Thouvenel, et je crois avoir eu une heureuse idée en vous demandant la permission de lui communiquer la lettre de Klapka, pour qui il a une sympathie toute particulière.

M. Thouvenel m'a beaucoup remerc'ié de ma conduite à son égard et comme je lui ai dit que c'était par ordre de V. E. que je lui parlais de cela, il m'a chargé de vous faire ses remerciments de cette marque de confiance. Il a lu attentivement la lettre et le traité; et je l'ai trouvé disposé à adhérer au remplacement de M. Tillos par M. Piace à Bukharest.

Il a été convenu entre nous qu'il verrait l'Empereur demain, et lui parlerait, toujours en ayant l'air d'ignorer la lettre de Klapka et le traité avec le Prince Couza, de la demande d'armes de ce dernier arrivée hier à Paris. Il lui parlera encore de l'arrivée de Ttirr, qu'il a connu à Constantinople et qu'il doit voir à son retour de Londres. Par ce moyen il tàchera d'amener l'Empereur à lui communiquer ses intentions au sujet des demandes de Klapka.

M. Thouvenel sympathise beaucoup avec le mouvement hongrois; mais, je vous le répète, il se méfie et déteste cordialment le Prince Couza et tous les Moldo-Valaques qu'il regarde comme une race abjecte et dégénérée.

Pour l'envoi des armes, M. Thouvenel semble partager mon idée de faire augmenter la demande faite au Gouvernement Français par le Prince Couza. Ainsi le surplus pourrait ètre destiné à Klapka.

Ttirr a vu le Prince Napoléon, qui ne veut pas se charger de le faire recevoir par l'Empereur. Il a écrit à Klapka de se rendre à Paris et je pense que ce conseil est bon. Kisch partage aussi cette opinion. S'il vient à Paris et si V. E. lui donne une lettre pour moi, nous pourrions marcher d'accord dans nos démarches, car j'ai la conviction que l'Empereur tout en hésitant en ce moment, finira par adhérer aux propositions de Klapka, que, jusqu'à présent, il s'est limité à ne pas refuser. Cette conviction m'est affermie par ma conversation de ce matin avec M. Thouvenel.

J e me permets de donner au Général Pianelli une lettre d'introduction auprès de V. E. Il part ce soir pour Turin. C'est un homme intelligent et sa conduite à Paris nous a été beaucoup plus utile que celle de tous les napolitains qui faisaient de la propagande en notre faveur. Son langage sur les événemen1s de Naples et sur la conduite du Roi est parvenu à l'Empereur et a pour beaucoup contribué à amoindrir l'enthousiasme qu'avait excité François II. Je ne doute pas que V. E. pourra tirer du Général Pianelli des renseignements très utiles. Sa femme est soeur de Ludolf ci-devant ministre de Naples à Turin, mais ne partage pas les opinions de son frère.

Je n'ai pas besoin de vous dire, Monsieur le Comte, que le peu de personnes qui nous sont favorables ici, nous conseillent de poursuivre hardiment dans notre voie d'unité et d'indépendance, sans nous préoccuper des oppositions des Corps constitués et des salons qui ne représentent pas l'opinion de la France.

La publication des pièces diplomatiques sur les affaires ecclésiastiques intérieures ne se fera pas attendre. Avec Rome les choses vont au plus mal et à l'intérieur il faut vous attendre à quelque mesure de répression contre le Clergé qui pousse à des excès.

L'Empereur m'a répété, en me congédiant, qu'il désire etre au courant de tout ce qui se passe avec Rome.

M. Thouvenel, me parlant de la reconnaissance du nouveau titre du Roi, me charge de vous dire de ne pas trop forcer les cartes. Les cabinets ne veulent pas que l'Italie puise dans cette reconnaissance une force pour son organisation; mais si nous parvenons à nous organiser sans troubles à l'intérieur et évitant les complications à l'extérieur, on sera forcé de venir à nous, sans nous exposer à etre repoussés.

Cette opinion est aussi celle de l'Empereur. Je vous envoie Armillet parceque je ne sais pas quand l'Empereur me donnera la réponse tant désirée.

(l) Edita in Q. R., II, 263: « Ho rimesso a S. M. l'Imperatore le carte che Ella mi aveva affidate. Ho di più annunziato all'Imperatore che il Ministro degli Affari Stranieri deve darglicomunicazione del progetto di trattato fra il Re ed il Papa. Avendo in poche parole detto il sunto di tale trattato, l'Imperatore mi ha espresso di bel nuovo i suoi dubbi sull'esito probabiledi un accomodamento a tali condizioni. Esso ha aggiunto che se il Re alle condizioni indicate aggiungesse la sovranità della Sardegna, l'Imperatore pensa che la cosa potrebbe avere più di probabilità di riescire. Ecco il suo ragionamento. Come mai possono il Papa ed i suoi Consiglierifidarsi ad un trattato che delle Camere e Parlamenti potrebbero da un giorno all'altro annullare? Come mai fidarsi che il Governo attuale resista agli attacchi perenni, indefessi, reiterati del Partito Repubblicano, che sembra voler levar la testa, e che la rileva di fatto in parecchicentri d'Italia? Ceder tutto senza compenso alcuno, perchè? Colla sovranità della Sardegnaalmeno resta al Sommo Pontefice un rifugio in caso di sinistro avvenimento, e più sicuramente se ne resterà Vescovo di Roma perchè avrà meno a temere per la sua indipendenza. Io le metto per iscritto le riflessioni dell'Imperatore perchè Ella ne faccia parte al Conte di Cavour affinchè Ei conosca l'opinione dell'Imperatore. Tutto ciò che dico e scrivo, lo dico e scrivo per comando dell'Imperatore, il di cui scopo principale è di venirne ad un'intesa il più presto possibile, e

8

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO (Ed. in Cavour -Inghilterra, vol. II, t. II, 1306)

L. P. Torino, 2 marzo 1861.

Je vous envoie Visconti à Londres pour vous mettre au courant des affaires de Naples. Je crains bien que ce soit de la moutarde après dìner, puisque la discussion provoquée par Normanby a lieu ce soir. Mais enfin il vous sera utile d'avoir, pendant quelques jours, à còté de vous une personne qui puisse raconter comme témoin oculaire ce qui s'est passé depuis six mois à Naples et dans les provinces.

J'espère, au reste, que l'opinion publique nous rendra pleinement justice.

Jamais on n'a traité avec plus de douceur des brigands qui s'organisent dans un

Etat voisin, à l'abri des bayonnettes d'une armée arnie.

Goyon, lui-meme, a trouvé que le Pape poussait la plaisanterie trop loin. Aussi a-t-il fini par proposer au Général qui commande dans la province de Rieti de faire la police des brigands de compte à demi.

La présence à Rome du Roi et de la Reine de Naples a provoqué chez le Pape une recrudescence de violence. Il a fait des scènes incroyables aux Cardinaux, qu'il soupçonne d'etre favorables aux projets de transaction.

Si le Gouvernement anglais pouvait conseiller ou faire conseiller au Roi de Naples de s'en aller, il nous rendrait un grand service.

La question du titre est fort importante. Je suis parfaitement de votre avis. Il faut s'entendre d'avance; je crois qu'une notification solennelle n'est pas nécessaire. Une simple lettre devrait suffire. Après cela, vous mettrez sur vos cartes: Ministre du Roi d'Italie; en vous autorisant à vous servir, avec quelquesuns de vos collègues, des cartes portant votre nom tout court. Je ne vous ai écrit au sujet de cette question, Hudson m'en ayant toujours parlé comme ne devant soulever aucune difficulté. Je n'ai pas encore interpellé Paris à ce sujet; mais je vais le faire.

Nous faisons de grands efforts pour calmer les Hongrois. Klapka et Kossuth sont très raisonnables; mais, au-dessous d'eux, il y a des fous capables de tout compromettre; Thiirr serait du nombre, si on ne le prechait pas bien en Angleterre.

La nouvelle Constitution publiée à Vienne est faite pour susciter une opposition violente en Hongrie. Elle lui enlève tous ses privilèges et ses droits et la dote en revanche d'un grand Conseil Provincia!. C'est une telle faute, que je ne doute plus que la Providence n'ait condanné l'Autriche à périr, puisqu'elle aveugle à ce point ses hommes d'Etat.

Le Parlement s'organise lentement, non faute de bon vouloir, mais faute

d'expérience. Il faut avoir patience. C'est une denrée dont les Ministres doi

vent faire immense provision dans les pays constitutionnels. Rattazzi sera Pré

sident de la Chambre. Cela ne fait pas de difficultés. L'autonomie Toscane est

morte sans secousse. Nous enterrerons bientòt celle de Naples et de la Sicile.

Le résultat des élections partielles en Angleterre m'inquiète. Il me paratt

que le Ministère perd chaque jour du terrain. Dieu nous préserve toutefois

d'un Ministère Tory,, tant que nos questions n'ont pas reçu une solution

définitive.

9

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI

(Ed. in Q. R., II, 282)

L. P. Torino, 2 marzo 1861.

Le courrier Armillet m'a remis ce matin votre lettre si intéressante du 28 février. Je profite du départ du Comte Visconti pour vous transmettre des notions précises sur les affaires qui préoccupent également Paris et Turin.

Le Général Klapka, ainsi que je viens de vous le mander par le télégraphe, se rendra dans le courant de la semaine prochaine à Paris. C'est un homme d'ur. mérite solide, sur lequel on peut compter d'une façon absolue. Si l'Empereur consent à le voir il en sera content. C'est bien autre chose que Thtirr.

Klapka désire vivement que la question Hongroise reste aussi longtemps que possible dans la phase légale. Ill'espérait il y a quelques jours. Depuis avant hier il est très préoccupé de l'effet, que produira en Hongrie la publication de la Constitution de l'Empire. En effet cet acte détruit radicalement la constitution Hongroise. Elle réduit la Diète de Bude au ròle d'un Grand Conseil Général. Elle consacre le système de la centralisation en enlevant au gouvernement les moyens de le faire fonctionner. Il est impossible que la Hongrie l'accepte. Si elle est sage, elle attendra que la Diète se réunisse, pour lutter légalement si c'est possible ou au moyen de l'insurrection si Vienne ne cède pas. Telle est l'opinion de Klapka.

En attendant il serait bon que la presse mìt en lumière la conduite de l'Autriche, sa duplicité, sa malhabilité et ce qui est plus important l'impossibilité pour la Hongrie d'accepter un pacte politique qui consacre la destruction de tous leurs anciens privilèges.

Le courrier Anglais arrivé de Rome ce matin m'a apporté des lettres de Pantaleoni et du Père Passaglia. Je vous envoie copie de celle du dernier (1). Lisez-la à Thouvenel sans la lui laisser.

Vous verrez que le Rev. Père attribue la recrudescence de violence chez le Pape à la présence du Roi et de la Reine de Naples à Rome. Si l'Empereur pouvait les éloigner de cette ville il nous rendrait un grand service.

L'irritation du Pape ayant été connue du Général des Rosminiens, celui-ci homme timide s'il en fut jamais, envoya à mon envoyé qui est son subordonné de fìler sur Naples. Il s'ensuit que nos négociateurs ont les mains vides: ce qui n'est pas facheux, puisque ce retard donne au Pape le temps de se calmer.

Les scènes violentes du Pape ne m'effrayent pas. En sa qualité d'homme nerveux toutes les crises sont suivies d'une période de calme, durant laquelle il est plus aisé de lui faire entendre raison.

Interpellez Thouvenel sur le nouveau titre du Roi. Nous voudrions bien nous mettre d'accord avec lui sur ce qu'il y a à faire, meme dans l'hypothèse que la France tarde à le reconnaìtre.

Les violences des Papistes au Sénat me charment, elles nous font un bien extrème en France et en Europe.

10

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. 82. Londm, 4 marzo 1861.

Lord John Russell à qui j'ai été annoncer l'arrivée du Marquis ViscontiVenosta en avait déjà été informé par Sir James Hudson. Les renseignements

qu'il sera à meme de fournir sur plusieurs points de détail des affaires napolitaines, arriveront trop tard pour les débats qui on lieu sur la question italienne. Mais ils ne peuvent manquer d'à-propos meme pour l'avenir, et Lord John m'a exprimé qu'il verrait toujours M. Venosta avec pla'isir. Au reste, d'après ce qu'on lui mande de Turin, la venue du Marquis pourrait bien se rapporter à la question de reconnaissance du Royaume d'Italie.

A ce propos je dois informer V. E. que le Gouvernement Anglais, quoique n'étant parvenu à aucune détermination jusqu'ici, parait pourtant disposé à reconnaitre meme isolément. Lord John m'a fait part samedi des ouvertures qu'il avait chargé Lord Cowley de faire officiellement à Paris et de la réponse de M. de Thouvenel qui avait déclaré que, n'ayant pas de relations officielles avec notre Gouvernement, toute résolution à prendre à cet égard serait prématurée.

Le Gouvernement Anglais s'étant mis en règle de ce còté-là, se sent désormais plus libre dans ses allures et en tous cas on s'occupe en ce moment de cette affaire.

Mais me trouvant sans instructions je dois me borner à poser des hypothèses sans chercher à les résoudre.

J'ai exprimé à Lord John mon étonnement de la persistance que le Roi de Naples mettait à conserver ici un Agent diplomatique tandis que M. Elliot avait depuis longtemps quitté Naples et malgré les rapports peu agréables que le Blue Book nous révélait entre les deux Cabinets. Lord John m'informa en réponse que vendredi dernier il avait adressé au Chevalier Fortunato une lettre finale mettant fin à leurs rapports officiels ensemble.

Quant à la Question Romaine Lord John est entièrement d'avis que la meilleure solution à lui donner serait celle que nous désirons nous-memes. Lord Palmerston par contre ne m'a pas caché ses craintes que nous ne songerions à donner au Pape une résidence et une souveraineté dans l'ile de Sardaigne qui selon ce Ministre deviendrait une dépendance française. Et il ajouta que l'Angleterre se verrait dans la nécessité de s'opposer rigoureusement à ce transfert. Je lui répondis en riant, qu'il était question plus d'enlever des Etats au Pape que de lui en donner et j'ai ajouté sur le meme ton, que tout au plus nous consentirions à lui donner l'ile d'Elbe si les traditions n'étaient pas si mauvaises pour y garder les personnes que l'on y envoie.

Le Ministre d'Autriche parait avoir accusé le Gouvernement du Roi de connivence secrète avec la Hongrie en vue d'un mouvement prochain. J'ai répondu que si l'Empereur d'Autriche désirait que ses sujets acceptent son autorité, il dépendait de lui de satisfaire leurs demandes soit par rapport à la Constitution Hongroise de 1848, soit par rapport à la Vénétie. Sinon, qu'il en admette les conséquences sans nous y meler.

Une discussion sur les affaires italiennes est annoncée pour ce soir à la

Chambre des Communes.

J'ai dans mes conversations avec les députés conseillé de démentir l'erreur

où l'on est en France de chercher à faire croire que l'Angleterre adopte nos

vues par rapport à la Question Romaine purement dans un but protestant,

puisque je tiens des chefs memes du parti protestant que le Pape, devenu

simple chef spirituel, aura beaucoup plus de pouvoir religieux qu'auparavant.

(l) Ed. in Q. R., Il, 270.

11

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Cavour -Inghilterra, vol. II, t. II, 1308)

L. P. 53. Londra, 4 marzo 1861.

* Dentice qui prétendait retourner à Paris pour deux jours avant hier est resté et ma lettre a du attendre le courrier anglais. Par parenthèse je crains que Dentice ne soit atteint de la maladie de son frère S. Giacomo et qu'il ne soit furieusement jettatore. *

Lord Palmerston que j'ai vu à dìner Samedi se préoccupe maintenant du danger d'une combinaison que je ne sais qui lui a mis en tete consistant à mettre le Pape en Sardaigne avec la souveraineté de l'Ile. Naturellement ils voient déjà l'armée d'occupation française demandant à protéger le Pape à Cagliari et l'Ile devenant peu à peu un département frança'is dans la Méditerranée. Naturellement aussi, camme Lord Palmerston dit, l'Angleterre s'opposerait strenuously à pareille extension de l'influence française sur cette mer.

Lord Palmerston a également fait allusion à la question de reconnaitre le Royaume d'Italie. Il a meme remis sur le tapis cette étrange argumentation qu'il faudrait avant de rien décider que le Roi de Naples en quittant Rome eut quitté l'Italie. Mais je crois qu'il ne faut pas attacher d'importance à cet argument dont il se sert faute de mieux pour obtenir un délai. Et meme je ne serais nullement surpris si les Ministres ne prévoyaient un peu de mauvaise humeur de la part de la Reine pour lui faire avaler la mesure. Delane me disait encore avant-hier que c'est là une raisons de l'opiniàtreté de Normamby contre nous.

* Au reste j'ai revu Lord John ce matin et en ai profité pour lui exprimer mon étonnement qu'un homme camme Lord Palmerston puisse établir un raisonnement sur un motif aussi puéril. Et Lord John s'est mis à rire et a entièrement été de mon avis.

Lord John paraìt s'attendre d'après ce que lui mande Hudson que Visconti vienne ici pour concerter quelque chose en ce sens là. Et quoiqu'il ne sorte pas encore de ses hésitations, il me sem,ble que l'idée de reconnaitre fait des progrès comme toute idée à laquelle on s'habitue. Il a reconnu que cela admettait plus de difficulté de la part de la France et quant à la Prusse il parait en faire bon marché en fin de compte. * Il m'a dit qu'Appony · était venu lui exprimer les préoccupations de son Gouvernement en vue du danger d'une attaque de la part de la Hongrie, secrètement poussée et assistée par nous. J'ai répondu avoir quelques instants avant entendu dire par Tiirr que si l'Empereur accordait la Constitution de 1848 et cédait la Vénétie les Hongrois le laisseraient tranquille. Il me dit que Tiirr lui avait dit la meme chose. Mais pour l'une mesure camme pour l'autre le Gouvernement Autrichien était bien décidé à un refus, meme le parti libéral étant contre la cession de la Vénétie. Je dis qu'alors il fallait qu'il accepte les conséquences de ses déterminations.

* Je répétai une fois de plus que ce serait de l'intéret non seulement de l'Angleterre mais de l'Autriche de terminer camme nous le voulions cette question Vénitienne qui pour lors nous permettrait de nous tenir tranquilles ou sinon tiendrait toujours l'Empire en voie de perdition *

Lord John parait tenir à certaine dépeche par lui écrite à Hudson et que je vous annonçai dans le tems pour nous rappeler des bonnes manières. Il m'a demandé si vous m'aviez écrit là dessus et j'ai répondu que non, probablement parceque vous n'en aviez pas eu le tems.

Je lui ai donné la dépeche télégraphique sur le massacre Latini et peut-etre s'en servira-t-il ce soir. Layard me demande à corps et à cris de lui donner des atrocités bourboniennes. Avec lui il faut etre prudent, car il est peu discret, mais je tache de le satisfaire.

* Un ouragan de vent règne sur la Manche et Visconti a télégraphié pour savoir s'il y avait urgence. Je lui ai conseillé d'attendre le beau tems. Corti est dans le meme cas. Madame de Persigny avec laquelle j'ai été diner hier soir attend de meme de ce còté de l'eau. *

12

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO

D. s. n. Torino, 8 marzo 1861.

J'ai reçu vos dépeches confìdentielles N. CXCII CXCIII et politique N. 82 en date du 16 et 25 Février dernier et 4 Mars courant.

Je m'empresse de répondre à la plus importante des questions que vous y traitez, la question de la reconnaissance par l'Angleterre du nouveau Royaume d'ltalie. Je ne saurais douter un instant des bonnes dispositions du Gouvernement Britannique. De sa part la reconnaissance de l'indépendance italienne sous le sceptre de la maison de Savoie est la conséquence légitime et naturelle des principes qu'il a proclamés, de l'appui moral qu'il nous a donné, de l'ascendant qu'il a exercé par la manifestation de ses sympathies en faveur de notre cause nationaie.

Je trouve cependant parfaitement juste et convenable que le Cabinet de Saint

James avant de prendre une résolution défìnitive ait voulu pressentir les disposi

tions de la France. Mais j'espère qu'il n'y aura point là une source de difficultés, et

qu'en attendant l'Angleterre ne voudra pas différer de reconnaitre une reuvre

qu'elle a moralement aidé à accomplir.

Quant au mode de procéder le Gouvernement du Roi a une entière confìance

dans la sagesse et dans la bienveillance du Cabinet de Saint James. Mais puis

qu'il se déclare pret à se concerter avec nous, voici la marche que nous propo

serions de suivre.

Dès que les Chambres auront proclamé Victor Emmanuel Roi d'Italie ce

qui aura lieu dans quelques jours, je vous adresserai une dépeche pour vous

charger de notifìer officiellement cet événement au Gouvernement Britannique,

et l'inviter à vous reconnaitre comme Représentant du Roi d'ltalie.

Une réponse officielle et favorable à cette notifìcation pourrait suffire pour

le moment, sans qu'il soit nécessaire de vous munir de nouvelles lettres de

créance.

Veuillez, je vous prie, me faire connaitre si le Gouvernement Britannique adhère à ce projet.

13

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Cavour -Inghilterra, vol. II, t. II, 1311)

T. 293. Londra, 13 marzo 1861, ore 16,05 (per. ore 23).

Lord Russell m'écrit confidentiellement qu'il croit que la marche à suivre que vous proposez est la meilleure; que je passe la communication officielle à laquelle il répondra après avoir pris les ordres de S. lVI. et consulté le Conseil. Le délai écoulé entre ma vislte et cette réponse indique qu'il a déjà consulté ses collègues. Il ajoute que les nouvelles lettres de créance ne seront nécessaires ni pour Hudson ni pour moi. L'insistance qu'il met à avoir une réponse à sa dépèche est pour avoir, en reconnaissant l'Italie, une garantie de nos intention futures par rapport aux traités.

14

IL DOTTOR PANTALEONI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., II, 312)

L. P. Roma, 13 marzo 1861.

Mi giungono finalmente ad ora tarda della sera del 12 le tanto desiderate carte, com'Ella avrà appreso da' telegrammi che le ho inviato. Non ha idea a quali e quante ansietà sono stato esposto fin qui per la mancanza loro. Un telegramma Le ne ha accennato talune ma non erano tutte. Per più mesi io ho sì bene coperto ogni mia partecipazione all'idea d'una transazione e d'una conciliazione, che né la diplomazia, né il governo, né la setta gesuitica e sanfedista, in questo momento onnipotente qui, hanno avuto mai il menomo sospetto. Una volta però che il Santucci rivelò al Papa ed all'Antonelli il tutto, iniziate le prime negoziazioni, la mia partecipazione (occulta ancora alla diplomazia) non ha potuto più esserlo per i Gesuiti e per la setta, che si sono quindi adoprati per un lato a mettere me ed il Passaglia in mala voce presso al Papa, e per l'altro a procurare la mia espulsione di Roma. Quest'ultima pruova è andata tant'oltre che la città ne era piena, alcune famiglie inglesi saputolo si disponevano a partire; ed io stimai dover prevenire il colpo chiedendo al Ministro di Polizia o Governatore di Roma Monsignor Matteucci un'udienza confidenziale.

Sapeva ch'Egli si era espresso che tutt'era perduto: che gli doleva non essersi neppur procurato un piccolo canonicato sul quale campare la vita: e che il governo era in mano d'una setta contro la quale invano lottava. Mi proposi quindi guadagnarlo alle idee nostre, e gli manifestai quel tanto ch'era necessario al piano nostro a coprire me dalle basse persecuzioni della setta, e a mettere lui in buone disposizioni verso di noi. Conclusi coll'impegnarlo ad ottenermi dall'Antonelli un'udienza confidenziale.

Questo piano è riuscito a paralizzare almeno pel momento gli sforzi della setta, che, fallito il tentativo, dice ora sospeso sul conto mio l'ordine della partenza; e l'arrivo delle carte spero che finirà per sempre ogni minaccia. In qualunque caso però il Santucci avea assunto andare dal Papa: io avrei rifiutato partire senza un'udienza particolare, e mi proponea condurre le cose a modo che la mia espulsione per l'ingiustizia manifesta rovinasse la causa de' clericali, e per l'altra ci dasse il modo di pruovare ch'era stata fatta a solo scopo di impedire e rompere trattative immensamente utili alla Chiesa. Ma di ciò non monta ch'io Le dica altro.

Ho letto in fretta le istruzioni ed articoli ed avvertenze. Sarebbe insolente ch'io osassi farLe molte osservazioni almeno per ora. Consentirà solo che Le sottoponga il risultato della prima impressione su di alcuni punti. Alle avvertenze dell'art. 2° sottoporrei alla di Lei saggezza, se Ella non stimasse che i Cardinali promossi al rango di Senatori non dovessero avere un ulteriore emolumento, p. es., di un 10 mila franchi per titolo di rappresentazione od altro; ma in realtà per dare al governo del Re una forza e potenza nel Sacro Collegio non solo con la distribuzione degli onori, ma anco con quella di un'ulteriore prebenda. Con un 100 mila franchi annui per un dieci Cardinali Senatori si guadagnano venti o trenta altri che sperano un tale profitto, al quale molti Cardinali venuti da basso stato sono estremamente sensibili. All'art. 40 parmi assolutamente impossibile di ammettere la pretesa che i Vescovi avessero a giudicarsi dal Senato, e parmi difficile che possa mettersi innanzi canonicamente quando Cristo non rifiutò il giudizio di Pilato e del Sanhedrin. Ho molto meditato la questione delle corporazioni religiose e sono contento di vedere ch'Ella ammette altresì che in accordando la libera associazione lo Stato si riservi il solo suo vero diritto, quello del riconoscere, o no, la loro personalità civile. Le confesso però èhe non intendo troppo come avendo conservato nei regj Stati parecchie corporazioni religiose, ossia avendo riconosciuto la personalità loro civile, ora qui si dica c Lo Stato non riconosce la personalità civile di veruna corporazione religiosa~. Parmi molto difficile ottenere la esclusione completa d'ogni corporazione a vita comune, visto anco i bisogni grandi del culto che ha il cattolicesimo, e ad adempire i quali i soli parrochi non basterebbero.

Io aveva piuttosto studiato il problema come fare in Roma per le corporazioni la di cui personalità civile non era riconosciuta in Italia. Che il Papa capo supremo della Chiesa non abbia intorno a sé i capi d'ordine d'ogni corporazione, e perciò almeno un convento di tutte queste corporazioni, che possano anco esistere solo o in Francia o in Belgio o in Spagna, non è ammissibile. Potremmo in questi casi però sempre ricorrere allo stesso metodo. Le corporazioni la cui personalità civile è riconosciuta nel regno italico (se pure tutte non si abbiano ad intendere abolite) potranno quindi possedere. Le altre potranno esistere come associazioni, ma ricevano i loro fondi da paesi ove la loro personalità civile è riconosciuta. Vi sarà qualche altra difficoltà non difficile però a sciogliere per corporazioni che abbiano fondi a Roma di pertinenza e per istituzione di estere Nazioni. Di ciò, al caso, si parlerà, ma intanto vorrei una spiegazione alla prima parte come sopra.

All'art. 6o mi permetterò più tardi fare delle riflessioni quando si parlerà del modo in che il clero può disporre delle sue proprietà onde vedere d'emancipare alquanto il basso clero dall'incompatibile gioco de' Vescovi, benchè questo pel principio d'elezione venga diminuito.

All'art. So non formulato temo forte, come più volte Le ho scritto, che non si otterrà mai che l'acquiescenza passiva, e non la rinuncia attiva del Papa. In fatto però è equivalente: e godo in vedere che il Nigra in due righe colle quali mi accompagna l'invio delle carte accenna non solo contentarsi di quella, ma lasciare anco libero al Papa la riserva de' diritti sempreché in fatto riconosca il Regno italico. D'altronde legando le nostre concessioni a quell'acquiescenza di fatto, metteremmo sempre il pontificato nel caso di dichiararsi traditore della Chiesa, rinunziando a quella magnifica posizione che da noi le si fa per richiedere un dominio temporale impossibile.

Mi combinerò subito col Passaglia e poi col Santucci, che avendo giovedì l'udienza dal Papa potrà ragionare con lui, e solo dov'Egli nomini i negoziatori presenteremo le credenziali all'Antonelli.

P. S. -Per truovare un pretesto ad espellermi la setta avea messa innanzi la mia elezione a Deputato. Io al caso avrei, secondo le istruzioni avute da Lei, rinunciato piuttosto che farmi escludere di Roma. Spero di non essere obligato a mandare rinunzia, ma se il dovessi Ella ne sospenda il più lungo tempo possibile la presentazione perché parmi che riuscendo o non riuscendo la mia presenza più tardi dovesse divenire molto utile.

15

IL CONSOLE A ROMA, TECCIO DI BAYO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R. II, 322)

T. s. n. Roma, 16 marzo 1861, ore 7,45 (per. ore 8,15).

Pantaleoni auquel on a intimé exil proteste. Demande audience au St. Père toujours plus irrité, à qui Santucci hier a communiqué nomination, et qui ne veut traiter qu'aux termes les plus étroits. Passaglia verra Card. Antonelli aujourd'hui. Pantaleoni espère contrecarrer Cardinaux réactionnaires pour le Concistoire de lundi.

16

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO (l)

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 16 marzo 1861.

Vers la fin du mois de Janvier le Ministre de S. M. B. à Turin est venu me communiquer la dépèche de Lord John Russell dont vous trouverez ci-joint une copie.

Dans cette dépèche le Principal Secrétaire d'Etat pour les Affaires Etrangères de la Grande Bretagne, attribuant une faible valeur au vote par suffrage

universel émis a Naples, en Sicile, dans l'Ombrie et dans les Marches, déclare réserver l'examen des questions que soulève la transformation politique de l'Italie à l'époque où les véritables intent'ions de la nation italienne pourront etre manifestées d'une manière régulière et solennelle par les représentants légitimes réunis dans un Parlement librement élu.

Après cette déclaration, Lord John Russell indique quelles sont les conditions que le nouveau Royaume doit remplir pour que l'Angleterre puisse continuer à entretenir avec lui des rapports conformes à la bonne amitié dont elle a donné tant de preuves à la Sardaigne.

Lorsque cette dépeche me fut communiquée, l'Italie se préparait à élire les membres du Parlement national. Je me suis donc abstenu de faire connaitre immédiatement à Lord John par votre entremise l'impression que sa dépeche avait produite sur le Gouvernement du Roi. En effet il me paraissait peu utile d'engager une controverse théorique sur la valeur du suffrage universel, lorsque le moment s'approchait où l'évènement, duquel le Gouvernement Anglais faisait dépendre ses décisions définitives, allait couper court à toute discussion, en infirmant ou en confirmant le résultat du vote populaire. Je me suis borné par conséquent à rassurer aussitòf Sir James Hudson sur les intentions du Gouvernement du Roi et à lui faire connaitre ma conviction que le Parlement qui allait sortir des élections ne tarderait pas à manifester, de manière à ne laisser lieu à aucun doute, les sentiments qui animent toutes les populations de la Péninsule, depuis les Alpes jusqu'à l'Etna.

Mes prévisions à cet égard se sont pleinement vérifiées. Le Parlement qui vient de se réunir, renferme dans son sein l'élite -de la nation. Le Roi a appelé dans le Sénat les personnages qui par leur science, par leur naissance, et par leurs richesses comptent parmi les grandes illustrations du pays. Le peuple, usant de son droit avec le plus absolue liberté, a envoyé à la Chambre des Députés les notabilités les plus connues de toutes les provinces italiennes.

Aussitòt réuni, le Parlement s'est empressé de donner la sanction la plus formelle aux votes émis par les populations. L'accueil fait au Roi à l'ouverture de la session, les réponses des deux Chambres au discours du tròne, la constitution du bureau de la présidence, enfin le vote unanime sur la loi relative au nouveau titre que le Roi devra porter, ne sauraient laisser subsister le moindre doute à ce sujet. Le suffrage universel a été suivi chez nous d'une contre-épreuve éclatante. Si l'on peut discuter la valeur abstraite et théorique de ce mode dP manifestation de la souveraineté nationale, on doit convenir que par rapport à l'Italie il a été l'expression sincère, libre et spontanée d'un sentiment qui domine tous les autres et qui a acquis une force irrésistible.

Je m'empresse de constater du reste que Lord John Russell a reconnu et proclamé lui-meme le fait que je viens d'énoncer, d'une manière aussi sympathique et bienveillante pour l'Italie qu'honorable pour le Gouvernement du Roi.

Il ne me reste plus par conséquent à l'égard de la première partie de la dépeche de Lord John Russell qu'à vous charger de lui exprimer notre reconnaissance pour la façon énergique et brillante avec laquelle, dans une discussion récente, il a su rétablir les faits et venger le Roi et notre pays des injures que leur prodiguaient les adversaires passionnés des grands principes de liberté civile ~t religieuse dont le triomphe en Italie est maintenant assuré.

Le caractère éminemment national du Gouvernement qui vient d'etre fondé étant constaté, je dois, pour répondre complètement aux questions soulevées parla dépèche du 20 (l) Janvier, examiner si ce Gouvernement dispose del forces morales et matérielles nécessaires pour remplir ses devoirs soit à l'intérieur soit dans ses rapports avec les autres Puissances.

Que le Gouvernement soit solidement établi, qu'il dispose de tous les moyens nécessaires pour gouverner, c'est ce qu'on ne saurait contester. Dans les nouvelles provinces de la haute et moyenne Italie l'administration marche presque avec la meme régularité, elle rencontre aussi peu d'obstacles que dans celles qui depuis des siècles faisaient partie du Royaume de Sardaigne. Aucun symptòme d'opposition extralégale ne s'est manifesté ni en Lombardie, contrée que l'on signalait comme si difficile à gouverner, ni dans les Romagnes, où la haine du régime sacerdotal avait développé de si ardentes passions, ni dans les Duchés, où l'on aurait pu craindre que la perte des avantages que des petites Cours procurent aux localités où elles résident, fiìt une cause de mécontentement. Quant à la Toscane, où l'on supposait que l'ancien régime, moins violent et moins corrompu qu'ailleurs laisserait des traces profondes et de vifs regrets, elle a été et elle est encore un grand élément de force pour lé Gouvernement et d'ordre pour le pays. Nulle part, en effet, la fusion politique n'a soulevé moins d.e difficultés. Pour le prouver, il suffit de rappeler un fait que probablement les ennemis de la cause italienne dans le Parlement Britannique ignoraient, c'est que depuis huit mois il n'y a pas un seul bataillon de troupes régulières dans ce pays et que, néanmoins, on a pu supprimer le régime spécial d'administration qu'on y avait laissé sans qu'aucune manifestation hostile se soit produite.

Il existe, il est vrai, de très graves difficultés administratives dans l'Italie Méridionale. Mais peut-on s'en étonner, en réfléchissant que le Gouvernement des Bourbons qui a duré plus d'un siècle, et qui succédait lui-meme au Gouvernement bien connu des Vice-Rois Espagnols, avait érigé en système la corruption et s'était attaché à saper dans toutes les branches de l'administration les principes de moralité, de bonne foi, de patriotisme sans lesquels les meilleures lois, les institutions les plus parfaites ne peuvent donner que des résultats déplorables?

L'influence de la liberté, l'action puissante et salutaire du Parlement, ne tarderont pas à apporter un remède efficace à un tel état de choses. En attendant, s'il peut créer quelques embarras au Gouvernement, il n'est pas pour lui une cause de faiblesse, car nulle part ces difficultés administratives n'ont servi de prétexte ou de masque à de véritables oppositions dynastiques ou extralégales.

Par conséquent je ne pense pas me faire illusion en affirmant que le Gouvernement dispose de moyens largement suffisants pour assurer l'ordre à l'intérieur et régler ses relations avec les Puissances étrangères suivant les devoirs que lui imposent les traités et les principes du droit des gens.

Mais cette affirmation ne répond qu'incomplètement aux questions posées par Lord John Russell. Ce qui le préoccupe probablement c'est de connaitre la manière dont nous entendons les devoirs dont je viens de parler, et comme dans sa dépèche du 20 Janvier, tout en traitant des questions politiques d'une façon générale, il fait une allusion marquée à celle du 31 Aout 1860, je suis fondé à

eroire que c'est au sujet de nos rapports avec l'Autriche qu'il désire obtenir des éclaircissements positifs. C'est donc sur ce point que je crois devoir m'expliquer de nouveau sans réserve (1).

Le Gouvernement du Roi, fidèle interprète des sentiments qui animent le pays tout entier, ne cache pas sa sympathie profonde pour les populations que le traité de Campoformio a fait passer sous la domination de l'Autriche. Il ne se dissimule pas que tant que ces provinces seront séparées du reste de l'Italie, le calme ne se rétablira pas complètement dans les esprits; la nation émue par le triste spectacle des souffrances des Vénitiens songera constamment à leur délivrance. Il sait en un mot que, tant que Venise gémissante tendra les bras vers les métropoles de l'Italie, il sera impossibile de rétablir avec l'Autriche des relations amicales et propres à garantir une paix sincère et durable.

Mais le Gouvernement du Roi sait en meme temps, qu'il est des considérations d'un ordre supérieur qui ne lui permettent pas de suivre l'impulsion des sentiments qui animent tous les Italiens. Il sait qu'il doit à l'Italie de sauvegarder les intérets qu'elle lui a confiés; et que les égards et la reconnaissance qu'il doit aux Puissances qui ont aidé l'Italie à sortir de l'état d'oppression où elle était tombée depuis des siècles, lui imposent des devoir qu'il saura accomplir, quelques douloureux qu'ils puissent etre.

Dans l'état actuel de l'Europe la question de la Vénétie n'est pas susceptible d'une solution isolée : on ne pourrait tenter de la résoudre par la force sans allumer un incendie qui porterait bien loin ses ravages et dont l'Europe ferait tomber la responsabilité sur le Gouvernement qui, sans provocation, ferait franchir la frontière à ses soldats.

Convaincu de cette vérité, le Gouvernement du Roi est décidé à faire tous ses efforts pour prévenir tout acte qui pourrait directement ou indirectement amener une guerre européenne. Il attendra que les événements en se développant fassent passer dans l'esprit de tous les hommes d'Etat de l'Europe, qu'il soient les adversaires ou les partisans de l'Autriche, la conviction partagé déja par tous ceux qui ont étudié de près la question de Venise, que la possession de cette province est une cause d'affaiblissement pour l'Autriche en meme temps qu'elle est une cause de troubles pour l'Italie et pour l'Europe.

Il y a six mois, en exposant au Parlement dans une occasion solennelle la politique du Gouvernement, j'ai indiqué, presque dans les memes termes dont je viens de me servir, quelle serait notre ligne de conduite vis-à-vis de l'Autriche (2). J'ai déclaré alors et je répète aujourd'hui, que les Italiens peuvent attendre avec pleine confiance le verdict de l'opinion publique dans la grande cause qui se débat entre eux et l'Autriche. Qu'il me soit permis d'ajouter

vol. XI, pp. 239-280.

:3 -Documenti dtplomatici -Serie I -Vot I

aujourd'hui que ce qui pouvait paraitre douteux alors devient chaque jour plus évident, et que les changements que les derniers temps ont apportés soit en Autriche soit dans la Péninsule ltalienne, n'ont fait que démontrer de plus en plus la nécessité d'une solution pacifique de la question vénitienne. Peu de mots suffiront, Monsieur le Marquis, à éclaircir complètement ma pensée à cet égard.

Le Cabinet de Vienne, je me plais à le reconnaitre, est entré tout-à-coup dans des voies franchement libérales. Renonçant sans hésitation aux principes qu'il avait adopté à la suite des événements de 1848 et 1849, il a doté toutes les provinces de l'Empire d'institutions que je n'ai pas la prétention de juger, mais qui paraissent reposer sur les idées que professent les nations les plus avancées de l'Europe. La Vénétie seule est exclue des bienfaits du nouveau régime impérial. Dans toutes les autres contrées de l'Empire, des Assemblées populaires sont instituées, des Diètes sont convoquées, la liberté est organisée. Venise seule fait exception. Dans la Vénétie, il n'y a de piace que pour y faire camper des soldats: aucun au-tre régime n'y est possible que celui de l'état de siège. Un tel contraste, je le demande à la noble nation britannique, n'est-il pas fait pour convaincre les incrédules que l'Autriche, quelques efforts qu'elle fasse, quelles que soient les modifications qu'elle apporte dans son régime intérieur, ne peut changer sa position dans la Vénétie? Ce fait ne doit-il pas suffire à amener l'opinion publique en Europe à réclamer une solution pacifìque de la question vénitienne?

D'un autre coté, par suite des réserves que le Roi Victor Emmanuel avait faites aux préliminaires de Villafranca et qui ont été soigneusement maintenues dans les négociations de Zurich (1), par suite d'un de ces élans nationaux dont il y a peu d'exemples dans l'histoire, l'Italie Centrale d'abord et récemment l'Italie Méridionale sont venues former avec la Lombardie et les anciens Etats de S. M. un nouveau Royaume d'Italie. L'Angleterre, fidèle à ses traditions libérales, a reconnu le fait des annexions, en témoignant hautement ses sympathies pour un mouvement accompli avec tant d'ordre, de régularité et de modération. La plupart des autres Puissances ont réservé leur adhésion et, sans reconnaitre le nouvel état de choses, se sont abstenues de prendre une attitude hostile vis-à-vis du Gouvernement du Roi. L ' Autriche seule a protesté d 'une manière formelle contre la réunion de l'ltalie Centrale aux Etats du Roi, en réservant ses droits sur ces contrées, et ceux des Princes qui ont fait cause commune avec elle. Quoique sous une forme très confìdentielle elle a fait connaitre qu'elle se réservait le droit da faire valo'ir ses prétentions lorsqu'elle le jugerait convenable pour ses intérets. Il résulte de ceci que. la position que le traité de Zurich avait établie entre le Gouvernement du Roi et l'Autriche

se trouve sensiblement modifiée et que nous nous trouvons maintenant en présence d'une Puissance qui non seulement refuse de nous reconnaitre, mais qui se réserve de faire valoir des prétentions qui auraient pour effet de plonger de nouveau l'ltalie dans l'état de servitude où elle a gémi si longtemps. Ces réserves et ces protestations ne se sont pas bornées à de simples paroles; des actes significatifs les ont accompagnées. Qu'il suffise de rappeler que le Gouvernement Autrichien a constamment maintenu sur notre nouvelle frontière les troupes qui avaient suivi le Due de Modène. Ces troupes ont gardé leur drapeau et leur cocarde, elles sont encore organisées comme en temps de guerre, elles sont toujours pretes à envahir l'ancien territoire de leur maitre.

J'ai hate d'ajouter que je n'ignore pas que le Cabinet de Vienne a déclaré à plusieurs reprises qu'il n'avait pas l'intention de nous attaquer, pourvu que nous respections ses frontières. Je suis loin de mettre en doute la valeur dE> cette déclaration, et par conséquent de regarder notre pays comme en état de guerre avec l'Autriche. Cependant il est impossible de se dissimuler que la nature meme des choses, et les événements qui se sont accomplis depuis la signature du traité de Zurich, ne rendent notre position vis-à-vis de cette Puissance, anormale, difficile et dangereuse. Lord John Russell est trop loyal et trop bienveillant envers l'ltalie pour ne pas le reconnaitre, ou pour faire retomber exclusivement sur nous la responsabilité de cet état de choses.

J'espère d'ailleurs que les explications dans lesquelles je suis entré le rassureront complètement sur nos intentions: car elles me paraissent ne laisser aucun doute, ni sur l'étendue des moyens dont le Gouvernement du Roi dispose, ni sur notre ferme volonté de conformer notre conduite à ce qu'exigent les grands intérets européens, en pretant l'oreille aux conseils de modération et de prudence qui nous viennent des Puissances qui, comme l'Angleterre, nous ont donné tant de preuves de sympathie et d'intéret.

Veuillez, Monsieur le Marquis, donner lecture et laisser copie de cette dépeche à S. E. le Premier Secrétaire d'Etat pour les Affaires Etrangères (1).

(l) Comunicato dall'Azeglio a Lord J. Russell il 19 marzo, il dispaccio è inserito integralmente, in Further Correspondence relating to the ajjairs of Italy. Part IX, London 1861, n. 2; ivi anche il dispaccio di Lord Russel a Sir J. Hudson, citato nel contesto, 21 gennaio 1861, n. l.

(l) Recte: 21.

(l) -Nel dispaccio 31 agosto 1860 di Lord Russell al Ministro inglese a Torino si esprimeva, tra l'altro, il timore che, occupato il Regno di Napoli e lo Stato romano, si potesse pensaread un attacco alle Provincie Venete. Tale attacco -si diceva -non potrebbe certo avvenire senza il consenso del Re di Sardegna; il quale nè ha scuse per violare il trattato di Zurigo,nè ha interesse a violarlo. L'Austria è forte, e, vittoriosa, farebbe restituire la Romagna al Papa e la Toscana al Granduca; e vinta potrebbe essere solo qualora la ~ardegna trascinasse ancora con sè la Francia ed accendesse una guerra europea. Ma le grand1 Potenze, compresa l'Inghilterra, che ha interessi nell'Adriatico, sono concor~li.nel vo~er ma!ltener ~a pace. "!3isog~adunque invitare il conte di Cavo~r all'osservanz!l degh 1mpegm pres1. -L mtero d1spacc1oè in Further Correspondence relatmg to the Affatrs of Italy, Part VII, London 1861, n. 63. (2) -Discorsi del conte di Cavour nelle sedute della Camera dei deputat.i del ~· 5 e 11 ottobre 1860 e nelle sedute del Senato del Regno del 12 e 16 ottobre 1860: Dtscorst parlamentaridel Conte Camillo di Cavour, racc. e pubbl. per ordine della Camera dei Deputati, Roma 1872,

(l) Nella Circolare di Gabinetto alle Legazioni, 12 novembre 1859, il ministro degliEsteri del tempo, Dabormida, nel riassumere le clausole essenziali dei Trattati di pace stipulati a Zurigo il 10 novembre 1859, richiamandosi, riguardo alla Confederazione Italiana e al ristabilimento dei Principi dell'Italia Centrale, alla nota riserva apposta da Re Vittorio ai preliminari di Villafranca, affermava, tra l'altro: c Mais sur ces points d 'une importancevitale pour la Monarchie Sarde et pour l'ltalie nous n 'avons cessé de protester que la Sardaigne ne consentirait à contracter aucun engagement, qu'elle resterait absolument étrangère aux stipulations qui interviendraient entre les deux Parties contractantes. En effet sur nos observations et nos instances, ces articles ont été entièrement omis dans les Traités que nous avons signés avec les deux Puissances. Nous n'avons du par conséquent sacrifier aucun des principes dont le maintien nous était imposé par nos devoirs nationaux comme par nos intérets. Sur ces graves questions la liberté d'action de la Sardaigne n 'est point engagée •.

17

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINIS'l'RO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI (Ed. in Q. R., II, 321)

L. P. Torino, 16 marzo 1861.

J'ai reçu vos deux lettres du 13 et du 14 courant (2).

.Je vous ai répondu à l'égard de la reconnaissance du titre de Roi d'Italie. .Je comprends fort bien qu'une reconnaissance formelle ne puisse avoir lieu que lorsque nos relations diplomatiques avec la France seront rétablies; c'est à dire lorsque la question de Rome aura reçu une demi-solution. En àttendant il pourrait y avoir une reconnaissance tacite, c'est à dire que Gropello écrirait à Thouvenel et j'écrirai à Rayneval comme chargé d'affaires et Ministre des Affaires Etrangères du Royaume d'Italie; tandis que Thouvenel répondrait au Comte Gropello tout court et Rayneval au Ministère des Affaires Etrangères. Si cet accord est accepté par la France, il est très probable qu'on l'acceptera de meme à Berlin.

Ceci n'est qu'un palliatif; le remède radica! serait la solution de la question romaine. Malheureusement elle n'avance que très lentement. Les instructions que j'avais rédigées pour le Père Passaglia ont été portées à Naples par le moine peureux que j'avais expédié à Rome. On l'a tellement effrayé à Civitavecchia que le malheureux n'a pas osé débarquer. Faute d'une occasion favorable ces instructions sont restées plusieurs jours à Naples, ce n'est que mercredi qu'elles sont parvenues à leur destination. Le Pape était de nouveau exaspéré par suite des discussions des Chambres Françaises. Il a été jusqu'à vouloir expulser Pantaleoni. Santucci a lutté, il lutte encore, et comme tout dépend d'une crise nerveuse, nous ne sommes pas sans espoir. Lundi un Concistoire doit se réunir, les cardinaux pacifiques se prononceront ouvertement. Il est impossible de prévoir ce qu'il arrivera.

La semaine prochaine nous aurons à la Chambre une discussion sur les affaires de Rome. .Je prononcerai un discours très conciliant et j'espère que la majorité de la Chambre approuvera mes idées.

Il n'était ni convenable ni possible d'ajourner plus longtemps une discussion sur Rome. .J'ai obtenu qu'elle ne fùt pas soulevée avant le vote de l'adresse en France. Mais une fois que tous les Parlements de l'Europe auront discuté nos affaires, il serait ridicule que nous ne parlions pas nous memes (1).

L'affaire de Messine a bien fini. Cialdini a forcé la Citadelle à capituler avant l'arrivée du Messager du Roi François. Cela a permis au Roi de faire de la générosité, ce à quoi, je dois .}e dire, Cialdini l'a fort encouragé. Ce diable d'homme n'est féroce qu'en paroles.

Quant aux soldats réfugiés dans les Etats du Pape nous avons consenti à les ramener à Naples aux memes conditions que la garnison de Messine. Il me parait qu'il est impossible de pousser plus loin la générosité.

Il sera plus difficile de traiter la question du patrimoine privé du Roi de Naples à moins que S. M. s'engage à se tenir tranquille. Mais s'il prenait un engagement de la sorte, ce qui n'impliquerait pas une reconnaissance de sa part, je pense qu'on pourrait arriver à un arrangement raisonnable.

.J'espère que le Prince aura été satisfait de la phrase qui a été insérée dans l'adresse de la Chambre des Députés. .J'ai fait traduire son discours. Demain je lui en expédierai un exemplaire.

all'Imperatore (Q. R. Il, 319).

(l) -La minuta di questo dispaccio è di mano dell'Artom, con molte correzioni e interi brani di mano del conte di Ca vour. In una lettera particolare della stessa data all'Azeglio, il Cavour scrive (Cavour -Inghilterra, vol. II, t. II, 1313 : • Je profite du courrier de Hudson pour vous adresser deux dépéches: une, en réponse de la fameuse note du 20 [21] Janvier; l'autre, pour annoncer le nouveau titre du Roi [in data 17 marzo] . La rédaction de la premièrem'a cofrté une grande peine. Je comptais garder le silence à l'égard des interpellations de Lord John. Je croyais qu'il aurait fini par comprendre qu'il m'était impossible de me prononcer à l'égard de nos relations avec l'Autriche de manière à le satisfaire sans me compromettre vis-à-vis de l'Italie. Son insistance m 'ayant forcé dans mes derniers retranchements, j 'ai cherché à ménager autant que possible la chèvre anglaise et le chou italien. Je ne sais si j'ai réussi. Hudson que j'ai consulté , le pense. Mais il est trop notre ami et trop peu celui de Lord John pour que je puisse avoir une confiance absolue dans son jugement. Je vous prie, par conséquent, de l'examiner attentivement, avant de la communiquer officiellement. Si vous jugiez qu'elle piìt produire une fàcheuse impression sur le Gouvernement anglais, mandez-le moi de suite par le télégraphe, en m'indiquant les passages les plus compromettants. Je préfère un retard de quelques jours au danger de faire une boulette •· (2) -Edite in Q. R . II, 314 e 316. ·

(l) Per mezzo d'un telegramm!l del. Vimercati dello stesso giorno (n. 304), 16 marzo, Thouvenel aveva pregato Cavour d1 agg10rnare la discussione della questione romana alle Camere italiane fino a che l'indirizzo del Corpo Legislativo francese non fosse presentato

18

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. 309. Berlino, 16 marzo 1861.

J'ai reçu dans la nuit du 14 au 15 courant le télégramme qui m'annonçait que la Chambre des Députés avait adopté, à l'unanimité, le projet de loi qui confère à Notre Auguste Souverain le titre de Roi d'Italie. Sous le coup d'une vive et profonde émotion, je n'ai pas su résister au plaisir de transmettre, par le télégraphe, mes félicitations pour ce résultat des plus beaux et des mieux mérités, et prier V. E. de déposer mes hommages et l'expression de mon dévouement aux pieds de S. M. le Roi d'Italie.

Il est permis d'etre heureux et fier de servir sous un Roi et sous un Gouvernement qui assurent à notre patrie des bienfaits aussi considérables. Et quant à Vous, Monsieur le Comte, qui avez une si glorieuse part dans l'reuvre immense qui vient de s'accomplir, les expressions me font défaut pour Vous dire, comme je le voudrais, tout ce que j'éprouve dans cette circostance. Gràce a Votre génie et à Votre travail opiniàtre, notre beau pays a enfin cessé d'etre une simple dénomination géographique! Il a été donné à peu d'hommes d'Etat de traverser des jours pareils, où la grandeur est accompagnée d'autant de sagesse, et surtout de cette sagesse qui fait espérer la durée de ce qu'elle a accompli.

19

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. 310. Berlino, 16 marzo 1861.

J'ai fait visite hier au Baron de Schleinitz. Un télégramme du Comte Brassier lui avait déjà rapporté le vote de notre Chambre des Députés du 14 Mars. Il prévoyait ce résultat; mais il n'a pas moins remarqué l'unanimité des suffrages. La proclamation de ce grand acte ne changera rien aux relations entre les deux Etats. Elles continueront comme par le passé, tant que le Roi d'Italie ne sera pas reconnu. Le Cabinet de Berlin gardera une attitude expectante et d'observation. Il veut bien se rendre compte si le nouvel état de choses offre les conditions nécessaires à sa stabilité. Dans ce cas, nous obtiendrions de la Prusse une reconnaissance qu'il serait dés lors puérile de nous refuser. M. de Schleinitz préférerait toujours, si possible, que sur ce point il s'établit une entente préalable entre les Grandes Puissances. On pourrait, dit-il, à cet effet invoquer les protocoles d'Aix-la-Chapelle en 1818; les Plénipotentiaires des Souverains représentés dans ces Conférences avaient pris l'engagement de ne reconnaitre aucun nouveau titre sans s'etre concertés d'avance.

J'ai vainement cherché dans les documents publiés sur ces conférences une clause aussi explicite. Ne s'appliquait-elle pas d'ailleurs avant tout à la France? Et combien de fois n'y a-t-on pas dérogé?

V. E. saura que l'Angleterre a fait une démarche pour pressentir les dispositions des Puissances au sujet de la reconnaissance. Il est évident que la réponse du Cabinet de Berlin aura été conforme au langage que me tient

M. de Schleinitz.

20

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. 311. Berlino, 16 marzo 1861.

Dès son retour dans cette capitale, le Général de Bonin (l) m'a fait une visite pour m'exprimer combien il avait été touché et reconnaissant de l'excellent et cordial accueil qu'il avait reçu dans nos Etats. Il a été particulièrement sensible à l'exquise courtoisie et aux attentions dont il a été comblé par V. E.

D'après ses impressions, nous aurions de grandes difficultés à vaincre pour consolider le nouvel état de choses. D'un autre còté, il donnait beaucoup de poids à la déclaration de S. M., que nous ne négligerions rien pour cemserver la paix, et que, pour ce qui nous concernait, nous avions la confiance d'y réussir, le Gouvernement se sentant entièrement maitre des partis. Le Général de Bonin à rapporté cette déclaration à Son Souverain, qui s'en est montré satisfait, ainsi que cela m'a été confirmé hier par le Baron de Schleinitz.

Les dispositions à notre égard continuent à ètre timidement bienveillantes

dans les régions ministérielles, où l'on doit tenir compte des sentiments qui

règnent à la Cour. Il en résulte de certains accommodements. Ainsi le Comte

Perponcher n'a pas reçu de nouvelles lettres de créance auprès du Roi Fran

çois II, mais il a été chargé de remettre au Souverain déchu de Naples la

Croix du mérite militaire. Son représentant à Berlin, le Prince Carini, reste

officiellement à son poste, ce qui embarassera le Gouvernement Prussien le

jour où il serait enclin à reconnaitre le Royaume d'Italie.

En attendant nos adversaires cherchent à repandre l'inquiétude par les

récits les moins vraisemblables. Je n'en citerai qu'un seui:

Le chapelain de Berg, député, a été voir, il y a peu de jours, M. de

Schleinitz, pour lui confier un fait tout récent, inconnu peut-ètre de la diplo

matie, mais dont lui Berg avait été informé d'une manière très sure. Il existait

entre le Roi Victor Emmanuel et l'Empereur Napoléon un nouveau traité par

lequel:

l. L'Empereur nous promettait Rome et la Vénétie;

2. Le Roi s'engageait par contre à combattre pour la conquète de la rive gauche du Rhin, dans le cas où la Prusse voudrait s'opposer à l'annexion de Rome et de Venise.

M. de Schleinitz a révoqué en doute de semblables assertions.

M. -de Berg est ultramonta'in et démocrate, combinaison assez difficile à comprendre, puisque l'ultramontanisme est légitimiste à outrance. Mais peutetre fait-il flèche de tout bois. On raconte d'ailleurs que ce chapelain a l'ambition de faire carrière en Autriche.

Quoiqu'il en soit, voilà les moyens qu'on emploie pour agir sur la Prusse. Le discours du Prince Napoléon, si remarquable par la franchise et l'énergie avec lesquelles il attaque les ennemis de notre cause, est également exploité pour semer la défiance.

Le Cabinet des Tuileries se loue beaucoup de l'attitude conciliante de la Prusse pour les affaires de la Syrie. C'est à elle qu'on doit en grande partie la transaction consistant à prolonger de trois mois la durée de l'occupation. Quant à la Pologne, on est assez généralement d'avis que· le Czar finira par accorder d'assez larges réformes, tout en demandant encore du tems pour n'avoir pas l'air de céder sous le coup des démonstrations de Varsovie. La conciliation est fortement prechée par la France, non sans un certain dépit de la part de l'Autriche et de la Prusse qui craignent de se voir à leur tour obligées à faire des concessions. Elles craignent d'ailleurs que la condescendance de l'Empereur Alexandre n'amène une entente entre le Russie et la France à propos de l'Orient.

Les rapports reçus ici au Ministère sur l'état des esprits dans la Turquie d'Europe, sont des plus alarmans. Les dépeches sur la Hongrie présentent les choses sous un meilleur aspect pour l'Autriche. Mais il faut accueillir avec beaucoup de réserve des appréciations qui viennent ou du Baron de Werther connu par ses opinions rétrogrades, ou du Comte Karolyi qui nécessairement ne parle que selon les ordres de son Gouvernement.

(l) -Il luogotenente generale Von Bonin, aiutante di campo generale e ambasciatore straordìnario del Re di Prussia, era stato ricevuto in udienza straordinaria da Vittorio Emanuele II a Milano, il 16 febbraio 1861, e gli aveva rimesso una lettera autografa del suo Sovrano in risposta a quella del Re d'Italia recatagli dal generale La Marmora.
21

Il PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 17 marzo 1861.

Le Parlement National vient de voter et le Roi a sanctionné la loi en vertu de laquelle S. M. Victor Emmanuel II assume, pour lui et pour ses successeurs, le titre de Roi d'Italie. La légalité constitutionelle a consacré ainsi l'ceuvre de justice et de réparation qui a rendu l'Italie à elle-meme.

Dès ce jour, l'Italie affirme hautement en face du monde sa propre existence. Le droit qui lui appartenait d'etre indépendante et libre, et qu'elle a soutenu sur les champs de bataille et dans les Conseils, elle le proclame solennellement aujourd'hui.

Ce grand fait a une importance qui sera facilement sentie, Monsieur le Marquis, dans le noble pays où voux résidez. L'Angleterre, qui a du et qui doit sa prospérité à l'application des memes principes qui nous guident, verra avec faveur, j'en suis convaincu, se constituer officiellement et se faire reconnaitre en Europe une nationalité à laquelle le peuple du Royaume Uni a montré de si généreuses sympathies.

J e vous prie, Monsieur le Marquis, de notifier à M. le Ministre des Affaires Etrangères de S. M. la Reine cet événement mémorable. Vous aurez, je n'en doute pas, autant de satisfaction à vous acquitter de cette haute commission que j'en éprouve en vous la confiant (1).

22

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(A. -S. T. Carte Cavour) L. -P. 54. Londra, 18 marzo 1861.

J'ai reçu avec beaucoup de satisfaction le télégramme par lequel vous m'annoncez que les documens relatifs à la question de reconnaitre sont en route. Il était très nature! que vous ne remarquiez pas que les vacances de Paques sont imminentes et le secréta'i.re particulier de Lord Palmerston m'avait remarqué en passant qu'il était probable que l'opposition tenterait au mois d'Avril une forte attaque contre le Gouvernement. Les Ministres continuent à avoir confiance en leur astre. Mais de toutes manières la prévoyance et l'activité sont souvent d'une utilité évidente.

J'ai été trouver Lord John l'autre jour en recevant la dépeche par laquelle vous m'informiez de vos intentions à cet égard. Lord John me demanda de lire lui-meme ce document dont il se déclara satisfait et se réserva d'en parler à ses collègues.

Le lendemain il me renvoya cet office qu'il m'avait demandé la permission de garder et en meme tems il ajouta un billet dans les termes suivans: My dear Azeglio. I think the course proposed by count Cavour is the best. Namely to write an official letter to which I shall reply after having consulted the Cabinet and taken the Queen's pleasure. It will not be necessary that either you or Hudson should have new credential letters. Yours faithfully. J. RussELL.

L'ayant rencontré le lendemain il me dit s'etre mis d'accord avec Lord Palmerston qui en effet me répéta la meme chose. Dans ma conversation avec Lord John, il me dit qu'il s'était activement occupé de consulter les précédens et cita celui de Lord Malmesbury qui avait

La legge 17 marzo 1861 era pubblicata il giorno stesso, sulla Gazzetta Ufficiale, che per la prima volta, al titolo Gazzetta Ufficiale del Regno sostituiva quello di Gazzetta Ufficiale de! Regno d'Italia (n. 67).

reconnu l'Empire après avoir obtenu une déclaration maintenant l'observation des traités existant avant. Et dans ce but il m'engagea à vous presser de répondre à la Note par laquelle il demandait de certaines déclarations au moment où notre pays prenait une extension qui le mettait de fait au premier rang. Je lui dis que s'il voulait parler des traités de 1815 nous ne nous engagerions pas beaucoup en promettant de les observer ainsi qu'on l'a fait jusqu'ici. Mais il répondit que ce n'était pas précisément ceux là plus que les autres.

Quant à la question meme de la reconnaissance, je lui ai dit que des occasions publiques pouvant surgir d'un moment à l'autre où il faudrait adopter cette mesure, il me semblait peu croyable qu'ils veuillent par des délais inexplicables détruire tout le bon effet que la conduite du Cabinet Anglais avait produit en Italie. S'ils comptaient reconnaitre dans deux semaines, pourquoi pas alors dans une, pourquoi pas de suite[?] S'il y avait un banquet à la fete du Roi et que pour ne pas parler du Royaume d'Italie Hudson se sauve à Moncalier ou à Genes, serait-ce très digne, au lieu d'agir avec la franchise et le courage de leurs opinions. D'ailleurs ils voyaient comment on les traitait dans les Chambres françaises et il pouvait etre stlr qu'il donnerait Iieu à pas mal d'ironie si, après avoir tant aidé à son installation, ils hésitaient à reconnaitre le Royaume d'Italie. D'ailleurs, si l'Angleterre avait la chance qu'on lui laissait bénévolement de reconnaitre la première, ce qui causerait beaucoup de satisfaction en Italie, ce serait beaucoup de dabenaggine de leur part de n'en pas profiter.

J'aime à croire que ces raisonnements seront entrés pour quelque chose dans la marche que cette affaire me parait devoir suivre et qui parait très favorable.

Il me serait indispensable de savoir au plus tòt à quoi m'en tenir sur les changements à introduire dans les cachets offi.ciels. J e vous proposerais en meme temps de me les laisser faire ici de mon mieux et on pourrait s'en servir ensuite comme modèles à Turin.

Lord John m'a dit avoir augmenté les appointemens de Hudson qui reçoit maintenant cinq mille Iivres. J'en suis charmé pour lui mais en meme tems ceci prouve qu'en vous exprimant l'opinion que le Ministre du Roi devrait avoir cent vingt cinq mille francs ici cela n'aurait rien d'exagéré en tenant compte de la difference entre les deux Capitales.

La mort de la Duchesse de Kent a pris la Reine par surprise, car la veille

S. M. avait été jusqu'à cinq heures au jardin d'hiver et devait recevoir trente personnes à diner. Au reste les rapports entre la mère et la fille n'avaient jamais été très tendres.

Votre lettre du 4 m'est arrivée quoique un peu en retard et je vous en remercie.

Permettez moi de vous demander la permission de donner un passeport pour Florence a un profugo Romain le Sieur Nicolini. Il est ici depuis cinq ou six ans et a donné des leçons à plusieurs grandes familles qui me l'ont recomandé à plusieurs reprises. Les Shaftesbury surtout m'ont souvent reproché ma dureté à son égard. Mais tant que j'y ai cru voir des inconveniens j'ai stoi:quement fermé les oreilles à la voix de l'amitié. Maintenant je plaide pour lui parceque tout tend à éteindre ces divisions des tems passés et que ce

serait donner trop d'importance méme à un Sieur Nicolini que de le croire si important à écarter.

Au reste je crois réellement que c'est en tous cas un honnéte homme et qui brUle du désir de se rendre utile. Il ambitionnerait surtout de travailler à l'organisation de la Polke. Et peut étre pourrait-il réellement faire du bien. Voici du reste une lettre que j'en a'i reçu ce matin. Prenez-le je vous prie en benigna considerazione.

(1) Comunicazione analoga alle altre Legazioni. Con circolare del 20 marzo 1861 Cavour dava anche ai Consoli comunicazione della promulgata legge 17 marzo 1861 : c Il 17 corrente venne sancita e promulgata la legge, colla quale S. M. Vittorio Emanuele II assume per sè e per i suoi successori il titolo di Re d'Italia. L'Italia, a cui le piùcivili nazioni diedero plauso ed appoggio nell'opera della sua politica ricostituzione, proclamando il fatto dell'indipendenza e dell'unità nazionale, recherà nel consorzio dei grandiStati di Europa un nuovo elemento di ordine, di equilibrio e di pace. Mentre il Governo del Re annunzia ufficialmente quest'atto solenne ai varii Stati, io ne rendo pure informata la S. V. Ill.ma perchè prenda il titolo di Console di S. M. il Re d'Italia, ed intesti nella stessa forma gli atti e le carte di codesto Ufficio. Il Ministero poi le farà pervenire prontamente i nuovi sigilli pel Consolato, e per le Delegazioni dipendenti, e la S. V. nel rimetterli ai vari Uffici avrà cura di ritirare tutti gli antichi, per ritornarli al Ministero colla primaoccasione favorevole, che le si presenti. Darà V. S. analoghe istruzioni ai Delegati posti sotto la di lei dipendenza, e mi segnerà ricevuta della presente circolare, informandomi del modo con cui si diede ad essa esecuzione, e delle cause che per avventura ritardassero la piena attuazione degli ordini avuti •.

23

L'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, LA MINERVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. 7. Lisbona, 18 marzo 1861.

J'ai reçu la dépéche télégraphique du 14 de ce mois et je remercie V. E. d'avoir bien voulu me communiquer l'heureuse nouvelle du vote unanime de la Chambre des Députés en faveur de la loi qui confère au Roi le titre de Roi d'Italie. En mème temps ce Ministère recevait l'intéressante nouvelle de la capitulation des forteresses de Messine et de Civitella.

En attendant les instructions, qu'il vous plaira, Monsieur le Comte, de m'envoyer d'après ce nouvel état de choses en Italie, je puis confirmer à V. E. ce que j'avais l'honneur de vous écrire dans une de mes précédentes dépéches sur les dispositions de ce Gouvernement à notre égard (1).

Le Portugal ne sera pas des premiers à reconnaitre le Royaume d'Italie, mais

il ne sera pas des derniers. Sa position n'est pas telle de pouvoir se prononcer

avant que quelque Puissance de premier ordre ne donne pas l'exemple. Mais

si l'Angleterre et la France nous reconnaissent, je n'ai aucune difficulté à assurer

que le Portugal nous reconnaitra aussi, surtout qu'ici on ne veut pas que l'on

croit que le Portugal est à la remorque de l'Espagne dans la question italienne.

Depuis ma dernière dépèche le Ministère traine avec beaucoup de difficulté son existence.

Après le vote du 9 de ce mois et le meeting du lendemain il y a eu une réunion des Députés dans laquelle le Ministére a demandé si l'opposition était disposée à l'appuyer dans deux ou trois lois d'intérét public qu'il voulait proposer. L'opposition, aprés avoir demandé 24 heures pour donner sa réponse,

ce terme expiré a décidé negativement. On croyait donc que la crise ministérielle était imminente. Quelques-autres jours se passèrent en pourparler et l'on citait déjà le nom du Maréchal Saldanha comme destiné pour une nouvelle combinaison Ministérielle à laquelle prendrait part M. Fontes, chef reconnu par toutes les fractions de l'opposition.

Aujourd'hui (18) c'ètait le jour destiné pour donner un échec au Cabinet actuel. Le Ministre des Finances, M. D'Avila, avait présenté la loi, déjà votée dans la Chambre des Paires, de la démortisation des biens des Couvens. Un député de l'opposition accusa le Ministère d'avoir présenté cette loi comme un guet-apens pour avoir un vote favorable de la Chambre sachant que l'opposition était d'accord avec lui sur cette question, tandis qu'il n'ignorait pas que l'opposition en majorité était prete à lui donner un vote de défiance. Un autre député de l'opposition, plus logique préferait que l'on proposait le vote de confiance. M. D'Avila par un discours brillant et très sensé défendit les actes du Ministère et il donna surtout du relief à plusieurs lois et à plusieurs travaux d'intéret public qui avaient été faits pendant sa courte administration et parmi eux la réduction des tarifs, la loi sur la démortisation, et il fit connaitre le bon effet qui en était suivi par le crédit public dans la hausse progressive des fonds publics. Il a fini son discours en disant que si des .autres hommes d'Etat croyaient pouvoir faire mieux et d'avantage le Ministère aurait volontiers cédé la piace.

L'opposition a vu que la discussion avait été portée sur un terrain qu'elle n'avait pas prévu et M. Fontes a pris la parole pour dire qu'il donnerait son vote pour la loi de la démortisation, mais qu'il était bien entendu et il le déclarait hautement que par cela il n'entendait nullement de lui donner un vote de confiance et qu'il se réservait de proposer ce vote à la première occasion.

En mème temps dans la Chambre des Paires devait avoir lieu l'interpellation au Ministre de l'Intérieur, Marquis de Loulé, faite par le Comte de Thomar, sur la question des Soeurs de Charité, proposant un vote de blàme contre le Ministère. Mais le Marquis de Ficalho, très bien posé en cour et appartenant au parti clérical, proposa un ajournement sous prétexte que quelques pièces manquaient encore et la question n'était pas suffisamment éclaircie. Cependant la véritable raison qui conseillait au Marquis cet ajournement était que dans ce moment d'agitation des esprits, et pendant une discussion orageuse dans l'autre Chambre, il n'était pas prudent que la crise Ministérielle fut provoquée par un vote du parti conservateur.

Voilà donc que le parti clérical, qu'il y a quelque temps n'existait pas

en Portugal, prend position dans la haute Chambre et je suis persuadé que

dans un tems plus ou moins long ce parti sera le seui qui représentera la

véritable opposition et si les libéraux continuent comm'à present à faire la

chasse aux porte feuilles et à se faire la guerre entr'eux, je ne serais pas étonné

que par un coup audacieux et chatouillant l'ambition et l'intérèt de quelques

membres infiuens de la Chambre des Députés, ce parti ne puisse un jour arriver

au pouvoir.

Le fait est que dans la Chambre des Députés l'opposition n'a pas un

programme plus libéral du Ministère actuel, elle n'a pas une administration prete pour substituer à celle qu'elle voudrait faire tomber et elle craigne d'arriver au pouvoir dans un moment d'agitation avec le lourd fardeau de mettre en activité les nouveaux impòts qu'ont été dernièrement reformés.

En vérité je n'ai pas pu arriver à me faire une idée assez juste et assez claire sur le but que l'opposition se propose par sa conduite dans le sens de l'intéret public. Seulement d'après un examen sur les changemens si fréquens de Ministère dans ces dernières années je crois de ne pas me tromper en disant que le Ministère dure depuis dix mois, et que se tems est assez long pour ne pas songer à la formation d'un nouveau Cabinet. Quoiqu'il en soit il sera toujours très diffic'ile à la nouvelle administration de remplacer M. D'Avila au Ministère des Finances, qu'il dirige avec beaucoup d'intelligence et surtout avec un travail très assidu, qualité très difficile à rencontrer en Portugal.

Il est enfin très regrettable que profitant de la faiblesse actuelle du Gouvernement on tache de préparer et organiser des émeutes dans différentes parties du Royaume. Les mots d'ordre sont déjà donnés à Oporto et Coimbra et dans quelques autres villes et il n'y a que envoyer un avis par télégraphe pour les faire éclater. L'on assure que le Due de Saldanha n'est pas étranger à cet état de choses et si le Ministère actuel ne se raffermit pas dans ces derniers jours il est possible que le Maréchal soit maitre de la position.

Telles sont, Monsieur le Comte, les dernières nouvelles les plus importantes. Toutefois la discussion d'aujourd'hui porte à croire que le Ministère Loulé-D'Av'ila n'a pas perdu toute chance de rester pour quelque tems encore au pouvoir.

(l) Nel rapporto 2 gennaio 1861 n. 2 lo stesso Ministro a Lisbona, accennando alla possibilità di uno scioglimento delle Cortes, aveva scritto, tra l'altro: c J'aimerais mieux quela Chambre actuelle reste, et qu'elle se trouve ouverte au moment où notre Parlement proclamerait le Royaume d'Italie. Je pense que la majorité de la Chambre qui est libérale, pourra faire entendre qu'elle est disposée d'appuyer une motion pour reconnaitre le nouvel état de choses en Italie. Il faut ajouter encore que toute la presse libérale ne manquera pas d'exercer par son autorité une grande influence sur l'opinion publique. J'ai donc tout lieu de croire qu'à peine l'Angleterre et la France ou seulement la première de ces Puissances reconnaitrait le Royaume d'Italie, l'opinion publique et le Parlement se déclareront tellement en notre faveur que le Gouvernement se verrà forcé à nous reconnaitre malgré lui, et pousser outre aux égards et aux difficultés qui pourraient lui conseiller à ne pas le faire par sa propre volonté. La proclamation du Royaume d'Italie étant un acte de la plus haute importance, je prie dès à présent V. E. et avec beaucoup d'insistance, de vouloir bien donner les ordres pour que l'on m'envoie régulièrement avec le journal officiel les actes du Parlement. n est très utile de faire connaitre ces actes dans un pays où l'on montre en général beaucoup de sympathie pour nous, et un grand intérèt pour les principes de liberté et de nationalité •.

24

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Cavour -Inghilterra, vol. II, t. II, 1316)

L. P. 55. Londra, 19 marzo 1861.

Tout est allé au gré de mes désirs, aujourd'hui avec un bonheur rare, tout s'est rencontré à point nommé. Vos dépeches ne me sont parvenues qu'à 4 heures et à 6 j'avais réussi à trouver les deux Ministres, Lord Palmerston au moment où il allait à la Chambre des Communes, et Lord John aux Communes meme.

A la lecture de votre dépeche elle me parut excellente. Mais la première idée qui me vint d'abord fut que le plus sage [était] d'aller droit à Lord Palmerston, de lui parler comme à un ami et de lui expliquer à ce titre le service qu'il me rendrait en me disant avant que je n'aille chez Lord John, et sous le secret, s'il pensait qu'il y eut quelque chose à redire. Par un hasard providentiel il était encore chez lui. Il accueillit parfaitement mes ouvertures et après una audition attentive du document il me dit qu'il ne voyait pas ce qu'il y aurait à retrancher. Il parcourut également la note meme de Lord John et sur ma remarque sur son acreté il me dit que les remarques sur le suffrage universel avaient trait à Nice et à la Savoie. Ce qui ensuite fut très heureux pour moi

ce fut de pouvoir rassurer Lord Palmerston quant aux combinaisons sur l'ile de Sardaigne. Car, ainsi que je vous le mandais dans ma dépeche, cela aurait pu nous jouer quelque mauvais tour. Il en parut très satisfait lui-meme. Je courus de là au Foreign Office et puis aux Communes où à force de persévérance active je parvins au moyen de W. Cowper et d'Ellis à débusquer Lord John qui me reçut très gracieusement. J'avais prete pour lui une ruse de guerre, consistant à vous faire passer comme tellement pénétré de l'austrianisme de Lord John, que réellement vous appréhendiez que la moindre réflexion lui irait au coeur. De cette façon cela lui faisait craindre une rédaction beaucoup plus forte et en découvrant son erreur cela le rendrait honteux de la réputation dont il jouissait. D'ailleurs j'eus soin de lui lire tous les passages pacifiques et rassurants de votre lettre particulière. Ainsi préparé je lui donnai la dépeche qu'il préféra lire lui-meme, et en attendis patiemment l'issue. Lord John lut et plia le papier, le mit en poche, en disant à plusieurs repries: Very good dispatch. Very good indeed. Il ajouta que Hudson lui en avait écrit des éloges et que moi-meme je lui donnais une entière approbation, il n'y avait rien à redire. Je lui dis que la seconde partie de ma visite aurait trait à la participation officielle du titre et je le priai de lire attentivement l'autre dépeche et de voir s'il objecterait à quelque expression. Il la lut et relut deux fois et me dit qu'il ne trouvait rien à changer et que j'aurais à lui en faire la communication demain.

25

L'ABATE PASSAGLIA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR (Ed. in Q. R., II, 330)

L. P. Roma, 19 marzo 1861.

Sabbato 16 del corrente ad un'ora e mezza pomeridiana mi recai, secondo il convenuto, dal Card. Antonelli. Dopo brevi e vereconde parole, colle quali gli ebbi significate le parti affidatemi dal Governo del Re, soggiunsi che mi riusciva gratissimo e di felice augurio il dovere iniziare il trattato con Sua Eminenza, che sì profondamente conosceva, e si equamente apprezzava non meno il solido bene della Chiesa e della S. Sede, che della comune patria Italia. La risposta del Cardinale a questo mio esordio in cui mi era studiato di accoppiare l'insinuazione colla modestia, fu oltre ogni credere concitata ed aspra. Imperocché con tuono di voce alto anzi che nò replicommi: sembrargli impossibile di venire a trattati. E qui con discorso enfatico e disordinato mi schierò sotto gli occhi tutto l'adoperato dal Governo del Re, secondo che egli diceva, contro i diritti più santi della Chiesa: Vescovi e Cardinali esiliati, Ordini religiosi disciolti, beni ecclesiastici incamerati, Concordati rescissi, archivii violati, stampe irreligiose, favore prestato agli eterodossi, insegnamento erroneo; in somma, guerra molteplice e furibonda contro le cose, le persone ed il ministero della Chiesa. D'onde, concluse: non veder esso via aperta ad un conveniente trattare.

Diedi opera a calmarlo, parte diminuendo i mali da Sua Eminenza ricordati, parte ascrivendoli anzi all'acerbità delle circostanze, che agl'intendimenti del Governo del Re, parte confessandoli e chiedendone perdono; parte avvertendo

che in tutti i grandi mutamenti sociali e politici si è sempre fatto il somigliante e peggio, e pal"te riflettendo che però dal Governo del Re si proponeva di trattare, perchè si voleva por fine ai disordini.

Mi negò che tale potesse supporsi la mente del Governo del Re, il quale Governo, se avesse sinceramente amato di pacificarsi colla S. Sede, non l'avrebbe sino alla vigilia inasprita ed offesa. Eppure, ripresi a dire, io son convinto di queste buone disposizioni del Governo del Re, né la mia convinzione è leggera, ma fondata su di saldi argomenti, quali raccolgo non meno dalle ripetute assicurazioni del Ministro degli affari esteri e dal giudicio di gravissimi personaggi, che dai più vitali interessi nazionali ed internazionali, i quali richieggono che il Governo del Re tratti lealmente.

Ed egli a me: no, Professore, non si può trattare. Udite per la seconda e per la terza volta queste parole, credetti di mutar volto e linguaggio, e senza più con serietà ripigliai: il ripetermisi da V. E. che non si può trattare, può intendersi in due modi, o che si rifiuta generalmente ogni trattato qualunque esso siasi, o che si rifiuta specialmente il trattare di certe materie e di certi oggetti. Io non penso che V. E. parli nel primo senso; ché il rifiutare generalmente ogn'i trattato non meno è contrario ad ogni giure, che alle iterate risposte di Sua Beatitudine e di V. E., colle quali è stato significato che la S. Sede non ricusa di trattare. Interrompendomi qui con veemenza il Cardinale mi rispose: non riputare egli che si ricusasse generalmente di trattare, ma che si ricusasse di trattare to) del poter temporale, e 2o) di qualunque altro negozio non appartenente agli Stati ereditarii del Re ed alla Lombardia. Del resto, che avrebbe interrogato il S. Padre, e ne avrebbe udito l'oracolo.

A questo punto fu annunziato il Ministro di Polizia, Mons. Matteucci, al quale annunzio avendo il Cardinale risposto che gli si significasse di attendere, ripigliò: e poi quali persone ha destinate il Governo del Re per trattare? Eminenza, gli soggiunsi, se io dispiaccio o sono men grato, vi si provvederà incontanente. Ed egli: non si tratta di Lei, ma del Dott. Pantaleoni, che il Papa vuol fuori Roma. Mi apparecchiava a rispondere, quando fu annunziato il Card. De Pietro. Allora S. E. avendomi ripetuto che udirebbe Sua Santità, mi aggiunse che egli medesimo mi avrebbe presso sé richiamato probabilmente Lunedì. Il Lunedì ed il Martedì sono scorsi, ed io per anco non sono stato richiamato.

È questa la sincera esposizione del dialogo tra S. E. il Card. Antonelli ed il sottoscritto.

26

CIRCOLARE TELEGRAFICA DEL SEGRETARIO GENERALE DEGLI ESTERI, CARUTTI, ALLE LEGAZIONI ALL'ESTERO

Torino, 20 marzo 1861.

Par suite de la proclamation du Royaume d'Italie, croyant qu'il est nécessaire que des hommes politiques de l'Italie méridionale entrent dans le Cabinet, les Ministres ont donné leur démission et ont prié le Roi de former une nouvelle administration.

Il est probable que le Comte de Cavour soit chargé par S. M. de former le nouveau Ministère.

27

Il PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR,

AL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 20 marzo 1861.

Comme je l'ai déjà déclaré à M. Brassier de St. Simon et à vous, le Gouvernement du Roi désire se mettre d'accord avec le Gouvernement Prussien au sujet de la reconnaissance du Royaume d'Italie, en faisant la part des circostances qui pourraient rendre embarrassante pour lui une mise en demeure de se prononcer. Pleins de confiance dans la loyauté et la sagesse du Cabinet de Berlin, nous ne le pressons point de faire à ce sujet une démarche immédiate, persuadés qu'il est le meilleur juge dans la question de savoir dans quelles limites et jusqu'à quel terme la prudence exigée par sa position doit faire taire les sentiments par lesquels il répond sans doute aux nòtres. La consécration récente par les deux Chambres du titre assumé par le Roi, a donné aux grands faits qui ont changé la face des choses en Italie la sanction de la légalité constitutionelle; ainsi la justice du Gouvernement Prussien se trouve aujourd'hui non moins interessée que sa bienveillance à ce qu'il prenne une résolution que, dès lors, les convenances nous dispensent de rien faire pour hàter de sa part.

Pour tout concilier, en attendant, il y aurait, selon nous, un expédient plus simple; ce serait que le Gouvernement Prussien, dans ses communications avec notre représentant à Berlin, se bornat à la suscription ou adresse «à Monsieur le Comte de Launay», sans y ajouter aucune qualification, tandis que notre Ministre prendrait, dans ses rapports avec lé Cabinet Prussien, le titre de Ministre du Roi d'Italie. Ce Cabinet en effet ne pourra manquer de sentir, Monsieur le Comte, qu'aujourd'hui la qualification de Ministre du Roi de Sardaigne ne peut plus etre portée par un représentant du Gouvernement de S. M. Elle ne répondrait en rien à un ordre de choses tout différent et consacré avec toute la solennité et la régularité possibles. Les relations réciproques pourraient etre continuées ainsi tant que le Gouvernement Prussien croirait voir trop d'inconvénients à reconnaitre formellement le nouveau Royaume. En meme temps que nous croyons donner de la sorte au Gouvernement Prussien une marque du haut prix que nous attachons à son amitié, nous ne pensons pas nous flatter d'une vaine confiance en nous remettant à sa généreuse franchise du soin de donner bientòt un caractère plus ouvert à ses rapports avec un Royaume dont l'existence désormais n'à plus rien d'incertain, et qui, en faisant disparaitre des causes de mécontentement et de troubles, offre à l'Europe un nouvel élément d'ordre, de tranquillité et d'équilibre.

Je vous invite, Monsieur le Comte, à entretenir dans ce sens M. le Baron de Schleinitz.

28

IL MINISTRO A BERNA, JOCTEAU, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR (Annesso cifrato al) R. 342. Berna, 20 marzo 1861 (per. il 22).

Il parait y avoir dans le Conseil Fédéral un parti qui proposerait de laisser sans réponse, temporainement du moins jusqu'à ce qu'on connaisse la résolution de quelque Grande Puissance, la notification qui lui serait faite du titre de Roi d'Italie, par la raison que la Suisse, pays neutre, ne doit pas ètre la première à le reconnaitre. Je combattrai ce raisonnement, mais je dois prévenir V. E., je crains qu'un malheureux article de la Gazette Militaire de Turin du onze mars ne nuise au résultat désiré (1).

29

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., II, 337)

L. P. Parigi, 15-20 marzo 1861.

Le Général Cigala m'a remis votre lettre dont je vous remercie. La brochure de M. Perego (2) sera remise ce soir à l'Empereur et la décorat'ion pour

M. Cavagneri sera envoyée au Prince Louis Lucien à Londres. Jamais décoration n'à été plus mal placée, permettez-moi da vous le dire. M. Cavagneri est un homme tellement terré qu'il n'est pas meme reçu aux Tuileries. Je comprends que V. E. aura accédé aux instances du Prince auxquelles il aurait été difficile de résister.

Conformément à vos ordres, Monsieur le Comte, j'ai donné communication à M. Thouvenel de la lettre du P. Passaglia (3).

Le contraste qui existe entre les renseignements que vous me faites l'honneur de m'envoyer et ceux que le Due de Gramont envoie de Rome a singulièrement frappé le Ministre.

M. Thouvenel fait des vreux ardents pour notre réussite et donne à cette dernière lettre une très grande importance dans le sens qu'elle annonce que le

P. Passaglia espère faire partager à la congrégation de Théologiens présidée par le Cardinal Santucci son opinion favorable aux propositions projetées par le Cabinet de Turin.

L'Empereur, à qui M. Thouvenel n'a pas manqué de rendre compte de la lettre en question, lui donne aussi une certaine importance. S. M. insiste pour que vous tàchiez d'obtenir la coopération du Cardinal Antonelli qu'on vous fait espérer.

Il 26 marzo 1861 Cavour annunziando allo Jocteau a Berna che la Gazzetta Militare aveva spontaneamente rettificato la frase che aveva prodotto spiacevole impressione in !svizzera, assicurava che, del resto, quel periodico non aveva alcun carattere ufficiale, onde soggiungeva -• U lui est permis d'ètre absurde à ses risques et périls •.

Q. -R., II, 261. M. -de Persigny, poussé par l'opposition cléricale et légitim'iste, est on ne peut plus monté; à son avis l'Empereur ne doit pas rester plus longtemps dans une position équivoque vis-à-vis de la Cour de Rome. Le Ministre de l'Intérieur espère trouver une solution possible; il m'a parlé confusément d'un projet qui se rapprocherait de celui de M. Thouvenel dont j'ai déjà rendu compte à V. E. Le titre de Vicaire du St. Siège jouerait un grand ròle dans ce projet qui manque de conclusion comme tout ce que l'on a proposé et qu'on proposera, qui ne soit pas fondé sur la base de séparation absolue entre l'Eglise et l'Etat. V. -E. est trop convaincue de la nécessité de pousser activement les négociations entamées pour que j'aie à vous répéter toutes les instances qu'on me charge de vous faire à ce sujet.

L'Empereur, MM. Thouvenel, Persigny, Benedetti, tous viennent à la charge pour vous presser, pour vous harceler; on dirait que les soldats français qui sont à Rome doivent entrainer la ruine de la France.

Le Prince Napoléon, qui est dans un de ses bons moments, mème dans ses relations avec l'Empereur, croit que le Roi et vous, Monsieur le Comte, vous ne soyez pas bien décidés à quitter Turin. Il pense que vous désirez gagner du temps, car il vous en coute trop de quitter vos habitudes devenues une seconde nature, et d'arracher à votre ville les avantages de la Capitale.

On parle de la brochure d'Azeglio (l); je ne l'ai pas vue. M. Thouvenel m'en a parlé en m'en faisant de grands éloges, ce que je regrette beaucoup, car l'idée de piacer la Capitale de l'Italie à Florence était déja la marotte de M. Thouvenel et mème de l'Empereur qui voient dans cela un moyen pour diminuer l'importance de la question papale. Il me semble qu'Azeglio n'a pas été bien inspiré en faisant cette publication dans un moment, où la nécessité d'avoir Rome pour Capitale du Royaume Italien avait fait de si grands progrès mème dans l'esprit des personnes qui combattent la politique impériale dans les affaires d'ltalie.

Dans votre avant dernière lettre vous me parliez de l'utilité qu'il y aurait à ce que le Gouvernement Impérial usàt de son influence pour faire éloigner de Rome le Roi de Naples.

Par ma lettre d'hier, je vous ai déjà répondu à cet égard et maintenant je puis ajouter que M. Thouvenel a nouvellement envoyé à M. le Due de Gramont l'ordre de renouveler ses instances auprès de François II pour obtenir son éloignement.

Mais en mème tems permettez-moi, Monsieur le Comte, de vous rappeler les instances de M. Thouvenel faites au nom de l'Empereur pour que le Gouvernement du Roi aille assez largement en ce qui concerne les demandes du Roi de Naples pour le patrimoine privé de sa famille. Je suis obligé d'insister à ce sujet car M. Thouvenel m'a dit que l'Empereur lui en avait encore parlé. On ne dirait pas que c'est S. M. l. qui a confisqué les biens des Orléans.

Le bruit a couru que M. de la Guéronnière va publier une nouvelle brochure qui propose de partager l'Italie en trois royaumes. C'est un de ces canards que mettent en circulation les sénateurs et députés de la droite pour prouver que leur opposition a impressionné le Gouvernement. Comme appendice à cette

4 ·Documenti dit•lomdtici -Serie I-Vol. I

nouvelle prétendue combinaison et comme un commencement d'exécution on a

aussi dit que l'Empereur avait écrit au Roi de Naples une lettre pour lui con

seiller de rester à Rome, François II devant etre, bien entendu, un des porteurs

de ces trois couronnes italiennes. Heureusement j'ai vu moi-meme la lettre con

fidentielle de Gramont mentionnée plus haut.

Encore une autre histoire.

Les memes auteurs du canard ci-dessus tachent d'effrayer le monde en disant que l'Empereur va incessamment appeler M. E. Olliv'ier au Ministère, ce qui prouverait, selon eux, que S. M. veut se jeter tete première dans les rangs des républicains purs. On mele à cela l'éternel grief contre M. de Persigny d'avoir fait répandre à pleines mains le discours du Prince Napoléon dans les départements.

Plaisanterie à part il est siìr que S. M. se trouve, en ce moment, plus rapprochée de MM. J. Favre et E. Ollivier que de MM. de Larochejaquelein et Keller.

L'Empereur parlant l'autre jour à M. de Boissy Sénateur, lui disait: c: eh bien, Monsieur, vous etes donc toujours le meme; on en revient toujours à ses premières amours :..

C'est le portrait de la société française, ayant un esprit antipolitique s'il en fut, s'accordant pour détruire, jamais pour réédifier ou conserver.

Le peuple est franchement pour l'Empereur et pour sa politique. L'armée, partagée en deux camps dans la questione italienne qu'elle ne juge que d'après de vieux préjugés, est unanime à soutenir l'Empereur et le suivre sans discuter, ayant toute confiance en Lui.

Des ordres sont donnés pour changer plusieurs préfets dans les Provinces, et après la présentation de l'adresse M. de Persigny va s'occuper de suìte du remplacement de plusieurs fonctionnaires publics, pour pouvoir faire de nouvelles élections avec chance qu'elles soient moins mauvaises, car tous les partis sont plus ou moins représentés au Sénat et au Corps Législatif, excepté le parti Napoléonien qu'il sera difficile de relever, n'existant réellement que dans le peuple des villes et des campagnes.

J'ai fait demander à l'Empereur s'il voulait recevoir Klapka. Il m'a fait dire de le mettre en rapport avec Conneau et que dans ce moment, il croyait plus prudent d'ajourner sa réception. Conneau m'a aussi dit au nom de l'Empereur de ne pas parler au Prince Napoléon des affaires de Hongrie, mais de lui faire tout savoir par l'intermédiaire du Docteur.

En me remettant la lettre de Mazzini, Conneau m'a bien recommandé de vous dire, Monsieur le Comte, de garder le plus grand secret sur la manière dont elle vous sera parvenue. S. M. semble tenir beaucoup et avec raison, à ce que l'on ignore qu'un de ses agents est attaché à Mazzini, le suivant et révélant toutes ses démarches.

Les affaires de Pologne ont une gravité que je crois important de signaler à V. E.

Elles pourraient se rattacher aux mécontentements de l'Empire Russe luimeme et M. de Kisseleff en est très inquiet. Il a envoyé par l'intermediaire de la Princesse Mathilde plusieurs lettres à l'Empereur, qui l'a vu deux fois ces

jours-ci. La Princesse m'a dit que les craintes de l'Ambassadeur de Russie ne sont pas autant pour le moment mais pour l'avenir.

En Prusse les affaires ne vont guère mieux. La lutte entre la Chambre haute et celle des députés, le parti unitarie allemand qui se remue, l'incapacité et l'indécision du Roi, tout enfin fait espérer qu'ils auront assez de quoi s'occuper chez eux et qu'ils nous laisseront faire nos affaires. Ici le Comte de Pourtalès ne cache pas ses sympathies pour notre cause.

18 mars.

Je viens de voir M. Thouvenel. Je l'ai trouvé animé d'intentions beaucoup meilleures pour la reconnaissance du titre du Roi et la reprise des relations diplomatiques.

Tout en insistant pour renvoyer tout arrangement provisoire jusqu'à la présentation de l'adresse du Corps Législatif, il m'a longuement questionné sur !es 1ntentions clu Cabinet de Turin au sujet de la manière dont il compte procéder pour faire arriver à l'Empereur la notification officielle du nouveau titre.

Sur ma réponse que je l'ignorais complètement puisque vous vous étiez borné à me donner des instructions sur le moyen terme dont je venais de lui parler, M. Thouvenel me dit qu'à son avis la marche à suivre devrait ètre la suivante:

Quand vous aurez l'assurance que l'Empereur lui fera un bon accueil, le Roi devra écrire une lettre très aimable à S. M. en ine chargeant de la lui remettre. Dans cette lettre S. M. devra annoncer à l'Empereur son intention d'envoyer un de ses aides-de-camp en mission extraordinaire pour lui annoncer le nouveau titre qu'il vient d'assumer. A cette mission il sera répondu par une autre mission qui ira complimenter le Roi et c'est après cette dernière cérémonie que les deux Ambassadeurs partiraient le mème jour de Turin et de Paris.

J'ai lieu de croire que ce projet que M. Thouvenel vient de me tracer est la suite d'une conversation qu'il a eue avec l'Empereur, car elle concorde avec ce que M. Fleury m'avait dit la semaine dernière qu''il tenait de l'Empereur.

Vous voyez, Monsieur le Comte, qu'on n'aura pas meme besoin d'une solution de la question romaine, si celle-ci menaçait de trainer en longueur.

M. Thouvenel m'a encore parlé de son vif désir d'aUer Ambassadeur en Italie. Mais je crains, a-t-il ajouté, de ne pouvoir me débarrasser de la chaine qui m'attache ici et qui me pèse bien lourdement.

Ayant ensuite demandé au Ministre sur qui se portait son choix au cas où lui-mème ne pourrait obtenir cette destination, il m'a confirmé que c'était sur le Marquis de La Valette. « Dans ce cas vous direz à M. de Cavour que c'est là un véritable cadeau que je lui fais ». Puis il me demanda à son tour si c'était toujours M. Nigra qui était destiné à Paris; à ma réponse affirmative, le Ministre en a témoigné le plus grand plaisir et il a ajouté: « Quand vous l'aurez laissé quelque tems à Paris comme Ambassadeur, M. de Cavour pourra faire de lui un très bon ministre des Affaires étrangères, car il aura acquis beaucoup d'expérience et il viendra d'avoir occupé une grande position à Paris. Au reste l'Empereur désire M. Nigra et on aurait tort d'envoyer tout autre personnage que lu1. Si cela ne pouvait pas s'arranger faites sentir à M. de Cavour de ne pas nous envoyer des Villamarina, ni des hommes moulés sur le modèle de

M. Desambrois ».

J'ai parlé pour M. Pantaleoni. Le Ministre écrira à M. de Gramont, mais il ne croit pas à un succès. Trois autres recommandations de ce genre ont complètement échoué.

M. de La Gueronnière devait publier una réponse au Cardinal Antonelli, dans laquelle il y avait la conclusion que la ville de Rome devait renfermer le Pape et le Roi d'Italie. Cette publicat'ion a été suspendue.

J'ai communiqué à M. Thouvenel ce que vous m'avez mandé sur l'agent de Mazzini à Rome, et sur le dépòt d'armes près Albano. S. E. m'a chargé de vous demander le nom de cet agent.

Le Prince Napoléon vous remercie de la traduction de son discours et de la phrase insérée dans l'adresse de la Chambre.

S. A. travaille beaucoup en notre faveur, et depuis quelque temps il est meme assez écouté aux Tuileries.

On parle beaucoup de la dissolution du Corp Législatif. Je crois qu'elle n'aura pas lieu avant le remplacement de plusieurs préfets que je vous annonce plus haut.

Le Prince Napoléon vous demande par la lettre ci-jointe de son secrétaire, une réponse relativement à la nomination de M. de Lapeyrière.

Je regrette de devoir revenir sur la demande de la petite plaque de St. Maurice pour M. de St. Paul. Vous comprendrez que ce n'est pas pour mon plaisir que j'insiste là-dessus. Mais c'est que Persigny m'en a encore parlé hier avec instances.

19 mars.

J'ai donné par ècrit communicat'ion à M. Thouvenel de votre projet de reconnaissance provisoire. La pensée que l'exemple de la France puisse faire accepter à Berlin le meme arrangement a exercé sur M. Thouvenel una bonne influence. Conneau doit avoir ce matin préparé l'Empereur et j'espère pouvoir faire revenir le Ministre des affaires étrangères de son projet de n'accorder meme tacitement, aucune reconnaissance du royaume d'Italie, avant la présentation de l'adresse du Corps Législatif.

Mille cancans circulent dans les salons, les uns plus ridicules que les autres. On parle d'un revirement dans la politique impériale du à l'influence des dames de la Cour. Inutile de vous assurer qu'il n'en est rien.

Je quitte à l'instant La Gueronnière à qui on a positivement défendu toute

publication en réponse au Cardinal Antonelli.

M. Thouvenel lui meme s'y est fortement opposé ne voulant pas que des articles de journaux ayant un caractère officiel ou semi-officiel viennent discuter et proposer des solutions qui sont du ressort de son ministère seui.

On parle du départ du Général Trochu pour Rome avec 6/m hommes. Je n'en crois rien. Trochu est papalin et, au fond, orléaniste. Quoique dévoué à l'Empereur, il appartient, dans l'armée, au parti des mécontents. Etant son ami, j'ai été pour le voir et ne l'ayant pas trouvé chez lui, je lui ai donné rendezvous pour demain pour éclaircir cette affaire.

M. Thouvenel m'a fait l'ire une lettre de M. de La Vallette, où il lui parle de la conduite ignoble de Sir Bulwer à l'occasion de l'incendie de notre Légation. c: Durando, dit La Vallette, en est justement indigné ». La lettre n'en dit pas davantage.

J'attends depuis plusiers jours une occasion siìre pour vous envoyer, avec cette lettre qui devient un volume, celle si intéressante de Mazzini.

20 mars.

Hier au soir j'ai causé longuement avec M. de Persigny. Il me charge de vous dire qu'il est le seui parmi les Ministres qui ose soutenir vis-à-vis de l'Empereur la possibilité de l'unité italienne à la condition que Rome soit la capitale du nouveau Royaume. Pour lui, arriver à Rome c'est tout; les autres questions sont secondaires. Il m'a de nouveau promis d'employer toute son infiuence pour tenir l'Empereur tranquille afin que rien ne soit précipité dans cette grave question, tant que vous aurez l'espoir d'une chance de succès dans vos négociations. Dès que vous serez convaincu qu'elles ne pourront aboutir à rien, Persigny poussera l'Empereur à mettre en avant le projet que lui, Persigny, doit avoir proposé à S. M. 1., et dont la base est toujours le titre de Roi d'Italie et de Vicaire du St. Siège.

Le Ministre de l'Intérieur croit avoir trouvé par là un moyen d'abolir de fait le pouvoir temporel sans demander une renonciation formelle au St. Père.

Il m'a bien recommandé de ne pas dire un mot de son projet, car c'est un secret entre lui et l'Empereur. Alors j'ai cru devoir mettre ma responsabilité à l'abri de toute indiscrétion en lui disant que M. Thouvenel m'avait parlé d'un projet à peu près dans les mèmes termes. Persigny me dit alors: «J e suis très faché que l'Empereur ait commis cette indiscrétion, car il m'avait promis de ne rien dire à personne, tant que ce projet qui n'est qu'ébauché ne fiìt étudié et rendu praticable par les conseils mèmes de M. de Cavour».

J'ai assuré M. de Pers'igny que quant à moi je n'aurais pas soufHé mot et que, quant à M. Thouvenel, il mettait trop d'interèt à un arrangement pour qu'on puisse craindre que S. E. refuse d'agir de commun accord.

L'Empereur est très pressé d'en venir à une conclusion, et c'est avec peine qu'il voit passer les jours et les mois sans que la position puisse seulement se dessiner.

Il est bien facheux que le trop prudent rosminìen ait été éloigné de Rome. L'exil de Pantaleoni et l'allocution du Pape ne sont pas faits pour nous promettre que S. S. soit pour revenir à de meilleures dispositions.

L'Empereur m'a fait dire hier au soir par Conneau que c'est sur le Cardinal Antonelli qu'il faut agir.

Depuis longtemps l'Empereur, le Prince Napoléon, M. Thouvenel et tous ceux qui nous portent de l'intérèt ne font que me répéter que nos affaires de Naples et de Sicile vont de mal en pire. Je n'ai jamais voulu rien vous en écrire, Monsieur le Comte, sachant qu'au milieu de vos graves occupations ce n'était pas consolant de venir vous signaler des difficultés que vous connaissez mieux que tout autre.

Mais les choses en sont désormais à tel point que, réellement, un plus long

silence de ma part serait coupable.

C'est au point de vue de l'infiuence, que ces discordes des provinces du midi

exercent sur la politique du Gouvernement Impérial non seulement, mais de

tous le Cabinets d'Europe, que je crois devoir appeler toute votre attention sur ce douloureux sujet, qui, meme dans la question romaine, fait sentir ses fàcheux reflets.

Pourquoi M. Minghetti qui a tant d'influence sur toute la famille de Tattini a-t-il laissé venir cet imbécile à Paris? Ses jaseries chez les Murat et son embarras quand on le questionne sur la condition intérieure des provinces méridionales nous font beaucoup de mal. V. E. connait trop bien ce pays pour n'avoir pas de peine à croire qu'un imbécile meme avec les meilleures intentions peut faire un mal immense.

Je ne voudrais pas qu'ici on finit par faire retomber sur ce pauvre Nigra la responsabilité de ces malheureuses dissensions napolitaines. Vous savez qu'on saisit avec bonheur un nom connu pour l'amoindrir à dessein.

D'autre part vous savez aussi qu'il est trop nécessaire de lui conserver intacte la position que Nigra s'est crée ici par son talent.

Si Lamarmora entendait ce qu'on dit à Paris, l'envie lui passerait de faire des interpellations. Il faudrait que tous vos députés comprennent qu'il est bon de !aver son linge en famille.

Je ne suis pas alarmiste, mais je dois vous dire franchement que notre position à Paris n'est pas brillante. On viendra à bout de tout, mais il faut que chacun y mette du sien.

Je vous prie de faire remettre la lettre ci-jointe au Roi, dans laquelle je réponds à la demande qu'il m'adresse sur la possibilité d'une attaque de la part de l'Autriche, chose à laquelle je ne crois pas. Je me permets en meme tems de conseiller à S. M. d'user de toute son influence sur Garibaldi pour le tenir dans les limites de la prudence.

J'ai été chez le Général Trochu; il ne sait rien de son départ pour Rome. J'en ai parlé à Fleury, qui pense que si on devait envoyer quelqu'un remplacer Goyon, ce serait plutOt sur le Général Ladmirault que le choix tomberait. Au reste on n'a pas l'intention d'augmenter la garnison de Rome, mais plutot d'y envoyer un homme qui soit plus dans les idées de S. M. I.

Klapka est de retour; il m'a fait dire qu'il est malade; je le verrai donc plus tard.

Les Affaires d'Orient deviennent chaque jour plus graves; les troubles de l'Erzégovine, de la Bosnie et du Montenegro prennent des proportions toujours plus vastes. L'Empereur en est, comme vous pouvez le penser, enchanté.

Sachant que Garibaldi doit etre à Turin après demain et n'ayant ce soir aucune occas'ion je me décide à vous envoyer par M. Perrod la lettre de Mazzini.

J'espère que M. Perrod pourra me porter à son retour cette malheureuse petite plaque pour M. de St. Paul. Persigny m'en a encore parlé hier au soir pour la vingtième fois. Si vous ne croyez pas pouvoir concéder cette décoration, veuillez m'envoyer un non tranché, pour que je puisse me débarrasser de ces continuelles instances.

Ci-jointe une lettre que je vous prie de vouloir bien faire remettre à Castelli.

(l) La Gazzetta Militare di Torino, nel suo numero dell'll marzo 1861, in un articolo intitolato Nuovo equi!ibrio europeo, segnato R. B., aveva prospettato la possibilità che, c esistendo fortemente costituita l'Italia •, si addivenisse, d'accordo con la Francia e l'Austria, ad una divisione della Svizzera • in tre bocconi quasi uguali, accordando tutta quella parteche è al di qua delle Alpi e che è italiana, all'Italia, la parte occidentale alla Francia, la orientale all'Austria •• per modo che c la Svizzera non ritornerebbe ad essere che una vera espressione geografica •. Sulle proteste suscitate in !svizzera da questo articolo e da • manifestazioni annessioniste per U Canton Ticino, fatte a Como ed accennate con simpatia da giornali italiani •, v. A. COMANDINI, L'Italia nei cento anni, Milano 1900-1942, alla data 18 marzo 1861. Nel numero del 25 marzo 1861 la Gazzetta Militare pubblicò una dichiarazione affermando contraria al pensiero del giornale l'interpretazione data all'articolo dell'H marzo come di «una minaccia indiretta contro la generosa nazione •, ecc.

(2) -Si tratta dell'opuscolo di P. PEREGO, L'Italia al cospetto dell'Europa, Verona 1861. La lettera del Cavour, alla quale il Vimercati risponde, è in Q. R. II, 313. (3) -Allude alla lettera dell'abate Passaglia al Cavour del 23 febbraio 1861, edita in

(l) Allude all'opuscolo di M. n'AZEGLIO, Questioni urgenti, Firenze 1861.

30

Il PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR,

AL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 21 marzo 1861.

Je m'empresse de vous envoyer copie de la réponse que je viens de faire à une Note que le Gouvernement Anglais m'avait adressée dans les derniers jours du mois de Janvier. Veuillez en donner officieusement com:Ìaissance à M. Thouvenel.

Dans la meme occasion vous pourrez faire connaìtre incidemment à S. E. le Ministre des Affaires Etrangères, que le Gouvernement du Roi espère que l'Angleterre ne tardera pas à reconnaitre formellement le nouveau Royaume d'Italie. Vous ajouterez que je désire ardemment que le Gouvernement de l'Empereur prenne la meme décision, mais que je connais trop la réserve que l'Empereur s'est toujours imposée pour faire directement des démarches à ce sujet. Tout en laissant donc M. Thouvenel juge absolu de décider ce qu'il convient au Gouvernement Français de faire actuellement, vous vous bornerez à lui proposer d'adopter un système qui, sans impliquer une reconnaissance formelle, permettrait aux deux Gouvernements de maintenir provisoirement leurs relations. Ainsi vous pourriez, Monsieur le Comte, adresser à S. E. le Ministre des Affaires Etrangères vos communications dans votre qualité de Premier Secrétaire de Légation, Chargé des affaires de S. M. le Roi d'Italie; mais M. Thouvenel, dans ses réponses, pourrait s'adresser simplement à vous, sans énoncer votre caractère officiel. De son coté le Comte de Rayneval pourrait s'adresser simplement au Ministre des Affaires Etrangères, et de cette manière toute question étant réservée, aucun changement prématuré n'aurait lieu dans les rapports entre les deux Gouvernements.

Veuillez m'informer du résultat de votre entrevue avec M. Thouvenel que j'ai déjà fait sonder indirectement.

31

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., II, 339)

T. 338. Parigi, 22 marzo 1861, ore 16,25 (per. ore 17,20).

Après certaine résistance de l'Empereur et de Thouvenel, l'affaire de la reconnaissance provisoire est arrangée selon votre proposition. Thouvenel écrira au Chargé du Roi Victor Emmanuel. Gramont annonce l'envoi des demandes du Roi de Naples pour son patrimoine privé.

32

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. CONFIDENZIALE 198. Londra, 23 marzo 1861.

Conformément à ce que j'ai eu l'honneur d'écrire à V. E. par mes derniers rapports confidentiels, j'ai fait parvenir mercredi à Lord John ainsi qu'il avait été entendu entre nous, la notification officielle du titre de Roi d'Italie pris par

S. M. le Roi.

Je me suis au reste conformé à peu près littéralement dans cette communication aux termes de la dépeche du Cabinet que V. E. m'avait fait l'honneur de m'adresser à ce sujet et dont la rédaction avait paru aux Ministres anglais de nature à ne soulever aucune difficulté.

Ainsi que Lord John Russell vient de m'en informer confidentiellement, la réponse à cet office devra subir un retard de quelques jours grace au deuil de Cour qui a fait désirer à la Reine de s'abstenir de toute affaire jusqu'après l'inhumation de la Duchesse sa mère. Mais j'ai motif de croire que la reconnaissance a déjà été décidée dans le Conseil des Ministres.

ALLEGATO.

AZEGLIO A RUSSELL (l)

Londres, 19 mars 1861.

Mylord,

Le Parlement national vient de voter et le Roi Mon Auguste Souverain a sanctionné la loi en vertu de laquelle S. M. Victor Emmanuel II assume pour lut et ses successeurs le titre de Roi d'Italie. La légalité constitutionnelle a consacré ainsi l'oeuvre de justice qui a rendu l'ltalie à elle-mème. Dès ce jour l'ltalie affirme hautement en face du monde sa propre existence. Elle proclame solennellement le droit qui lui appartenait d'etre libre et indépendante; droit qu'elle a soutenu sur les champs de bataille et dans les Conseils européens.

L'Angleterre qui a d(ì et qui doit sa prosperité à l'applicati.on des mèmes principes. qui nous guident, verra avec faveur, j'en suis convaincu, se constituer officiellement et se faire reconnaitre en Europe une nationalité à laquelle le peuple du Royaume Uni a témoigné de si généreuses sympathies.

Je suis chargé par le Gouvernement du Roi de notifier officiellement cet événement mémorable à V. E. en sa qualité de Principal Secrétaire d'Etat pour les Affaires Etrangères de S. M. la Reine du Royaume Uni. Ce grand fait a une importance que

V. E. appréciera facilement. L'expérience du passé me permet d'espérer que la communication que j'ai l'honneur de lui faire lui causera ainsi qu'à ses collègues la meme satisfaction que j'ai à la lui adresser.

(l) Questa lettera e la risposta di Lord Russell del 30 marzo vennero presentate al Parlamento inglese: Correspondence respecting the assumption by King Vietar Emmanuet of the titte of King of Itaty, London 1861, n. l e 2.

33

IL GENERALE KLAPKA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

L. P. Parigi, 23 marzo 1861.

Je quitte ce soir Paris pour retourner à Genève. Le résultat de mes expériences faites ici et à Londres est loin d'etre sat'isfaisant. A Londres j'ai trouvé tout le monde contraire à notre mouvement et le ministère décidé à l'empecher à tout prix. On y tient à la conservation de l'Autriche comme un rempart contre la Russie. On appréhende surtout que la lutte une fois engagée en Hongrie ne se propage le long du Danube et plus loin peut-etre, et que la chute de l'Autriche n'entraine 'inévitablement aussi celle de la Turquie. De ce còté nous n'avons donc qu'à nous attendre à des obstacles de toute sorte et meme à des hostilités. La conduite des Consuls anglais dans les Principautés-Unies en est une preuve, que la reprise des armes par le Baushee (stationnaire anglais) vient encore corroborer.

D'un autre còté les mauvaises dispositions de l'Angleterre ne sont pas suffisamment compensées par les bonnes intentions de la France.

Ici on hésite, on craint de s'avancer. On ne fait rien dans les Principautés pour nous y faciliter nos travaux. On ne veut pas nommer Piace Consul Général à Bukarest, où on maintiendra probablement M. Tillos. L'Empereur a refusé de me voir. Je le regrette.

Ce manque d'appui si regrettable de la part de l'Empereur ne contribue pas peu à augmenter les difficultés de nos rapports avec les Roumains, les Serbes, et les Croates.

Le Prince Couza déjà si peu disposé à seconder nos efforts ne le sera pas d'avantage à l'avenir si on nous laisse sans soutien; et le parti rouge à Bukarest, agent involontaire de l'Autriche, excitera d'avantage encore les Roumains de la Transylvanie à la haine contre les Hongrois, poursuivant toujours leur malheureux reve de Daco-Roumanie au détriment de tous.

Quant aux Serbes et aux Croates quoique moins opposés à marcher avec

nous, ils sont encore hésitants, travaillés qu'ils sont par les menées autri

chiennes.

Ainsi donc suspecte à l'Angleterre, insuffisamment appuyée par la France,

menacée par la ~ussie et les nations voisines abusées, contenue à l'intérieur par

140.000 bayonettes, la Hongrie desarmée, ne peut évidemment songer à prendre l'initiative dans une lutte contre l'Autriche. Elle est forcément obligée d'attendre que l'Italie commence la première.

Mais comme l'Italie elle meme me parait encore loin d'avoir complété son organisation politique et militaire, il va donc s'écouler un laps de temps qui habilement et prudemment employé pourra assurer le succès de notre cause, mais qui par contre aménerait pour nous de conséquences funestes, si nous laissions le terrain trop libre à nos ennemis.

Pour la Hongrie ce qu'il importe de faire, c'est de soutenir l'esprit public, qui vient d'etre ébranlé par l'ajournement de la guerre. L'Autriche, habile toujours, profite de cette circonstance pour gagner des adhérents et se faire un fort

parti en faisant concessions sur concessions et en laissant entrevoir au pays le rétablissement complet de la constitution de 1848.

Pour empecher l'Autriche de réussir dans ses projets il faut avant tout faire cesser la rivalité et l'hostilité des différentes nationalités en leur montrant, dans une confédération un avenir, que l'Autriche jamais, ne saurait leur donner. Je veux parler d'une confédération dans laquelle entreraient tous les pays hongrois, roumains et slaves du sud.

Ne vous semble-t-il pas, Monsieur le Comte, que le moment est venu pour l'Europe, de porter son attention sur une question qui renferme assurément en elle la solution de bien des problèmes, et qui, tòt ou tard doit inévitablement etre mise sur le tapis.

J'ai déjà eu l'occasion de traiter cette question dans un opuscule qui a paru à l'époque de la guerre d'Orient (1). Pour etre juste je dois dire qu'on n'y fit pas grande attention, aujourd'hui peut-etre en excitera-t-elle un peu plus.

S'il nous était permis d'entamer hardiment cette grande question nous n'aurions plus rien à, craindre de l'Autriche. A l'antagonisme des races succédera'it immédiatement des rapports de fraternité que la perspective de leur fédération (sur le pied d'une égalité parfaite) feraient naitre dans tous les coeurs.

Notre théàtre de la guerre présenterait alors des avantages tout autres; nos ressources se trouveraient doublées; nos communications par mer et par terre et nos bases d'opération assurées, _enfin dans des conditions telles nous serions maitres d'engager la lutte quand et où nous voudrions, en raisonnant toujours dans l'hypothèse que l'appui mora! de la France et l'aide matériel de l'Italie ne nous feraient pas défaut.

Avant de poser la question de la confédération danubienne devant le public, je désirerais bien connaitre s'il y a danger à le faire en ce moment, et si cette démarche ne serait pas en opposition avec les idées de l'Empereur et le grand reuvre que Vous poursuivez en Italie.

J'ai vu Mieroslawski; absorbé qu'il est par les événements qui se passent en Pologne, il m'était facile de le ramaner à des idées autres que celles qu'il avait manifesté à Garibaldi et Bixio. J'aurais vivement dés'iré voir ce dernier, malheureusement il n'est pas encore arrivé à Paris.

Oserais-je Vous demander, Monsieur le Comte, si vous avez bien voulu donner l'ordre à M. Cerruti pour la terminaison de nos affaires en Orient? J'attends avec une vive impatience votre réponse à toutes les questions que j'ài eu l'honneur de Vous exposer dans cette lettre.

34

L'ABATE PASSAGLIA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR (Ed. in Q. R., II, 347)

L. P. Roma, 25 marzo 1861.

Il 24 corrente ad un'ora e mezza pom. mi recai, giusta il convenuto, dal Cardinale Antonelli, il quale pressochè senza esordio, cosi si fece a favellare: Professore, io opino che non riusciremo a niente, e che il negozio morrà in embrione.

Il governo del Re si è diportato e si diporta come non si addice a chi vuole sinceramente trattare, ma come è proprio di chi è solo inteso ad osteggiare. E qui mi sfilò una lunga catena di torti a suo dire gravissimi contro la Chiesa, e fra questi singolarmente mi annoverò l'adoperato e ciò che tuttora si adopera contro il Card. De Angelis. Dalle quali premesse concluse, che tutto sconsigliava di cominciare negozii. Tanto più che da una memoria presentata dal Dr. Pantaleoni era palese, che col proporre negozii, non si mirava ad altro, che ad invitare il Papa a strozzarsi con le sue mani, cedendo il suo poter temporale.

Replicai ciò che mi si offerse di più acconcio, e rispetto alla memoria del Dr. Pantaleoni pregai S. E. ad avvert'ire che quella (oltre a essere a lui personale e da lui, senza che da me fosse letta, comunicata da prima amichevolmente al Card. Santucci, ed ultimamente presentata a Sua Santità in propria discolpa) era ipotetica e non esclusiva. Era ipotetica e dipendente dalla supposizione che la somma dei fatti sociali dello Stato pontificale, nazionali dell'Italia, ed internazionali dell'Europa, chiarissero con evidenza che il poter temporale pontificio era effettivamente perduto, né potea nutrirsi probabile speranza di ricuperarlo né moralmente né materialmente. Soggiunsi che la memoria non era esclusiva, ed in prova lessi a S. E. un mio brevissimo scritto concepito in questi termini: <I designati dal governo del Re essere autorizzati ad iniziare le trattative per quantunque da Sua Santità fossero ristrette con doppia limitazione, lo) con la limitazione reale, non volendosi trattare che di cose spirituali e religiose, e 2o) con limitazione corografica, intendendosi di non trattare che rispetto agli Stati ereditarii del Re ed a quelli della Lombardia».

A tal mia lettura replicò il Cardinale, che avrebbe nuovamente udito l'oracolo di Sua Beatitudine, ma che frattanto non poteva a meno di farmi osservare, che Sua Santità non avrebbe giammai ricevuto il Dr. Pantaleoni come persona pubblica e destinata a negoziare officiosamente, anzi essersi dal Governo irremovibilmente stabilito di allontanarlo da Roma.

Senza perdermi di animo, addussi in mezzo quelle osservazioni, che mi sembravano valevoli a rimuovere il governo pontificio dal preso consiglio; ma chiaramente accorgendomi che le mie parole tornavano non meno inutili che ingrate, per ultimo notai, che di leggieri si crederebbe punirsi il Dottore per l'affidatagli missione.

Non è così, ripigliò animato il Cardinale, non è cosi, essendo diversissimi i motivi che ci muovono a voler lungi da Roma il Dr. Pantaleoni: a questa determinazione non siam venuti in alcun modo per l'officio a cui dicesi designato, sebbene ci abbia recato meraviglia, che, senza prevenirci con lettera, siasi scelto a trattare un suddito pontificio. Anche riguardo a lei, che sebbene non sia suddito pontificio, è però Professore della Romana Università, sarebbe stato dicevole che prima ci si scrivesse.

Replicai più cose, ma sopra tutto insistetti presso il Cardinale affinché a cagione delle persone non volesse rovinato il negozio. Non essere malagevole sostituirsi altre persone se non più accette, almeno non tanto ingrate. Mi spiegasse pertanto con nettezza il suo pensiero. Ed egli incontanente mi soggiunse, che a mio riguardo niente occorreva in contrario, e che poteva opinarsi che il Papa non ne sarebbe scontento; ma che riguardo al Dr. Pantaleoni in suo nome scrivessi a V. E., che siccome egli non era espulso da Roma per causa del negozio, cosi non sarebbe giammai accettato da Sua Santità. Mi lasciò quindi cortesemente, ripetendomi che avrebbe nuovamente ascoltato il S. Padre, né avrebbe mancato di avvertirmi dell'ultima decisione.

Vede senza fallo V. E. in qual condizione io mi trovi, e quanto abbisogni d'istruzione e di conforto.

In un episodio, in cui meco si lamentava il Cardinale dell'esser Roma facilissima ai sospetti ed alle calunnie: avrà udito, mi disse, ciò che si è sparso a mio disdoro, essermisi, cioè, da non so chi per nome Aguglia offerto denaro per guadagnarmi, ed essersi a questo bruttissimo scopo usata eziandio l'opera di un certo prete Isaia del quale farò le dovute inchieste. M'infinsi, e come chi è colpito da stupore, risposi: veramente mi accorgo che non havvi altezza superiore ai dardi della calunnia. Cosi è, continuò egli, ed anche i redattori dell'Armonia servirebbero meglio alla causa, se nelle loro corrispondenze si mostrassero meno fanatici e più veraci.

Il Dr. Pantaleoni profondamente afflitto pel suo infortunio, al quale io sinceramente partecipo, nutre pensieri neri ed estremi, e significa voler ribattere l'ingiuria publicando quel tutto che si è finora amichevolmente e confidenzialmente non meno detto, che scritto. Io mi sento costretto a disapprovare sì audace divisamento, né solo perché il medesimo non gioverebbe al Dottore, protestando il governo pontificio che se lo punisce, è a ciò spinto da altre cagioni, che dall'aver esso o promosse amichevolmente trattative, o eziandio accettata la persona officiosa di trattatore; ma molto più perché l) si violerebbe il segreto dell'amicizia e della privata confidenza, 2) si recherebbe danno e disgusto all'ottimo Card. Santucci, 3) si toglierebbe a me ogni buon nome, come a violatore di segreti confidenziali, 4) s'inasprirebbe Roma, e 5) con un grande scandalo si chiuderebbe ogni adito a conseguire un gran bene. Il perché, fidato nella prudenza dell'E. V., io la supplico con ogni istanza ad addolcire l'animo amareggiato del Dottore, ed a distoglierlo da un proponimento quanto per lui inutile, tanto pe' suoi amici e pel comun bene pernicioso.

P. S. -Per ragioni che l'E. V. di per sé può intendere non ho consegnato la presente al Dr. Pantaleoni; per suo mezzo ne riceverà un'altra in cui ripeterò alcune delle cose in questa già scritte.

(l) La guerre d'Orient en 1853 et 1864, Genève 1855.

35

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., II, 352)

L. P. Parigi, 25 marzo 1861.

Une jolie occasion se présente pour vous envoyer ce soir quelques mots.

J'ai vu M. Thouvenel qui vous recommande de bien surveiller qu'on ne fasse pas sur la frontière autrichienne quelque imprudence, qui puisse donner à l'Autriche un prétexte de nous attaquer.

Par le Prince de Metternich et par M. de Moustier on a reçu l'assurance

qu'on ne prendra pas à Vienne l'offensive, mais qu'on saisira avec plaisir le

prétexte qui se présenterait pour nous attaquer.

J'ai vu une lettre de M. de Gramont, par laquelle il informe M. le Ministre des Affaires Etrangères, de l'intention du Roi François de quitter Rome au commencement de la semaine prochaine. Il se rendra à Munich en passant par Marseille, mais sans toucher Paris.

V. E. recevra bientot par M. de Rayneval des communications concernant les biens particuliers de François II. J'ai fait connaitre vos intentions à cet égard à M. Thouvenel, qui les trouve justes. S. E. se permet pourtant de vous conseiller d'agir avec largesse.

M. Boittelle, que j'ai vu h'ier au soir, me charge de vous prévenir qu'un grand mouvement s'opère parmi les mazziniens; plusieurs d'entre eux ont traversé Paris pour se rendre en Italie.

Le Préfet de Police est tout scandalisé de voir siéger à notre Chambre

M. della Gatt'ina, qui a été un des agents de sa police et que, par bien des raisons, il suppose avoir été en meme tems, au service de la police autrichienne. M. Boittelle m'avait déjà dit cela, il y a deux ans. Je crois non inutile de vous en prévenir, pour que vous preniez garde de le faire entrer dans aucun comité ou discussion à huis clos.

On exploite toujours le mécontentement de Naples.

Je sens que je deviens ennuyeux sur ce sujet, mais je crois de mon devoir de vous dessiner, autant que possible, la situation. J'ai présenté hier Klapka à Conneau. L'Empereur savait que cette entrevue devait avoir lieu, et il a fait con

seiller au Général par le Docteur d'écrire une brochure pour prouver la possibilité que le mouvement hongrois, d'accord avec l'élément slave, arrive à former une confédération danubienne qui, en respectant les différentes autonomies, formerait une force apte à remplacer l'Autriche dans l'équilibre européen.

Bien entendu, Conneau n'a pas donné ce conseil au nom de l'Empereur, mais il a simplement dit à Klapka: qu'il croyait utile de diriger dans ce sens l'esprit public et qu'il pensait que celle-là était la véritable opinion de l'Empereur.

M. de Rayneval n'a pas manqué d'envoyer à M. Thouvenel des informations malveillantes sur la manière dont le nouveau Ministère a été formé.

Il dit que le Roi a fait tout son possible pour se passer de V. E., et qu'il avait, dans ce but, fait appeler tous ceux qui auraient pu, à son avis vous remplacer. Tous ayant décliné cet honneur, le Roi aurait été forcé d'avoir encore recours à votre coopération.

Heureusement ayant dans ma poche votre dernière lettre, j'ai pu rétablir, sans peine, la vérité.

Je vous ai annoncé une mission secrète confiée à un certain M. Cornu. A cet agent on a adjoint un officier d'artillerie, très habile et ami intime du Colonel Favé, chargé, je crois, de donner à l'Empereur des informations précises sur l'état des esprits à Rome. Je n'ai pas encore pu saisir quel soit le véritable but de cette mission, ma'is ce que je puis vous confirmer c'est que M. Cornu a des liaisons avec les mazziniens.

Veuillez avoir la complaisance, Monsieur le Comte, de me faire savoir si vous avez donné à M. Matteucci une mission pour Rome. D'après la lettre de recommandation auprès du Due de Gramont qu'il a demandée à Conneau et que l'Empereur a autorisé le Docteur à lui donner, on pourrait croire qu'il va à Rome d'après des intelligences avec vous. Cela surprendrait l'Empereur qui connait l'inconstance des opinions de M. Matteucci par rapport à la question de la capitale de l'Italie.

L'Empereur ne croit pas que l'Autriche nous attaque, si on ne lui en donne pas un prétexte. Pour que cela n'ait pas lieu il serait d'avis de tenir le troupes royales à une certaine distance de la frontière.

Nino Bixio est attendu ici par Klapka, qui reviendra d'une course à Genève pour la réunion qui doit avoir lieu samedi prochain.

Le Général Miéroslawski sera aussi à cette réunion. Ses opinions sont pourtant si exaltées que je crains qu'il ne détruise le travail, qu'on a fait pour calmer momentanément les esprits et éloigner les événements. Je vous rendrai compte de ce qui sera fait dans cette séance et Klapka vous en informera aussi de son còté.

Ayant chargé Conneau de sonder l'opinion véritable de l'Empereur sur la reconnaissance définitive du Royaume d'Italie, le Docteur a entretenu ce matin longtems S. M. à ce sujet.

L'Empereur serait assez disposé à ne pas attendre méme la demi-solution de la question de Rome, et nous reconnaitrait peu de tems après l'Angleterre. Dans son idée cette reconnaissance porterait une réserve pour la question Romaine.

Je ne sais si cet arrangement pourra convenir au Gouvernement du Roi, et comme cette idée pourrait etre communiquée par S. M. à M. Thouvcnel, je vous serais très obligé de quelques instructions à ce sujet. Car si une reconnaissance avec réserve n'entrait pas dans vos vues, il faudrait en étouffer la pensée, tant qu'elle n'est pas encore sortie du cabinet de S. M.

Je vous prie de vouloir bien m'envoyer des nouvelles sur l'allure de vos négociations de Rome. Veuillez aussi me parler de Naples et de vos projets pour l'oi'ganisation de ces provinces.

Vous avez à Turin M. Cocherie pour traiter des chemins de fer romains.

Prenez garde, car ce Monsieur n'inspire ici aucune confiance, et sa conduite dans toute cette affaire des chemins de fer romains est loin d'etre bianche comme neige. Je pourrai, si vous en avez désir, me procurer et vous communiquer des détails là dessus par M. Benoit Champy, avec lequel je suis beaucoup en relation.

36

ALEXANDRU IOAN CUZA A VITTORIO EMANUELE

(A. C. R.)

L. p. Ia~i, 13-25 marzo 1861.

L'Italie libre enfin après tant de siècles d'oppression vient de pouvoir exprimer ses vreux au grand jour et vous a proclamé son Roi (l): que V. M. me

permettre d'etre un des premiers à lui en adresser mes félicitations. Je n'ai pas oublié que lorsque la Roumanie elle aussi a cherché à se constituer, V. M. a été parmi les plus chaleureux défenseurs d'une double élection qui fut un premier pas vers notre union. Les italiens qui sont nos aines ont atteint le but avant nous et loin de leur porter envie, nous saluons au contraire leur succès comme un gage d'espérance pour notre avenir. La communauté d'origine et d'intérets qui nous lie à eux, nous a fait suivre avec sollicitude toutes les phases de la lutte. Aussi c'est la conviction bien entière qu'au milieu de son triomphe V. M. daignera continuer à mon Pays et à moi les témoignages de sa bienveillance que je la prie d'agréer la nouvelle expression de mon respect et de mon dévouement.

(l) Sul riconoscimento ufficiale del Regno d'Italia da parte dei Principati Uniti di Valacchia e Moldavia, cfr. Gazzetta Ufficiale àe! Regno d'Italia, 21 maggio 1861, n. 124.

37

IL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. CONFIDENZIALE 31. Parigi, 27 marzo 1861.

Ho l'onore di accusare ricevuta all'E. V. dei dispacci confidenziali che si compiaceva indirizzarmi sotto la data del 21 e 22 corrente mese, e mi affretto ad informarLa del risultato del colloquio ch'io ebbi sul loro contenuto con questo Signor Ministro degli Affari Esteri.

Anzi tutto il Signor Thouvenel mi diede l'incarico di rendere grazie a

V. E. per la comunicazione ch'io gli avea data del dispaccio da Lei indirizzato al Signor Marchese d'Azeglio in risposta ad una Nota di Lord John Russell. Venendo quindi in sul particolare del sistema da V. E. proposto perchè venga da questo Imperiale Governo in certo qual modo tacitamente riconosciuto il nuovo Regno d'Italia, il Signor Thouvenel mi disse che non aveva difficoltà di accettarlo nel modo indicato, e che per conseguenza io poteva indirizzargli le comunicazioni ufficiali sotto il titolo di Incaricato degli Affari di S. M. il Re d'Italia: dal canto suo il Signor Thouvenel mi avrebbe risposto coll'enunziare la qualità di Incaricato degli Affari di S. M. il Re Vittorio Emanuele. Non pareva conveniente al Signor Thouvenel che gli uffizi che egli mi rivolgesse, non portassero le indicazioni di alcuna qualità ufficiale, e credeva che il partito che egli voleva adottare era il più opportuno e decoroso per la dignità dei due Governi. Non credetti doversi da me fare alcuna opposizione, e ne informo l'E. V. per sua norma e per quelle istruzioni ch'Ella credesse conveniente darmi sul proposito.

Stando le cose in siffatti termini, io prego l'E. V. di volermi notificare se io sono autorizzato a mettere in esecuzione il nuovo sistema, se posso mutare l'intestazione delle carte e dei sigilli della Legazione, ed abbassare dalla porta del palazzo della Legazione l'antica iscrizione di Legazione di Sardegna. Senza ordini precisi di V. E. però, non mi crederò permesso di sostituire all'antica iscrizione la nuova di Legazione d'Italia. Il Signor Thouvenel avendomi richiesto di voler usare somma riserva per quel che concerne questi cambiamenti ai quali dà origine la trasformazione politica d'Italia, io gli promisi di procedere nel modo il più prudente e riservato che mi sarà possibile.

Avendo chiamato l'attenzione del Sig. Ministro degli Affari Esteri sulle difficoltà suscitate ai Capitani dei bastimenti napoletani nei porti dell'Algeria, rispetto alle quali l'E. V. mi facea l'onore d'intrattenere col Dispaccio più sopra menzionato del 22 corrente, il Signor Thouvenel mi rimise copia di una nota che in sul proposito egli avea fatto preparare, e nella quale sono indicate le misure prescritte dal Dipartimento degli Affari Esteri per porre in assesto la posizione dei bastimenti napoletani in Algeria. Si scorge da tale Nota che le ultime istruzioni mandate sul particolare da Parigi alle autorità d'Algeri portano la data del 8 di questo mese. In conseguenza di ciò il Signor Thouvenel crede che gli inconvenienti a cui allude il dispaccio di V. E. del 22 corrente, debbono essersi prodotti anteriormente all'epoca dell'arrivo delle prescrizioni mandate in Algeri. Egli crede che lo stato delle cose che finora ha turbato la situazione della Marina Napoletana cesserà d'ora innanzi assolutamente. Malgrado l'assicuranza datami dal Signor Thouvenel su questo proposito, io lo pregai nell'interesse dei rapporti commerciali esistenti fra l'Algeria e l'Italia meridionale, si compiacesse rivolgere novelle istruzioni a chi di dovere per rimuovere ogni qualunque dubbio che su questo soggetto potesse sorgere nell'animo delle Autorità di quella Colonia Francese. Il Signor Ministro degli Affari Esteri accolse benevolmente la mia preghiera e mi promise che vi avrebbe acconsentito. Mi pregio trasmettere qua unito a V. E. la Nota più sopra menzionata di questo Ministero degli Affari Esteri.

A titolo di confidenziale informazione il Signor Thouvenel mi permise di prender copia sia di un messaggio telegrafico che il Generale La Rocca indirizzava da Ascoli il 18 marzo corrente a S. A. R. il Conte di Trapani, sia d'una lettera che il re Francesco II rivolgeva il giorno dopo, sul soggetto del precitato telegramma al Signor Duca di Grammont. Dal contenuto di questa ultima lettera si scorge avere il re Francesco II protestato contro la condotta dei difensori di Civitella del Tronto. Unisco in copia questi due documenti all'E. V.

38

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. 312. Berlino, 28 marzo 1861.

Dans une visite que j'ai faite ce matin au Ministre des Affaires Etrangères je me suis acquitté de la commission dont j'étais chargé par la dépeche de

V. E. en date du 20 mars. Le Baron de Schleinitz nous savait gré de ne pas ag~r avec précipitation dans la question de la reconnaissance. Il m'a renouvelé sous une forme bienveillante ses déclarations antérieures. Quant à l'expédient suggéré dans la dépeche précitée, il m'a fait observer que d'une part dans les communications adressées par écrit au Corps Diplomatique le Ministère avait déjà l'habitude de se borner à la suscription ou adresse personnelle aux chefs de mission sans aucune qualification officielle; que d'autre part il était d'usage, ce qui est parfaitement exact, que les représentants étrangers dans leur correspondance avec le Cabinet Prussien ne passaient que des commu

nications sous forme de lettres et non sous celle de notes à la troisième

personne; qu'ainsi le meilleur moyen d'échapper aux difficultés était précisé

ment celui de ne rien innover dans la coutume établie. En un mot, il ne s'est

pas explicitement refusé à admettre mon nouveau titre; mais il a tout natu

rellement invoqué des règles de chancellerie qui ne préjugent pas le fond de

la question. Il me semble que nous pouvons y souscrire sans manquer à notre

dignité. D'ailleurs je ne recevrai, ni ne prendrai plus la dénomination de Mi

nistre de Sardaigne, dans les rapports entre le Cabinet de Berlin et la Léga

tion. Depuis quelque temps déjà je n'ai plus employé que le cachet à mes

armes.

J'ai aussi cru devoir appeller l'attention du Baron de Schleinitz sur les embarras que pourraient causer les affaires des passeports et des visas, si nous ne nous entendions pas d'avance. Il m'a répondu que sur ce point un mode de procéder avait déjà été concerté à Turin, sous la réserve expresse qu'il n'impliquerait en rien une reconnaissance de la part de la Prusse; qu'ainsi, il ne verrait pas d'inconvénient à ce que le meme système fut adopté à Berlin. D'après ce langage je puis me croire autorisé à délivrer et à viser les passeports au nom du Roi d'Italie, à moins que V. E. ne préfère que je conserve l'ancienne formule, de crainte que nous ne rencontrions de l'opposition chez les diplomates de quelques Puissances plus formalistes ou moins bien disposées que la Prusse.

Dans tous les cas, j'attendrai des instructions avant de changer les timbres, les cachets, de faire faire une planche pour un nouveau registre de passeports selon les modèles et la formule que le Ministère voudra bien sans doute me transmettre à cet effet.

Je tàcherai de me débrouiller de mon mieux dans cette époque de difficultés et de transition.

39

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. 313. Berlino, 28 marzo 1861.

La nouvelle de la démission du Ministère a produit ici une vive sensation jusqu'à ce qu'on ait appris de source certaine que V. E. était chargée de former le nouveau Cabinet, au grand dépit de nos adversaires, à la grande joie de nos partisans. J'ai eu une occasion de plus de remarquer à quel point tout ce qui a trait à votre personne, Monsieur le Comte, s'empare de l'opinion publique et devient aussitòt l'occupation de l'Europe.

Je vous remercie, Monsieur le Comte, d'avoir bien voulu me communiquer la dépeche que Vous avez adressée au Marquis d'Azeglio le 16 courant. Camme elle m'était parvenue par la voie ordinaire de la poste, et qu'ainsi il y avait à parier cent contre un qu'on en connaissait le contenu, et que d'ailleurs elle arrivait fort à-propos pour repousser les attaques incessantes du

!> • Documenti diplomatici • Serie I -Vol. I

parti rétrograde, j'a1 cru devoir en donner confidentiellement lecture au Baron de Schleinitz. Ce document l'a interessé au plus haut point et m'à paru produire une heureuse impression sur son esprit. Il s'est cependant permis de parler de l'Italie Méridionale dans des termes qui indiquaient combien il était prévenu par des récits allarmants. D'après ses propres données, les Muratistes s'y agitent beaucoup, et y gagnent du terrain. En outre, il n'était pas entièrement convaincu de l'exactitude de l'assertion que l'Autriche, sous une forme très confidentielle, s'est réservée le droit de faire valoir ses prétentions lorsqu'elle le jugerait conforme à ses intérP.ts. S. E. m'a donné l'assurance qu'à Berlin du moins rien de semblable n'avait été dit. Quoi qu'il en soit, Elle avait lieu de croire qu'à Vienne on ne songeait nullement à nous attaquer.

M. de Schleinitz n'ajoutait pas foi aux récits des journaux sur l'envoi de nouveaux renforts dans la Vénetie. Ces mèmes journaux racontaient également que le Cabinet Autrichien avait protesté contre la proclamation du Royaume d'Italie. <Voici, disait-il, la vérité à cet égard: Le Comte Rechberg a fait pressentir les Puissances sur leurs intentions quant au Royaume d'Italie, que pour son compte le Gouvernement Impérial ne consentirait pas à reconnaitre. Il n'y a pas eu de protestation formelle».

Quant à la situation générale en politique, on croit ici que nous aurons un répit de quelques mo'is; aucune question n'étant assez briì.lante pour amener de sitòt une guerre. Mais les calculs ne vont pas plus loin, en présence de complications qui se préparent en Orient et mème dans le Danemark. Le Cabinet de Cop€nhague est toujours aux prises avec la Diète du Holstein. Pour surcroit d'embarras la nationalité Polonaise s'agite avec une prudence qui trainera les choses en longueur; mai qui déconcerte ses ennemis.

J'aurais voulu obtenir quelques indications sur l'état interieur de l'Autriche; mais on est très réservé au Ministère et mes collègues en sont comme moi réduits aux conjectures, en attendant la réunion de la Diète de Hongrie. Il parait cependant positif que les élections, pour les assemblées provinciales ont en grande majorité une couleur libérale assez prononcée. Les parties Allemandes de l'Empire se prononcent pour la centralisation car elles se flattent deprimer, comme le principal élément civilisateur, tandis ques les députés des autres régions répresentent des idées fédéralistes ou séparatistes. Il est donc nature! qu'en présence de tendances si diverses on hésite à émettre dès aujourd'hui une opinion sur les conséquences pratiques du nouveau régime Impérial.

40

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. CONFIDENZIALE 200. Londra, 30 marzo 1861.

Je m'empresse de faire parvenir à V. E. la copie ci-jointe de la communication officielle que je reçois à l'instant de la part de Lord John Russe!, et par laquelle le Principal Secrétaire d'Etat pour les Affaires Etrangères de

S. M. Britannique m'informe qu'après avoir pris les ordres de la Reine il a étè autorisé à m'annoncer que je serai désormais reçu à la Cour d'Angleterre en qualité d'Envoyé de S. M. Victor Emmanuel II Roi d'Italie.

Cette importante nouvelle que les bonnes dispositions du Gouvernement de

S. M. pouvaient nous faire pressentir, n'en est pas moins un événement d'une grande portée. C'est pour ainsi dire la consécration finale et le couronnement de la politique anglaise pendant la grande époque que nous venons de traverser.

Je suis heureux pour ma part de me trouver ainsi le premier Envoyé Italien à qui il appartienne d'annoncer à Notre Auguste Souverain la reconnaissance par une Cour étrangère du titre glorieux qui Lui a été décerné, par acclamation, par une nation reconnaissante.

Cette démarche, j'aime à le croire, consolidéra les rapports si heureusement établis entre la Cour d'Italie et celle de la Grande Bretagne.

.ALLEGATO.

RUSSELL AD AZEGLIO (l)

Foreign Office, march 30, 1861.

I have had the honour to receive your letter of the 19th inst. informing me that the national parliament has voted and the King your August Souvereign has sanctioned a law by virtue of which His Majesty Victor Emmanuel the II assumes for himself and for his successors the title of King of Italy.

Having laid your communication before Her Majesty the Queen I am commanded to state to you that Her Majesty acting on the principle of respecting the independence of the Nations of Europe, will receive you as the Envoy of Victor Emmanuel the II, King of Italy.

Corresponding instruction will be given to Sir James Hudson Her Majesty's Envoy Extr. at the Court of Turin.

41

IL MINISTRO A BERNA, JOCTEAU, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. 215. Berna, 30 marzo 1861.

Ainsi que je me suis empressé de le mander, tout à l'heure, à V. E. par le télégraphe, le Conseil Fédéral a décidé, dans sa séance de ce matin, que les anciennes et bonnes relations qu'il entretenait avec la Sardaigne seraient continuées, avec le Gouvernement du nouveau Royaume d'Italie. M. le Président de la Confédération, en me l'annonçant verbalement, m'a dit que le Conseil Fédéral avait déterminé, comme acte de courtois'ie, de charger son Représentant à Turin de faire à ce sujet une communication à V. E., en meme temps que je la recevrai, moi-meme de son Président.

S. -M. la Regina ho avuto incarico di ~is~ondervi che ~· JYI.• la quale ag~sc": seCOJ?-dO. il P.rincipiodi riSPettare l'indipendenza delle n~zw.m d'Europa, V1 n.ceverà quale mv1~to .d1 V1ttono .Em~nuale II, re d'Italia. Analoghe istruz10n1 saranno date a s1r James Hudson, 1nvmto straord1nano

di S. M. alla Corte di Torino •.

J'ai offert de s'incères remerciements à M. Kniisel pour les paroles obligeantes qu'il a bien voulu me dire à cette occasion, et je me suis associé à la confiance qu'il a témoigné que les rapports de la Suisse avec le Royaume d'Italie seraient conformes aux sentiments d'amitié qui ont existé, jusqu'à présent, entre les deux Etats.

M. Kniisel m'a annoncé en meme temps que le Conseil Fédéral avait nommé M. Jauch, Conseiller National et M. Bolla, Conseiller et Secrétaire d'Etat, l'un et l'autre du Canton du Tessin, comme Commissaires pour l'arrangement de l'affaire de la Mense de Como. Ils devront s'entendre avant tout avec ceux que le Gouvernement de S. M. nommera de son còté sur le lieu et l'époque de leur reunion. Ayant indiqué Turin comme l'endroit le plus convenable, M. Kniisel n'a opposé aucune difficolté à ce choix.

Avant la conversation que je viens de résumer, j'avais fait part à M. le Président de la dépeche que V. E. m'a fait l'honneur de m'écrire en date du 26 au sujet de l'artide de la Gazette Militaire dont j'avais déjà parlé avec lui et j'ai pu voir que les explorations confirmant celle que je lui avais données, moi meme, l'ont entièrement satisfait.

P. S. -Le Cabinet de Vienne n'a point fait notifier au Conseil Fédéral la protestation contre le titre de Roi d'Italie que les journaux lui attribuent, mais j'ai toute raison de croire que son Ministre en Suisse a fait son possible pour empecher que ce titre fùt reconnu par la Confédération.

(l) -La lettera di Lord Russell fu pubblicata in traduzione italiana nella Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Torino, 14 aprile 1861, n. 92: c Ho l'onore di ricevere la vostra del 19 u. s. la quale mi informa che il Parlamento nazionale ha votato e che il Re vostro augusto Sovrano ha sanzionato la legge in virtù della quale S. M. Vittorio Emanuele II assume il titolo di re d'Italia per sè e per i suoi successori. Avendo dato la vostra comunicazione a
42

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., II, 360)

L. P. Parigi, 30 marzo 1861.

Le discours de V. E. sur la question Romaine a été favorablement accueilli par l'Empereur. Les Ministres l'ont trouvé remarquable, quoique aucun d'eux ne se dissimule qu'on aura bien des diffi.cultés à faire accepter par la Cour de Rome les principes que vous y énoncez. En général on prévoit aussi que, si ces principes étaient acceptés, ils ne manqueraient pas d'agir, avec le tems, sur les Concordats français.

Les cléricaux et les légitimistes, loin de voir dans vos propositions une voie de conciliation, tàchent par tous les moyens de faire déclarer par l'Empereur que jamais il ne consentira à ce que le pouvoir temporel, nécessaire suivant eux à l'indépendance du Pape, soit aboli. Conneau me disait hier au soir que des lettres innombrables arrivent à S. M. toutes demandant la conservation du pouvoir temporel.

Benedetti et Persigny remercient vivement V. E. de la plaque envoyée à St. Paul, à qui ils paraissent tenir beaucoup tous les deux. J'ai remis cette décorat'ion à Benedetti, qui le premier m'avait chargé de la demander à V. E.

Persigny est dans un état de véritable fureur contre les cléricaux; il a le

tort de trop crier et d'exciter par ses éclats les partis.

On parait décidé, pour combattre le haut Clergé, à relever et soutenir

le clergé subalterne. Par l'abolition des offìcialités portée par les Concordats

français ce clergé a été mis tout à fait à la merci des Eveques, et sur ce point

ces derniers trouvent excellents les Concordats, qu'ils tachent de détruire pour

tout le reste.

On dit que l'Empereur est très perplexe sur la question romaine. Il est

bien vrai qu'il voudrait trouver un moyen, ne fut-il que transitoire, pour la

résoudre, et je ne serais pas éloigné de croire que dans quelque tems il ne

veuille s'immiscer dans vos négociations avec Rome en apportant peut-etre

quelque modifìcation à votre projet pour en rendre l'acceptation plus probable

à Rome et pour pratiquer la menace de livrer la Cour de Rome à ses ressources

en retirant ses troupes.

En meme tems il se demande quelque fois s'il ne serait pas mieux de prolonger l'état actuel. Si le P. Passaglia pouvait réussir, quelle leçon pour les ultramontains, plus papistes que le Pape, et quel triomphe pour votre politique!

Mais peut-on l'espérer? J'attends avec impatience le résultat de votre

dernière entrevue avec le P. Passaglia.

L'Impératr'ice m'a fait dire par M. Thouvenel de vous prier de faire

évacuer le palais de sa cousine, la Duchesse de Bivona à Naples, qui est occupé

par un général, je crois.

La Duchesse de Bivona est une bourbonnienne enragée, qui s'est jetée dans les bras du bon Dieu sans dédaigner ceux des hommes, quand elle peut y arriver.

J'ai communiqué à M. Thouvenel votre télégramme de ce matin, ainsi que les dépeches du général Durando dont il m'a demandé une traduction française pour en faire part à M. le Prince de Metternich.

Quant au navire nolisé à Marseille, la plus grande surveillance sera exercée. Le Ministre a été très satisfait de ce que vous me dites dans votre lettre de la résolution du Gouvernement du Roi de s'opposer, meme par la force, à toute tentative d'attaque des lignes autrichiennes par des Garibaldiens. Il a ajouté, en plaisantant, qu'il serait beau que Garibaldi réussit à compromettre la France, comme il a compromis le Piémont, qui en a eu pour prix le royaume de Naples. <Si cela arrive, a dit S. E., nous en aurons pour notre part la Vénétie que nous garderons ».

M. Thouvenel est à nous plus que jamais et l'opposition qu'on fait ici à la politique impériale n'a fait que le confìrmer dans ces idées.

Je ferai parvenir à l'Empereur la demande de M. d'Arminjou. Ceci du reste ne présente aucune difficulté, car on ne refuse à aucun français la faculté de prendre une nationalité étrangère et on la refusera moins encore dans le cas présent, où il s'ag'it pour M. d'Arminjou de redevenir ce qu'il était.

L'interpellation du général de Lamarmora a été colportée ici par tous nos ennemis. Il faut véritablement ne pas avoir de tete pour tenir une conduite aussi inqualifìable. Sa démission ajouterait encore au scandale.

Je confìe cette lettre aux soins de M. Mathias Consul de S. M.

43

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. 162. Madrid, l aprile 1861.

Ce fut encore un jour de bonheur que le télégramme de V. E. vint hier apporter à cette Mission et à tous nos amis en annonçant que l'Angleterre a reconnu officiellement le Royaume d'Italie. L'annonce d'un événement si important me fournit une occasion bien naturelle de me ménager un entretien avec le Chef de ce Cabinet, pour tacher de m'assurer auprès de lui autant que possible de ses véritables dispositions actuelles à notre égard. Reçu par le Due de Tétouan avec sa courtoisie accoutumée, j'appelai de mon mieux son attention sur la haute portée du fait que V. E. venait de m'annoncer de la part d'une Puissance dont la fermeté énergique et constante dans ces grandes déterminations politiques e1t bien connue n'etre pas inférieure à la grandeur colossale de ses forces matérielles. « Je ne cacherai pas à cette occasion, dis-je au Maréchal O'Donnel, un vreu bien nature! et personnel que j'ose espérer de voir partager par V. E. aussi et c'est que l'Espagne ne soit pas des dernières nations à donner à l'Italie une preuve d'amitié fraternelle qui sera d'autant plus appréciée qu'elle se ferait moins attendre :t>.

« Je suis bien aise, répondit le Maréchal, de vous voir compter sur la réciprocité de mes sentiments personnels à cet égard, mais vous connaissez en meme tems les circonstances délicates de notre situation ici, qui ne nous permettront peut-etre pas de procéder à l'acte formel auquel vous alludez aussitòt que d'autres Gouvernements qui n'ont point tant de ménagements à garder. Quant à l'Angleterre on devait bien s'attendre à la voir consommer la première cet acte dès que le Ministère Whig qui est au pouvoir l'avait déjà annoncé; mais serait-on bien siì.r, ajouta le Due, qu'un Cabinet Tory succédant au pouvoir se conformerait à ce qui fut fait par son prédécesseur? ». « En voulant meme supposer que les Whigs vinssent à se retirer, repris-je, ce qui a été fait pourrait d'autant moins etre infirmé, qu'il s'appuye sur l'opinion générale aussi bien que sur les intérets évidents de la nation Britannique éminemment favorables à l'unité de l'Italie comme condition de son indépendance meme ». « Vous n'ignorez cependant pas, remarqua ici le Président du Conseil, que le parti Tory est porté par ses anciennes sympathies à favoriser l'Autriche; et ce fut meme, peut-etre, l'espoir de voir ce parti remplacer le Ministère actuel en Angleterre qui accrédita tout dernièrement le bru'it d'une guerre imminente de l'Autriche en Italie ». «Ce serait là, repartis-je, une raison suffisante pour raffermir après tout le Cabinet actuel, qui garantit ainsi la paix de l'Europe. L'Autriche seule en effe t, dans l'état où se trouvent la Hongrie et les 3/4 de son Empire ne saurait penser à une guerre à moins qu'Elle ne fiì.t prise d'une monomanie de suicide; aussi ce ne serait pas l'Italie en tout cas qui aurait à craindre d'une guerre de l'Autriche». « Je ne serais pas bien loin de partager là-dessus votre opinion, me dit ici le Due de Tétouan, si l'état intérieur de l'Italie fiì.t plus satisfaisant et que l'on ne vìt pas de graves symptòmes de mécontentement et de désordres se produire dans plusieurs des anciens Etats, notamment dans les deux Siciles ».

« Heureusement, repris-je, on a déjà eu le tems de se convaincre partout que les désordres qui ont eu lieu en quelques endroits avaient été singulièrement exagérés; mais en eut-il été autrement, nous n'aurions encore qu'à nous féliciter qu'ils ayent pu etre si vite réprimés sans laisser aucune grave conséquence. En effet si l'on tient compte d'une part de l'exaltation des partis extremes au milieu des grands changements politiques, et de l'autre des intrigues étrangères tendantes à en exploiter les animosités, si l'on n'ignore pas surtout que l'armée Napolitaine recélait depuis longtems les germes d'une société secrète étrangère et qu'une partie de cette armé poussée par les affiliés de cette secte avait pu passer des Etats Pontificaux dans des pays où avec les moyens qu'on leur avait fourni on aurait pu craindre de voir enraciner une guerre civile; en voyant enfin comme on en est venu facilement à bout, on ne peut qu'en conclure que dans ces memes pays n'existent pas, comme on s'était flatté, des éléments antinationaux bien sérieux contre l'union de l'Italie ~.

« Vous ne sauriez cependant déconvenir après tout, reprit encore le Due de Tétouan, que Vous Vous trouvez devant Rome Pontificale dans une difficulté dont je ne saurais concevoir de solution satisfaisante, puisqu'il s'agit de l'indépendance du Souverain Pontife qui intéresse toutes les Nat'ions Catholiques ~.

A ce dernier sujet j'ai été heureux de mon coté de pouvoir citer quelque passage du dernier éloquent discours de V. E. dans le Parlement, d'où 'il ressort que le Gouvernement du Roi s'occupera lui-meme avant tout de préparer un arrangement qui offre les meilleures garanties de cette indépendance, et sur l'observation du Due qu'il se défiait de nos moyens pour rendre acceptable au Pape l'arrangement projeté, je remarquai à mon tour, que nous ne manquerions pas d'appuis, voire meme dans le Sacré collège où plus d'un Cardinal dont la piété n'exclut pas le patriotisme serait heureux de favoriser un pareil arrangement. Je crus pouvoir citerà ce propos le nom du Cardinal di Pietro que j'ai eu l'avantage de connaitre à son passage ici et dont je savais que le Due avait pu apprécier lui-meme les sentiments éclairés et libéraux. Après quelques autres observations de part et d'autre sur les sujets moins importants de la question Italienne, le Maréchal O'Donnel finit son entretien avec moi en me disant encore qu'après tout il tient à ce que nous soyons persuadés de sa sincère amitié.

44

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR (Ed. in Q. R., II, 362)

L. P. Parigi, 1 aprile 1861.

Klapka est arrivé et il s'est rendu de suite chez moi.

Des lettres qu'il a reçues de Vienne et entre autres, des communications que

lui a faites le Baron Vay il résulte qu'on parait décidé à Vienne à profiter du refus

de la Diète d'envoyer des députés au Parlement centrai pour la dissoudre pro

clamant l'état de siège, et procéder au désarmement et à la perception forcée des

impòts.

Tous les chefs hongrois sont d'accord pour résister et ne pas laisser tomber

le pays dans la terreur qu'inspireraient ces mesures.

Klapka, qui était parti d'ici si calme et si raisonable, est revenu tout à fait exalté et décidé à l'action quand mème.

Avec Nino Bixio, qu'il a trouvé à Culoz, et avec lequel il avait rendez-vous ils ont décidé de demander à V. E. la formation des deux divisions de volontaires, dont les quadres des officiers garibaldiens seraient déjà formés. Pour que le Gouvernement du Roi ait l'assurance que ces divisions n'agiront pas en dehors de ses ordres, Klapka propose d'en donner le commandement à Cialdini.

Le but de cette organisation serait de discipliner ces volontaires destinés à débarquer avec Garibaldi en Dalmatie et à pénétrer par les montagnes en Hongrie.

Dans une entrevue qu'ils ont eue avec Miéroslawski, ils ont décidé de faire cause commune avec les Polonais. Ils voulaient mème demander au Gouvernement du Roi la formation d'une légion polonaise. Je les en ai dissuadés, en disant que jamais V. E. aurait adhéré à cette demande. J'ai mème mis sous les yeux de Klapka tous les inconvénients, qu'entrainerait cette fusion des mouvements hongrois et polonais, dont le premier résultat serait de rapprocher par le danger commun les Cabinets de Vienne et de St. Pétersbourg. Klapka m'a répliqué qu'il connaissait trop bien les embarras de la Russie pour en craindre l'intervention.

Il faut évidemment que le danger soit bien pressant pour la Hongrie, ou que le parti de l'action quand-mème ait bien fortement agi sur l'esprit du général hongrois pour expliquer ce revirement qui s'est opéré en lui et l'abandon complet des projets d'ajournement, que nous étions parvenus à lui faire adopter.

Je ne serais pas étonné que Mazzini y fut indirectement pour quelque chose.

V. E., doit se rappeler que dans la première lettre que l'Empereur m'avait donnée et que j'ai eu l'honneur de vous envoyer, Mazzini tachait de dissuader Garibaldi de se dévouer à la cause hongroise.

Dans la seconde que vous devez avoir reçue, Mazzini, moins hostile aux hongrois, comptait sur l'appui réciproque de deux mouvements simultanés sur le Danube et sur l'Inn.

Ajoutez à cela que M. Boittelle me dit depuis quelque tems et m'a encore confirmé avant hier que Mazzini envoie courriers sur courriers à Caprera, en Suisse, à Gènes et à Milan.

Je viens de voir à l'instant M. Thouvenel à qui j'ai cru devoir fa'ire part du changement qui s'est opéré dans les projets de Klapka. L'intention du Cabinet de Vienne de provoquer un mouvement en Hongrie par la dissolution de léi Diète n'a pas étonné S. E. Un soulèvement en Hongrie me parait assez dans ses idées; mais il fait toujours la mème question, à savoir, s'il existe accord entre les Croates et les Magyars.

Le voyant assez coulant dans cette question, j'ai demandé au Ministre qu'estce que ferait la France si Garibaldi nous échappait.

«Il faut le retenir », m'a-t-il dit en souriant. Je lui ai répondu que je supposais justement le cas qu'on ne put le retenir. Alors S. E. me dit: « Je ne puis rien vous répondre pour le moment. L'Empereur est renfermé dans un tel mutisme que je ne puis lui arracher un seui mot, pas mème dans la question de votre reconnaissance, car je vous avoue franchement qu'au point où en sont les choses je suis de l'avis que notre gouvernement et le vòtre doivent faire cause commune, mais je vous le répète, je ne puis rien tirer de l'Empereur dans aucune question ». Ayant dit à M. Thouvenel que je craignais un accord entre

les deux partis d'action hongrois et polonais, S. E. a de suite changé de manières et d'humeur. Il m'a dit qu'à tout prix il fallait empecher cette fusion qui serait, selon lui la ruine momentanée, si vous le voulez, des deux nationalités. Ce n'est pas qu'il se forme une idée trop grande de la puissance de la Russie paralysée elle-meme par des difficultés intérieures. Mais il croit que c le rapprochement de la Russie et de l'Autriche, qui serait la suite naturelle de la fusion des patriotes hongrois et polonais, serait nuisible à tout notre échafaudage politique, qui se base en grande partie sur le désaccord des puissances du Nord, car la Prusse ne manquerait pas de se rallier à ses deux voisines.

< -M. Miéroslawski n'est heureusement pas bien infl.uent en Pologne et je vous dirai très confidentiellement que nous désirons que le mouvement polonais soit conduit par André Zamoiski. Marchant dans la voie qu'ils ont entreprise, les polonais trouveront dans deux ou trois ans avoir acquis leur autonomie et leur indépendance, que la Russie peut avoir, à cette époque là, un intéret à ne plus leur contester >. M. -Thouvenel m'a chargé d'aller voir Klapka et le prier de ne pas meler les deux questions sous peine de perte réciproque. J'ai rendez-vous avec le général aujourd'hui à trois heures. Je vous en rendrai compte.

Conneau s'accorde exactement avec M. Thouvenel sur le mut'isme de l'Empereur. Il m'a pourtant affirmé que S. M. avait été content de votre discours.

Ce discours a été trouvé admirable par tout le monde, excepté, bien entendu, nos ennemis qui voudraient l'exploiter pour faire prendre à l'Empereur quelque décision dans leur sens. Vous savez, Monsieur le Comte, que le mutisme impérial est ordinairement le précurseur de quelque détermination importante. Je ne voudrais pas que, cette fois, elle touchàt à la question romaine, car je ne saurais si une détermination, prise en ce moment là dessus, serait tout à fait conforme à vos idées.

On parle du remplacement de Baroche par Rouher au Conseil d'Etat. On voudrait envoyer Morny à Londres, mais Lord Palmerston n'en veut pas, et en désespoir de cause on parle de l'envoyer à St. Pétersbourg en remplacement du Due de Montebello qui irait à Londres. Ce dernier choix serait très mauvais pour nous, vous le savez. Persigny est dans un état d'exaspération indescriptible; U crie beaucoup et n'agit pas assez. On prétend qu'il est un peu toqué; en effet son effervescence justifie un peu ce dit-on.

Vous ne m'avez jamais rien écrit sur l'affaire de l'Intendant de Ferrare. Qu'est-ce qu'il en a été? M. Thouvenel m'en a souvent demandé des nouvelles.

Je vous prie de vouloir bien faire remettre à Castelli et à Valetti valet de Chambre du Roi les lettres ci-jointes à leur adresse et je confie cette expédition à M. le Due de Terranova.

45

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI (Ed. in Q. R., II, 363)

L. P. Torino, 2 aprile 1861.

J'envoie à Gropello quelques centaines d'exemplaires de mes discours sur la question romaine et je le prie de les faire mettre en vente chez Dentu au plus bas prix possible. J e désire que ma manière de voir dans la question romaine devienne populaire en France. Je crois que le Gouvernement n'y mettra pas obstacle et qu'il sera au contraire satisfait de cette tentative pour ramener à la raison les catholiques libéraux de bonne foi.

Vous savez que Pantaleoni est revenu de Rome effrayé et découragé. Il me conseille à publier tout, sans ménager le Père Passaglia, qui craint de se voir repoussé du giron de l'Eglise. J e crois que la publication des instructions et des détails de la négociation ferait bon effet, pourvu qu'elle eO.t lieu de manière à éviter le scandale. Mais avant tout il faut marcher d'accord avec le Gouvernement Français. Voici le moyen que je vous prie de proposer à M. Thouvenel. J'écrirais à Gropello une note officielle contenant le résumé détaillé des négociations, par laquelle je prierais la France d'interposer ses bons offices auprès de la cour de Rome pour qu'elle agrée nos propositions. La publication de cette dépeche produirait l'effet désiré sans aucun des inconvéniens que Passaglia craint tant. Veuillez en parler à M. Thouvenel et me dire ce qu'il pense de ce projet.

J'ai écrit au Prince Napoléon (l) pour lui envoyer mon discours. En meme tems je l'ai prié de prévenir ou de retarder autant que possible l'insurrection en Pologne comme en Hongrie. Je suis de l'avis de M. Thouvenel et je n'augure r'ien de bon de l'alliance de Klapka avec Miéroslawski. L'Autriche est prete à se battre en Italie comme en Hongrie: pousser à la guerre c'est faire son jeu. Engagez le Général à écrire de nouveau à ses compatriotes d'épuiser toutes les formalités légales, avant d'en venir à une rupture. Je tiendrai le meme langage à Bixio à son retour.

Garibaldi a quitté soudainement Caprera pour venir à Genes. On suppose qu'il vient assister aux interpellations sur les affaires de Naples. S'il veut des applaudissemens il en aura. Du reste je ne crains pas son influence sur la discussion.

46

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY

D. 376. Torino, 3 aprile 1861.

J'ai reçu votre dépeche Série Politique N. 312 en date du 28 mars dernier. Je vois avec plaisir que le Cabinet de Berlin a bien saisi et apprécié l'esprit de modération et de conciliation qui nous avait suggéré dans la question de la reconnaissance du Royaume d'ltalie l'expédient que vous avez dO. lui soumettre. Les mesures qu'il a prises de son cOté et les explications que vous a données M. de Schleinitz me permettent de croire qu'aucune difficulté ne viendra ni entraver les relations réciproques, ni à vous piacer vis-à-vis du Gouvernement Prussien dans une situation qui ne soit conciliable avec notre dignité et nos droits.

Si effectivement les règles de la Chancellerie Prossienne portent que les communications entre le Gouvernement et les missions étrangères ne soient pas

écrites à la troisième personne, je ne trouve rien de contraire à ce que vous continuiez à suivre l'ancienne habitude. Mais il est bien entendu que dans toutes occasions, où vos rapports officiels l'exigeraient, vous ne devez pas oublier de prendre le titre « Ministre du Roi d'Italie ». Ce titre doit également figurer sur les passeports, sur les timbres, sur le cachets, ainsi que sur les armoiries ou écusson placé sur la porte de la Légation. Le Gouvernement Prussien est trop éclairé et trop noble pour s'en formaliser. Nous ne voulons certes rien faire qui puisse lui etre désagréable; mais nous ne saurions non plus mettre une espèce d'affectation à cacher un titre solennellement proclamé et qui exprime un fait réellement existant.

Du reste, sur un point celui des passeports qui pouvait causer le plus d'embarras, la Prusse elle-meme comme vous le verrez par la note ci-jointe, de

M. de Saint Simon, a pris une initiative dont nous lui savons gré, abstraction faite des réserves dont le Cabinet de Berlin a jugé bon de l'accompagner. Ces réserves, je l'espère, finiront par tomber devant l'exemple d'autres Puissances et devant l'opinion publique. La France, il est utile que vous le sachiez pour votre information, sans reconnaitre formellement le nouveau titre de Notre Auguste Souverain, a pris des dispositions pour que l'usage de ce titre de la part de nos Agents comme sur nos documents et dans nos correspondances ne trouve point d'obstacle de sa part. L'Angleterre et la Suisse l'ont officiellement reconnu de la manière la plus spontanée et la plus bienveillante. Ainsi les précédents ne manquent pas et nous nous attendons à recevoir bientòt de nouvelles adhésions.

ALLEGATO.

BRASSIER DE ST. SIMON A CAVOUR

Turin, le 27 mars 1861.

Connaissant l'attitude expectative que le Gouvernement du Roi, Mon Auguste Maitre, s'est prescrite en suite des derniers changements survenus en Italie, Votre Excellence trouvera fort nature! que j'aie cru devoir demander à Berlin des instructions sur la conduite à tenir relativement aux passeports et autres documents émanés au nom de Sa Majesté Victor Emmanuel avec le titre de • Roi d'Italie •, et qui auraient besoin de mon visa ou de ma légalisation pour etre valables en Prusse.

Dans l'intéret de la continuation non-interrompue des rapports entre les deux pays respectifs, je viens d'etre autorisé à munir les documents de la susdite catégorie de ma signature, comme je l'ai fait par le passé à l'égard de ceux délivrés au nom de Sa Majesté le Roi de Sardaigne, avec la réserve toutefois qu'il ne soit pas donné au fait de mon visa ou de ma légalisation une signification politique, et nommément qu'il n'en soit pas tiré une conclusion qui puisse préjuger la question de reconnaissance.

(l) Edita in Cavour -Nigra, IV, 1289.

47

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., 365)

L. P. Parigi, 4 aprile 1861.

Je profite de l'occasion de M. Bellin'i pour le charger de cette lettre.

M. Bellini a assez bien fait les affaires ici. M. de Germiny, que je connais, m'a fait des éloges sur votre négociateur. Les chemins de fer romains sont le còté plus sale de l'affaire Mirès, et je me prends la liberté de vous mettre en garde contre toutes les personnes, qui ont fait partie de cette administration. MM. Delahaute, Cocherie et tous ceux enfin qu'y ont été melés, sont plus ou moins compromis. M. Bell'ini pourra du reste vous mettre au courant de tout. Si jamais vous avez besoin de quelques renseignements sur ces Messieurs, mes rapports avec MM. Benoit Champy et Chaix d'Est Ange me permettront de vous en fournir de très précis.

Jamais je ne me suis préoccupé des menées du Prince Murat.

Je ne leur donne pas, non plus à présent, une grande importance, soit parceque je ne pense pas qu'il puisse entrer dans !es plans de l'Empereur de piacer Murat sur un tròne qu'il aurait meme refusé à son Cousin le Prince Napoléon; soit pour l'individualité du Prince Murat, ridicule au physique, et au mora! menteur emporté et sans aucune capacité. V. E. voit donc que si je l'entretiens de cette Altesse, que je viens de dépeindre avec une palette si peu flatteuse, ce n'est pas pour des craintes que m'inspirent ses entreprises, dont il reve tout haut. Le còté sérieux est celui que je vous avais signalé quand François II était encore à Gaete, c'est à dire que le Prince Murat deviendrait le point de ralliement de tous les mécontents napolitains, qui n'osant pas agir au nom de François II, se servent de Murat pour susciter des troubles, dont ils espèrent de profiter plus tard pour la cause du Bourbon.

La duchesse de Bivona, cousine éloignée de l'Impératrice, dont je vous ai parlé dans une de mes dernières lettres, a attiré chez elle le fils ainé de Murat. Ce jeune homme, aussi inepte que son père à des choses sérieuses, mais pourtant moins bete, se laisse aller à des espérances que la vieille Duchesse lui inspire, en lui faisant croire que l'Impératrice entrerait, avec son influence, dans le complot.

Je ne pense pas que l'Impératrice puisse comploter pour Murat, qu'elle déteste ainsi que tous les parents de l'Empereur, mais je crois qu'elle n'est pas fachée de nous créer des embarras, car malgré les remontrances de l'Empereur, elle continue à protéger tous les partis contraires à la politique impériale.

Je n'ai pas manqué de parler de tout ceci à Conneau, qui partage mon opinion. Jamais l'Empereur ne renouvellera la faute de son oncle de distribuer des trònes aux membres de sa famille.

Le Prince Murat ayant demandé depuis un mois une audience à S. M. pour l'entretenir sur la conduite qu'il se propose de tenir en vue du Muratisme qu'il voit toujours croissant à Naples, S. M. n'a pas encore répondu à sa demande.

Murat a écrit sa dernière lettre espérant de provoquer une explication de la part de l'Empereur, dont il a une peur atroce.

J'ai beaucoup insisté auprès de M. Thouvenel et j'insisterai encore pour qu'il pousse l'Empereur à dire au Prince de se tenir tranquille. J'ai fait cette démarche de manière à ne pas laisser penser à S. E. que nous craignons le muratisme, mais simplement en faisant remarquer l'inconvenance qu'un Prince de la famille Impériale se rende ridicule en devenant le jouet des légitimistes et des bourboniens.

Tous les esprits ici se préoccupent de la possibilité d'une guerre entre l'Autriche et l'Italie et craignent que la France ne soit entrainée dans la lutte. Nos ennemis disent que Garibaldi et les siens donneront raison à l'Autriche de nous attaquer. Nos amis memes pensent que les troubles intérieurs et la désorganisation de l'Empire autrichien vous pousseront, Monsieur le Comte, à prendre l'initiative,

surtout en vue du mouvement hongrois qu'on croit pret à éclater d'un moment à

l'autre, et qui vous entrainera peut-etre, disent-ils, à lui donner, malgré vous, la

main.

J'ai reçu par Perrod et bien à propos votre lettre. Je dis bien à propos parcequ'elle vient couper court à une masse d'incertitudes qui entravaient meme M. Thouvenel dans ses relations avec l'Empereur.

S. M., toujours muet, n'a que quelques rares épanchements avec Conneau. Avant hier il lui disait: «Mon cher Conneau, ces affaires de Rome me tourmentent; j'ai tant fait pour l'Italie qu'elle me doit de m'aider à sortir avec dignité de cette question en me permettant, par une solution, meme provisoire, de rappeler mes troupes. Dites à Vimercati de ma part que le mécontentement suscité par le Clergé dans les campagnes sape mon gouvernement dans sa base, qu'il faut qu'il fasse connaitre à M. de Cavour combien l'esprit français a été aliéné de la cause italienne par cette malheureuse question. Je désire savo'ir si ce Père Passaglia est retourné à Turin».

J'ai communiqué ce matin à M. Thouvenel la partie de votre lettre qui a trait aux affaires de Rome. Le Ministre ne s'est point étonné de voir vos propositions à peu près rejetées.

Il ne partage pas votre avis sur la publication des négociations, surtout par le moyen que vous proposez.

c La France, dit-il, ne peut se preter, meme en apparence, à appuyer des propositions qu'elle aurait vu réussir avec plaisir, mais qu'elle n'a pas cru devoir formuler elle meme à Rome. Remarquez bien que les difficultés de la France à proposer elle meme ce projet, ne viennent pas d'une considération d'égards à la Papauté, mais simplement du mécontentement qu'il exciterait à l'intérieur.

c Tous les rapports que nous recevons des provinces sont tels qu'ils nous suggèrent la prudente mesure de conseiller à M. de Cavour d'aUer à Rome et d'y effectuer ses vues vastes et intelligentes mais de faire ce chemin en deux étapes.

«L'Empereur est triste: j'ai toutes les peines du monde à l'empikher de prendre une détermination quelconque qui aurait été jusqu'ici inopportune; mais à présent je sens la nécessité de viser aux moyens d'obtenir une solution, je ne puis encore vous dire laquelle ».

Voyant le danger de voir remettre sur le tapis l'ancien projet de Paris, j'ai dit à S. E. qu'il était impossible au Gouvernement du Roi d'entrer meme en pourparlers sur tout projet, qui n'aurait pas pour base la séparation absolue de l'Eglise et de l'Etat. M. Thouvenel a répondu: « Quant au projet fait par l'Empereur moi-meme je le crois inapplicable. A mon avis vous ne pouvez non plus ni traiter, ni prendre aucun engagement direct avec la Cour de Rome. Il faut trouver un moyen par lequel ne revenant pas sur le passé, vous puissiez, traitant avec la France, vous engager vis à vis de nous à ne pas prendre au Pape, tant qu'il reste d Rome, son territoire actuel, ce qui ne vous empechera pas de traiter et de faire prévaloir, avec le tems, vos principes. On demanderait au Piémont et à Rome de prendre chacuri la partie de la dette publique qui les concerne».

Ayant demandé a M. Thouvenel qui est-ce qui garderait le Pape à Rome après le départ des troupes françaises, il me dit qu'on lui permettrait de se former une armée qui ne dépassat pas les 10/m hommes. «Je comprends très-bien, a-t-il ajouté, que cet état de choses ne serait pas durable, mais c'est précisément sur son peu de durée qu'on se fonde pour etre persuadé que M. de Cavour entrera dans cette voie, d'autant plus que la santé du Pape est gravement menacée et que le siège devenant vacant, la France et l'Italie se mettant d'accord, on pourrait faire élire un Pape ital'ien qui acceptat les principes posés par M. de Cavour».

Croyez, Monsieur le Comte, que la situation ici devient de jour en jour plus grave. Je ne suis pas alarmiste, mais c'est mon devoir de mettre sous les yeux de V. E. que la prolongation de l'état actuel nous serait très préjudiciable en vue surtout des événements qui se préparent.

Pour nous c'est une nécessité absolue d'etre appuyés parla France. Or voyons quelles seront nos difficultés à venir.

A l'extérieur nous avons l'Autriche, qui en proie à toutes sortes de difficultés et de tiraillements qui la détraquent peut etre poussée à tenter un coup contre ses populations qui menacent de se soulever. En admettant que vous puissiez etre assez fort pour résister à tout entrainement, les révolutions de Hongrie et de Pologne pourraient amener une entente entre les trois Cours du Nord Unies, elles peuvent étouffer et meme écraser les mouvements intérieurs. Alors forte d'une nouvelle énergie, quoique fictive, l'Autriche pourrait se retourner contre l'Italie non pas pour l'attaquer subitement, mais pour la tracasser et la pousser à bout, si elle peut se douter que les Italiens ne seront pas soutenus par la France. Or l'Empereur pourrait-il soutenir l'Italie, si les sympathies de la nation française s'éloignent chaque jour plus de nous?

Je vous fais grace de toutes les autres questions pendantes; telles que la froideur entre l'Angleterre et la France, l'Orient, le Rhin et meme la probabilité d'une descente en Angleterre, folie qui tout incroyable, tout absurde qu'elle est, n'en émeut pas moins les Anglais, jaloux de voir un seui homme disposer d'une armée formidable telle que la française.

A l'intérieur nos difficultés ne sont pas moindres. L'assimilation des provinces, les luttes des partis, l'esprit municipal qui peut se réveiller, les finances et par dessus tout les aveux de MM. Fanti et Lamarmora, tout cela demande, à mon avis, tout l'appui moral de la France. Les avantages, que nous donnerait une reconnaissance bien éclatante et bien sympathique de sa part, compenseraient, selon moi, les difficultés que vous auriez à faire passer un arrangement transitoire sur la grave question de Rome.

M. Thouvenel m'a dit très en secret: « Je sens le besoin, et l'Empereur le sent comme moi, de m'aboucher avec M. de Cavour; il faudra que nous trouvions le moyen de nous rencontrer quelque part; n'en dites cependant encore rien au Comte de Cavour, car ceci n'est encore qu'un vague projet ».

Je ne saurais assez insister pour vous prier, Monsieur le Comte, de m'envoyer par un courrier une lettre qui me trace bien nettement la conduite que je dois suivre dans une si grave affaire.

Je vois les difficultés, qui entourent l'Empereur, et je comprends qu'il ne peut pas risquer son trone pour sauver l'Italie. Nous sauver à ce prix serait, d'ailleurs, nous perdre tout à fait.

V. E. a bien fait d'envoyer au Prince Napoléon des conseils de prudence, quoique ici on ne soit pas très alarmés des complications qui semblent se présenter en Autriche.

M. Bellini vous peindra avec des couleurs assez vives l'agitation causée en France par les cléricaux. J'ai causé avec lui et je crois avoir un peu réduit à de justes proportions ses appréciations, qui répétées à ses collègues de la Chambre ne pourront que produire un bon effet.

Les affaires d'Orient s'embrouillent toujours davantage et la conduite de l'Angleterre à Constantinople indigne tellement M. Thouvenel que S. E. a laissé échapper des phrases qui, si elles étaient mises en pratique, entraineraient sans doute la guerre avec l'Angleterre.

Je ne sais si je me suis bien expliqué plus haut, mais il parait que le nouveau projet d'arrangement avec Rome n'exigerait aucun engagement du Gouvernement du Roi avec le St. Siège, et moins encore une renonciation à faire triompher plus tard vos idées.

48

L'ABATE PASSAGLIA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., II, 369)

L. P. Roma, 6 aprile 1861.

La sera del 5 corrente fui dal Cardinale Antonelli, il quale avendomi accolto con cortesia: Professore, mi disse, Sua Beatitudine non rifiuta di trattare pei negoziati religiosi spettanti agli Stati ereditari del Re ed alla Lombardia; ma non crede potersi di presente iniziare queste trattative. Rifletta al modo tenuto dal Governo di Sua Maestà colle persone e colle cose ecclesiastiche, rifletta alla licenza che si consente ai Protestanti, e rifletta allo spirito irreligioso che ovunque si manifesta, senza che il Governo gli opponga alcun argine e

dovrà confessare, che Sua Beatitudine non può nutrire confidenza che la volontà di trattare sia sincera, e leale l'intendimento di venire a concordia.

Non omisi di rispondere quel meglio che mi si offeriva acconcio per persuadere il Cardinale, che le intenzioni del Governo erano sincere, e che Sua Beatitudine potea con prudenza affidarsi alle sue parole ed alle sue promesse. Vi vuoi più che parole e che promesse, mi replicò, per ispirare nell'animo di Sua Beatitudine tal confidenza; sono necessarii fatti, e fatti chiari e decisivi. Si cessi pertanto dalle gravissime ingiurie personali e reali sin qui recate alla Chiesa, si cessi dal favorire l'empietà e l'irreligione; ed allora, mel creda, tratteremo.

Da questo punto passando Sua Eminenza all'altro dello Stato temporale e di Roma, recisamente asserì, che la Santa Sede, pronta per un lato a tutto sofferire, era per l'altro risolutissima a non trattarne col Governo di Sua Maestà. Esser questa una controversia non sociale, nè nazionale, ma internazionale e cattolica, e però da non decidersi che col suffragio almeno di tutte le cat

toliche Potenze.

Mi permisi di porre sott'occhio a Sua Eminenza: 1) che la controversia

era eziandio nazionale, né meno di diritto che di fatto, come Sua Eminenza potea raccogliere dal disc6rsone in ambedue i parlamenti, francese ed italiano; 2) che per quantunque debba pure riputarsi internazionale, il voto delle nazioni cattoliche non era oscuro, e riusciva quindi ad un proposito di non intervenire colla forza, e quindi ad un desiderio che il Pontificato se la intendesse coll'Italia e col suo Governo.

S'inganna, Professore, mi soggiunse, e lo prego a volermi credere. Impe· rocché (e si abbia questi miei detti in pegno della mia fiducia e stima per Lei) questa mattina stessa il Governo Spagnolo mi ha significato, essersi esso addossato l'officio di persuadere alle Potenze cattoliche, l) che lo Stato temporale è richiesto per la libera indipendenza del Pontificato, 2) che vuolsi però conservato al Pontefice, e 3) che deesi quindi con proteste e con ogni altro mezzo opportuno resistere ai disegni del Piemonte e del Parlamento riunito a Torino. Di più l'Ambasciatore di Francia mi ha assicurato, che il suo Governo riputerebbe caso di guerra ogni moto militare Piemontese volto ad occupare non solo Roma, ma pur anco qualsiasi parte del Patrimonio. Attendiamo dunque, concluse, lo svolgimento dei fatti, e confidiamo nella Prov· videnza, che assiste la Chiesa ed il suo Pontefice.

Ben può supporre V. E. che io anziché rimanermi muto, tolsi argomento dai fatti precedenti, dalla comune opinione e dalla natura delle cose, per diminuire in prima e quindi per distruggere le speranze vere o simulate del Cardinale. Mi udl egli con benevolenza, ma finì col ripetermi: attendiamo i fatti, e da essi toglieremo la norma delle nostre deliberazioni.

La precedente schiettissima esposizione può aiutare V. E. a formarsi un retto giudizio, l) delle disposizioni della Corte di Roma, 2) dello stadio in cui trovasi il negozio, 3) dei mezzi necessari ad adoperarsi per promuoverlo, 4) degli ostacoli a togliersi, e 5) degli indirizzi a darmisi, ogni qual volta si stimi che io debba continuare nell'opera fra tante difficoltà e sì pungenti dispiaceri incominciata.

P. S. -Mentre per alcuni minuti mi tratteneva nell'anticamera del Cardinale Antonelli, il suo Segretario ed il sig. Moreschi minutante dell'Interno; favellando tra loro, forse ad arte, con voce non abbastanza dimessa, si lamentavano dei liberali e dei progressisti, dicendoli vera peste sociale e religiosa, e desideravano si tornasse alle maniere di dieci secoli fa, o almeno a quelle di Sisto V. Vostra Eccellenza ne riderà, ma insieme intenderà quali sieno i voti della Corte Romana.

49

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E "MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI

(Ed. in Q. R., II, 370).

L. P. Torino, 7 aprile 1861.

J'a'i reçu la lettre que vous m'avez expédiée par l'entremise de M. Bellini. Je regrette infiniment les embarras que la question romaine suscite à l'Empereur. Je crois toutefois qu'il s'en exagère la portée. Tous les renseignement:s

so

que j'ai recueillis me portent à croire que le résultat des discussions soit à Paris, soit à Turin a été favorable à sa politique. L'opinion publique se déclare de plus en plus en sa faveur. Je crois qu'il faut suivre la voie qu'il nous est ouverte en saisissant toutes les occasions pour mettre en lumière les principes et les idées qui servent de base à la solution que j'ai indiquée, elle est la seule qui soit pratique. C'est dans ce but que j'ai provoqué une discussion au Sénat. Elle aura lieu mardi prochain. Malgré les provocations de Rome, les violences du Pape, je serais encore plus modéré et plus catholique que je l'ai été à la Chambre.

Je vous envoie la relation de Pantaleoni. Elle n'est pas trop bien faite (1). L'excellent docteur s'y occupe trop de lui. Le Père Passaglia étant demeuré à Rome je ne puis communiquer que difficilement avec lui. J'ai reçu une de ses lettres il y a quelques jours: il ne se montre pas trop découragé. L'aristocratie Romaine commence à se déclarer pour le système de conciliation. Il est probable qu'elle adressera un mémoire à l'Empereur. Si on parvient à obtenir cet acte de courage d'un certain nombre de Princes et Ducs, notre cause sera à demi gagnée.

Après cela l'Empereur pourrait proposer un arrangement provisoire, pendant lequel on pourrait traiter. Nous l'accepterions en principe et nous discuterions le mode d'application. Le Pape probablement refuserait tout. La discussion devrait etre publique. Ce n'est qu'en employant la publicité que nous parviendrons à réduire le Pape à la raison.

Garibaldi est arrivé ici au moment où nous l'attendions le moins. Quel est le motif réel de ce retour sur la scène politique? Je crois que la véritable raison c'est que le ròle de Cincinnatus commençait à lui peser. Il a donné pour prétexte qu'il venait réclamer dans l'intéret de ses officiers. Et à vrai dire ce prétexte n'est pas dénué de fondement, car Fanti a été d'une lenteur désespérante dans l'execution des opérations préliminaires, nécessaires aux mesures à prendre pour fixer le sort des Garibaldiens.

Au lieu de se tenir sur ce terrain, où il aurait pu nous donner de l'embarras, Garibaldi s'est fait précéder par un discours absurde, dans lequel il ne ménage ni le Roi, ni le Parlement. Vous l'aurez lu dans tous les journaux. Cet acte insensé a fort irrité les députés, qui ne sont guère disposés à lui faire bon accueil. Jusqu'à présent il reste sous sa tente par cause de maladie. Il se tient sur une certaine réserve. En sortira-t-il? Et comment? C'est ce que j'ignore, car Garibaldi allie la pétulance du soldat aventurier à la profonde dissimulation du sauvage. Ce que je puis vous dire, c'est que nous sommes bien décidés, tout en ayant pour lui et pour ses officiers les égards qui leur sont diìs, à ne permettre aucun acte illégal et compromettant. Je n'ose pas garantir qu'il ne nous crée pas des difficultés; mais je crois pouvoir dire que nous avons les moyens de les vaincre. Garibaldi n'est pas assez fou pour aUer se casser le nerf contre le quadrilatère ou dans les gorges du Tyrol. S'il ne parvient pas à entrainer le Roi et le Parlement, il rentrera sous sa tente et prendra une attitude plus hostile que celle qu'il a maintenu depuis son départ de Naples. Si un mouvement éclate en Hongrie, il cherchera à s'y

Il · Dommenli diplomatici • Serie I · Vol. I

rendre. Mais dans cette hypothèse nous nous mettrons probablement d'accord avec lui, car si une véritable révolution éclatait dans la vallée du Danube, si 100.000 hongrois se réunissent pour combattre l'Autriche, il nous sera bien difficile de conserver la paix en Italie.

J'espère et je désire ardemment que la Hongrie se tienne tranquille, mais si poussée à bout par l'Autriche elle se soulève d'un bout à l'autre du pays, elle nous entrainera.

Klapka est revenu ici. Je l'ai trouvé plus calme qu'il ne l'était lorsqu'il vous a vu à Paris. Il a reconnu que l'intéret de son pays était de retarder la lutte autant que possible. Je l'ai prié de me tracer d'une façon précise le pian de conduite que le parti national comptait suivre. Il a rédigé en consequence la note que je vous envo'ie ci-jointe (1). J'avoue que je la trouve assez raisonnable. Communiquez-la à M. Thouvenel et tachez d'obtenir de lui une réponse aussi cathégorique que possible.

Il y a ici le capitaine Magnan, le plus intrépide et le plus intelligent agent français en Orient. Il prétend avoir un moyen infaillible de faire passer des armes en Hongrie. Mais je n'ose pas en expédier des ports de l'Italie: nous sommes surveillés de trop près par les agents anglais. Hudson connait tout le monde, il en a en main les fils de toutes les conspirations qui sont ourdies en Italie, il a trop d'amis dans tous les partis pour qu'il soit possible de lui cacher un envoi d'armes considérable. Ne pourrions pas en obtenir de la France? Parlez-en à M. Thouvenel.

Je désirerais bien vivement avoir une entrevue avec cet habile ministre. Mais comment faire pour nous rencontrer sans que toute l'Europe s'alarme? Il faudrait que nous puissions nous rencontrer incognito. La chose n'est pas facile à combiner. Si vous parvenez à trouver un moyen quelconque, je l'accepterai avec empressement.

J'oubliais de vous dire que jusqu'à présent le Roi n'a pas vu Garibaldi, et qu'il parait très décidé à ne céder ni aux séductions, ni aux menaces.

(l) Edita in Q. R. II, 371, cfr. anche Cavour -Nigra, IV, 1291.

50

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R.• II, 372)

L. P. Parigi, 8-9 aprile 1861.

Comme je vous ai mandé par mon télégramme du 5 courant, j'ai jugé convenable de faire finir les menées du Prince Murat. S. A. était devenu le jouet de Bourboniens, qui à l'ombre de son énorme royauté, avaient le projet de susciter dans les provinces du Midi toutes les passions autonomistes.

J'ai été prier Conneau d'en parler confidentiellement à l'Empereur. Le Docteur y consentit à la condition que je lui écrirais une lettre à mettre sous les yeux de S. M., ce que j'ai fait en me gardant bien de donner au Prince

Murat la moindre importance personnelle, mais en faisant ressortir qu'il n'était pas convenable qu'un membre de la famille impériale devienne le jouet de l'émigration bourbonienne.

M. Thouvenel m'a remercié de cette démarche. L'Empereur m'avait fait répondre qu'il aurait fait appeler dans la journée son Cousin. Mais ensuite il a préféré lui écrire et un instant après lui avoir envoyé sa lettre il a fait dire à La Guéronnière de l'annoncer dans les journaux du soir.

La pauvre Princesse Murat, qui est une brave et digne femme, a chargé la Princesse Mathilde de justifier la conduite de son mari aux yeux de l'Empereur, en faisant valoir la raison que le Prince avait regardé comme un assentiment tacite le silence de l'Empereur sur sa demande d'audience faite pour avoir de S. M. ses conseils sur la conduite à suivre vis-à-vis des sympathies toujours croissantes pour lui dans les provinces napolitaines.

Le Prince Napoléon me confirme dans ce que j'ai écrit à V. E. que l'Empereur est de plus en plus désireux d'en finir avec l'occupation de Rome. L'autre jour ils en ont parlé ensemble, et le Prince a poussé S. M. à prendre une décision.

L'Empereur a chargé Persigny et M. Thouvenel, à l'insu l'un de l'autre, de lui faire un projet pour sortir honorablement de cette impasse. M. Thouvenel, prenant pour base la proposition que V. E. a faite à l'Empereur de déplaire, ou à l'Italie en vous empechant d'aller à Rome d'un seui trait, ou au parti catholique français, qui devient de plus en plus menaçant, préfèrerait de courir le premier de ces dangers. Il le préfère d'autant plus que S. M. peut compter sur le bon sens et la sagesse des Italiens, qui, par reconnaissance pour tout ce qu'il a fait pour l'Italie dont il est le meilleur ami, ne voudront pas exposer à un grave risque sa dynastie pour une chose qui n'est, après tout, qu'une question de tems.

Partant de ce point qui n'est pas, selon moi, tout à fait juste, S. E. veut

proposer, je crois, ce qui suit:

Le Gouvernement du Roi s'engagerait simplement à ne pas toucher au

territoire actuel du St. Siège et se chargerait d'une partie proportionnelle de

la dette pontificale.

Cet engagement serait pris vis à vis de la France seulement.

Par l'intermédiaire de la France, le Roi proposerait en outre au Pape d'ajouter à son titre de Roi d'ltalie celui de Vicaire du St. Siège. En cas d'acceptation de la part du Pape (ce qui impliquerait indirectement une espèce de renonciation à ses anciennes provinces), le Gouvernement du Roi se chargerait de contribuer dans une proportion à déterminer aux dépenses voulues par la dignité du Siège Pontificai.

Cet arrangement, convenu d'accord avec V. E., serait présenté comme

ultimatum a la Cour de Rome en lui donnant deux mois pour qu'elle puisse

se former une force de 10/m hommes pour le maintien de l'ordre en ses

provinces. Le St. Père acceptant ou refusant, les troupes françaises seraient

rappelées et une fois les français hors de Rome, advienne ce qui pourra; l'Em

pereur s'en laverait les mains.

Je n'ai pas caché à M. Thouvenel toutes les difficultés, que ce projet créerait non seulement à l'ltalie mais aussi à la France. Le parti catholique, loin de reconnaitre que la France aura quitté le Pape en de bonnes conditions, comme dit M. Thouvenel, criera à la trah'ison. En effet des deux choses, l'une. Ou le St. Père quittera Rome avec l'armée française, ou bien il sera forcé de s'en aUer plus tard devant les mouvements populaires que, sans les fomenter, notre Gouvernement ne pourra certainement pas empecher.

« Une fois partis de Rome, me répliqua M. Thouvenel, tout cela nous sera parfaitement égal ».

J'ai ajouté que nous avions à compter aussi avec Garibaldi, qui trouverait peut-etre plus facile d'attaquer les 10 mille hommes qui soutiendraient la Papauté, que ce n'est les bataillons autrichiens. Pour les premiers, il n'aurait pas besoin d'avoir l'armée du Roi à sa suite, tandis qu'avec les seconds elle lui est indispensable.

Mais en admettant que le Gouvernement du Roi puisse empecher une attaque par Garibaldi avec ses volontaires, pourra-t-il également l'empecher d'aUer tout seui se mettre à la tete des populations restées au St. Siège et qu'entrainerait l'enthousiasme qu'inspirerait sa présence? Et alors voilà le Pape obligé d'émigrer ou de se retirer, comme Clément VII, à St. Angelo. Quelle serait la conduite possible du Gouvernement du Roi et des deux Ambassadeurs de France à Rome et à Turin dans une telle circostance? Je dis d Turin, parceque l'acceptation du projet de M. Thouvenel par le Gouvernement du Roi impliquerait la reconnaissance du nouveau Royaume et le rétablissement immédiat des rapports diplomatiques normaux par l'envoi réciproque d'Ambassadeurs.

M. Thouvenel n'a pas trop su que répondre à mes observations et s'est contenté de dire: «Etant dans une fausse position, nous voulons en sortir par une combinaison dont les conséquences à venir soient moins mauvaises. Je vais faire mon travail que je remettrai à l'Empereur. J'aurais voulu me

rencontrer secrètement avec M. de Cavour à Suse ou à Culoz, mais S. M. n'en veut pas, car notre rencontre serait connue et donnerait l'alarme à la diplomatie ».

M. Thouvenel m'a dit que les propositions ci-dessus, exposées à l'Empereur, lui ont paru convenables.

J'ai toujours pour règle de ma conduite ici la pensée que l'Empereur veut, en préparant autant que possible les événements, avoir apparemment la main forcée par eux. Mais ici la conséquence me semblerait d'une telle gravité à faire réfl.échir deux fois le Gouvernement du Roi avant de nous lancer dans toutes les suites, que pourrait entrainer le Pape émigrant à la suite de l'armée française et excitant le fanatisme religieux, auquel, sans lui donner l'importance des anciens tems, je ne puis me refuser à reconnaitre une très grande infiuence.

Dans cette grave question il me faut redoubler d'activité pour suivre l'opinion de toutes les personnes qui ont une infiuence dans les conseils de l'Empereur.

C'est dans ce but que Madame Vimercati s'est beaucoup liée avec Madame Rouher et que je vais souvent chez le Ministre des Travaux Publics, qui est sans contredit, le plus capable parmi les ministres actuels.

Or l'opinion de M. Rouher est que l'Empereur veut avoir la main forcée.

S. E. n'est pas effrayé de la papauté émigrante et croit que le Pape quittera Rome peu de tems après l'armée française. Ce ne sera, selon lui, qu'après le retour du St. Père dans la ville sainte que votre projet de séparation de l'Eglise et de l'Etat pourra s'effectuer.

En ce qui regarde le Clergé français M. le Ministre dès travaux publics pense qu'il faut relever et assurer une indépendance au bas Clergé qui est, maintenant, livré, mains et pieds liés, aux Eveques. Selon lui il faudrait, en matière purement religieuse, le rétablissement des officialités qui ont été abolies par les Concordats. En 1801 Napoléon I a soutenu, à ce sujet, une lutte très vive et il n'à cédé qu'à la résistance de Pie VII.

La conclusion de M. Rouher serait de viser à un moyen, provisoire meme, qui permette de retirer de Rome l'armée française. Pour lui toute la question est là. La France, une fois dégagée à Rome, recouvre sa liberté à l'intérieur et son autorité sur le Clergé en sera plus efficace.

Passons à M. de Persigny.

S. E. partirait, pour le moment, d'un point de vue différent de celui de

M. Thouvenel, pour se jo'indre à lui après avoir fait proposer au St. Père un projet d'arrangement, qui serait un acheminement à la séparation totale et à la liberté de l'Eglise en libre Etat.

Selon le Ministre de l'Intérieur [il] devrait avoir la plus grande publicité. Les discussions et les difficultés que vous auriez pour le faire adopter par nos Chambres seraient une force pour l'Empereur vis-à-vis des catholiques de bonne foi. Le Pape, en refusant, donnerait une preuve de plus de sa funeste résistance et c'est alors seulement que M. de Persigny voudrait pratiquer le projet de Mr. Thouvenel, que l'Empereur lui a fait connaitre comme étant fait par lui meme.

Par ses propositions transitoires, qui seraient sans doute refusées par le Pape, M. de Persigny n'a d'autre but que de piacer ce dernier dans son tort.

Il commencerait par établir que le St. Père règne et ne gouverne pas; le Roi d'Italie gouverne à sa piace et ajoute à son titre actuel celui de Vice-Roi des Etats Pontificaux (et non Vicaire; ce mot n'a pas les sympathies de

M. de Persigny). A ceci le Ministre fait suivre presque toutes les concessions proposées par vous en matière religieuse. Il établit qu'une portion de biens meubles et immeubles sera affectée pour les dépenses du Souverain Pontife et des Cardinaux et ne voudrait pas parler de la ville de Rome, qui entrerait implicitement dans la condition de tous les autres Etats du St. Père.

Ce projet, assez biscornu et inapplicable, n'aurait selon moi qu'un avantage c'est-à-dire celui de la publicité du refus par le St. Siège d'un projet qui s'approche assez de celui de V. E., car l'un directement, l'autre indirectement tendent à l'abolition du pouvoir temporel.

Par le langage, que m'a tenu M. de Persigny, j'ai pu voir que son effervescence est plutòt dans sa periode ascendante que décroissante. Il s'est épris d'une amitié folle pour moi; je n'ose pas le quitter sous le désenchantement d'une passion malheureuse et j'ai par conséquent avec lui une patience à toute épreuve dans l'intéret de nos affaires.

Je dois avouer à V. E. qu'un des arguments dont se servent le plus nos ennemis c'est la difficulté, que rencontre, à leurs yeux, l'application du principe unitaire en Italie. Ils disent à l'Empereur sur tous les tons:

«V. M. veut sacrifier le pouvoir temporel du Pape à une chimère, car l'unité italienne est une utopie irréalisable ».

C'est pour répondre à cet argument, que Persigny veut conserver apparemment et en principe la souveraineté temporelle. « Ainsi, dit-il, l'unité échoue-t-elle? les droits du St. Siège sont réservés ».

Je vous assure, Monsieur le Comte, que ce n'est pas une petite affaire que de bien saisir et coordonner les idées passablement confuses de M. le Ministre de l'Intérieur; mais je crois utile, malgré ses défauts, de conserver avec lui de bonnes relations.

Le Prince Napoléon trouve dans les idées de M. de Persigny quelque chose de vrai. Selon S. A. on pourrait prendre en considération ses pensées et tacher de les rendre pratiques au moins dans le sens d'ètre présentées à Rome.

Le projet d'achat de l'Herzégovine, qui serait donnée en échange de la Vénétie, roule encore dans la tète de Persigny, et il m'a dit qu'il gagne du terrain auprès de Lord Palmerston. Le Prince Napoléon trouve aussi se projet magnifique et m'en a parlé hier longuement.

9 avril.

J'ai reçu ce matin l'expédition Collino. J'ai communiqué le rapport de

M. Pantaleoni à M. Thouvenel, qui a été frappé du vote de la congrégation présidée par le Cardinal Santucci. Il m'a dit: «C'est facheux que M. de Gramont, entrainé par les légitimistes, ne voie à Rome les choses que d'un seui point de vue et ne nous informe pas de la véritable situation ».

Il partage votre opinion sur la publicité, qui piace les affaires de Rome sous leur véritable jour; il ne veut pourtant pas adopter le mode de publicité que vous proposez dans votre avant dernière lettre.

Il croit qu'une adresse de la noblesse romaine, portant bon nombre de signatures, produira un effet salutaire; il vous prie de pousser cela, mais avec toute prudence de façon qu'on ne se doute pas à Rome que vous y étes pour quelque chose.

Je n'ai pas fait sentir au Ministre des Affaires Etrangères que vous seriez prèt à accepter un arrangement provisoire. On n'y est ici que trop disposé; et je prévois qu'un de ces jours l'Empereur va m'envoyer à Turin avec quelque proposition, je le répète, toute provisoire, car d'aucune façon, la question romaine ne peut ètre résolue, si non par votre solution.

Garibaldi est le cauchemar de M. Thouvenel. Je lui ai dit que le Gouvernement du Roi était bien décidé à ne pas se laisser forcer la main, quoique vous conveniez vous mème qu'il peut nous donner des embarras. S. E. a entendu avec plaisir que le Roi n'a pas vu Garibaldi. A ce sujet vous pourriez dire à S. M. que l'Empereur me charge de lui recommander la plus grande prudence. A Vienne on est informé de toutes les personnes, qui ont l'honneur de voir le Roi; qu'il sache à quoi s'en tenir.

Les nouvelles complications de Varsovie, que je vous annonce par mon télégramme d'aujourd'hui, y marqueront un tems d'arret, qui s'étendra peut-etre à la Hongrie, à moins que l'Empereur d'Autriche ne se laisse monter la tete par cet exemple de répression.

M. de Moustier mande de singuliers détails sur ce qui se passe à Vienne relativement à la Hongrie. Les libéraux hongrois et allemands voudraient détruire les privilèges contenus dans la constitution hongroise. Au contraire l'aristocratie des deux pays voudrait que François Joseph accorde ces privilèges en Hongrie pour se faire de ceci un point d'appui contre le libéralisme allemand, qu'elle appelle doctrinaire. Des intelligences sont entretenues entre les deux aristocraties de Hongrie et de Vienne et dans les discussions l'Empereur s'est montré plus enclin aux concessions libérales que M. de Schmerling meme, qui est aversé par une grande partie des Ministres.

M. Thouvenel me charge de vous dire de conseiller à Klapka de ne I'ien négliger pour s'entendre avec les régiments de frontière croates. Un grand mécontentement y règne et c'est là que la révolution hongroise doit chercher son appui. Le Ministre trouve la note de Klapka tout à fait convenable en admettant que les choses fussent comme le Général les juge de loin; mais, selon lui, il n'est pas ainsi. Des renseignements très précis venant de Pesth confirment ce que M. de Moustier mande de Vienne.

M. Thouvenel vous recommande aussi vivement de ne pas vous fier à Magnan. Ce monsieur est bien le plus intrépide, mais aussi le plus bavard des agents français. L'Empereur lui porte de l'intéret, parcequ'il a rendu de véritables services, mais, à présent, il est échaudé. Partout les yeux de la police autrichienne sont tournés sur lui et on ne saurait prudemment lui confier une mission ausst délicate que celle dont parle V. E. Il faudrait que Magnan vous indique le moyen qu'il dit posséder de faire parvenir des armes en Hongrie. Sous le prétexte d'une concession de mines on a obtenu du Gouvernement Turc un petit territoire. C'est là qu'on comptait faire un dépOt d'armes. Mais Magnan et ses amis ont trop parlé et compromis un moyen qui aurait été, peut-etre très bon. Si c'est à cela que Magnan fait allusion, l'Autriche en est déjà prévenue et se tient sur ses gardes.

Suivant M. Thouvenel et meme Conneau, ce n'est qu'au moment où une insurrection éclaterait en Hongrie, l'Autriche étant dans le tort, qu'on pourrait obtenir de l'Empereur l'envoi d'armes et un appui réel.

S. M. a l'intention d'éloigner les événements autant qu'il pourra; c'est notre intéret à tous de le suivre dans cette voie. Mazzini travaille activement; l'Autriche ne demande qu'un prétexte; M. Thouvenel appelle votre attention pour que nous n'ayons pas à lui faire la partie bonne.

Je viens de voir Conneau. L'Empereur est toujours impatient de retirer ses troupes de Rome; il dit que cette pensée ne lui laisse de treve ni nuit ni jour. Il disait encore ce matin: « Si on me fournissait le moyen de sortir honorablement de cette fausse position, mes sympathies pour l'Italie redoubleraient >.

Dans cet état de choses, je me permets, Monsieur le Comte, de vous faire une demande, qui ne vient que de moi, et ne m'a été suggérée par personne. Il en serait autrement que vous le dirais. La voici.

Votre lettre de ce matin, qui parle d'arrangement provisoire, m'a donné l'idée de vous demander pourquoi ne pourriez-vous pas faire un projet, qui, tout en

étant un acheminement à votre solution, pourrait fournir à l'Empereur le moyen de satisfaire, au plus tòt, à son vif désir. Une fois les troupes françaises rentrées, la France aurait toute sa liberté d'action et l'Italie, Iivrée à elle meme, pourrait attendre le moment où l'inefficacité d'une mesure transitoire ferait sentir au St. Siège la nécessité d'accepter le principe vrai que vous avez posé dans vos propositions. S'il y a un projet possible, il ne peut sortir que d'une de vos vastes conceptions. Je communiquerais en tout secret, moi meme, vos idées à l'Empereur, qui les trouvant de sa convenance pourrait les passer comme siennes propres à

M. Thouvenel ou à M. Persigny.

Croyez, Excellence, que cette pensée m'est dictée par la grande anxiété que je vois dans l'Empereur de sortir de la position où il se trouve. L'aider c'est nous aider nous memes; les événements marchent et nous avons trop besoin de l'appui de la France pour ne pas hésiter à l'acheter meme par quelque grand sacrifice. J'ai lu attentivement vos discours à la Chambre sur cette question et je vois, si je ne me trompe, que meme dans vos conclusions vous admettez la possibilité d'aller à Rome en deux étapes.

M. Matteucci a fait demander à l'Empereur par Conneau de charger Gramont d'insister auprès du Pape afin qu'il lui permette d'aller à Rome, ou du moins de lui faire arriver une lettre.

Veut-il y aller pour plaider en faveur des idées exposées dans son ordre du jour d'aujourd'hui, que je reçois à l'instant? Demain, par mon beau frère se rendant à Turin, je pourrai peut-etre vous envoyer des détails sur les affaires de Pologne. En attendant je crois utile de vous renvoyer ce soir méme le courrier Collino.

(l) Edita in Q. R., II, Appendice Il, p. 263.

51

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A MADRID, TECCO

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 11 aprile 1861.

Une loi de l'Etat a proclamé, vous le savez, la formation du Royaume d'Italie sous le sceptre de Victor Emmanuel II Notre Auguste Souverain et de ses successeurs. L'Angleterre et la Suisse ont déjà reconnu avec le titre assumé par le Roi le changement opéré dans la Peninsule Italienne par les grands faits qui se sont accomplis et qui viennent de recevoir du Parlement National la sanction de la légalité constitutionelle. Nous sommes informés que d'autres Gouvernements vont bientòt y donner également leur adhésion. Le moment serait donc venu de notifier également au Cabinet de Madrid un événement consacré par le vote légitime de la nation, et reconnu par plusieurs Puissances. Et si nous ne devions consulter que nos sentiments pour le Gouvernement Espagnol, si nous ne devions consulter que les souvenirs historiques, l'esprit éminemment national et les institutions d'un pays qui a su, grace à des glorieux et mémorables efforts, fonder

et maintenir son indépendance et sa liberté, je n'hésiterais pas à vous charger de l'honorable mission d'annoncer au Cabinet de S. M. Catholique la reconstitution d'une nationalité que bien des motifs recommandent aux sympathies du peuple espagnol, et qui ne peut nourrir envers l'Espagne que les dispositions les plus bienveillantes.

Mais l'amitié meme et la haute estime que nous professons pour la Cour de Madrid est à nos yeux une raison de plus de nous rendre compte des circonstances spéciales qui peuvent lui faire désirer de ne pas etre mise immédiatement en demeure de reconnahre un ordre de choses auquel nous sommes persuadés d'ailleurs que l'Espagne comme Gouvernement national et constitutionnel ne refuse pas la valeur légale qu'il a reçue des pouvoirs constitutionnels de notre patrie. Nous avons trop de confiance dans la sagesse et dans les dispositions amicales du Cabinet de Madrid pour ne pas le laisser juge du moment où il croira pouvoir concilier une résolution que nous avons lieu d'attendre de lui, avec des convenances que nous aimons à respecter.

Mais tout en nous abstenant de hater ses décisions il nous importe, et le Gouvernement Espagnol appréciera sans doute ce désir, que les relations que vous devez avoir avec lui soient réglées de manière que nos droits n'en soient pas préjugés et que notre dignité n'en ait pas à souffrir. Pour le moment il nous semble que ce double but pourrait etre atteint de la manière suivante. Le Gouvernement Espagnol dans ses communications avec notre Représentant à Madrid pourrait, s'il le veut, se borner à la souscription ou adresse à M. le Baron Tecco, Envoyé Extraordinaire et Ministre Plénipotentiaire de S. M. le Roi Vietar Emmanuel, sans y ajouter pour le moment d'autres qualifications, tandis que notre Ministre prendrait dans ses rapports avec le Cabinet Espagnol le titre d'Envoyé etc. du Roi d'Italie. Cette meme qualification de Roi d'Italie devra naturellement figurer sur les Armoiries de la Légation, ainsi que sur les passeports et autres documents qui en émaneraient soit de la Légation soit des Consulats Italiens en Espagne.

Le Cabinet ~spagnol sentira sans doute que vous ne pourriez prendre d'autres qualifications que celle qui a obtenu la sanction solennelle des pouvoirs constitutionnels de notre pays et qui répond à l'état de choses qui existe réellement et régulièrement en Italie. Par ce moyen les relations réciproques pourraient continuer jusqu'à ce que le Gouvernement de S. M. Catholique ne verrait plus aucune difficulté à reconnaitre formellement le Royaume d'ltalie. Ce moment, je l'espère, sera d'autant moins différé que l'expédient meme que je propose doit montrer au Gouvernement Espagnol combien nous attachons de prix à son amitié, et que les sentiments camme les intérets nombreux qui lient les deux nations ne peuvent que les porter à se donner des marques de bienveillance, et à resserrer de plus en plus leurs rapports.

Je crois utile de vous faire remarquer à toute bonne fin que des mesures transitoires identiques à celles qui forment l'objet de cette dépeche ont déjà été convenues avec quelques autres Gouvernements qui se trouvent envers le Royaume d'Italie dans des conditions analogues à celle de l'Espagne.

J e vous invite à entretenir en ce sens S. E. Monsieur le Ministre des Affaires Etrangères de S. M. Catholique.

52

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI

T. 255. Torino, 12 aprile 1861.

Le Prince de Carignan m'envoie télégrammes sur télégrammes répétant que l'agitation dans les Provinces Napolitaines est entretenue par les agents que le Roi François et sa Cour expédient de Rome. Le Général Goyon favorise les intrigues et se montre ouvertement favorable à la réaction. Ces jours derniers il a fait manreuvrer l'artillerie française en présence du Roi François, ce qui a produit effet déplorable. Je compte adresser une note ostensible à Thouvenel pour lui demander son éloignement de Rome. Prévenez-le et sondez-le pour savoir si cela déplairait à l'Empereur.

53

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

T. 384. Parigi, 12 aprile 1861, ore 17,40 (per. ore 19,05).

Je n'ai pas pu voir Thouvenel, mon entretien étant de midi à une heure, pour que votre demande d'éloignement soit portée au Conseil des Ministres demain. J'ai communiqué votre dépeche télégraphique à Benedetti; mais il sera difficile qu'on adhère à la demande d'éloigner Goyon. Je vais influencer Persigny et les Ministres des Travaux Publics et des Finances pour que demain on décide au moins un blame pour Goyon. Est-ce bien de ce dernier ou du Roi de Naples que vous parlez? Répondez par télégraphe de suite. J'ai obtenu de Persigny que la presse semi-officielle soutienne votre système d'arrangeme.ftt avec Rome; il a écrit à La Gueronnière de s'entendre avec moi. Les plus étranges bruits courent à la bourse, les Autrichiens ont passé le Pò, votre Ministère est tombé, etc., etc.

54

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI

T. 258. Torino, 12 aprile 1861.

C'est le Roi de Naples qu'il importe éloigner de Rome; non Goyon. Rien de nouveau de l'autre còté du Mincio. Le Ministère est renforcé par suite du discours Ricasoli (1).

(l) Discorso Ricasoli nella seduta 10 aprile della Camera dei Deputati c per l'assegnamentodi un giorno per le interpellanze sull'Armata Meridionale, e osservazioni intorno ad alcune parole del generale Garibaldi • (contro il Parlamento) in Ricaso!i, V., pp. 439-443.

55

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., II, 382)

T. 386. Parigi, 13 aprile 1861, ore 13,40 (per. ore 14,40).

Les nouvelles de Pologne très graves. Selon les émigrés 500 victimes. Le peuple est décidé à continuer les démonstrations et se faire massacrer. La prochaine démonstration aura en tete les femmes et les enfants. L'Empereur dit hier au soir que la cause de Pologne est digne de sympathie par son triste et glorieux passé. S. M. va envoyer à Goyon fort blàme pour la manoeuvre; aujourd'hui on en parle en Conseil des Ministres. J'insiste pour l'éloignement de l'ex-Roi François. Je crois que nous avons fait un pas vers la reconnaissance.

56

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., Il, 383)

T. 387. Parigi, 13 aprile 1861, ore 16,50 (per. ore 19,05).

N'écrivez pas de note officielle pour l'éloignement du Roi François; aujourd'hui meme on écrit à Goyon de faire sentir au Roi qu'il a manqué à sa parole et que l'Empereur est fort mécontent de ses menées et des embarras qu'il lui crée, qu'il s'attendait de lui autre chose. Le Ministre de la Guerre envoie réprimande très vive à Goyon pour la manreuvre. L'Ambassadeur de France à Vienne écrit que le Baron Way est désolé des intentions de guerre qu'on attribue à l'Autriche: elle ne songe point du tout à nous attaquer d'autant plus qu'elle sait que nous n'attaquerons pas. Il parait que Palmerston songe sérieusement à s'unir avec les Tory, ceci inquiète ici. Les affaires d'Orient vont très mal et Bulwer s'obstine à s'opposer au chàtiment des Druses. Hier au soir j'ai vu l'Empereur. Je pars ce soir pour Turin avec une lettre, envoyée par lui.

57

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. CONFIDENZIALE 20l. Londra, 13 aprile 1861.

J'ai vu Lord John Russell et j'ai profité de ma visite pour lui parler des graves difficultés qui se dressent contre nous en perspective par le fait des manreuvres attribuées à l'Autriche pour se ménager le bénéfice de certains cas de mouvements politiques. Tout en étant l'reuvre de ses agens secrets elle nous en attribuerait l'explosion pour mettre de son cOté l'opinion européenne.

Lord John qui a, je crois, écrit à ce sujet à Sir James Hudson à Turin (l), m'a tenu un langage plein d'incertitude et de perplexité. Il hésitait à croire l'Autriche assez malavisée pour susciter elle-meme au meme moment une guerre en Hongrie et en Vénétie. Sans argent et devant tenir compte des antipathies de ses sujets et de ses nombreuses complications intérieures, comment pouvait-elle désirer se mesurer meme avec la seule armée italienne, soutenue par les population et fière de ses récents succès?

D'autre part il était bien à craindre que, soit pour tenter par un coup de tete et de désespoir de !lortir de cette position si fausse, meme à perdre la Vénétie les armes à la main, soit par la grande confiance qu'on cherchait à inspirer de nouveau au jeune Empereur en son armée, objet de tant de préoccupations et de dépenses, il était à craindre, dis-je, qu'on ne le pousse à des mesures déconseillées par la raison et condamnées d'avance. Les renseignements qui leur venaient de Venise étaient dans ce sens.

Lord John me disait par conséquent que ne prévoyant guère laquelle de ces deux alternatives serait prépondérante, il ne savait au juste quelle opinion définitive il lui était permis de se former.

En meme temps le seui parti à prendre pour lui était dans le doute no'n pas de s'abstenir, mais au contraire de prendre une position intermédiarie entre les combattants. C'est ce qu'il avait fait en faisant savoir à Vienne (et peut-etre à Turin) que quelqu'il fut il serait contre l'agresseur.

En meme temps il avait énuméré en détail à Vienne les arguments qu'il croyait les plus valables pour conseiller la paix. Il en avait parlé ici au Comte Apponyi en appelant son attention sur les manoeuvres dont l'Autriche était accusée à propos d'enròlemens et de faux Garibaldiens. L'Ambassadeur s'était borné à demander à Lord John si réellement il pouvait croire que l'Autriche fUt capable de pareilles infamies. La réponse ne m'aurait point parue difficile. En parlant de la Hongrie il dit que l'Empereur son Maitre ne pourrait jamais céder aux prétentions des Hongrois. Mais Lord John se borna à lui répondre qu'avant de se prononcer aussi catégoriquement il faillait savoir si les demandes hongroises n'étaient pas justes.

Au reste dans le cours de la conversation je me permis de faire cette remarque que tant que l'Angleterre se bornait à exprimer sa désapprobation, cela n'empecherait pas l'Autriche d'agir malgré cela, précisément parce qu'elle savait qu'il s'agissait de paroles seulement et qu'au fond elle ne perdrait pas beaucoup auprès de la nation auprès de laquelle elle était fort impopulaire. Lord John contesta cet argument. Je concédai de mon còté que dans notre sens il pourrait arriver que par suite d'une attaque de l'Autriche contre nous, l'opinion publique en Angleterre s'émeuve assez pour pousser le Gouvernement à intervenir activement. Mais Lord John me parut enclin à penser que, tout en souhaitant tout le succès aux Italiens, aux Hongrois et aux Polonais, la nation anglaise n'irait pas jusqu'à prendre les armes pour eux autrement que par l'influence morale. J'ai entendu des personnes très compétentes soutenir dernièrement la thèse contraire. En tout cas, me dit Lord John, cela ne serait pas égal à l'Autriche de braver notre

désapprobation parce que le premier effet entre autres qui en dériverait serait un rapprochement immédiat entre nous et la France, rapprochement qui ne serait pas dans le sens du pouvoir temporel et d'autres sujets qui tiennent fort à coeur du Gouvernement Impérial.

Cette hypothèse, que Lord John me présenta de son propre chef, me frappa extremement en me prouvant que son attention avait été récemment dirigée en ce sens. J e crus la chose assez importante à noter pour en faire part le soir meme à M. de Flahault. L'Ambassadeur, tout en tenant compte de ces meilleures dispositions, m'a paru éprouver un peu d'amertume par suite des dispositions défiantes qu'il ne cesse de rencontrer sur son chemin. Il revint avec de pénibles récriminations sur le passé de ces deux années. Mais je lui fis observer que c'était précisément à amener un futur meilleur que ces remarques de Lord John pouvaient tendre. Il y a du chemin à faire. Mais cela peut servir de marque pour une direction à prendre ou à donner.

Les craintes qu'on avait conçues sur la durée du Ministère actuel, commencent à se dissiper. C'est une nouvelle que V. E. apprendra, j'en suis sùr, avec beaucoup de satisfaction.

(l) Cfr. C. M. DE VECCHI DI VAL CISMON, P Solaroli a Londra nel dicembre 1860, !n • Rass. Storica del Risorgimento • XXI, 1934, pp. 1200-1204.

58

IL PRINCIPE GIROLAMO NAPOLEONE AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR (l)

(Ed. in Q. R., II, 384) Parigi, 13 aprile 1861.

Je comprends toute l'importance de votre lettre, la difficulté de votre situation en face des cassecous intérieurs, en face de l'opposition morale de la France qui ne reconnait pas le Roi d'Italie, et qu'une partie de l'opinion publique croit favorable aux prétentions du Prince Murat, en face de la conduite du Général de Goyon qui fait passer des revues au roi de Naples à Rome et traite ce prince en roi légitime des deux Siciles, enfin vis-à-vis de l'Autriche qui peut vous attaquer d'un moment à l'autre. Vous n'avez pas besoin que je vous fasse connaitre mon opinion personnelle, que j'ai manifestée hautement sur toutes ces questions. Ce sont les intentions de l'Empereur qu'il vous importe de connaitre.

Sans que ce que je vous écris ait rien d'officiel, je crois pouvoir vous indiquer les idées générales de l'Empereur, qui pourront vous servir à trouver peut-etre une solution pour l'évacuation de Rome, si désirable au point de vue français et italien.

Pour résoudre une question, il faut avant tout la bien poser. Or voici com

ment cette question se présente à mon esprit.

L'Empereur, qui occupe Rome depuis douze ans, ne veut pas que l'éva

cuation de cette ville ait l'air d'un démenti donné à sa politique, ni d'une

retraite vis-à-vis de l'unité de l'Italie, qui s'est faite en dehors de ses conseils.

Le désir de l'Empereur est cependant de quitter Rome et de sortir d'une

fausse position. Vous avez un intéret de premier ordre à obtenir notre éva

cuation; cela doit, je crois, vous faire passer sur des difficultés secondaires et

surtout temporaires. La politique de non intervention applicable à Rome et

au patrimoine de St. Pierre pourrait servir de base à un arrangement, consi

dérant le Pape comme un souverain indépendant, vis-à-vis duquel la non

intervention devrait etre pratiquée. La France évacuerait Rome, l'Autriche

ne pourrait pas l'y remplacer; mais le Gouvernement italien devrait s'engager

vis-à-vis de la France, non seulement à ne pas attaquer le Gouvernement du

Pape directement par ses troupes, mais meme à ne pas le laisser attaquer

indirectement par des volontaires conduits par Garibaldi ou autres. Cet enga

gement est conforme à vos déclarations devant le parlement, où vous dites

que la question de Rome n'est pas de celles qui se résolvent par la force.

La non intervention consiste à garantir un état considéré comme indépen

dant, de toute attaque éntrangère. Si, avec le temps, la situation du gouver

nement papal vis-à-vis des cinq ou six cent mille sujets qui lui restent à

gouverner, devenait intolérable, le gouvernement de l'Empereur peut ne pas

se croire obligé de garantir le Pape contre ses propres sujets. C'est une question

qu'il n'est pas utile de traiter dans un arrangement direct entre la France

et l'Italie. Le Gouvernement de l'Empereur ayant obtenu une garantie formelle

de votre part de respecter le territoire que le Pape gouverne encore aujourd'hui,

peut considérer sa mission comme terminée à Rome.

La diminution du territoire papa! depuis 1849 (l) expliquera notre éva

cuation, notre présence n'étant plus indispensable au maintien du pouvoir

temporel du Pape réduit à ses nouvelles limites.

Le gouvernement de l'Empereur voudra, je crois, stipuler, meme sans

donner au Pape le droit d'appeler une intervention étrangère, lui reconnaitre

et faire reconnaitre par vous le droit qu'aura le gouvernement pontificai de se soutenir en organisant une force catholique prise en dehors de sa petite population, pourvu que cette force, limitée pour qu'elle ne puisse pas dégénérer en un moyen d'attaque contre vous, ne soit qu'une force défensive et conservatrice. Le chiffre pourrait en etre fixé à une douzaine de mille hommes.

J e me résume donc ainsi:

l) Un arrangement direct serait conclu entre la France et l'Italie.

2) La France ayant mis le Pape à l'abri de toute attaque ses soldats

évacuent Rome.

3) L'Italie s'engagera à ne pas attaquer et d empecher meme par la

force toute attaque venant de l'extérieur contre le territoire actuel du Pape.

4) Le Gouvernement italien s'interdira de faire toute réclamation contre l'organisation d'une armée papale composée meme de volontaires catholiques étrangers, tant que cette armée ne monterait pas à plus de dix mille hommes.

5) L'Italie se déclarerait prete à entrer en arrangement avec le gouvernement du Pape, pour prendre à sa charge la part proportionnelle qui lui reviendrait dans les charges des anciens Etats de l'Eglise.

Cet arrangement me parait également avantageux pour la France et pour l'Italie. L'Empereur resterait vis-à-vis de l'opinion publique européenne dans le programme qu'il s'est posé, de maintenir le pouvoir temporel du Pape à Rome et dans le patrimoine de St. Pierre.

L'Italie aurait l'immense avantage de se voir reconnaitre par la France; de voir l'alliance naturelle et indispensable complètement rétablie avec nous, et enfin, si le gouvernement temporel du Pape succombe avec le temps, il faut, en face de l'opinion publique, faire cette dernière épreuve solennelle et bien constatée qu'il ne sera pas renversé par la force venant de l'extérieur, mais par ses propres difficultés intérieures.

C'est mettre, en un mot, le Pape en face de ses populations. Si Rome devient un jour la Capitale de l'Italie, il faut que ce soit non par une conquete étrangère, mais par la volonté manifeste et persévérante de ses propres habttants et par l'impuissance du gouvernement des pretres.

Je comprends, mon cher Comte, combien seront grandes les difficultés

intérieures que vous aurez à surmonter, et vis-à-vis de votre parlement (et

vis-à-vis de Garibaldi et de ses volontaires) et vis-à-vis de tout le parti qui

veut l'unité immédiate. Mais croyez-moi, et mes sentiments ne sauraient vous

etre suspects, vous n'obtiendrez pas plus de l'Empereur.

Si un arrangement n'intervient pas et au plus tot, qui nous permette de

quitter Rome, la situation deviendra de plus en plus mauvaise en Italie et en

France, ainsi que dans les relations des deux pays. Il arrivera un moment où

l'Autriche, qui vous guette, vous attaquera. La France sera dans une fausse

position, tout sera remis en question, et la grande cause qui a triomphé en 1859

peut etre perdue.

Je compte sur votre tact d'homme d'Etat, pour vous faire comprendre

combien il est important pour vous d'obtenir, par un arrangement qui satisfasse

la France, l'évacuation de Rome.

Si vous me répondez que vous croyez pouvoir accepter ces bases, je remet

trai votre lettre à S. M. l'Empereur, et j'ai lieu d'espérer qu'il donnera des

ordres à son Ministre des affaires étrangères pour terminer au plus tòt cet

arrangement.

P. S. -Ces propositions ne sont encore que les bases d'un traité qu'il faudra examiner à fond avec toutes ses difficultés.

(l) Preferiamo pubblicarla nell'edizione di Q. R., fondata su una copia che esisteva alla Biblioteca Reale di Torino (salvo il p. s. che gli editori di Q. R., II, 385, hanno tratto dall'ediz. Artom e che parafrasa quasi il contenuto di un biglietto di Napoleone III al principe Napoleone), ma la lettera era stata già data alla luce con varianti diverse da • • • Un po' più di luce sulla Convenzione del 15 settembre 1864 in • Nuova Antologia •, ser. IV, vol. LXXX (marzo 1899), pp. 67-69; C. DURANDO, Episodi diplomatici de! risorgimento italiano dal 1856 a! 1863, Torino, 1901, p. 205 e sgg.; E. ARTOM, L'opera politica del sen. I. Artom ne! risorgimento italiano, Bologna, 1906, p. 188 e sgg.; L. C. BoLLEA, Una si!loge di lettere del risorgimento ecc., Torino, l!iH9, p. 443 e sgg.

(l) Recte: 1859.

59

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO

(Ed. in Q. R., II, 386)

T. 264. Torino, 15 aprile 18tS1.

Veuillez dire au Prince Napoléon que le Comte Vimercati est arrivé. Il a communiqué le projet au Roi et à moi. Au premier aspect il nous parait présenter de graves diffi.cultés. Toutefois, pénétrés de la nécessité de marcher d'accord avec le Gouvernement Impérial, nous sommes à la recherche des moyens de les vaincre.

60

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY

D. 378. Torino, 15 aprile 1861.

L'attitude expectante de la Prusse, l'attitude naturellement hostile de l'Autriche ne nous permettent guère de nous flatter que les Etats secondaires de l'Allemagne soient enclins à reconnaìtre le Royaume d'Italie. Divisés presque nécessairement à raison de leur position, de leurs principes et de leurs intérets en deux groupes, dont l'une gravite vers Berlin, l'autre vers Vienne, ces Etats en général sont obligés de subir dans les questions un peu graves de la politique étrangère l'infl.uence de l'une ou de l'autre des deux grandes Puissances Allemandes. Ainsi je crois que chez tous ou chez la plupart du moins une notification du nouvel ordre de choses n'aurait aucune chance d'etre favorablement accueillie et qu'il serait par conséquent inutile de faire auprès d'eux des démarches officielles et directes.

Comme du reste nous n'avons pas de Légations qui résident dans les capitales de ces Etats secondaires, il n'est peut-etre pas meme nécessaire de provoquer de leur part des mesures transitoires pour régler la continuation de rapports qui n'ont presque pas de caractère politique et qui se bornent à des relations commerciales, dans lesquelles les Gouvernements respectifs ont rarement à exercer une action immédiate et d'une nature internationale.

Il se peut toutefois que quelqu'Etat de l'Allemagne du Nord, ou placé dans des circonstances qui les rendent moins dépendant des deux grandes Cours, ou désirant ménager à son commerce des relations plus étendues avec l'Italie, soit mieux disposé à reconnaitre le nouveau Royaume. Je veux faire allusion surtout aux villes libres Breme, Lubeck, Hambourg. Etats commerçants sans aucune importance politique, ils pensent peut-etre qu'un acte de reconnaissance de leur part ne donnerait point d'ombrage, et serait regardé par l'Autriche et la Prusse comme une simple précaution de prudence, un moyen de sauvegarder, de développer les intérets de leur commerce et de leur marine marchande. En effet, ils ne peuvent etre insensibles aux avantages que leur offre l'application à toute l'Italie des principes libéraux qui régissent notre législation douanière et l'extreme modicité de nos tarifs.

Il me parait donc convenable qu'en évitant toute démarche offi.cielle et

meme des ouvertures trop directes, vous sondiez, en vous entretenant avec

leurs Représentants à Berlin ou de telle autre manière que vous jugerez bon,

les intentions de ceux parmi les Etats secondaires que vous auriez lieu de

croire mieux disposés et dans une situation plus indépendante de la politique

ou de la pression des grandes Cours, et particulièrement les villes libres. Si

vous rencontriez quelque part des dispositions favorables, alors sùr votre avis

on aviserait aux communications qui paraitraient opportunes.

61

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. 320. Berlino, 16 aprile 1861.

Je viens d'apprendre d'une source très sùre que tout récemment des pour

parlers ont eu lieu entre les Gouvernements allemands, à l'instigation proba

blement de l'Autriche, qui aurait voulu amener une démonstration contre le

nouvel ordre de choses en Italie. La Bavière, tout me porte à le croire, avait

été chargée d'attacher le grelot.

Voici quel était le plan.

Quelques-uns des Souverains déchus, entre autres le Roi François II et le

Due de Modène, devaient faire remettre au Président de la Confédération

Germanique une protestation contre les usurpations dont ils se disent les

innocentes victimes. La Diète en aurait pris acte, en déclarant qu'elle ne

saurait permettre plus longtemps à Francfort la présence du représentant diplo

mat'ique du Souverain usurpateur, etc., etc.

Le Grand Due de Baden a refusé net de se prèter à la réalisation de ce

projet. De son còté le Cabinet de Berlin à décliné péremptoirement de s'as

socier à de semblables démarches. Le Baron de Schleinitz s'est expliqué dans

ce sens vis-à-vis de mes collègues, et il espérait que ces tentatives iraient à

vau-l'eau. Il ajoutait qu'il existe en Allemagne deux courants, l'un qui nous

est contraire, dans le Midi; et l'autre dans le Nord, où les Etats, la Prusse en

tète, ne sont animés d'aucun sentiment hostile à notre égard; seulement avant

de nous reconnaitre ils veulent attendre de s'assurer si nous parviendrons à

consolider le nouveau Royaume d'Italie, malgré les diffìcultés qui l'entourent.

J'ai pensé que ces détails sur l'attitude de la Prusse en présence des menées

de l'Autriche offriraient quelque intérèt à V. E. Vu le mauvais vouloir de plu

sieurs Etats du Sud dont les Représentants siègent à Francfort, la position du

Comte de Barrai n'est pas des plus faciles. Heureusement que le tact et l'expé

rience ne lui font pas défaut. Je sais par Monsieur de Usedom qu'il vit dans

les meilleurs termes avec son collègue de Prusse, bien à mème de lui indiquer,

au besoin, la meilleure voie à suivre, pour se préserver des embùches.

62

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL PRINCIPE GIROLAMO NAPOLEONE (l)

(Ed. in Cavour -Nigra, IV, 1294)

L. P. Torino, 17 aprile 1861.

Le Comte Vimercati m'a remis avant hier la lettre que V. A. I. m'a fait l'honneur de m'écrire le 13 de ce mois.

7 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. I

J'avoue qu'au premier moment j'ai été effrayé des difficultés et des dangers que présente l'exécution du pian que l'Empereur serait disposé à adopter pour arriver à une solution provisoire de la question romaine.

Les engangemens qu'il nous faudra contracter d'une part, l'état de Rome lorsque les français se seront retirés, de l'autre, nous créeront des embarras énormes vis-à-vis du Parlement, du pays, des Romains, et surtout de Garibaldi qui, comme un ours sorti de sa tanière, est à la recherche d'une proie à dévorer.

Toutefois comme lorsqu'il n'y a que deux voies à suivre, il faut savoir choisir la moins périlleuse, quels que soient les précipices dont elle est semée, je n'ai pas tardé à me convaincre que nous devions accepter les propositions contenues dans la lettre de V. A. I. L'alliance française étant la base de notre politique, il y a peu de sacrifices que je ne sois disposé à faire pour qu'elle ne soit pas mise en question.

Le Roi à qui j'ai communiqué immédiatement la lettre de V. A. a partagé cet avis. Cependant avant de remettre au Comte Vimercati une réponse définitive, j'ai cru nécessaire de m'assurer que dans le Conseil des Ministres, et au sein du Parlement le projet en question ne rencontrerait pas des obstacles invincibles. Pour avoir cette certitude le concours de deux hommes, de Minghetti et Ricasoli, est indispensable. Après quelques hésitations et non sans une répugnance assez marquée, il se sont engagés à me le donner. Maintenant, je suis sur de mon fait, du moins du point de vue parlementaire. Je n'ai aucune observation essentielle aux bases du traité posées par V. A. Ainsi il demeure entendu:

l) que le traité serait conclu directement entre la France et l'Italie sans l'intervention de la Cour de Rome;

2) que la France ayant mis le Pape à l'abri de toute attaque étrangère, ses soldats évacueront Rome dans un délai déterminé qu'il serait bon de limiter autant que possible à quinze jours ou un mois par exemple;

3) que l'Italie s'engagerait à ne pas attaquer et à empecher meme par la force toute attaque venant de l'extérieur contre le territoire actuel du Pape;

4) que le Gouvernement s'interdirait de faire toute réclamation contre l'organisation d'une armée papale composée meme de volontaires catholiques étrangers, tant que cette armée ne monterait pas à plus de dix mille hommes;

5) que l'Italie se déclarerait prete à entrer en arrangement avec le Gouvernement du Pape, pour prendre à sa charge la part proportionnelle qui lui reviendrait dans les charges des anciens états de l'Eglise.

Tout en acceptant sans réserve la quatrième base, je demanderais que dans le traité définitif elle fUt redigée de manière à choquer le moins possible le sentiment national qui est très sensible à tout ce qui a rapport à l'intervention de soldats étrangers en Italie.

Quoique je comprenne fort bien que les points ci-dessus indiqués ne comprennent pas toutes les conditions du traité définitif, je n'entrerai pas maintenant dans des détails ultérieurs avec V. A. I. convaincu que le Comte Vimercati avec lequel j'ai eu de longues explications est en mesure d'éclairer

V. A. sur toùtes les questions qu'il s'agira de fixer.

Toutefois je me permettrai d'indiquer deux points qui me paraissent de la plus haute importance.

l) C'est que la reconnaissance du Royaume d'Italie ait lieu le jour meme de la signature du traité; a cet effet nous munirions le personnage, chargé -de signer le traité, de lettres de créance qu'il pourrait remettre sans délai à l'Empereur. Cette mission pourrait avoir un caractère d'autant plus solenne! qu'elle aurait un but spécial et ne serait que temporaire.

2) Sans s'engager à nous preter un concours direct, la France pourrait nous promettre ses bons offices pour amener le Pape a consentir à un accord définitif avec l'Italie en harmonie avec les principes que le Cardinal Santucci et le Père Passaglia ont soumis au Cardinal Antonelli. Cette clause aurait l'immense avantage de rendre la Cour de Rome plus sage et le peuple romain plus patient.

Une fois parfaitement d'accord sur les conditions vitales du traité, il me parait que sa conclusion pourra avoir Iieu dans un bref délai. Plus nous ferons vite et plus nous aurons des chances de surmonter les difficultés que son exécution soulèvera.

Trop de monde a intéret à empecher la réconciliation parfaite de la France et de l'Italie pour qu'il ne convienne pas de laisser le moins de tems possible aux intrigues de nos ennemis.

Ainsi que le Comte Vimercati me l'a répété au nom de V. A. je sens que le secret le plus absolu est une condition essentielle du succès de la présente négociation. Aussi elle peut y compter d'une manière absolue de notre part. Je ne doute pas que le secret soit aussi bien gardé à Paris qu'à Turin: mais il me parait essentiel de ne pas mettre Gramont dans la confidence; qui n'est pas toujours assez en garde vis-à-vis du Cardinal Antonelli qui excelle dans l'art de pénétrer les véritables intentions des diplomates avec lesquels il a à faire.

Je ne saurais terminer cette lettre sans exprimer à V. A. I. ma profonde reconnaissance pour ses efforts constants en faveur de la cause ital1enne, qui lui doit déjà tant. J'espère que, Iorsqu'elle aura triomphé définitivement,

V. A. verra qu'elle n'a pas travaillé pour des ingrats, et qu'en concourant à la résurrection d'un peuple opprimé Elle aura puissamment contribué à rendre la France plus forte et plus glorieuse.

(l) Già edita con qualche variante da L. CHIALA, Lettere ed. ed ined. del Conte di Cavour, Torino 1883, IV, pp. 214-217.

63

IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. CONFIDENZIALE S. n. Francoforte, 17 aprile 1861.

Il me revient de source certaine que tout dernièrement l'Autriche a fait de secrètes démarches auprès des différentes Cours allemandes pour les engager à protester collectivement à la Diète contre la récente création du Royaume d'Italie et par suite provoquer l'éloignement de cette Légation. Les manreuvres de l'Autriche n'ont pas abouti grace à la résistance de la Prusse qui s'est refusée de s'associer à ces intrigues en disant que c'était là une question sur laquelle la Diète n'avait pas pour le moment à se prononcer et dont l'examen devait etre exclusivement réservé à l'appréciation séparée de chacune des Cours allemandes. Pour mieux assurer le succès de ses perfides démarches, l'Autriche y avait joint une circulaire dont j'espère pouvoir bientot transmettre le texte à V. E.

Dans cet état de choses, je crois le moment venu d'appeler l'attention de

V. E. et de Lui demander ses instructions sur certains points fort délicats à décider, dont les plus pressants pour le moment se rapportent aux « visas » et passeports à délivrer par cette Légation.

Je ne pense pas qu'il soit dans les intentions du Gouvernement du Roi d'adresser à la Diète une notification à laquelle la majorité de l'assemblée répondrait infailliblement par un refus de reconnaitre le nouvel ordre de choses; je ne crois pas davantage qu'il soit possible de proposer un modus vivendi semblable à celui qui a été convenu avec la Prusse; et comme en dernier lieu je n'ai pas de communications à transmettre à la Diète, il s'en suit qu'il n'y a pas de difficultés à prévoir de ce coté-là.

Reste donc la question des passeports et des « visas » : si d'une part il me parait bien difficile pour ne pas dire impossible, de continuer à délivrer des passeports comme Représentant d'un ordre de choses qui a cessé d'exister, de l'autre il pourrait fort bien se faire aussi que les Chancelleries allemandes, soumises comme elles le sont à la pression autrichienne, n'attendent que le prétexte d'un « visa » délivré par la Légation d'Italie, pour refuser d'y apposer le leur, et en créant ainsi des embarras, amener une rupture à laquelle l'Autriche, par des motifs d'intéret personnel, pousse de toutes ses forces. Toutefois, si V. E. veut bien me permettre d'exprimer mon opinion, je crois que en attendant des circonstances plus favorables, c'est encore là la meilleure épreuve à tenter, sauf à prendre une détermination décisive dans le cas où elle viendrait à échouer

De toute manière, je laisse à la haute sagesse de V. E., le soin de décider de la question et n'ai rien voulu faire avant de prendre Ses ordres.

64

IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. CONFIDENZIALE S. n. Francoforte, 19 aprile 1861.

Je viens compléter ma dépeche télégraphique d'aujourd'hui dont le contenu, tout en ayant l'apparence de faire suite à ce que j'ai eu l'honneur de mander hier et avant-hier à V. E. sur les efforts tentés par l'Autriche pour amenere l'ensemble des Etats Allemands à protester contre la création du Royaume d'Italie et par suite déterminer l'éloignement d'un représentant de Sa Majesté près la Confédération Germanique, constitue cependant un fait nouveau dans la série non interrompue de ses intrigues dans ce sens.

Les sentiments haineux de la plupart des Etats secondaires contre nous sont bien connus à l'Autriche, mais ce qu'elle poursuit avec une opiniatreté toujours croissante c'est d'en obtenir la double consécration officielle par une protestation solennelle de l'ensemble des Etats contre ce qui vient de s'accomplir en Italie et par la rupture aussi éclatante que possible du dernier lien diplomatique qui les unit encore au Gouvernement du Roi. En agissant ainsi elle espère lier d'une manière encore plus-étroite les Gouvernements allemands à sa cause et les engager tellement avant dans sa politique qu'ils ne puissent plus reculer lorsque le moment de la lutte sera arrivé.

Obligée déjà une première fois de renoncer à ce but constant de ses efforts par suite de la résistance de la Prusse (et c'est à cette première période de ses manreuvres secrètes que se rapportent mes dépeches d'hier), l'Autriche par une nouvelle combinaison a pensé, que la protestation des ex-Ducs de Modène et de Toscane à la Diète, contre le glorieux titre de Roi d'Italie si justement assumé par Sa Majesté, serait aujourd'hui une excellente occasion de renouveler ses tentatives. La protestation en question sera probablement, dit-on, présentée dans la prochaine séance par la Bavière ou la Saxe. Quant à la proposition de rompre les relations diplomatiques, comme la Prusse a décliné toute espèce de participation à cette mesure, en déclarant à l'avance au Cabinet de Vienne, par note du 14 de ce mois, qu'elle entendait s'en tenir au modus vivendi conclu dernièrement avec la Cour de Turin, il est fort possible qu'elle croie plus prudent de l'ajourner.

Quoiqu'il en soit, le moment ne peut pas tarder d'etre fixé à cet égard, et je m'empresserai d'en informer V. E. par le télégraphe.

En terminant cette dépeche et dans un autre ordre d'idées, je ne veux pas remettre à plus tard d'informer V. E., que par dessous main l'Autriche a fait traduire et répandre par milliers d'exemplaires en Allemagne la lettre du Due d'Orléans Sur l'histoire de France. Le gouvernement Français a été de ce procédé qu'il ne peut manquer d'apprécier à sa juste valeur.

65

IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. CONFIDENZIALE S. n. Francoforte, 21 aprile 1861.

Contrairement à ce qui m'avait été confié, il n'a été question hier à la Diète ni de la protestation des ex-Ducs de Modène et de Toscane, ni d'aucune proposition rélative à cette Légation. Il est possible, me dit-'on, que la déclaration faite par le Cabinet Prussien à celui de Vienne, de ne rien vouloir changer à ses rapports convenus avec la Mission du Roi à Berlin, ait donné à penser à l'Autriche que le moment n'était pas encore venu de soulever cette question au sein de la haute Assemblée, à laquelle le Ministre de Prusse ne manquera pas, le cas échéant, d'exposer la manière de voir de son Gouvernement à cet égard. Mais d'un autre còté, il peut aussi très bien se faire, que l'Autriche, sure comme elle l'est de la majorité de la Diéte, ait di'l simplement retarder

de quelques jours la motion dont la protestation des ex-Ducs n'est que le prétexte, et qu'elle la fasse présenter dans la séance de jeudi prochain par les Envoyés de Bavière ou de Saxe dont l'aveugle dévoument lui est plus particulièrement acquis.

Ce que l'on peut dire de plus certain c'est qu'il y a eu à ce sujet entre les Cabinets de Vienne et de Berlin des tiraillements, sur le résultat desquels, comme j'avais l'honneur de le dire à V. E. dans ma précédente dépeche, l'on ne peut tarder à etre fixé.

66

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. 321. Berlino, 22 aprile 1861.

J'ai communiqué hier au Ministre des Affaires Etrangères de Prusse le télégramme m'annonçant l'acceptation, à une forte majorité, par notre Chambre des Députés de l'orde du jour proposé par M. le Baron Ricasoli. S. E. s'est montrée satisfaite d'un vote qui donnera de nouvelles forces au Ministère pour triompher des difficultés que lui susc'ite le parti exalté (1).

J'ai ensuite remercié le Baron de Schleinitz de son refus de s'associer aux démarches qui avaient pour but de congédier notre représentant à Francfort. Pour expliquer l'attitude du Cabinet de Berlin dans cette circonstance, ce Ministre m'a dit que la Prusse n'avait pas à suivre la meme ligne de conduite que l'Autriche et la Bavière, et que d'ailleurs, à son avis, la Diète Fédérale devait se restreindre à traiter des affaires exclusivement allemandes.

D'après de nouveaux renseignements que je me suis procurés sur cet incident, il est positif que c'est l'Autriche qui, moyennant une circulaire, a pris l'initiative des pourparlers pour induire les Gouvernements allemands à une rupture diplomatique entre la Confédération Germanique et le Royaume d'Italie. La Bavière a vivement appuyé les instances du Cabinet de Vienne. Il a eu opposition de la part de quelques Etats allemands. Néanmoins il y a lieu de craindre que la Diète de Francfort ne soit saisie d'une question qui pourrait réunir la majorité des voix. Or il ne me résulte nullement que l'unanimité soit nécessaire.

Au reste l'opinion publique continue à nous etre favorable. La publication de la dépeche adressée en date du 13 mars (2) par V. E. au Marquis d'Azeglio a produit le meilleur effet. La Volkszeitung, le journal qui a le plus d'abonnés en Prusse, en prend acte pour faire un éloge bien mérité de V. E. De son còté la N ational-Zeitung revient à la charge pour demander la reconnaissance du Royaume d'Italie. Je transmets ci-joint ces deux articles. Comme pendant, voici également un autre article des Berliner Nachrichten qu'on

prétend etre inspiré par la Cour et les rétrogrades. Cette gazette allègue les

raisons politiques et commerciales qui doivent engager la Prusse à agir avec

beaucoup de réserve dans ses rapports avec l'ltalie. Il serait à propos que

l'Opinione fllt chargée d'écrire une réfutation.

A propos de la reconnaissance, M. de Schleinitz a dit au Ministre d'An

gleterre que, dans les circostances actuelles, il ne pouvait encore en etre

question. Vis-à-vis de moi il a exprimé l'avis que pour toute chose il fallait pren

dre du temps. En attendant, le modus vivendi concerté pour cette époque de

transition se pratique sans soulever de difficultés. Il restait à s'entendre rela

tivement aux Consuls et n'ai pas eu beaucoup de peine à faire comprende

au Baron de Schleinitz que nos agens consulaires en Prusse dévraient à leur

tour délivrer et viser des passeports, légaliser des documents et correspondre

avec les autorités du pays de la meme manière que la Legation du Roi, et qu'en

outre ils dévraient changer l'ancienne inscription sur les écussons ou les armoi

ries placées sur la porte du Consulat. Ainsi M. Lemonius a Stettin et M. Engels

à Cologne, pourront recevoir des instructions de Turin dans ce sens. J'ignore

si nos agents à Dantzig et à Konisberg, vu leur qualité de simples délégués, sont

autorisés à signer eux-memes des actes officiels.

(l) -Ordine del giorno Ricasoli sulla sistemazione dell'esercito meridionale (garibaldino), approvato dalla Camera dei deputati nella seduta del 20 aprile 1861, contro l'ordine del giornoGaribaldi (voti favorevoli 194, contrari 79, astenuti 5, tra cui Garibaldi). (2) -Recte: 16 marzo.
67

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. 322. Berlino, 22 aprile 1861.

La dépeche de V. E. n. 376, par laquelle Elle me donne l'ordre, dans toute occasion où mes rapports officiels l'exigeraient, de prendre le titre de Ministre de S. M. le Roi d'ltalie, a été scrupuleusement mise en pratique vis-à-vis du Gouvernement Prussien. Vis-à-vis des membres du Corps Diplomatique, je suis tenu à observer de certains ménagements, vu surtout les dispositions hostiles des représentants des Etats du Midi de l'Allemagne. D'autres moins malveillants, mais très formaliste; entassent raisons sur raisons pour me contester le droit, le cas échéant, de leur envoyer mes cartes de visite avec la nouvelle formule.

J'en ai été averti par quelques-uns de mes collègues avec lesquels je suis le plus particulièrement lié. Voici à quel propos. Il vient d'etre accrédité ici un Envoyé Extraordinaire de la Resse Grand-Ducale. Il nous a donné avis officiel de son entrée en fonctions. Comme on s'attendait tout naturellement à ce que je rendisse cette visite, on émettait l'intention d'interpeller M. de Schleinitz et de lui susciter ainsi quelques embarras, si je remettais des cartes de visite avec le nouveau titre. J'ai tourné la difficulté sans préjuger la question.

J'en ai ensuite parlé confidentiellement à M. de Schleintz pour lui donner une preuve de plus combien je tenais à etre conciliant pour éviter tout désagrément au Gouvernement Prussien, lorsque, malgré la réserve, il ne voudrait

blesser ni nos droits, ni notre dignité. Il m'a su gré de ce procédé en suggérant d'agir comme le Marquis d'Azeglio. Ce diplomate ne se servirait de cartes officielles que vis-à-vis des autorités anglaises, et de celles simplement personnelles vis-à-vis des représentants étrangers qui n'ont pas encore reconnu le Royaume d'Italie. Si en effet le Marquis d'Azeglio a adopté ce moyen terme, il me semble, a fortiori, que je puis en faire autant.

68

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. 323. Berlino, 22 aprile 1861.

En me référant à un des articles de ma dépeche n. 319 du 15 avril (1), voici quelques détails plus circonstanciés sur les conférences austro-prussiennes.

L'Autriche désirait non seulement une garantie de ses provinces vénitiennes; mais elle voulait pousser à une entente en vue d'une nouvelle guerre en Italie. Elle voulait, entre autres, qu'on fixàt d'un commun accord la position qu'occuperait alors l'armée prussienne. Il s'agissait évidemment de prévoir le cas où la France interviendrait en notrè faveur, et de combiner une diversion vers le Rhin. Le Cabinet de Vienne aurait, il est vrai, protesté de son intention de ne pas vouloir jouer le ròle d'agresseur. Ces propositions ont été déclinées par la Prusse qui n'a pas voulu acheter à un semblable prix les concessions en suite desquelles on lui assurait, entre autres, le commandement en chef des troupes fédérales du Nord de l'Allemagne. Autrement elle eut sans profit réel sacrifié sa liberté d'action, en meme temps qu'elle eut en quelque sorte jeté un défi à la France.

Cette attitude du Gouvernement Prussien a découragé les Plénipotentiaires de l'Empereur François Joseph et les conférences ont été indéfiniment ajournées. Rien également n'a été concerté à l'égard de la Hongrie.

Nous ne devons cependant pas moins persévérer dans cette politique circonspecte tracée de main de maitre dans les discours et les dépeches de

V. E. Quoique les conférences dont je viens de parler aien~ échoué parce que les plénipotentiaires autrichiens voulaient mettre les points sur les i pour un casus foederis, la situation est la meme que l'année dernière, lors de l'entrevue de Toeplitz. Sans stipuler aucun engagement écrit, le Roi, alors Régent, se laissa induire à promettre à l'Empereur François Joseph qu'il ne lui réfuserait pas son assistance si l'armée française se montrait une seconde fois en Italie. M. de Schleinitz l'a assez clairement laissé entrevdir dans ses entretiens avec quelques membres du Corps Diplomatique; et il a meme ajouté que si nous attaquions l'Autriche avec nos seules forces, ce ne serait pas sans peine qu'on pourrait contenir une grande partie des Gouvernements allemands qui sympathisent avec l'Autriche.

Le Gouvernement Russe est fermément résolu à agir avec énergie en Pologne, et à ne rentrer dans la voie de la modération que lorsqu'il aura écrasé les derniers vestiges de l'opposition. Or comme le parti d'action continue a résister, il y aura beaucoup de sang versé. Un peu plus de circonspection et de sagesse de part et d'autre eut prévenu beaucoup des malheurs.

La Prusse, de concert avec la France, appuie le projet d'établir en Syrie un Gouvernement unique et Chrétien relevant de la Turquie, en opposition a ceux qui eussent préféré la desagrégation, à savoir une administration distincte pour les Druses, les Maronites et les Grecs.

Je me réserve de répondre à la dépeche Min'istérielle n. 378 du 15 avril.

(l) Non pubblicato.

69

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR,

ALL'INCARICATO D'AFFARI A STOCCOLMA E COPENHAGEN, MIGLIORATI

T. 282. Torino, 23 aprile 1861.

Faites moi connaitre si vous avez communiqué le nouveau titre de Roi d'Italie et quelle réponse on vous a donnée.

70

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, LA MINERVA

T. 284. Torino, 23 aprile 1861.

Faites moi connaitre la réponse au sujet de la reconnaissance du titre de Roi d'Italie.

71

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. CONFIDENZIALE S. n. Madrid, 23 aprile 1861.

Honoré de la dépeche confidentielle qu'il a plu à V. E. de m'adresser le 11 de ce mois, je me fis un devoir empressé de me rendre à Aranjuez auprès de ce Ministre des Affaires Etrangères non sans avoir prévenu convenablement d'avance le Due de Tétouan de l'objet meme de la dépeche précitée de V. E.

Dans mes entretiens successifs avec ces Ministres j'ai taché de répondre de mon mieux à Vos intentions, Monsieur le Comte, en mettant sous leurs yeux les considérations si noblement indiquées par V. E. pour lèur faire sentir la haute convenance de ne pas trop différer l'accomplissement d'un acte de na

ture à resserrer les liens naturels d'amitié existants entre deux Gouvernements

nationaux animés des memes principes libéraux et constitutionnels, et cela

d'autant plus en présence des dangers de coalitions absolutistes dont ils pour

raient tous les deux etre bientòt menacés.

Je ne négligeai pas de relever en meme temps les sentiments délicats de

V. E. qu'en attendant l'ont portée à proposer un moyen provisoire de nature à concilier à la fois les égards et les ménagements convenables envers la position et les circonstances particulières de cette Cour avec les droits et la dignité de notre Etat.

Tout en montrant d'accueillir personnellement avec faveur mes ouvertures

et mes observations à ce sujet, les deux Ministres ont cru toutefois devoir se ré

server à me donner une réponse définitive seulement après que cette affaire aurait

pu etre discutée en Conseil, Conseil qu'on m'annonça en meme tems devoir se

tenir Dimanche dernier à la Résidence Royale d'Aranjuez. Aussi aimais-je

d'espérer que j'aurais été mis dès aujourd'hui à meme, Monsieur le Comte, de

porter là-dessus à Votre connaissance une décision conforme à nos désirs. Cet

espoir n'a cepedant pas pu se réaliser encore, M. le Due de Tétouan venant

de m'informer que dans le dit Conseil d'autres affaires d'une nature grave et

urgente (probablement relatifis à l'anne~ion Dominicaine) avaient fait différer

la decision de celle qui nous concerne.

Ne pouvant pas tarder en attendant d'avantage à faire connaitre à V. E. ce contrariant délai, je regrette de devoir Lui manifester en meme tems mes soupçons que les répugnances de la Cour fomentées par des intrigues cléricales et réactionnaires n'y aient pas été tout-à-fait étrangères.

J'ai lieu caindre d'avantage que de pareilles intrigues puissent recevoir encore une nouvelle et plus forte impulsion à l'imminente occasion que l'Impératrice d'Autriche, de retour de l'ile de Madère, doit toucher à Cadix où déjà le Comte Crivelli est allé l'attendre. Le bruit vient meme de se répandre que

S. M. I. A. viendrait visiter la Reine à Aranjuez, mais crois que jusqu'à présent cette visite Impériale n'est encore qu'un simple désir de la Camarilla.

Ce qui malheureusement est bien plus réel c'est que le personnel de cette ex-Légation de Naples ne cesse de prendre ici une part active dans les machinations des ennemis de l'Italie. J'ai appris de différens còtés que des Agents de la police bourbonienne à Naples arrivés ici ont obtenu de la Cour par son entremise des sommes d'argent considérables et qu'ils ont été de nouveau dirigés vers l'Italie. Aussi ne serait-il pas sans importance que les Autorités sur nos frontières en fussent prévenues pour redoubler de surveillance sur toutes les provenances napolitaines d'Espagne quand meme leurs papiers se trouvassent-ils apparemment réguliers. Je crois devoir singnaler plus particulièrement deux de ces gens de police bourboniens père et fils dont je n'ai pu connaitre le nom. Mais que je sais etre natifs du Cilento. Ils ont dii pénétrer en Piémont avec un petit orgue de barberie qu'on leur a fourni ici et qu'il serait pourtant convenable de saisir aussi bien que ses tristes propriétaires que j'ai lieu de soupçonner des plus criminels desseins.

72

IL MINISTRO RESIDENTE A WASHINGTON, BERTINATTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. CONFIDENZIALE 77. Washington, 25 aprile 1861.

Aussitòt après la réception de la dépéche S. N. du 19 mars (l) que V. E. m'a fait l'honneur de m'adresser, j'ai cru de mon devoir de la transmettre immédiatement, en copie, au Secrétaire d'Etat des Etats-Unis en l'accompagnant de la Note ci-annexée sous la date du 11 avril.

Le jour après cette transmission M. Seward m'écrivit de sa propre main le petit billet suivant:

Friday, aprii 12th.

• -My dear Mr. Bertinatti • -If you bave no other engagement for to-morrow evening, will you come and dine with me en famille at 7 o'clock?

WrLLIAM H. SEWARD •

J'ai accepté avec empressement l'invitation, et j'ai diné avec M. Seward, son fils Frédéric (assistent secretary of State), sa femme, le secrétaire de la Marine, et le Post Master General. Avant de me rendre à l'hotel du Secrétaire d'Etat je venais de recevoir du State Department la Note B qui n'a pu, of course, me satisfaire beaucoup parceque elle ne contenait qu'un simple accusé de réception de ma Note A et de son importante annexe.

J'ai cru un instant qu'on allait en faire le commentaire verbal à table, soit en portant un toast à Victor Emmanuel II comme Roi d'Italie, soit par une autre démonstration quelconque, et de nature à m'autoriser à croire, que le nouveau titre assumé par S. M., était officiellement reconnu. Me berçant de cet espoir je m'étais préparé d'avance à en prendre acte, et à faire allusion, suivant l'opportunité, à ce qui manquait dans la Note B précitée, afin de la voir changée.

Comme rien de semblable n'a eu lieu, j'ai pensé qu'il entrait d'autant moins dans les convenances d'en prendre l'initiative de ma part que les ci:constances extraordinaires au milieu desquelles se trouvait le Gouvernement Fédéral (le télégraphe venait d'annoncer quelques heures auparavant la prise du fort Sumter par les Caroliniens), justifiaient amplement de plus pressantes préoccupations, et l'oubli d'un à propos, qui n'aurait été que très nature! dans tout autre moment.

S. -M. Victor-Emmanuel II assume pour lui et pour ses successeurs le titre de Roi d'ltalie vient d'etre votée par le Parlement National et sanctionné par le Roi. La reconstitution de l'ltalie a reçu la consécration de la légalité constitutionnelle. Il serait superflu de vous faire remarquer, combien cet important événement, par lequel l'Italie prend place dans le concert des nations, intéresse le Nouveau Monde, soit par les éléments de sécurité et de paix qu'il introduit dans l'ordre des relations européennes, soit par le développement qu'il est appelé à donner au mouvement maritime sur les cotes italiennes, ouvertes désormais à une circulation plus active et plus libre. Les traditions nationales du noble peuple des Etats-Unis, m'offrent un gage de plus des sentiments que vous rencontrerez sans doute chez Monsieur le Secrétaire d'Etat pour les Affaires Etrangères de l'Union, en lui notifiant la proclamation du Royaume d'Italie. Les Etats-Unis reconnaitront, je me plais à l'espérer, les glorieux résultats d'une reuvre dont les promoteurs ont souvent trouvé dans l'histoire de l'Union Américaine, des exemples et des encouragements. »

Comme je tenais, cependant, à avoir dans ma main un document écrit, capable de prouver que le titre de Roi d'Italie était officiellement reconnu, et que je ne pouvais, d'ailleurs, concevoir le moindre doute sur les dispositions très sympathiques du Cabinet fédéral à notre égard, surtout depuis la réponse faite par le Président à mon speech, lors de la présentation de ma lettre de créance comme Ministre Résident, je me suis rendu hier (24 courant) au Département d'Etat pour entretenir M. Seward sur ce sujet.

Dès qu'il me vit entrer dans son Cabinet, le Secrétaire d'Etat, sans s'enquérir de l'objet de ma visite, m'annonça à l'instant, en conformité de ce qui avait été concerté, en prévision de la notification du nouveau titre, à une époque de beaucoup antérieure à ma communication officielle A, que M. Marsh, Envoyé Extraordinaire et Ministre Plénipotentiaire des Etats-Unis à Turin, serait accrédité près de S. M. Victor Emmanuel II, non plus comme Roi de Sardaigne, mais comme Roi d'Italie.

C'était précisément ce qu'il m'importait de constater: j'en ai remercié cordialement M. Seward en le priant, comme surcroit d'obligeance, de me communiquer cette notice par une Note officielle en remplacement de la Note B, qui serait considérée comme non-avenue, ainsi que de notifier au public, par l'entremise du journal semi-officiel, le Daily National Intelligencer (l) la reconnaissance formelle du Royaume d'Italie par le Gouvernement des Etats-Unis.

La Note C que j'envoie en original à V. E., et qui porte la meme date que la Note B, supprimée, ainsi que l'annonce en regard, prouvent qu'il n'y a pas eu un moment d'hésitation dans la décision ni manque d'empressement et de bons procédés de la part du Cabinet de Washington pour accept~r et reconnaitre solennellement le grand événement politique, qui vient de s'acCO!fiplir dans la Péninsule italique, aussitot que j'ai été en mesure de lui en faire la communication officielle.

P. S. Comunico in fretta all'E. V. la Nota ricevuta in questo momento dalla Segreteria di Stato col relativo scampolo senza sapere, se l'occasione che mi si offre per mandar questo dispaccio, non sarà sfuggita nel momento in cui potrò recarlo alle mani del mio collega d'Inghilterra.

ALLEGATI. NoTA A BERTINATTI A SEWARD

Washington, 11 avril 186!.

Le soussigné, Ministre Résident de S. M. Victor Emmanuel II, a l'honneur rle transmettre, en copie, à l'honorable Secrétaire d'Etat des Etats-Unis la Dépeche ministérielle du 19 mars, signéee Cavour, portant la notification que le Roi, son Auguste Souverain, assume le titre de Roi d'Italie pour lui et pour ses successeurs en vertu de la loi votée par le Parlement national.

Heureux d'etre l'organe d'une communication si importante, et destinée à fixer une époque à jamais mémorable dans l'histoire des relations internationales, le sous

signé éprouve une satisfaction toute particulière en la faisant à l'honorable M. William H. Seward, Secrétaire d'Etat des Etats-Unis, dont les sentiments sympathiques pour la réconstitution de l'Italie, et pour le Roi, auquel la Nation unanime vient d'en décerner le titre, lui sont connus avant ce jour.

NOTA B

SEWARD A BERTINATTI

Copia Washington, aprU 13, 1861.

The undersigned, Secretary of State of the United States, has the honor to acknowledge the receipt of the Chevalier Bertinatti's Note of the 11th instant, communicating a copy of Count Cavour's despatch to him of the 19th ultimo, announcing that His Majesty Victor Emmanuel II, in virtue of the law voted by the National Parliament, has assumed the title of King of Italy.

NOTA C

SEWARD A BERTINATTI (l)

Copia Washington, aprU 13, 1861.

The Undersigned, Secretary of State of the United States, has the honor to acknowledge the receipt of the Chevalier Bertinatti's note of the 11th instant, communicating a copy of Count Cavour's despatch to him of the 19th ultimo, announcing that His Majesty Victor Emmanuel II, in virtue of the law voted by the National Parliament, has assumed the title of King of Italy.

The Undersigned, cannot doubt that the extended authority of His Majesty, so entirely in accordance with the wishes of the Italian people, will be exercised with the moderation and wisdom for which he has ever been conspicuous; and he trusts that His Majesty's reign may be prosperous and happy to himself and acceptable to his subjects.

The Undersigned has the honor, in conclusion, to announce to the Chevalier Bertinatti that Mr. Marsh, the newly appointed Envoy Extraordinary and Minister

SEGRETERIA DI STATO Washington, 13 aprite 1861.

« Il sottoscritto, segretario di Stato degli Stati Uniti, ha l'onore di accusare ricevuta al sig. cav. Bertinatti della sua Nota dell'H corr. colla quale gli comunica copia di un dispaccio a lui diretto dal conte di Cavour il 19 ultimo, annunziante che S. M. il Re Vittorio Emanuele II, in virtù della legge votata dal Parlamento nazionale, ha assunto il titolo di Re d'Italia.

• Il sottoscritto non può dubitare che l'ampliata autorità di S. M., si pienamente conforme ai desiderii del popolo italiano, sarà esercitata colla moderazione e saggezza per le quali la M. S. è sempre stata insigne; e crede che il Regno di S. M. possa essere prospero e felice a Lei, ed accetto ai suoi sudditi.

«Il sottoscritto ha infine l'onore di annunziare al sig. cav. Bertinatti che il sig. Marsh, recentemente nominato inviato straordinario e ministro plenipotenziario degli Stati Uniti in Sardegna, è stato accreditato presso S. M. Vittorio Emanuele II, come Re d'Italia.

WILLIAM H. SEWARD »

Nello stesso giorno la Gazzetta Ufficiale dava questo annunzio: «Il signor Romano Dillon presentò ieri a S. E. il Ministro degli Affari Esteri le lettere con le quali viene accreditato quale Segretario di Legazione incaricato d'affari interinale degli Stati Uniti d'America presso il Governo del Regno d'Italia •.

Plenipotentiary of the United States to Sardinia, has been accredited to His Majesty Vietar Emmanuel II as King of Italy.

(l) -Dal dispaccio di Cavour a Bertinatti, 19 marzo 1861: c La loi en vertu de laquelle

(l) Dal Nationat IntelUgencer, 25 aprile: • W e learn that intelligence of the assumptionby his Majesty. Victor Emanuel Il, of his new title of King of Italy, was received here just intime to enable the President to recognise the title in accrediting the Hon. George P. Marsh to his Majesty as Envoy Extraordinary and Minister Plenipotentiary of the United States •.

(l) Di questa nota la Gazzetta Ufficiale de! Regno pubblicò nel n. 130 del 28 maggio 1861 la seguente traduzione :

73

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A MADRID, TECCO

T. 292. Torino, 27 aprile 1861.

Je vous prie de solliciter une réponse à l'égard de l'arrangement proposé pour le titre de Roi d'Italie. L'Autriche mème a admis ce modus vivendi. Il est urgent d'en finir, car l'Ambassade Espagnole à Paris a refusé de viser les nouveaux passeports.

74

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

T. 424. Madrid, 28 aprile 1861, ore 18,20 (per ore 21).

Le Gouvernement Espagnol accepte à peu près l'arrangement proposé par

V. E.; des instructions ont été expédiées en conséquence aux Légations et aux Consulats Espagnols pour qu'on y vise nos nouveaux passeports; quant à l'Ambassade d'Espagne à Paris qui a refusé son « visa », ce Ministre des Affaires Etrangères m'a déclaré qu'elle a agi en cela sans consulter son Gouvernement.

75

IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. CONFIDENZIALE S. n. Francoforte, 28 aprile 1861.

Faisant suite à ma dépeche confidentielle du 21 de ce mois, je m'empresse d'informer V. E. que pas plus dans la séance d'hier que dans celle de samedi dernier il n'a été question, ni de la protestation des ex-Ducs de Modène et de Toscane, ni de rien qui concerne cette Légation. Le Ministre d'Autriche prétend aujourd'hui qu'il n'a pas encore reçu d'instructions précises à cet égard; mais la vérité est que le Cabinet de Vienne en est encore à chercher parmi les Etats secondaires celui qui voudra se charger d'une initiative, qu'il ne se soucie nullement de prendre lui-meme, surtout depuis qu'il sait, à n'en pas douter, que l'Envoyé Prussien a ordre de voter contre toute espèce de proposition relative à cette Légation. La première Cour à laquelle s'est adressée l'Autriche, a été celle de Darmstadt; mais on lui a donné à entendre qu'après la campagne malheureuse qu'avait fait le Gouvernement Grand Duca! contre l'Association Nationale, il ne pensait pas que ce fut à lui de soulever la question. A Munich l'on s'est montré encore plus explicite, en disant que les tendances libérales du Parlement Bavarois aussi bien que l'accusation si souvent répétée contre le Gouvernement, de se faire le satellite de l'Autriche, lui conseillait de s'abstenir. L'on parle maintenant de nouvelles tentatives faites auprès de la Saxe ou du Hanovre, pour engager l'une de ces deux Cours à accepter la mission ingrate que les autres ont refusée. Il est permis de douter que la Saxe pousse l'oubli des convenances jusqu'à se faire dans cette circonstance l'interprète complaisant des rancunes personnelles de l'Autriche. Quant au Hanovre, quoique l'on ne puisse pas affirmer qu'il veuille se preter à un ròle qui lui sera certainement décoinseillé par l'Angleterre qu'il a l'habitude de consulter, cependant l'esprit réactionnaire qui domine entièrement dans les Conseils du Gouvernement, permet de tout supposer et de s'attendre à tout de sa part.

Quoiqu'il en so i t, cette espèce de quete à domicile de la part de l'Autriche pour trouver une Cour allemande qui ose franchement prendre l'initiative d'une proposition hostile au nouvel ordre de choses établi en Italie, ne serait que ridicule, si en meme temps elle ne venait donner la mesure de la prudente réserve que paraissent vouloir adopter les Etats moyens dans leur attitude vis-à-vis du nouveau Royaume. Leurs hésitations et reculades d'aujourd'hui montrent à l'avance ce qu'elles deviendraient sous l'empire de circonstances pressantes, de nature à exiger un concours plus sérieux et par conséquent plus compromettant en faveur de l'Autriche.

Voilà bien, Monsieur le Ministre, où en sont les choses pour le moment. Il est possible qu'en présence de la résistance de la Prusse, et en voyant ses circulaires aussi bien que ses intrigues découvertes, l'Autriche renonce à ses projets. Peut-etre aussi n'attend-elle qu'une meilleure occasion pour y donner cours. En attendant, comme l'envoi qui a bien voulu me faire V. E. des nouveaux timbres destinés à cette Légation, me semble etre une réponse suffisante aux-instructions que j'avais eu l'honneur de Lui demander dans ma dépeche du 17 courant relativement à la nouvelle formule à employer pour les passeports, visas et légalisations, je vais immédiatement en prescrire l'usage dans toutes les pièces et documents qui se présenteront à cette Chancellerie.

P. S.-J'apprends à l'instant que sur l'ordre qu'il en a reçu hier de Londres par le télégraphe, le Ministre d'Angleterre a été demander au Président de la Diète ce qu'il y avait de vrai dans les intentions que l'on pretait à l'Autriche de vouloir présenter elle-meme ou de faire présenter par d'autres Etats une proposition tendant à amener l'éloignement de cette Légation. Le Baron de Kiibeck s'est borné à lui répondre qu'il était sans instructions à cet égard.

Cette démarche dans laquelle, d'après ce qui m'a été dit, l'on a vu l'intention bien positive de la part de l'Angleterre de s'opposer, de concert avec la Prusse, à toute mesure de ce genre, est bien faite pour donner à réfléchir à l'Autriche qui maintenant y pensera deux fois avant de provoquer une rupture dont elle seule en définitive devrait accepter la responsabilité, et acheverait de la perdre dans l'opinion libérale de l'Allemagne, par suite de l'attitude bien différente de la Prusse dans la meme question.

76

L'INCARICATO D'AFFARI A STOCCOLMA E COPENHAGEN, MIGLIORATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

T. 428. Stoccolma, 29 aprile 1861, ore 15,15 (per. ore 20).

La Suède reconnaitra le Roi d'Italie, mais le Ministre des Affaires Etrangères par sa note officielle d'aujourd'hui exprime le désir que S. M. notifie cet événement au Roi Charles par une lettre royale ne se trouvant pas un Ministre auprès de lui.

77

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONSOLE A BUCAREST, STRAMBIO (l)

T. 297. Torino, 30 aprile 1861.

Si votre titre n'est pas admis vous ne devez par prendre part à la Conférence Danubienne ni meme y paraitre.

78

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. CONFIDENZIALE 165. Madrid, 30 aprile 1861.

J'ai déjà eu l'honneur d'annoncer à V. E. par mon télégramme chiffré d'avanthier le succès des démarches que je m'empressai de faire ici en conformité de ce que V. E. venait de me mander telegraphiquement la veille. Profitant aujourd'hui de l'offre obligeante de M. le Prince Pio, qui se rendant en Italie veut bien se charger de cette dépeche, je m'empresse de confirmer d'abord ce que j'ai signalé dans mon télégramme précité, soit sur la déclaration de M. Collantes que l'étrange refus de visa à nos passeports de la part de l'ambassade Espagnole à Paris n'avait eu lieu qu'à l'insue et contre les intentions de ce Gouvernement, soit aussi quant aux odres que le meme Ministre m'avait promis d'expédier en conséquence aux Agens Diplomatiques et Consulaires d'Espagne pour prévenir le renouvellement de pareils inconvénients. Je suis bien aise de pouvoir ajou.ter maintenat que j'ai déja pu m'assurer auprès de M. Comyn que les ordres promis ont été en effet sollicitement expédiés à leurs destinations.

Pour ce qui concerne enfin le projet d'arrangement provisoire de nos relations ici que j'ai proposé en son tems d'après Vos instructions, Monsieur le Comte, et dont j'annonçai dans le méme télégramme susmentionné la presque acceptation, je dois à présent soumettre à V. E. quelques explications dans l'espoir que ma conduite dans cette affaire puisse obtenir sa haute approbation. Sans entrer

cependant dans de longs détails sur mes démarches préliminaires pour m'assurer

des bonnes dispositions de nos amis et paralyser les intrigues ennemies, j'ar

riverai rapidement au point ou j'en étais de mes négociations à l'arrivée du

dernier télégramme de V. E.

Ce Gouvernement avait bien déjà consenti à adopter notre projet quant à la

formule d'adresse de ses communications, au Ministre de S. M. le Roi Victor

Emmanuel, mais il prétendait que de mon còté aussi je dusse me contenter de

cette meme qualification. Je n'avais certes pas manqué de démontrer de mon

mieux qu'à la rigueur mes actes officiE~ls au nom de Mon Auguste Souverain ne

pouvaient se passer de la qualification de Roi d'Italie, qualification espréssément

prescrite par une loi spéciale. Mais ce Ministre d'Etat ayant cru devoir en référer

dans un Conseil tenu avec ses collègues en présence de la Reine, m'avait déclaré

depuis que l'avis de la majorité avait été qu'en admettant ma demande on vien

drait à reconnaitre implicitement le Royaume d'Italie, ce qui n'était pas dans l'in

tention de S. M. C.

Nos ennemis qui n'avaient pas tardé à connaitre le résultat de ce Conseil, se félicitaient déjà de nous voir dans une impasse qui semblait devoir arreter forcément la continuation de nos rapports avec ce Gouvernement. Heureusement l'impasse n'était qu'apparente et il ne m'a pas été difficile de faire reconnaitre une distinction essentielle, entre les différens actes émanant de cette Légation; il m'a suffi de remarquer en effet que quelques-uns de ces actes concernant directement les sujets du Roi, tels que les passeports, la trasmission d'actes judiciaires, etc. ne saura'ient etre entravés dans leur expédition qui se trouve etre d'une absolue nécessité, à moins qu'on ne voulut venir à une rupture hostile avec nous, ce qui m'avait été constamment déclaré etre bien loin des intentions de ce Gouvernement.

Etant ainsi parvenu à faire mettre hors de question les actes de la catégorie que je viens d'indiquer, il ne restait désormais qu'à nous entendre aussi sur les autres actes qui se réduisent à peu près tous à des communications sur les différents objets que la Légation peut avoir à traiter avec le Gouvernement. A ces communications pouvant se faire sous la forme de note portant en tete la qualification du Ministre, ou sous celle de lettres qui n'exigent pas cette qualification, il y avait assez longtems que dans la facile prévision des difficultés actuelles, j'avais eu soin de me tenir exclusivement à la dernière de ces formes. Aussi ai-je pu là dessus aussi m'entendre parfaitement pour éliminer toute difficulté, en assurant particulièrement le Ministre d'Etat que dans mes communications écrites je ne me départirai pas de la forme épistolaire accoutumée qui me dispense de toute qualification. Mais en cela meme pour mieux mettre à couvert la dignité du Gouvernement du Roi, j'ai déclaré à M. Collantes que mon entente avec lui à ce sujet resterait personnelle et secrète.

C'est dans ces termes que tout a été aplani au grand désappointement de la camarilla du palais aussi bien que de la Diplomatie Entrangère.

Quant à cette dernière je fais naturellement des exceptions aussi honorables que précieuses pour nous, et sans parler de l'Angleterre qui malheureusement n'a en ce moment ici qu'un simple Chargé d'affaires par interim, j'aime à signaler le Ministre de Portugal M. Pinto de Soveral, celui de Suède M. Bergman et celui aussi des Etats Unis d'Amérique M. Preston qui tous n'ont cessé de

8 -Doc11menti diplomatici -Serie I -Vol. I

montrer leurs sympathies pour notre cause. Je pourrais désirer cependant qu'ils pussent avoir ici plus d'influence. Je suis bien peiné d'un autre còté de ne pouvoir consciencieusement mettre dans la catégorie de ceux qui nous sont ici sincérément favorables l'Ambassade de l'Empire voisin, quoique personellement je n'ai qu'à me louer grandement des procédés on ne peut plus obligeans et courtois de M. Ferd'inand Barrot (1).

J'ai dO. bien plus m'apercevoir que l'influence politique française, qui a repris depuis quelque tems ici un grand ascendant, s'exerce d'une manière qui ne nous est pas peu préjudiciable. L'existence meme de notre Royaume d'Italie est représentée ici comme si elle n'était presque pas prise au sérieux par le Cabinet des Tuileries, et l'on ne cesse d'assurer au surplus ce Gouvernement qu'en aucun cas les Troupes Françaises ne quitteraient Rome sans qu'un Congrès des principales Puissances catholiques du moins n'ait été convoqué pour prendre des garanties en faveur du pouvoir pontificai et jeter peut-etre aussi les bases d'un autre arrangement pour l'Italie Méridionale, dont on peint l'état actuel comme n'ayant aucume chance de durée.

Je n'ai pas besoin d'ajouter que la perspective qu'on fait luire ici d'un pareil Congrès, où l'Espagne pourrait se flatter de jouer un grand ròle, est pour elle le plus puissant appas pour la maintenir dans une ligne politique naturellement peu favorable aux intérets de l'Italie.

Je ne dois pas au surplus laisser sans remarquer ce qui me vient de très bonne source sur les prévenances obligéantes, les égards flatteurs et toute sorte de cajoleries par lesquelles la diplomatie française travaille à gagner ici le Gouvernement et la Cour. On est aux petits soins avec cette dernière; le moindre accident de famille fournit aussitòt le sujet d'une active correspondance télégraphique entre les Tuileries et Aranjuez ainsi que vient de le fournir l'indisposition de la petite Infante qui se trouve dans une laborieuse dentition. La Reine de son còté ayant laissé percer son intention de faire bientòt un voyage dans les provinces du Nord, je viens d'apprendre qu'aussitòt l'Empereur et l'Impératrice des français lui auraient déjà fait connaitre leur désir d'aller la rencontrer. Ceci est d'autant plus remarquable après l'entrevue manquée de l'année dernière à Mahon qui s'était pretée à tant de commenta'ires.

Quant au Gouvernement préoccupé qu'il est surtout en ce moment de la révérsion de St. Domingo à l'Espagne vivement contrariée par l'Angleterre il est d'autant plus content de la politique française qui s'y montre favorable tout en réservant aussi la partie nègre de cette Antille.

(l) Lo Strambio, Agente e Console Generale a Bucarest, avrebbe dovuto rappresentare il Regno d'Italia, quale erede del Regno di Sardegna, nella Conferenza Danubiana, istituita dal trattato di Parigi del 30 marzo 1856.

79

L'INCARICATO D'AFFARI A STOCCOLMA E COPENHAGEN, MIGLIORATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

T. 438. Stoccolma, 1 maggio 1861, ore 12,52 (per. ore 17,20). Je sais que la réponse de Copenhague sera aussi favorable. J'attends pour lui

faire la communication officielle que vous me fassiez connaitre si le Roi enverra des lettres pour les deux Monarques Suédois et Danois.

(l) Recte: Adolphe.

80

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR (l)

(Ed. in Q. R., II, 418)

T. 44. Parigi, l maggio 1861, ore 16,20 (per. m·e 19).

Hier au soir j'ai su que l'indécision de l'Empereur n' était pas aussi profonde que le croyait Thouvenel. Je me suis rendu au Ministère des Affaires Etrangères et aidé de Benedetti nous avons remonté le moral du Ministre des Affaires Etrangères le pressant à aller ce matin chez l'Empereur pour lui démontrer la nécessité absolue de conclure le traité projeté. S. M. a adhéré à ce que Thouvenel rédige un projet avec la modification que 6 mille français resteraient pour quelque temps dans les Etats Romains pour donner au St. Père le temps de former son armée; l'essentiel est de marcher. Le Ministre des Affaires Etrangères exécute les ordres de l'Empereur qui me recevra aujourd'hui à trois heures. On a monté la tete de Empereur sur le mauvais état de la santé du Pape qu'il espère voir aller au ciel. C'est pour pourvoir à cette éventualité que Thouvenel veut voir Pantaleoni; faites le partir de suite en lui enjoignant de ne rien dire ni faire sans se concerter avec moi et d'etre discret. Le Prince Napoléon part aujourd'hui pour la Suisse. J'espère tirer parti de De Martino pourvu qu'il ne nous trompe pas; l'Empereur a une bonne opinion de lui. Je garde le courrier du Cabinet. Prévenez Nigra de ne pas faire évacuer le Palais Bivona.

81

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., II, 419)

T. 441. Parigi, l maggio 1861, ore 19,20 (per. ore 20,50).

J'ai eue une longue entrevue avec l'Empereur que j'ai trouvé indécis sur le

rapport des troupes; il en reconnait la nécessité mais il en craint les conséquences à Rome. S. M. désire beaucoup de reconnaitre le nouveau Royaume. Il a été convenu que le Ministre des Affaires Etrangères rédige l'acte avec la modification que je vous ai annoncé aujourd'hui. L'Empereur m'a montré son mécontentement de l'indiscretion de l'Indépendance Belge sur mes observations à l'article de la Patrie, qui dément le rappel des troupes: S. M. dit en avoir vivement reproché Persigny. Par vos lettres pressez-moi apparemment, mais patience, j'espére arriver à bout.

(lvi, 399). E cosi, per una diecina di giorni, la questione era stata messa a dormire. Cfr. anche la risposta del principe Girolamo Napoleone a Cavour (8 maggio) in Cavour -Nigra, IV, 1298.

(l) La sera del 17 aprile il Vimercati era partito da Torino, portando con sè la risposta di Cavour al principe Girolamo Napoleone (Q. R., II, 390). Il 19, il Vimercati comunicava al Cavour che aveva rimesso la lettera al principe e il principe l'aveva trasmessa all'Imperatore (lvi, 396). II 20, il Vimercati aggiungeva che l'Imperatore nel passare, alla sua volta, la lettera al Thouvenel, aveva detto : • Mon Cousin est allé un peu vite dans la besogne •

82

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR.

AL CONTE VIMERCATI

(Ed. in Q. R., II, 421)

L. P. Torino, 2 maggio 1861.

J'ai reçu les lettres que vous avez remis à Azeglio et à Crivelli.

Les hésitations du Gouvernement français sont bien fàcheuses, car l'état actuel de Rome est la cause principale des difficultés que nous rencontrons dans l'Italie méridionale. En effet comment espérer d'empecher des mouvements réactionnaires, tant que le Roi François pourra librement intriguer sur les frontières de ses états? Je le demande aux français de bonne foi; pensent-ils que le Midi de la France serait tout à fait tranquille, si Henri V était établi à Avignon et pouvait de là expédier des ordres à ses partisans de la Provence et du Languedoc? Mais ce qui est pire, c'est que nos ennemis se servent de la présence des français à Rome pour accréditer l'opinion que l'Empereur est hostile à l'unité italienne et qu'il est décidé à la rompre à tout prix.

J'ai été heureux d'apprendre par votre télégramme de cette nuit que l'Empereur consent à ce que Thouvenel formule son projet. Je ne comprends pas trop ce que feront les 6000 français, dont vous me parlez comme devant demeurer à Rome. Si c'est pour un temps non défini, mieux vaut ne rien faire, car la solution définitive ne sera pas avancée, et notre position deviendra plus critique. Si au contraire l'époque de l'évacuation complète est fixée, il y aura moyen de faire prendre patience aux Romains et aux impatients. Je vous prie de vous expliquer sur ce point de la manière la plus catégorique avec M. Thouvenel. Si on nous laisse le choix, nous préférons retarder l'époque de l'exécution du traité, à condition que les français s'en aillent tous à la fois.

Pantaleoni se prépare à partir; il voudrait amener sa femme avec lui. Comme elle est anglaise, cela donnerait à son voyage une couleur plausible. Si vous jugiez que tout retard fiìt nuisible, avertissez moi par le télégraphe.

J'ai eu hier une conversation fort intéressante avec un moine français, le Père Marie Louis. C'est un homme d'un grand talent, à idées larges et qui jouit d'une grande réputation comme prédicateur. Il a donné la plus entière approbation aux projets formulés par le Père Passaglia. Il croit que si on parvenait à les faire adopter à Rome cela ferait le plus grand bien à la cause de la religion en France et rattacherait le clergé au gouvernement Impérial. Il aurait désiré pouvoir aUer à Rome, mais il croit qu'il ne pourrait etre utile qu'autant qu'il aurait l'appui du Gouvernement français. Devant retourner à Paris, il m'a demandé de lui faciliter les moyens de vo'ir l'Empereur et M. Thouvenel. L'Empereur le connait, car il l'a reçu deux ou trois fois à la demande de la Grande Duchesse Marie et je crois qu'il l'apprécie. J'ai remis en conséquence au Père Marie Louis une lettre pour vous. Aidez-le, et je crois qu'il pourra nous rendre de bons services.

J'ai reçu la visite de plusieurs polonais. Ils prétendent avoir tout organisé pour s'insurger, si la Hongrie se déclare indépendante. Ils demandaient qu'il leur fut permis d'organiser les quadres d'une légion polonaise, qu'ils auraient payés à leurs frais. Tout en leur témoignant assez de sympathie, je me suis tenu sur la réserve. Informez de ceci Thouvenel.

Le Roi vous fait ses amitiés, et n'a le moindre doute sur votre zèle.

83

L'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, LA MINERVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

T. 444. Lisbona, 2 maggio, 1861, ore 16,26 (per. ore 23,50).

Aujourd'hui le Ministre des Affaires Et.rangères m'a dit qu'il avait parlé de notre affaire en Conseil, que tous les Ministres étaient favorables, mais qu'aucune puissance catholique ne nous ayant pas encore reconnu, le Portugal ne pouvait etre le premier. Il espère que ce ne sera qu'un délai de peu de jours, et il m'assure qu'on ne sera pas le demier. D'après ce discours je suis persuadé qu'on attend l'attitude plus décisive de la France. Il serait peut-etre bon d'agir à Londres.

84

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. 324. Berlino, 3 maggio 1861.

Pour répondre à la dépeche que V. E. m'a fait l'honneur de m'adresser en date du 15 avril échu n. 378, j'ai adroitement sondé le terrain auprès de plusieurs de mes collègues, nommément auprès du représentant des Villes Anséatiques. Voici le résultat de mes investigations:

Les Sénats des Villes Libres n'ont que des sentiments bienveillants à notre égard, et s'ils ne devaient consulter que leurs intérets commerciaux, ils y verraient un motif de plus de se déclarer ouvertement en notre faveur; mais par raison d'Etat ils sont tenus à observer de grands ménagements vis-a-vis de l'Autriche leur alliée naturelle contre les convoitises vraies ou supposées de la Prusse. D'un autre cOté, si comme Etats Souverains ils ont le droit de reconnaitre de leur propre mouvement le Royaume d'ltalie, ils ne voudraient cependant pas se singulariser en prenant les devants sur tous leurs Confédérés. Leur position est trop modeste pour s'arroger un tel role. En attendant je ne mets pas en doute qu'ils ne se pretent à toutes les mesures transitoires pour régler la continuation de nos rapports, sous une forme analogue à celle adoptée en Prusse. Et meme, si je suis bien renseigné, M. Schroder à Hambourg a déjà inscrit, sans rencontrer la moindre opposition, le nouveau titre sur l'écusson du Consulat de Sa Majesté.

Quant aux autres Gouvernements du Nord de l'Allemagne, ils nous sont plus ou moins hostiles. Le Roi de Hanovre et son Cabinet suivent une politique des

plus rétrogrades. Le Due d'Oldenbourg affecte des allures libérales dans certaines questions allemandes; mais il est fortement imbu des préjugés dynastiques. Dans les deux Mecklembourg la noblesse, encore toute puissante et jouissant à peu près des memes privilèges qu'au moyen age, combat avec acharnement le progrès de la civilisation moderne, partant ses sympathies se trouvent du còté des Princes déchus. Un dignitaire de la Cour de Strelitz s'est rendu à Rome pour présenter à « l'héroi'ne de Gaète » la Couronne de laurier qui lui est offerte par la majorité des Princesses allemandes. Les Princesses de la Maison Royale de Prusse n'ont pas contribué à cette offrande.

Je ne parlerai pas des Cours secondaires du Midi de l'Allemagne qui toutes, à l'exception de celles de Bade et de Saxe-Cobourg-Gotha, naviguent dans les eaux de l'Autriche.

Il m'est donc avis que, pour le moment, il n'y a rien à faire. Avant que la Prusse ne se soit prononcée, aucun Etat Germanique ne voudra ou n'osera se rapprocher de nous. Et pour la Prusse elle-meme, nous ne devons pas compter sur son adhésion tant que la France ne se sera pas décidée à nous reconnaitre. Alors en agissant d'un commun accord avec les deux Puissances occidentales, nous réussiròns, je l'espère, à triompher de ses hésitations.

Si, malgré cette opinion que je me permets d'émettre, je remarquerai quelque part de meilleures dispositions, je ne manquerais pas d'en informer sans rétard V. E.

85

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. 325. Berlino, 3 maggio 1861.

Malgré le démenti de la Gazette de Vienne je ne puis que confìrmer ce que j'ai mandé sur les Conférences Austro-Prussiennes relatives à l'organisation militaire de la Confédération. Le Plénipotentiaire autrichien était trop rusé pour formuler la demande catégorique d'une garantie de la Vénétie; mais il avait procédé par voie d'insinuation, pour amener insensiblement la Prusse sur une pente qui aurait abouti implicitement au meme résultat. Chercher en effet à s'entendre sur les éventualités d'une nouvelle guerre en Italie, et à combiner d'avance des mesures militaires pour parer ou faire diversion à une attaque, n'était-ce pas vouloir associer le Cabinet de Berlin au maintien du status quo dans les provinces Vénitiennes? D'ailleurs, en répondant négativement à la Bavière, qui avait suggéré une nouvelle combinaison pour le commandement de l'armée fédérale, le Baron de Schleinitz s'expliquait, vaguement il est vrai, mais cependant d'une manière encore intelligible pour faire deviner quel avait été le motif de l'ajournement des négociations. Dans cette dépeche datée du 21 Avril, il est dit que cet ajournement avait eu lieu parce que l'Autriche avait voulu meler des questions politiques à une affaire purement militaire. Comme la Gazette de Vienne, M. de Schleini±z affirmait que les meilleures relations n'en existaient pas moins entre les deux grandes Puissances allemandes. C'est encore là une assertion

peu exacte. Il est au contraire avéré qu'elles continuent à se jalouser, à se chamailler, à se disputer la prééminence en Allemagne. Et pour ce qui nous concerne, en maintes occasions la Prusse a su résister aux démarches du Comte Rechberg, soit à Francfort, soit à Berlin, pour provoquer une rupture diplomatique. Ces tiraillements, ces jalousies, ces défiances ne seraient assoupis que dans le cas où la France interviendrait, les armes à la main, en Italie ou en Allemagne.

Cependant les rapports entre les Cabinet de Paris et de Berlin sont aujourd'hui assez satisfaisants; du moins le Prince de La Tour d'Auvergne se loue-t-il beaucoup de la condescendance qu'il rencontre auprès de Monsieur le Baron de Schleinitz. Il n'en est pas tout-à-fait de meme à la Cour. Le Roi nourrit toujours les memes inquiétudes sur de prétendus projets de l'Empereur Napoléon. Ainsi tout récemment il a fait demander au Ministre de la guerre en combien de temps il s'engagerait, le cas échéant, à faire transporter vers le Rhin 250.000 hommes avec le matériel et les approvisionnements nécessaires. La réponse a été qu'il faudrait dix-rept jours. Selon ce pian éventuel, ce seraient le l, 2, 3, 4, 7 et 8/me corps d'armée qui prendraient position pour défendre cette ligne importante. Les 5 et 6/me corps d'armée resteraient stationnés en Silésie et en Pologne, et le corps de la garde serait disponible pour les diverses occurences.

86

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. 326. Berlino, 3 maggio 1861.

Malgré les préoccupations de la Cour, le Gouvernement Prussien se plait à reconnaitre que les faits politiques ont perdu quelque chose de leur aspect menaçant. Du moins il est plus rassuré sur la situation de l'Italie, en suite des succès remportés récemment par notre Ministère, succès qui redoublent notre force morale et matérielle. Les discours de V. E. à la Chambre ont été très remarqués. Pour la Hongrie également, on espère que les difficultés pourront s'aplanir, l'Empereur d'Autriche paraissant décidé à lui accorder l'union personnelle, mais seulement après avoir épuisé tous les moyens de persuasion propres à la détourner de ses prétentions. Bref les optimistes auraient .confiance dans l'avenir, n'éta'it, de l'Orient qui pour l'observateur reste un mystère plein de menaces. L'évacuation de la Syrie se fera à la date fixée; on s'occupe à régler tout ce qui a trait à la nouvelle organisation; au dire de la Russie on bàtit sur le sable. On n'aboutira pas meme à un replàtrage.

J'ai cru devoir aUer demander au Baron de Budberg s'il avait des instructions pour le «visa » des passeports avec la formule au nom du Roi d'Italie. Il a répondu négativement, et en me remerciant d'avoir appelé son attention sur ce point, il m'a dit qu'il allait écrire au Prince Gortschakoff. J'ai proposé de suivre le meme mode déjà adopté parla Prusse, ou de s'entendre sur toute autre combinaison qui, sans porter atteinte à notre dignité, concilierait les intérets réciproques des voyageurs et des commerçants des deux pays. Le Ministre d'Autriche

croit savoir que son Gouvernement admet nos papiers de bord, et que, quant aux

passeports, on remet un laisse-passer aux titulaires.

Mon collègue de Suède a annoncé ce matin au Baron de Schleinitz que son

Gouvernement avait fait savoir, le 29 Avril, au Marquis Migliorati que le Roi de

Suède était pret à reconnaitre le Royaume d'Italie, aussitòt que cet événement

lui aurait été notifié par Notre Auguste Souverain.

87

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR (Ed. in Q. R., II, 424)

T. 450. Parigi, 4 maggio 1861, ore 18,35 (per. ore 20).

Thouvenel m'a dit qu'il croit presque impossible de faire démordre l'Empereur de l'idée des 6 mille hommes. On pourrait tourner la difficulté en obtenant que la France notifie au Pape son intention de retirer entièrement les troupes dans 4 mois. Je crois qu'il ne convient pas de brusquer pour cela, l'essentiel c'est qu'on formule le traité et de lier ainsi l'Empereur, carla résistance est très vive.

88

IL CONSOLE A BUCAREST, STRAMBIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

Galatz, 5 maggio 1861, ore 17,10 (per. ore 23,10).

Le Commissaire Anglais seulement a reçu une communication favorable, ~es autres manquent d'instructions et regrettent de ne pouvoir aUer plus loin que leurs Gouvernements. Cependant voulant empecher autant que peut dépendre d'eux-memes mon éloignement de la Commission dans les moments qu'ils jugent les plus intéressants, mes collègues m'ont proposé l'arrangement suivant, et exprimé le désir qu'il soit accepté provisoirement par le Gouvernement du Roi. Le voici: dans l'intitulation des protocoles supprimer la désignation des puissances et conserver les noms des Commissaires dans l'ordre alphabétique de ces memes noms, n'employer jamai le nom Sardaigne; si dans un cas, un cas exceptionnel non prévu, la désignation de la puissance devenait indispensable, emploier celle de Corn:missaire de S. M. le Roi Victor-Emmanuel. Je prie V. E. de vouloir bien me donner ses ordres.

89

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, ALL'INCARICATO D'AFFARI A STOCCOLMA E COPENHAGEN, MIGLIORATI

T. 307. Torino, 6 maggio 1861.

Le Roi a décidé d'envoyer le Marquis Torrearsa en qualité de Ministre pour annoncer à la Suède et au Danemark le nouveau titre. Vous pouvez en écrire à Copenhague. Hudson m'a donné l'assurance que le Danemark nous reconnaitra.

90 IL CONTE VIMERCATI

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., II, 430)

L. P. Parigi, 7 maggio 1861.

Je profite du départ du Prince Pio pour vous écrire un mot et vous répéter ce que mon télégramme de ce matin vous aura déjà annoncé sommairement (1). L'Empereur, travaillé ces jours derniers par le brave Dr. Conneau, m'a fait appeler pour rassurer V. E. sur son intention de donner suite au traité.

S. M. reconnait que c'est de son intér~t de fixer une époque pour le retrait total de ses troupes, car, sans cela, il est siì.r que la Cour Romaine ne laisserait jamais arriver ce jour. Il veut donc bien fixer le terme péremptoire du retrait; mais il ne saurait se décider à prende là-dessus un engagement forme! avec le Gouvernement du Roi, et cela par la raison qu'en prenant un tel engagement, il aurait l'air de céder au plus fort en livrant le plus faible. Selon l'Empereur, une communication offìcielle que son Gouvernement ferait à Turin de la notification faite au St. Siège pour le terme du rappel atteint parfaitement le but qu'on se propose, sans avoir ce caractère odieux d'un abandon fait d'après les instances d'une Puissance étrangère.

Je 'vous pr'ie, Monsieur le Comte, da me faire savoir si ce moyen d'arranger la difficulté serait accepté par le Gouvernement du Roi. Un autre article, que S. M. voudrait changer, c'est celui qui regarde le nombre et la nationalité des soldats que le St. Père pourrait prendre à son service.

Dans un protocole à part on conviendrait que l'engagement, que prendrait notre gouvernement vis-à-vis de celui de l'Empereur, de respecter et faire respecter le territoire actuel du St. Siège serait considéré comme non avenu dès que l'armée pontificai prendrait des proportions menaçantes pour nous.

L'Empereur prévoit que la Hongrie est bien près de se soulever. Il regrette que les Magyars et les Croates qui s'accordent parfaitement pour ne pas envoyer leurs représentants au Conseil de l'Empire, ne puissent se mettre d'accord pour leur union à Pesth.

Au reste j'ai pu comprendre que si la révolution hongroise éclatait, l'Empereur n'est serait pas fàché, pourvu qu'elle ait les moyens de se soutenir.

Le Prince Czartoriski a exprimé à S. M. le désir des polonais qu'il fit entendre à Turin qu'il ne verrait aucun inconvénient à ce que on Ieur permit de .former les quadres d'une légion polonaise.

S. M. a répondu par un refus net, en disant que c'était compromettre le Gouvernement italien pour une chose qui n'en valait pas la peine.

Je viens de voir M. Thouvenel, qui se montre très content des dispositions de l'Empereur. Il espère que V. E. comprendra la nécessité de faire à l'Empereur une position possible en vue des énormes embarras que la question de Rome crée en France.

Le Ministre déplore la conduite de la Russie en Pologne. Il est meme assez froid avec M. de Kisseleff. L'Empereur ne m'a pas, non plus, caché sa sympathie personnelle pour les Polonais. Seulement il regrette qu'ils n'ayent pas écouté son conseil de se soulever pendant la guerre de Crimée. Maintenant il faudrait, selon lui, qu'ils retardent leur soulèvement jusqu'au remaniement territorial que portera la question orientale.

L'Empereur m'a dit qu'il verrait avec plaisir l'arrivée de Pantaleoni à Paris, pourvu qu'il ne fasse pas de bruit et qu'il donne des renseignements exacts sur les Cardinaux.

M. Thouvenel m'a assuré que Kossuth va quitter prochainement et défi

nitivement l'Angleterre pour aUer s'établir à Turin. Ci-jont une lettre que je vous prie de faire avoir a Minghetti.

(l) Ed. in Q. R., Il, 429.

91

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, DURANDO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. 12. Costantinopoli, 8 maggio 1861.

Le dernier paquebot m'a apporté la dépeche de V. E. n. 138 (S. P.); le

n. 136 me manque toujours, comme j'ai déjà eu l'honneur de vous en prévenir dans ma dépeche antérieure.

Après beaucoup d'hésitation et de pourparlers, la Sublime Porte vient d'admettré une espèce de médiation ou de concours morale de la part des cinq grandes Puissances. V. E. trouvera ci-joint en copie la communication qu'elle leur a adressée à cette occasion, ainsi que la proclamation qu'Omer-Pacha. Général en chef de l'armée de Roumélie, doit adresser aux insurgés de Bosnie, en leur offrant presque tous les avantages qu'il avaient demandés avant de recourir aux armes et pendant l'insurrection. On espère d'obtenir par ce moyen l'entière pacification de l'Herzégovine et de la Bosnie. Pendant qu'on négociait ces arrangements à Costantinople, les insurgés ont attaqué une colonne turque qui escortait un convoi, destiné à ravitailler le fort de Nitchich, étroitement bloqué, et qu'ils auraient du respecter, selon une convention antérieure faite par l'intermédiaire des Consuls des cinq Puissances. Ce manque de foi et la destruction de cette escorte rendent maintenant plus difficiles les négociations pour l'acceptation de part et d'autre des concessions projetées. En tout cas, c'est l'exécution de ces concessions qui forme toujours le nreud de la difficulté.

La Porte a toujours promis; elle a rarement rempli ses engagements envers les chrétiens, ou par impuissance de se faire obéir, ou par mauvaise volonté. Tout ceci n'est donc qu'un expédient pour sortir momentanément des embarras.

J'ai annoncé à V. E. dans mes dépeches antérieures, que je n'avais pas cru opportun de me plaindre de notre exclusion de toutes ces négociations, bien qu'à la rigueur nous aurions pu le faire. La nouvelle organisation de l'Italie nous rapproche trop des frontières turques; les nouvelles qu'on a répandues sur un prétendu débarquement de Garibaldins en Albanie, nous mettent en suspicion auprès de la Porte et de l'Angleterre. C'est une raison, ce me semble, dans l'état actuel des choses, de nous tenir à l'écart et de ne point provoquer une polémique et des contestations sur la légitimité de notre ingérence.

Je m'aperçois par la dernière dépeche de V. E. qu'elle ignorait la rupture des négociations entre Sir H. Bulwer et moi au sujet des armes de Galatz, déposées maintenant à Constantinople (1). J'ai écrit à M. Strambio pour l'engager à faire comprendre au Prince Couza, que Sir H. Bulwer, n'ayant pas rempli ses engagements de faire transporter ces armes à Genes, sa responsabilité morale et matérielle n'était pas encore dégagée et que par conséquent c'était à lui à provoquer cette mesure. M. Negri n'a pas d'instructions du Prince et ne veut pas agir de son chef. Cette issue à cette déplorable affaire, je l'avais aussi indiquée a V. E. dans une de nos dépeches antérieures, dans le cas où Elle ne crut pas opportun d'en faire quelque ouverture à Londres. J'ai également prévenu M. Strambio qu'il était probable que V. E. lui donnàt des instructions à cet égard.

J'ai également annoncé a V. E. que les demandes du Prince Couza, concernant l'union effective des deux Principautés, avaient été enfin agrées par la Porte. Je vous envoye copie de la circulaire adressée par Aali Pacha aux représentants de la Porte auprès des Puissances et que S. A. m'a communiquée officieusement. Naturellement on avait feint d'avoir oublié que la Sardaigne avait quelque chose à voir dans cette grosse affaire; j'ai du réclamer de cet oubli auprès du Ministre Ottoman. On m'a promis qu'on ferait à V. E. la meme communication qu'aux Ministres des autres Puissances. J'y veillerai. Je ne sais pas comment, dans l'état actuel de nos relations diplomatiques avec les puissances, notre admission aux conférences sur ce sujet, pourra etre réglée. Mais il faudrait au mo'ins sauver le principe d'une manière ou de l'autre. Vous voyez la pente et les dispositions de la Porte et des plusieurs autres Puissances à notre égard. Le Traité de Paris deviendra pour nous une lettre morte, si nous n'y prenons garde. Peut-etre un jour viendra où nous devrons déclarer, que puisqu'on ne tient pas compte de nos droits, nous déclinons toute charge éventuelle de garantie de l'Empire Ottoman.

Dans peu de jours l'Angleterre signera le Traité de commerce, avec des modifications. J'envoye à V. E. le texte de ces changements qui, à part quelque nouvelle altération sur l'époque du paiement des droits d'exportation et sur le commerce des armes, seront insérés dans le Traité Anglais. J'ai également l'honneur de joindre ici une copie exacte du Traité qui fut signé par la France; ce est d'apres ce texte que le rapprochement avec le projet Anglais a été fait. Veuillez, je vous prie, les faire examiner au plus tòt possible et m'avertir par télégraphe de la décision prise; car j'ai hàte de signer afin que V. E. puisse communiquer ce Traité au Parlement avant la fin de la session. Dans le cas où avant que le Traité Anglais soit le projet eut à subir des modifications de quelque importance, je ne manquerai pas de les communiquer d'avance a V. E.

(l) Cfr. C. DURANDO, op. cit., pp. 98-122.

92

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR,

AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, DURANDO

T. 317. Torino, 10 maggio 1861.

Par ma dépéche du 2 avril n. 136, je vous pna1 de me dire si vous croyez qu'on puisse notifier à la Porte le nouveau titre de Roi d'Italie et de m'en référer en cas contraire. Maintenant répondez par télégraphe. Je vous chargeai également de faire connaitre au Ministre de Grèce que le Comte Mamiani serait envoyé à Athènes en qualité d'Envoyé. A cet égard j'ai déjà reçu réponse du Consul d'Athènes; toutefois je crois convenable que vous fassiez communication au Ministre Grec auprès de la Porte (1).

93

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., II, 436)

L. P. Parigi, 11 maggio 1861.

Je n'ai pas cru devoir vous rendre compte de tous les haut et bas que nous avons eus ces jours derniers pour amener l'Empereur à prendre une décision définitive sur les arrangements proposés. Il était inutile de vous ennuyer par des détails sans conclusion.

A présent je suis heureux d'annoncer à V. E. que, finalement, la détermination tant attendue est prise, et c'est pour vous donner cette nouvelle que je vous envoie M. Cerruti en courrier.

Hier j'ai vu l'Empereur et nous sommes convenus que le Roi lui écrira une lettre autographe, de suite, demandant la reconnaissance du Royaume d'Italie.

L'Empereur répondra affirmativement à cette demande, mais il est convenu que la lettre du Roi et la réponse de l'Empereur seront communiquées d'abord par brouillon.

Je prie donc V. E. de ne pas perdre un instant à faire rédiger par S. M. la lettre et me l'envoyer en copie par un courrier, qui vous apportera la copie de la réponse.

Une fois d'accord sur les termes prec1s des deux lettres, je remettrais à l'Empereur officiellement la lettre autographe du Roi.

L'Empereur désire que dans la lettre du Roi il y ait une phrase, qui témoigne le regret de S. M. de ne pas avoir pu suivre les conseils, que l'Empereur avait cru lui donner dans son intéret. Ici le Roi expliquerait les raisons qui l'ont induit à agir dans un autre sens.

Vous comprenez, Monsieur le Comte, que tout ceci n'est qu'une forme et une espèce de petite comédie, qui vous donnera l'occasion de faire connaìtre à l'Europe la politique du Roi et de piacer sous leur véritable jour les causes, qui ont amené l'unité italienne.

Dans la réponse de l'Empereur il y aura une phrase relative à Rome et à l'occupation française. Cette phrase est destinée à motiver le traité, que je viendrai vous apporter après l'échange officiel des lettres des deux Souverains.

J'ai insisté pour que le traité vous fut apporté par moi au lieu de vous etre communiqué par Rayneval, comme l'aurait voulu M. Thouvenel; et cela par la raison que ce traité, ne vous arrivant encore que comme un projet, vous pourrez y faire les modifications que vous jugerez convenables.

Il va sans dire que je ne partirai d'ici avec le traité que ayant en main un document qui rendra le traité irrévocable de la part de l'Empereur.

Les modifications, qu'on a faites ici au projet primitif, je vous les ai fait connaìtre par mes lettres et mes télégrammes; et, quant à vous, Monsieur le Comte, il vous restera toujours pleine liberté de proposer, à votre tour, des changements, car le Ministre des Affaires Etrangères et l'Empereur tiennent essentiellement à ce que vous restiez à la tete des affaires.

c Si je savais, m'a dit l'Empereur, que M. de Cavour dut tomber, je vous déclare bien franchement que je ne reconnaìtrais pas le Royaume d'Italie ».

Vous voyez par là combien de force vous avez auprès de l'Empereur, et que vous pourrez bien, si vous le croyez à propos, vous permettre de répondre: J e ne puis accepter telle ou telle autre condition, parceque je ne pourrais la faire accepter par les Chambres.

L'Empereur m'a dit qu'il tient à ce que le traité ne soit connu en France qu'après la clòture des Chambres Françaises qui aura lieu le 10 Juin. D'ici là devront avoir lieu l'échange des lettres, mon voyage à Turin, et l'entente préalable et définitive sur le traité ainsi que sur les démarches que la France fera à Rome et les communications officielles, qui seront faites à Turin sur ces memes démarches. C'est dans ces communications que l'époque du retrait des dernières troupes des Etats Pontificaux sera irrévocablement arretée vis à vis du Piémont meme, quoique indirectemnt.

Certes il aurait été mieux pour nous que l'époque du rappel fut énoncée dans le traité avec nous, comme le portait le premier projet.

Mais je vous répète que je crois impossible d'y amener l'Empereur. Quant à moi, je ne m'en sens pas la force, et le Prince Napoléon lui meme trouve qu'après tout le moyen terme arreté par l'Empereur répond assez au but que nous nous proposons. A ce sujet je crois devoir vous répéter textuellement ce que l'Empereur m'a dit hier: «Vous comprenez qu'il est de mon intéret de m'en aller le plus tòt possible et surtout de ne pas laisser longtems dans les Etats Romains une petite force, qui pourrait compromettre mon drapeau; je m'expose

rais peut-etre à ce que les Cardinaux eux-memes provoquent un mouvement populaire pour entrainer la France dans leurs intérets ».

Je crois aussi devoir vous redire ce que je vous ai déjà écrit: qu'une modification sera apportée au projet du traité en ce qui concerne la composition de l'armée papale. Le nombre et la nationalité des soldats ne seront pas déterminés.

Ce sera, du reste, dans un protocole séparé que ces détails seront réglés.

L'Empereur demande aussi que certaines facilités soyent accordées aux Etats Pontificaux dans leurs relations commerciales, afin qu'ils ne se trouvent pas comme bloqués par nous.

«Ceci, a dit l'Empereur, je le demande pour ne pas etre accusé par les catholiques français d'avoir fait un traité, qui bloque le St. Père et l'oblige à se rendre par la faim ».

« Ensuite, a-t-il ajouté, quand nous en serons là, vous ferez ce que vous jugerez convenable ».

En me faisant sentir la nécessité de ne pas trop presser la conclusion du traité, l'Empereur m'a dit: « Il faut que je laisse arriver la clòture des Cliambres; il me serait désagréable d'avoir, en ce moment, une interpellation Keller ».

S. M. sachant que j'avais diné avant hier chez Kiss avec Kossuth m'a demandé quelle était l'opinion de ce dernier sur la situation de la Hongrie.

J'ai cru devoir exposer à S. M. la véritable impression, que j'avais rapportée du long entretien que j'avais eu avec le chef de l'émigration hongroise; l'Empereur a paru assez étonné de voir que les renseignemens, que je lui donnais, différaient essentiellement de ceux qu'on avait reçus au Ministère des Affaires Etrangères. Selon ces derniers on prévoyait comme imminente la possibilité d'un soulèvement, tandis que Kossuth craint plutòt que la Diète se rallie au parti Deak, qui fait chaque jour de nouveaux prosélytes et finisse par accepter un compromis avec l'Autriche, qui de son còté, parait disposée à faire encore quelques concessions. Ce compromis amènerait nécessairement le couronnement de François Joseph comme Roi de Hongrie et, cela une fois fait, Kossuth et ses amis craignent bien qu'on ne pourrait plus compter sur un mouvement hongrois pendant quelques années. Kossuth admit meme la possibilité que les hongrois, une fois encore ralliés à la Maison d'Augsbourg, lui pretent leur appui meme contre l'Italie.

L'Empereur ne parait pas partager ces craintes et me semble voir avec

plaisir que la question de l'indépendance de la Hongrie soit ajournée, « car,

dit-il, les hongrois ne s'entendent nullement avec les Croates, ils n'ont pas assez

d'armes et seraient sans doute écrasés; les embarras de l'Autriche seront toujours

croissants meme vis-à-vis du parti allemand, qui parait se développer chaque

jour ».

Je vous prie, Monsieur le Comte, de ne pas oublier que l'Empereur, dans

tous les entretiens que j'ai eu l'honneur d'avoir avec lui, a toujours insisté, sur

tout et avant tout, à ce que l'organisation de nos forces de terre et de mer fut

poussée le plus activement que possible.

Il m'a chargé de vous dire qu'il est pret à vous donner, pour cet objet, tout l'appui et les facilitations que vous pourrez désirer. L'lmpératrice se montre toujours hostile à l'unité italienne, mais en revanche, elle est excessivement montée en faveur des Polonais et meme des Hongrois. Il

y a deux jours, après déjeuner, étant dans le cabinet de l'Empereur avec Conneau, Elle disait qu'il fallait marcher ouvertement dans la voie des nationalités. Le Docteur lui dit alors : .Je suis heureux, Madame, de vous voir dans ces idées et j e pense que vous cesserez d'etre hostile à l'Italie. L'Impératrice a répondu: « .Je voudrais donner la Vénétie au Roi de Sardaigne, mais rétablir le Roi de Naples et garantir au Pape le territoire actuel ». L'Empereur a ajouté en riant: «Il faut vouloir le possible et non rever l'impossible ».

M. La Valette écrit que les embarras de la Turquie croissent toujours et déclare qu'une fois les français partis de Syrie, les massacres recommenceront. Les troupes seront néanmoins retirées, mais la Turquie sera déclarée responsable de tout ce qui pourra s'ensuivre, et je suis à meme d'assurer à V. E. qu'on se prépare activement ici à marcher contre la Turquie, si les massacres recommencent, meme contre la volonté de l'Angleterre. .Je pense que ce sera par là que le grand drame sera entamé.

Des interpellations à ce sujet, provoquées par le Gouvernement, seront faites de ces jours au Sénat.

M. Billault se prépare à répondre. Sa réponse sera, j'ai lieu de croire, une espèce de programme pour mettre le Gouvernement Impérial à l'abri de l'imputation, qu'on veut lui faire d'avoir trop accordé aux exigences anglaises.

On compte ici que les troubles de l'Herzégowine s'étendront et appelleront de ce còté toutes les troupes, dont la Turquie peut encore disposer au milieu de son dénument. On restera l'arme au bras en attendant que la Syrie, livrée à elle meme, donne le prétexte de prendre position et de se rendre ainsi maitres de la question.

On fait calcul sur l'armée italienne qui jointe à 600/m bayonettes françaises seront d'un poids énorme dans la balance. L'Angleterre, forte chez elle, où trouvera-t-elle des armées à opposer?

On est très mécontent de Gramont et de Goyon, qui fait betise sur betise. Il est arrivé au point de renvoyer de Rome sa femme, parcequ'elle se montre contraire au pouvoir temporel. Cela vous surprendra, mais le fait est que Madame de Goyon fait des prosélytes ici dans ce sens, en disant que la France lutte à Rome contre l'impossible.

On parle beaucoup de cette adresse qui circule à Rome. .Je me permets de vous prier, Monsieur le Comte, de m'en écrire un mot, qui me donne le prétexte d'en entretenir l'Empereur. .Je ne voudrais pas, à présent que les choses vont s'arranger, que cette adresse vint nous faire le pendant de la note anglaise sur le rappel de la flotte de Gaete.

.J'attends toujours Pantaleoni. Veullez en presser le départ, puisque j'en ai meme annoncé à S. M. l'arrivée. .Je prierai V. E. de bien recommander à S. Martino de trouver à Naples un bon correspondant pour l'agence Havas, qui est disposée à le payer. Il est essentiel que cette agence où puisent tous les journaux, donne des renseignemens exacts sur la situat'ion du pays.

.Je prie aussi V. E. de dire à Minghetti qu'à la fin de la semaine prochaine

M. De Lauzières sera à Turin. .Je crois qu'il en sera content.

D'après une dépeche télégraphique de mon beau-frère Cusani la Princesse a fait chercher Laffitte pour lui recommander sa nomination en remplacement d'Oldofredi.

J'y ai été moi meme et je l'ai trouvé très bien disposé, quoiqu'il eO.t porté ses vues sur Ranco. La chose dépend tout à fait de V. E., si Elle veut bien dire un mot en faveur de Cusani.

Ci-joint une lettre pour le Roi et une pour Castelli.

P. S.-Je vous recommande le plus grand secret sur les affaires de Rome. L'Empereur désire qu'on croie que les négociations sont rompues.

(l) Col dispaccio qui richiamato, 2 aprile 1861 n. 136, Cavour scriveva tra l'altro al cav. Durando: c Il Governo del Re desiderando stabilire più strette relazioni colla Corte di Grecia, sarebbe venuto nella determinazione di far risiedere in Atene un inviato straordinario nella persona del conte Terenzio Mamiani della Rovere. Il nome di questo personaggio e gli alti offici già da lui tenuti, chiaramente attestano qual conto il Governo di S. M. faccia de' suoi rapporti colla Grecia e gli dan luogo a credere che tornerà bene accetta e la risòluzione presa e la scelta cui intenderebbe addivenire. Prego quindi la S. V. lll.ma di ciò annunziare al Governo Greco per mezzo del suo Ministro in Costantinopoli. In pari tempo occorrerà che la S. V. lll.ma col mezzo dello stesso Ministro notifichi alla Corte di Atene l'avvenuta proclamazione del Regno d'Italia e promova le opportune pratiche per condurne il riconoscimento. Lascio però alla perspicacia e prudenza di Lei il procedere in questi negoziati in quelmodo che Le parrà migliore perchè ottengano l'esito desiderato. In quest'occasione la S. V. Ill.ma potrebbe pure favorirmi il Suo parere intorno al punto di sapere se le disposizioni del Governo Ottomano siano tali che riesca opportuno il notificare sin d'ora anche al medesimo il titolo assunto da Vittorio Emanuele II ovvero se vi siena ragioni per differire questa comunicazione ad altro momento •.

94

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. 327. Berlino, 12 maggio 1861.

Le Baron de Budberg m'a communiqué aujourd'hui une circulaire du Prince Gortschakoff autorisant les Agents Diplomatiques russes à viser les passeports délivrés au nom du Roi d'Italie. Ils devront cependant dans leur visa employer la formule sujet toscan, sujet napoiitain, etc., selon le pays d'origine du titulaire.

Tel est le biais adopté par le Cabinet de St. Pétersbourg pour ne pas entraver les relations internationales, en réservant la question de reconnaissance.

Je n'ai pas hésité à exprimer à mon collègue de Russie mes regrets que son Gouvernement n'ai pas usé à notre égard des memes facilités que la Prusse. Le mode de procéder adopté par la Russie ne saurait satisfaire ni le Cabinet de Turin, ni les ressortissants des provinces unies, qu'il faudra d'ailleurs interroger directement sur leur pays d'origine, car, pour ma part, je continuerai a leur faire expédier des passeports sous la simple appellation de sujets du Roi d'Italie. Le Baron de Budberg regrettait à son tour que les ordres du Prince Gortschakoff se fussent croisés avec la dépeche qu'il avait adressé à S. E., en suite de mes ouvertures sur cette question. Il avait proposé une combinaison qui lui para'issait meilleure. Il espérait que les instructions seraient modifìées. En attendant, la Chancellerie de la Mission russe à Berlin évitera dans son visa de mentionner la qualité de sujet, en se bornant à la dégjgnation Toscan, Napoiitain, etc.

95

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A MADRID, TECCO

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 13 maggio 1861.

Je m'empresse de vous accuser réception de votre dépeche confìdentielle

n. 165 en date du 30 du mois d'Avril dernier qui vient de m'etre remise.

J'apprends avec satisfaction que la question du « visa :. de nos passeports avec l'intitulé de Roi d'Italie de la part des Légations et des Consulats d'Espagne est résolu dans un sens favorable, et que les·ordres envoyés par le Cabinet de Madrid vont parer désormais à tout inconvénient.

Quant à l'arrangement provisoire dont vous etes convenu avec le Gouvernement Espagnol pour les rapports de la Légation de S. M., j'approuve sans doute votre conduite. Il me parait cependant que l'Espagne tout en faisant une large part aux sentiments dynastiques aurait pu se montrer un peu plus facile, au moment surtout où Elle vient de donner pour son propre compte, une consacration nouvelle au principe de nationalité et de suffrage populaire en acceptant l'annexion de la partie espagnole de l'ile de Saint Domingo. Vous refuser de prendre dans vos communications le titre de Ministre du Roi d 'Italie, de crainte de reconnaitre implicitement le nouvel ordre de choses, c'est il me semble pousser un peu loin les scrupules envers une Puissance qui, au fond, repose sur les memes bases que le Gouvernement actuel d'Espagne, et avec laquelle on n'a cessé d'etre en relations d'amitié. Mais nous attachons trop de prix à vivre dans les meilleurs termes avec le Gouvernement Espagnol, nous espérons trop d'ailleurs qu'il ne tardera pas à re-. <:onnaitre la justice de la transformation qui s'est opérée en Italie pour ne pas abonder envers lui de ménagements et d 'égards. Je ne vois donc rien de contraire à ce que pour tourner la difficulté vous écriviez sous forme de lettre au lieu d'écrire sous forme de note. J'y dois mettre toutefois une cond'ition, et c'est que <:e mode de correspondance soit reçu dans les usages de la Chancellerie Espagnole, et qu'il ne constitue pas une innovation de date trop récente, à la forme que vous auriez suivie par le passé. Au reste il est bien entendu que le titre de Roi d'Italie doit figurer sur les armoiries et sur les timbres de la "Légation comme sur les imprimés dont votre Chancellerie aurait à se servir.

Vous ne me parlez pas dans votre dépeche des rapports et des actes des Consulats de S . M. sur le territoire de l'Espagne. Cependant pour prévenir des embarras et des discussions il est nécessaire que ce po'int aussi soit réglé. Pour ce qui est de la correspondance avec les autorités, si l'usage precèdent l'admet, nos Consulats pourront adopter le meme expédient que la Légation. Mais pour ce qui est des actes de leur jurisdiction il est impossible que ceux-ci n 'énoncent pas la qualité des Agents Consulaires dont ils émanent et par conséquent ne contiennent pas le titre de Roi d'Italie. J'en dirai de meme de leurs armoiries, de leurs timbres, et de leurs imprimés.

Mais j'ai la confiance qu'il ne vous sera pas difficile de vous entendre là-dessus avec le Gouvernement de S. M. Catholique. En définitive nous ne prétendons pas le forcer à nous reconnaitre, nous le laissons meme juge du moment où il voudra bien donner à ses relations avec le Royaume d'ltalie un caractère plus ouvert et plus forme!. Mais ce que notre dignité nous oblige à vouloir c'est que nos Agents ne soient pas contraints de supprimer dans leurs actes le titre légal du Gouvernement sous l'autorité duquel ils agissent, particulièrement lorsqu'il est question de nos nationaux (1).

9 · D oCIImenti dip l omatici • Serie I · Vol. I

(l) Con rapporto confidenziale Madrid 22 maggio 1861, Tecco d a va a Cavour spiegazioni e informazioni soddisfacenti sui singoli punti e poneva in particolare rilievo che l'espedienteconcordato doveva ritenersi accettabile tanto più che al R . Ministro constava -com'egli scriveva -c de la manière la plus siìre que dans un Conseil des Ministres tenu devant la Reine il avait èté decidé qu'on n 'aurait pu accuellir d e ma p a r t aucu n e com m u n ication directe et formelle portant la qualification de représentant du Roi d'Italie sans reconnaitre par là le nouveau Royaume, reconnaissance contre laquelle S. M. s'était prononcée d 'avance d 'une manière péremptoire • .

96

L'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, LA MINERVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. CONFIDENZIALE S. n. Lisbona, 13 maggio 1861.

L'état de choses relativement à l'attitude de ce Gouvernement vis-à-vis du Royaume d'Italie est le mème que j'avais signalé à V. E. dans ma dépeche télégraphique du 2 de ce mois, et les raisons en sont les memes que j'avais indiquées dans ma dépeche pol'itique n. 10 (1). La meme inertie, la meme indifférence, la meme hésitation, la meme crainte de se compromettre. Malheureusement ces mauvaises qualités sont si généralisées ici que meme auprès des hommes marquants de l'opposition et de la presse, malgré toute leur sympathie pour la cause italienne, il faut une grande persistance pour les décider à s'occuper de la grande politique européenne. C'est seulement depuis deux jours en effet que le journal La Révolution de Septembre a commencé à appeler l'attention publique sur l'argument de la reconnaissance du Royaume d'Italie. Il faut espérer que la presse libérale suivra cet exemple et qu'à la prochaine ouverture du Parlament des interpellations auront lieu à ce sujet.

Le Ministère en donnant la réponse que j'ai eu l'honneur de communiquer à

V. E. poursuit son système de tergiversation. Il parle de liberté aux Gouvernements libéraux, il se montre ultra-conservateur avec les Gouvernements réactionnaires. Je ne sais si V. E. a eu dans le temps communication de la réponse que

M. D'Avila a faite en date du 18 Juillet 1860 au Vicomte d'Alte au sujet de la protestation du Cardinal Antonelli du 18 Mars meme année contre l'annexion des Légations. Cette réponse se trouve à la page 32 d'un Compte rendu général du Ministre des affa'ires qu'on vient de faire imprimer. J'envoie ce rapport sous bande à V. E. Le Ministre Portugais dit que S. M. très fidèle a trouvé fondée en droit la protestation du Cardinal Antonelli et que la validité complète des faits qui se sont passés ne pourra dépendre que de l'approbation explicite des Puissances qu'i ont signé le traité de Vienne, traité que le Portugal Puissance signataire a le devoir de respecter. Je me dispense de tout commentaire sur cette pièce.

D'autre part il me revient de bonne source que le Ministre D'Avila aurait écrit au Ministre Portugais en Russie que pour la reconnaissance du Royaume d'Italie, le Portugal suivrait l'exemple des trois autres grandes Puissances. Mais malgré cela je crois qu'une attitude plus prononcée de la France pourrait contribuer à une solution plus prompte et plus favorable.

Il serait aussi à désirer que la Belgique se hatat de nous reconnaitre. Le Roi Léopold étant désormais le Chef de la famille des Cobourgs exerce une grande influence sur la Maison Royale de Portugal où il est hors de doute qu'une tendance allemande très prononcée parait prédominer à cause de son origine et de ses liaisons récents. Cette circonstance contribue aussi beaucoup à faire suivre une politique de tergiversations et de faiblesse politique qui est en con

tradiction avec toutes les expressions et les marques de sympathie qu'on montre en faveur de notre nationalité reconquise (1).

(l) Rapporto da Lisbona 26 aprile 1861 n. 10 sulle tergiversazioni di quel Governo.

97

IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. CONFIDENZIALE S. n. Francoforte, 13 maggio 1681.

Je venais à peine d'adresser à V. E. ma dépeche télégraphique de tout à l'heure (2) pour l'informer du refus du Ministre de Bavière de prendre connaissance d'une communication de cette Chancellerie portant le cachet de Légation de

S. M. le Roi d'Italie, qu'à son tour l'Envoyé de Wurttemberg, auquel j'avais également adressé des lettres rogatoires avec le meme cachet, accompagnait sa réponse. des observations dont ci-joint se trouve la copie (3).

Si la forme qu'a donnée à sa communication le représentant du Wurttem-· berg est moins acerbe que le procédé du Ministre bavarois, il n'en est pas moins certain qu'au fond c'est la meme pensée qui a dicté leur conduite, et que tous deux ont agi d'un commun accord d'après les instructoins de leurs Gouvernements. Au surplus il est évident que l'Autriche est derrière toutes ces hostilités, et que n'ayant pu parvenir à obtenir une protestation formelle de la Prusse, elle espère arriver au meme résultat en conseillant et provoquant des ruptures partielles aux petits Etats, servilement inféodés à sa politique haineuse.

Ce que le futile prétexte d'un cachet extérieur a pu amener aujourd'hui de la part de la Bavière et du Wurttemberg, indique assez ce que sont disposées à faire à la première occasion les autres Cours secondaires, dont l'animosité et la jalousie concentrées contre le nouveau Royaume d'Italie égale la soumission absolue à l'Autriche.

Malgré l'importance qu'il y a à surveiller de près ici les manoeuvers ténébreuses de l'Autr'iche, je ne sais jusqu'à quel point il peut convenir au Gouvernement du Roi de maintenir un représentant près d'une Assemblée dont, si l'on en excepte le Danemark, la Hollande, la Prusse et les quelques Etats qui suivent sa politique, tout le reste se pose en ennemi déclaré du nouvel ordre de choses établi en Italie, et saisira toutes les occasions de prouver son stupide dévoument au Cabinet de Vienne en s'associant à ses profondes rancunes.

. (l) Questo rapporto era comunicato con dispaccio confidenziale 29 maggio 1861 all'Incaricato d'affari a Londra (Corti) con l'incarco di vedere se Lord J. Russell fosse dispostoad interporre i suoi buoni uffici per vincere le incertezze del Governo portoghese : c nouvelle marque d'amitié -scriveva Cavour -que nous apprécierions certainement à toute sa valeur •·

D'un autre còté, comme j'ai eu l'honneur d'en informer V. E. (1), il ne faut pas oublier que rien ne saurait etre plus agréable à l'Autriche que le fait éclatant d'une rupture avec la Confédération Germanique auquel par une de ces ruses qui lui sont familières elle ne manquerait pas de donner un caractère gén6ral résultant d'une communauté de vues et d'intérets avec toute l'Allemagne. Une autre consideration qui a aussi sa valeur c'est que le rappel du Représentant du Roi, à la suite de ce qui vient d'arriver, donnerait beaucoup trop d'importance à l'initiative ridicule prise par deux petits Etats dont la haine égale l'impuissance et qui, en s'imaginant, peut-etre, que l'on a pris au sérieux leurs observations, se donneraient les airs d'avoir amené une rupture avec l'ensemble des Etats Allemands.

Mais comme en définitive cette Légation ne peut pas s'exposer à recevoir une seconde fois les observations du premier petit représentant auquell'Autriche aura soufflé son role, je crois qu'en l'état il ne s'offre plus que deux moyens de parer pour quelques temps encore aux difficultés de la situation.

Le premier serait de me renfermer exclusivement dans mes attributions de Ministre près la Diète qui ne donnent lieu à aucune communication officielle, en évitant d'avoir avec les membres de l'Assemblée des relations d'affaires qui pourraient se traiter par l''intermédiaire du Ministre de Prusse à Turin.

Le second consisterait à prendre un simple congé qui en écartant toute espèce de difficulté aurait l'avantage de laisser intacte pour plus tard la reprise de relations diplomatiques régulières.

En croyant de mon devoir d'exposer à V. E. ma manière d'envisager la question, je n'ai pas besoin d'ajouter que je laisse à Sa haute sagesse le soin d'apprécier une situation qui devient de jour en jour plus délicate.

P. S. Le chargé d'affaires d'Espagne m'a dit hier soir qu'il venait de recevoir de son Gouvernement l'autorisation de viser les passeports délivrés « au nom du Roi d'Italie ».

(2) -Telegramma 13 maggio di Barrai a Cavour (n. 485): c Le Ministre de Bavière vient de renvoyer sans vouloir ni l'ouvrir ni l'accepter la communication destinée au Marquis Pallavicini à Munich portant le timbre du Royaume d'Italie, en faisant dire par son Secrétaire de Légation qu'il ne connaissait pas de Légation de ce nom à Francfort. Que dois-je faire? •. (3) -Allegato: Extrait d'une communication adressée par la Ministre de Wurttemberg, à la Légation de S. M. à Francfort en date du 11 mai 1861 : • ... En vous adressant cette information préalable je ne saurais, Monsieur le Comte, laisser passer sans observations qu'après plus mur examen du cachet du pli qui renfermait votre communication, j'y ai trouvé le timbre d'une Légation Royale d'Italie. Or c'est avec la Légation de Sa Majesté le Roi de Sardaigne près la Confédération Germanique que j'ai l'honneur d'entretenir des relations officieuses, et il n'y a pas de c Légation Royale d'Italie •, accréditée près la Sérénissime Confédération. Je dois donc supposer que c'est par méprise que V. E. s'est servie du susdit cachet pour une communication adressée au Ministre de Wurttemberg à la Diète Germanique •.
98

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, DURANDO

R. 141. Torino, 15 maggio 1861.

D'après ce que je suis autorisé à penser des dispositions de la Porte, je crois qu'au lieu de nous borner à sonder ses intentions, nous pouvons franchir le pas et lui notifier officiellement le titre de Roi d'Italie assumé par Notre Auguste Souverain. Je vous charge donc, Monsieur le Chevalier, de faire cette notification dans les termes que vous jugerez les plus convenables.

La Porte ne saurait oublier les services que lui a rendu, sous les auspices du Gouvernement du Roi, une partie de cette nation italienne qui vient heureusement de se constituer. Les sacrifices que nous avons fait pour aider la Porte à conjurer les périls qui la menaçaient et à maintenir son intégrité seront, je

(l} V. documento n. 75.

l'espère, aux yeux du Gouvernement Ottoman, un motif de plus de reconnaitre l'indépendance des provinces de l'Italie réunies sous le sceptre de S. M. L'exemple d'ailleurs de l'Angleterre est bien de nature à dissiper les hésitations de la Porte. Les raisons que vous développez à l'égard du traité de Commerce sont très sensées et très justes. Aussi je vous autorise à signer le traité sans retard. Vous devez vous servir, à cet effet, des nouveaux pleins pouvoirs que je vous ai envoyés, et prendre en conséquence la qualifi.cation, avec laquelle vous y etes désigné de Ministre du Roi d'Italie. C'est avec ce titre seulement que vous devez signer, et s'i, contre toute prévision, on vous faisait des difficultés à cet égard, vous vous abstiendrez de donner votre signature. Mais je suis presque convaincu que vous ne rencontrerez aucune objection.

99

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., II, 445)

T. 483. Parigi, 15 maggio 1861, ore 15,20 (per. ore 16,30).

Thouvenel trouve Pantaleoni bavard, il ne veut pas qu'il se mele du traité: il s'en servira uniquement pour avoir des renseignements sur le Sacré Collège après quoi il sera mieux de le laisser. Le Père Marie Louis est arrivé; j'en su'is enchanté et j'espère en tirer beaucoup parti. J'attends avec impatience votre courrier de Cabinet, 'il serait urgent d'insister auprès d'Hudson sur la nécessité que le Gouvernement Britannique laisse tomber la question romaine. Tachez qu'on ne commette pas d'indiscrétion à Turin.

100

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI

(Ed. in Q. R., II, 446)

L. P. Torino, 15 maggio 1861.

J'ai préparé le brouillon de lettre pour l'Empereur. Je l'ai envoyé à la Vénérie. Le Roi m'a fait dire qu'il me le rendrait à 5 heures; je ne sais si ce sera avec ou sans corrections: mais j'espère que de toute manière il pourra partir ce soir. Au reste le télégraphe vous l'apprendra.

Ce brouillon a couté à Artom et à moi beaucoup de peine; ce ne pouvait etre ni une justifi.cation, ni une profession de foi. Je désire qu'il soit du gout de l'Empereur et que sa réponse le soit du notre.

Je comprends que l'Empereur préfère que le traité ne soit connu qu'après le 11 juin; mais pour cela il faudrait qu'à Paris au lieu de nous accuser d'indiscrétion on gardat les secrets un peu mieux qu'on ne le fait. Pour vous donner une

preuve de la réserve des Parisiens, je vous dirai que ce matin meme quelqu'un arrivant de Paris, m'a communiqué que Madame de La Valette lui avait annoncé que son mari serait à Turin dans les premiers jours de Juillet. Il est fort difficile que cette nouvelle ne se répande pas dans la ville, et qu'elle ne revienne à Paris sous forme de correspondance. Je vous prie de citer le fait c'i-dessus à l'Empereur pour lui prouver que le plus souvent on met à notre charge des indiscrétions dont nous sommes parfaitement innocents.

J'ai reçu une lettre du Père Passaglia que vous trouverez ci-jointe. Vous voudrez bien me la renvoyer. Le Prince Napoléon m'a écrit depuis son retour à Paris. Veuillez le remercier de sa lettre. Quel malheur qu~il ait laissé échapper une occasion unique pour achever la réhabilitation, que son discours avait commencée!! Je crains bien qu'elle ne se représente plus.

Veuillez dire à M. Thouvenel que Rayneval est venu me lire de sa part une dépeche, où Gramont s'évertue à prouver que Antonelli et le Roi de Naples ne sont pour rien dans les mouvements réactionnaires des Abrusses et des autres Provinces Napolitaines. J'ai eu toutes les peines du monde à garder mon sérieux. Je me suis contenté de lui dire que ce n'était pas l'avis à Naples, ni de nos amis, ni de nos ennemis. Demain je répondrai d'une manière officielle à cette étrange communication en envoyant à Gropello (l) les extraits des lettres de Rome et de Naples, qui contiennent des faits nombreux et précis qui prouvent à l'évidence que Gramont est un menteur ou un imbécile, ou bien encore ce qui est plus probable tous les deux à la fois.

Le Roi me charge de vous dire qu'il vous autorise à revetir dès à présent l'uniforme de Lieutenant Colonel, en attendant qu'il vous fasse expédier votre brevet.

Le Roi m'a rendu le brouillon avec quelques corrections.

Je trouve que Thouvenel juge bien Pantaleoni. Faites lui faire un travail

sur le Conclave et renvoyez-le à Turin ou expédiez-le à Londres. C'est du reste

un parfait honnete homme sincèrement dévoué à la cause libérale.

Je vous quitte car le courrier va partir.

101

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR (Ed. in Q. R., II, 449)

T. 486. Parigi, 17 maggio 1861, ore 16,55 (per. ore 18,20).

Thouvenel trouve la lettre du Roi très bien pour le Gouvernement français; demain il la présente à l'Empereur. Dimanche le Ministre des Affaires Etrangères recevra seui Pantaleoni et le chargera du travail sur !es Cardinaux; avec ce que mande Passaglia ce travail pourra etre complet. Ayant fait compliment à Thouvenel sur sa note lue au Sénat sur la Syrie, il m'a dit de vous dire confidentiellement que c'est un programme politique qui doit vous servir pour vous préparer

aux éventualités renvoyées au 1862. Quant à ce que vous dites sur Gramont, Thouvenel en a ri et dit que votre dernière hypothèse est peut etre juste; au reste on lui a fait sentir indirectement qu'il fera'it bien de se hàter à demander son congé. Je crains que Cadore fasse pas mieux et je l'ai dit à Thouvenel. Tout marche bien.

(l) Edita in Q. R., II, 448.

102

IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. CONFIDENZIALE S. n. Francoforte, 19 maggio 1861.

Le meme jour où sous le cachet de la Légation d'Italie j'adressais aux Ministres de Bavière et de Wurttemberg des Lettres rogatoires dont l'une m'a été renvoyée, et l'autre a donné lieu aux observations que j'ai fait connaitre à V. E. par ma dépeche Confidentielle du 13 courant, je transmettais à l'Envoyé de Mecklembourg l'acte judiciaire ci-joint auquel à son tour il s'est refusé de donner cours en prétextant les memes raisons que ses collègues. Sa lettre que je crois de mon devoir de mettre ici sous les yeux de V. E. prouve jusqu'à l'évidence que sur la question des nouveaux timbres, comme sur toutes celles plus sérieuses qui pourront naitre plus tard, il y a accord complet entre les petits Etats soumis à pression Autrichienne, et que, comme j'ai eu l'honneur d'en informer V. E., la proposition de l'éloignement de cette Légation n'ayant pu etre présentée à la Diète par suite de l'opposition de la Prusse, le mot d'ordre a été donné par le Cabinet de Vienne de saisir tous les prétextes possibles pour arriver à des ruptures partielles. La preuve que dans cette circonstance les représentants en question ont agi dans la direction immediate de l'Autriche, c'est que je sais de source certaine qu'à peine le Ministre de Bavière m'avait-il renvoyé ma communication, qu'il se hàtait d'en aller informer le Président de la Diète, et que celui-ci à son tour en faisait instantanément l'objet d'une dépeche télégraphique à Vienne.

J'ignore si les deux nouveaux incidents que j'ai eu l'honneur de signaler à l'attention de V. E. depuis que j'ai reçu sa dépeche télégraphique du 15 (l) ne changeront rien à sa première détermination de laisser tomber le premier. Je ne dois pas cependant omettre d'ajouter que l'outrecuidance dont viennent de faire preuve certains représentants des Etats moyens, donnent à penser, que, à quelques rares exceptions près, les uns comme les autres ne s'arreteront pas là, et que si, sous le vain prétexte d'un simple cachet extérieur, leur mauvais vouloir est allé jusqu'à interrompre le cours de la justice internationale, il ne s'arretera probablement pas devant cette autre conséquence de leur politique servile, en refusant de reconnaitre la validité des passeports et visas portant le timbre de la Légation d'Italie à Francfort. Cette éventualité ne s'est pas encore, il est vrai, réal'isée, mais malgré la perturbation qu'elle apporterait dans les intérets des voyageurs italiens elle n'est nullement impossible.

Comme observation générale trouvant sa piace dans le meme ordre d'idées, je ne dois pas oublier de dire que le retard inexplicable qu'apporte le Gouvernement Français à reconnaitre le nouvel ordre de choses, à l'établissement duquel cependant il a si puissamment contribué, nous porte le plus grand préjudice en Allemagne, et que certainement il entre pour beaucoup dans la forme acerbe que donnent les Etats moyens à l'expression de leur haine jalouse contre le nouveau Royaume d'Italie.

(l) Cavour, al primo annunzio dell'incidente (cfr. a p. 131 n. 2 il telegramma n. 485 di Barrai del 13 maggio) aveva telegrafato a Barrai il 15 maggio (n. 322): Rien à jaire, laissez tomber l'incident.

103

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., II, 452)

L. P. Parigi, 20 maggio 1861.

Le Marquis De Lauzières partant ce soir pour Turin, je lui confie cette lettre et je garde Armillet jusqu'a ce que l'Empereur ait écrit la lettre projetée. J'écris à Minghetti pour lui présenter M. De Lauzières que j'ai engagé aux

conditions que Minghetti m'avait tracées. Je le recommande aussi à V. E.

M. Thouvenel a trouvé la lettre du Roi un peu longue surtout dans la partie où il explique les motifs de sa conduite. Peut-etre dans cette partie supprimera-t-on quelques détails, mais ceci plutòt dans notre intéret, car au point de vue français, M. Thouvenel a trouvé que la lettre renfermait tout ce qu'on pouvait désirer. Le Ministre a remis la lettre à l'Empereur samedi après le consei! des Ministres. Ce matin il en aura reparlé à S. M. et tout à l'heure je saurai ce qui en est.

La note de M. Thouvenel à Lavallette et le discours de Billault ont produit une énorme sensation dans le monde politique. Les hommes sensés ne se cachent pas tout ce qu'on nous promet de grave pour l'avenir, d'autant plus que les nouvelles qui arrivent de Constantinople ne sont pas de nature à rassurer sur la tranquillité dans les provinces ottomanes après le départ des français de Syrie.

M. de Flahault est arrivé hier inopinément de Londres. Il s'est rendu à Paris, dit-il, parceque dans une entrevue qu'il aurait eue avec Lord Russell, le Ministre de la Reine lui aurait promis une chose et, en attendant, Cowley aurait agi ici dans un sens diamétralement opposé à la promesse. Je ne sais pas précisément de quoi il s'agit, mais je crois savoir qu'il est question de l'Orient. J'espère en savoir plus loin dans la journée.

Je constate avec plaisir que I'idée de l'impossibilité de la puissance temporene du Pape fait d'enormes progrès, meme dans la haute société. Plusieurs personnes qui, il y a deux mois, étaient tout à fait hostiles aux idées que vous avez énoncées au Parlement, trouvent en elles aujourd'hui la seule solution possible. L'Impératrice meme, sans nous etre favorable, nous est un peu moins contraire.

Pantaleoni a eu hier un entretien avec M. Thouvenel. Je préfère que le

Ministre le voie seui, parceque le Docteur pourra mieux lui expliquer ses idées

et satisfaire aux demandes de S. E. sur les membres du Sacré Collège.

A ce sujet j'ai remarqué une divergence entre lui et le Prof. Passaglia à l'égard du Cardinal De Pietro. Pantaleoni ne le trouve pas papable. Passaglia au

contraire semble porter sur lui ses préférences, quoiqu'il lui reproche une grande ambition et peu de loyauté. Cette divergence n'échappera pas à la pénétration de

M. Thouvenel, à qui j'ai communiqué, traduite, la lettre de Passaglia.

Je ne pense pas que le Ministre accepte de Pantaleoni d'engager la conversation sur le traité; il garde, à cet endroit, la plus grande réserve; il l'étend mème à Benedetti. On veut, à ce sujet, garder le secret le plus absolu pour éviter que les catholiques du Sénat ne fassent une interpellation qui nous serait fatale en ce moment.

Je ne sais comment l'Empereur a été informé du langage digne et modéré, que V. E. a tenu sur le compte du Pape avec plusieurs français venus à Turin pour affaires de chemins de fer. Mais je sais que S. M. en a été très satisfait. Je n'ai pas besoin de vous dire combien l'Empereur tient aux procédés, surtout envers ceux que sa politique combat. Les Metternich, par exemple, sont toujours choyés à la Cour et on ne peut pas dire que la politique de la France soit trop favorable aux Augsbourgs. Le Prince de Reuss, Chargé d'affaires de Prusse, est de toutes les parties le plus intimes; il est mème amoureux de l'Impératrice et ça n'empèchera pas l'Empereur de prende les provinces rhénanes à peine il le pourra. Quant à nous, nous sommes toujours comme les lorettes qu'on ne reçoit que par la petite porte, en attendant qu'on nous ouvre à deux battants la grille des Tuileries.

Décidémént le Prince Napoléon n'a pas de chance. Voici une seconde tuile qui lui tombe sur la tète.

Vous savez que le Prince Murat a été élu Grand-Orient de la Maçonnerie pour 10 ans. Il attache beaucoup d'importance à cette belle position. Les dix ans touchant à leur terme, il s'agit de la réelection. Murat a su, je ne sais comment, que le Prince Napoléon ambitionnait sa piace. M. Seaulzé a été chargé de demander au Prince Napoléon s'il était vrai qu'il se mettait sur les rangs. S. A. a répondu qu'il n'y songeait pas mème. Il y a de cela un mois.

Murat a tenu cette déclarat'ion pour bonne quand l'autre jour il a dù se convaincre que son cousin luì faisait une véritable concurrence. Voilà le gros Murat en fureur, qui écrit une lettre pleine d'injures au Prince Napoléon. Celui-ci prie le Maréchal Magnan d'aller en demander satisfaction en son nom. Murat charge

M. Heeckeren de régler les condit'ions du duel. Persigny entre en scène et se mèle de l'affaire. Magnan s'aperçoit trop tard qu'il fait fausse route et va tout dévoiler à l'Empereur, qui, de son còté, s'impatiente et déclare vouloir mettre aux arrets les deux Princes. L'Impératrice, heureuse de taper sur la famille, revendique son ròle dans la pièce et dit à l'Empereur (avec assez de raison, il faut l'avouer) qu'il est ignoble que des membres de la famille prètent le flanc à devenir le sujet des risées du public, qui trouve étrange la cause du duel, et surtout la manière dont on s'y prend pour y arriver, en y mèlant Persigny, qui par sa position se trouve obligé d'empècher que le duel ait lieu.

Voilà une pièce qui serait digne des Bouffes parisiens si le nom du Prince Napoléon n'y était pas mèlé.

3 heures.

Je viens de chez M. Thouvenel. L'Empereur a été très satisfait de la lettre du Roi. Il a dit qu'il veut faire lui mème la réponse. M. Thouvenel croit que nous aurons lieu d'en ètre tout à fait contents. Cependant il me charge de dire à V. E. qu'Elle pourra y apporter les changemens qu'Elle croira. S. M. serait très pressée d'en finir, et est, pour cela, très impatient d'arriver à la clòture de ses Chambres, ne voulant rien faire avant cette époque.

J'ai trouvé le Ministre des Affaires Etrangères furieux (et l'Empereur l'est de meme) pour l'article signé Perego, inséré dans la Gazette de V érone du 9. On veut en faire un cas grave. C'est pour cela que je vous ai demandé par télégraphe des renseignemens pour établir la position officielle de Perego. Je connais ses antécédents, mais pour etre plus sur M. Thouvenel m'a chargé de vous en demander encore mieux.

Pantaleoni a fait assez bonne impress'ion sur le Ministre. Seulement il a un peu trop parlé. Au lieu de s'en tenir aux informations sur Rome, il a parlé des vues que l'Empereur peut avoir sur les frontières du Rhin. Vous comprenez que c'était aller un peu vite en besogne pour une première entrevue.

Dans tout le reste, il a été très bien. M. Thouvenel a beaucoup apprécié ses connaissances sur la situation du Pape par rapport à sa souveraineté temporelle. Il l'a chargé de faire là-dessus un rapport.

Pantaleoni a beaucoup été chez les Thiers, chez une foule d'Orléanistes et de Russes, ainsi qu'à l'Ambassade Anglaise, où il me dit avoir usé de la plus grande réserve. Il vous envoie ses appréciations. Quant à moi je n'attache pas une grande importance à l'opinion d'un monde qui n'est plus dans les affaires.

Le Père Marie sera reçu par M. Thouvenel. Comme vous le dites très bien, c'est un homme très capable, mais les renseignements que j'ai sur lui sont un peu douteux Confesseur de la Duchesse de Hamilton, élève du Père Ravignan, il a été dans toute la clique du noble faubourg. Je veux bien croire qu'il y ait apporté les memes idées qu'il a maintenant, mais, dans ce cas, comment expliquer ses liaisons et son influence dans une société professant des principes tout à fait opposés? Quant à mo'i je me suis tenu sur la réserve et dans quelques jours, j'en saurai plus loin sur sa position actuelle. N'aurez-vous pas été trop loin avec lui? Je sa'is encore qu'il est lié avec l'Abbé Hamelin, Curé de Sainte Clotilde à Paris, et connu par ses idées tout autres que les vòtres.

J'ai communiqué à M. Thouvenel les informations que Artom m'a envoyées ce matin sur le voyage du Cardinal Grassellini. Cette communication lui a fait bien du plaisir.

Je me suis bien plaint avec S. E. pour avoir communiqué à Gramont ce que le Père Passaglia nous disait sur les négociations d'Aguglia avec le Cardinal Antonelli. Le Ministre a été très fàché de cette betise de Gramont.

Je l'ai empeché de vous faire communiquer par Rayneval une nouvelle note informative envoyée par Gramont, où il dit avdir en main les preuves que les caisses de monnaie de cuivre envoyées de Rome à la frontière napolitaine sont tout simplement une spéculation de deux israélites et que François II est tout à fait étranger à cet envoi ainsi qu'à toutes les menées qu'on lui attribue.

Au reste M. Thouvenel est le premier à convenir que, depuis quelque tems,

M. de Gramont fait tout-à-fait fausse route et il est pressé de le voir venir en congé.

L'Empereur rumine dans sa tete et il a demandé à M. Thouvenel, si, dans l'état actuel de santé du Pape, il ne serait pas mieux, tout en reconnaissant l'Italie, de laisser à Rome ses troupes, qui serviraient à forcer l'élection du Pape que la France et l'Italie choisiraient d'accord. Ce n'est là qu'une idée, qui passe par la tete de l'Empereur, mais que je crois devoir vous signaler.

Je vous prie, Monsieur le Comte, de présenter mes vifs remercimens au Roi pour le grade de lieutenant colone! qu'il a bien voulu me conférer, et lui dire en meme tems qu'Armillet lui apportera une première expédition des reufs de perdrix qu'il désire.

Laffitte est revenu content pour son affaire. Il n'a cependant pas donné à mon beau frère la piace d'Oldofredi et m'a dit vous en avoir communiqué les raisons, que vous avez trouvées très justes, car la nomination de Ranco fait faire une économie à la Compagnie.

Il m'est impossible de répondre aujourd'hui mème à la lettre qu'Artom a bien voulu m'écrire. Je le ferai par Armillet. Pour le moment je me borne à dire qu'il est très difficile d'empecher la Patrie d'insérer des correspondances qui nous sont contraires. Delamarre est un fou sur lequel personne n'a d'infl.uence. J'en parlerai cependant à Laguéronnière. Quant au Pays, je pense que M. De Lauzières son ex-rédacteur pourra l'infl.uencer de Turin.

J'envoie à V. E. quelques exemplaires du Blue-Book français que je vous prie de faire distribuer à leurs destinataires. Je vous prie aussi de faire avoir à Castelli la lettre ci-jointe à son adresse.

Je jo'ins encore une lettre de remercimens adressée à V. E. par M. de St. Paul et que Benedetti me prie de vous faire parvenir.

104

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., II, 460)

L. P. Parigi, 23 maggio 1861.

Hier M. Thouvenel m'a donné lecture de la réponse que l'Empereur lui avait remise quelques istants avant. Cette lettre fait du traité relatif à Rome une condition sine qua non de la reconnaissance du Royaume. Aussitòt donc les deux autographes échangés,

M. Thouvenel désire que j'apporte à V. E. le projet définitif du traité en question.

La lettre de l'Empereur est assez bien. C'est vrai que le Ministre des Affaires Etrangères, qui se pique à raison d'etre bon rédacteur, ne l'a pas trouvée de son gout, mais il n'a pas osé y toucher, étant l'ouvrage de S. M. lui-meme.

Il a meme passé sur une phrase que je ne pouvais approuver. La-voici à peu près textuellement. « Malgré mes sympathies pour la cause italienne, les événements qui se sont passés en Italie ont laissé dans mon coeur un souvenir de regret ineffaçable ». Moins craintif que S. E. j'ai cru devoir en demander la suppress'ion. M. Thouvenel a saisi avec empressement l'occasion que je lui présentais de faire des observations à l'Empereur, et m'a promis d'obtenir que la phrase fut effacée par S. M. mème, me priant de renvoyer à aujourd'hui l'expédition de cette pièce à Turin.

Je me suis aussi rendu chez Conneau qui m'a demandé que je lui écrive un mot qui lui fournit le prétexte d'entrer en matière et qu'il put faire voir à S. M. ce que j'ai fait et je ne doute pas que ça réussisse.

M. Thouvenel me charge de vous dire qu'il conçoit très bien qu'à Turin on soit pressé pour la reconnaissance, mais il vous prie de ne point lui en vouloir si elle ne se fait pas aussi tòt qu'il le voudrait, car il est impossible de rien entreprendre avant la clòture des Chambres, comme j'ai déjà eu l'honneur de vous le dire. L'Empereur voudrait que les Chambres soient closes sous le coup de l'influence du dernier discours de M. Billault sur les affaires de Syrie. On veut éviter à tout prix une interpellation de quelque La Rochejaquelein.

M. de Flahault est encore ici; il se plaint beaucoup de la conduite du Cabinet anglais dans ces derniers tems. Ce langage frappe d'autant plus en venant d'un homme qui est presqu'autant anglais que français.

Le Gouvernement de l'Empereur presse beaucoup M. de Kisseleff pour que le Gouvernement russe cesse toute mesure coercitive contre la Pologne. M. Thouvenel m'a dit avoir tenu à cet égard un langage très ferme. Nous en verrons le résultat.

A Vienne on se t'ient sur d'avoir le dessus en Hongrie. M. le Prince de Metternich assure que son gouvernement peut compter sur la Croatie et que la Hongrie, désarmée, finira par accepter un compromis dans lequel l'Empereur François Joseph est disposé à aUer plus loin que ne le voudrait M. Schmerling lui mème.

L'Empereur ici, tout en désirant que l'esprit national se maintienne en Hongrie, désire qu'elle suive, pour le moment du moins, la révolution légale. Résistant autrement et n'ayant pas les moyens de se défendre, elle pourrait ètre écrasée et réduite à l'impuissance pour de longues années, ce qu'on voudrait éviter ici pour garder une force en vue des éventualités qui pourront surgir sur le Danube à la suite des affaires d'Orient.

M. de Gramont a décidément perdu la tète. Hier encore il a envoyé une nouvelle dépèche qui a l'air d'ètre écrite par le Cardinal Antonelli lui-mème.

M. Thouvenel, en me la lisant, me dit qu'elle fait un singulier contraste avec ce que vous lui avez mandé par Gropello. Il ne faut plus donner de l'importance à cela, ni se plaindre, pour le moment, au Gouvernement français de ce qu'on fait à Rome. Il faut laisser cette question tranquille jusqu'après la reconnaissance. Nous aurons alors, je crois, le droit de parler hautement. Jusque là il ne faut pas insister auprès de M. Thouvenel et le tracasser pour des choses auxquelles il ne peut pas remédier.

Le M'inistre juge comme vous la conduite de Gramont. Il ne veut pas le désavouer et mème il désire de ne pas en parler à l'Empereur pour ne point le taquiner dans un moment où nous devons amener la reconnaissance et un traité qui doit mettre un terme, quoique assez éloigné, à l'occupation française.

Demain M. Thouvenel recevra le Père Marie qui a chargé le Maréchal Mac Mahon de remettre à l'Empereur une très-belle lettre tendant à l'amener à obtenir à Rome la réunion d'un Concile cecuménique. Le Ministre des Affaires Etrangères

serait assez disposé à appuyer ce projet, mais il prévoit une résistance absolue du St. Père d'un cOté, et de l'autre, contrairement à l'avis du Père Marie, il craint que l'opinion du Concile serait favorable au Pouvoir temporel.

Je me déclare peu compétent dans la question, mais j'ai l'habitude de me méfier des politiques en soutane, d'autant plus quand ils sont réunis en Assemblée. A Milan on dit: «can mangia minga can ».

Pantaleoni travaille au tableau dont M. Thouvenel l'a chargé. J'ai beso'in de le voir ce matin pour le prier de tenir un langage qui rassure le Ministre et tous ceux qu'il voit sur la conservation de l'ordre à Rome après le départ des troupes françaises. Il faut meme que les tendances unitaires du projet soient mises un peu en doute. Si on prévoyait des mouvemens après le départ des troupes, cela entraverait la conclus'ion du traité. Quoi qu'il arrive après, M. Nigra saura bien se tirer d'affaire en contant des baringales à l'Empereur et à ses Ministres, tandis que moi je suis ici tout seui, n'ayant d'autre aide active que ce pauvre Conneau et un peu de sympathie de l'Empereur, je ne sais trop pourquoi.

L'affaire entre le Prince Napoléon et Murat a pris de très grandes proportions. J'ai lu la lettre écrite par ce dernier au Prince: c'est un amas d'injures à faire honneur à un voiturier. Les mots: làche, menteur, peureux, y sont répétés à satiété. Je ne comprends pas comment le Prince Napoléon ne l'ait pas étranglé.

L'Empereur est désolé de ce fàcheux incident. Persigny y est compromis et S. M. est très mécontent de lui.

Je ne sais guère comment tout cela ira finir; mais ce que je sais c'est que le nom du Pr'ince Napoléon est galvaudé partout. C'est là le coté sérieux pour nous. Quant à moi, je crois bon de briller au Palais Royal par mon absence.

J'ai dù, malgré moi, me meler à l'affaire du Due d'Aumale pour empecher qu'on y mèle le Roi. Je ne voudrais pas aUer maintenant conseiller à S. A. de casser la figure au Prince Murat.

La pauvre Princesse Clotilde est toute désolée: elle à tàché d'arranger la bagarre avec la Princesse Murat. Mais celle-ci, déjà froissée par la conduite de l'Empereur lors du manifeste aux Napolitains, n'a pas voulu agir sur son mari. La chose en est là.

2 heures.

M. Thouvenel v'ient de me remettre la lettre. La phrase a été retranchée comme j'en avais manifesté le désir. Je vous l'envoi ce soir par Armillet. L'important est dans le passage: ou que le St. Père sera menacé de voir les Etats qui lui restent envahis par une force régulière ou irrégulière, ou que la première hypothèse n'est près de se réaliser.

M. Thouvenel prie V. E. d'expédier au plus tot l'autographe du Roi afin de vous envoyer sans perte de temps la réponse de l'Empereur et pouvoir .lier

S. M. I. Il reste bien entendu, je vous le répète, que vous pourrez faire à la lettre de l'Empereur tous les changemens que vous jugerez convenables. Il n'y aura d'autre inconvénient que le retard.

C'est aussi entendu avec le Ministre qu'en remettant la lettre officielle à l'Empereur, je lui demanderai la copie du traité et du protocole séparé, où toutes les questions seront réglées, et je vous l'apporterai à Turin.

L'Impératrice travaille toujours contre nous. Malgré cela, M. Thouvenel est content, car il voit que la décision de l'Empereur est bien solidement arretée.

Conneau en juge de méme. Le docteur a mis sous les yeux de S. M. l'originai de la lettre du Père Passaglia que je vous renvoie ci-incluse.

L'Empereur vous fait dire que l'essentiel pour lui c'est de se mettre d'accord avec le Gouvernement du Roi pour trouver deux ou trois Cardinaux sur lesquels on puisse faire tomber l'élection du successeur de Pie IX. J'ai fait dire à S. M. que pour arriver à ce résultat, il fallait prendre des renseignemens de différentes sources et que V. E. y travaillait en ce moment.

Les Chambres françaises seront encore prorogées de 15 jours, ce qui nous portera au 20 juin. Ce retard très facheux est du au Ministre des finances qu'i a soumis aujourd'hui seulement son rapport sur le budget à la Commission. Il ne faut donc s'attendre à étre reconnus avant les premiers jours de juillet.

Je donne tous ces détails à V. E. pour qu'Elle puisse prendre ses mesures vis-à-vis du Roi et du Parlament.

Je sors de chez le Prince Napoléon. Son élection à Gran Orient de la Maçonnerie a eu lieu hier. Il est trés content de cette nomination quoique l'Empereur lui ait dit hier méme qu'il voulait que ni lui, n'i le Prince Murat, acceptassent. Le Prince Napoléon doit ce triomphe à son discours au Sénat et Murat doit sa défaite à son vote contre l'unité italienne et à la suppression d'un journal appartenant à la Maçonnerie.

Le Due de Gramont écrit aujourd'hui pour demander des explications sur ce qui est dit dans le Journal de Rome, de l'ordre donné à St. Martino de révoquer tous les Evéques qui seraient opposés au Gouvernement. Ceci ne mérite pas méme réponse. Le Due quittera Rome dans quelques jours.

L'Empereur a dit au Comte de Nieuwerkerke, qui est allé à Rome pour prendre possession du Musée Campana, de lui rendre compte de l'état des esprits dans la ville sainte.

En revenant de Rome, Nieuwerkerke passera par Turin et viendra vous voir. Il est tout à fait de nos am'is; je le recommande, ainsi que M. Giraud qui l'accompagne, à la bonté de V. E.

Armillet est tout chargé d'reufs de perdrix pour le Roi que je vous prie de lui envoyer de suite. Ci-joint des lettres pour Artom, Minghetti et Castelli.

105

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., II, 462)

T. 495. Parigi, 24 maggio 1861, ore 14.35 (per. ore 15,55).

Thouvenel demande des explications sur le décret du 5 mai donnant au Roi la faculté de révoquer et nommer les evéques; ça a fait un effet désastreux; L'Empereur lui méme demande si c'est là l'acheminement à la liberté de l'Eglise promise par vous. Père Marie en était ce matin exaspéré; dans ce moment ce décret pourrait avoir des conséquences fatales pour l'arrangement qu'on est en voie de préparer. Répondez par télégraphe. Armillet est parti hier au soir.

106

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI

(Ed. in Q. R., II, 463)

T. 331. Torino, 24 maggio 1861.

Nous n'avons jamais songé à modifier l'état de choses qui existait à Naples par rapport aux Eveques. Le décret du 5 ne parle nullement de la révocation des Eveques; il établit que les droits réservés au Gouvernement par les concordats avec Rome seraient exercés par le Roi et non par son Lieutenant. A Paris on s'est complétement mépris sur la portée de ce décret, qui, je le répète, ne diminue en rien les droits de Rome vis-à-vis des Eveques.

107

IL CONSOLE A ROMA, TECCIO DI BAYO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., II, 467)

T. 505. Roma, 26 maggio 1861 (per. il 29).

(Annesso al D. 1137).

On copie maintenant chez moi pour plus de siì.reté les deux adresses (l) couvertes déjà de 10 mille signatures qu'on espère pouvoir expédier mercredi prochain. Le Prince de Piombino qui les a signées a été appellé par le Pape et il y ira aujourd'hui. La police n'a rien découvert et sur dix mille signatures, la plus part du peuple, pas un seui traitre, malgré la forte somme promise. Le Gouvernement en est indigné.

108

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI

(Ed. in Q. R., II, 471)

L. P. Torino, 27 maggio 1861

Je vous envoie par le courrier la lettre du Roi à l'Empereur. S. M. a cru convenable de l'écrire toute de sa main, ce qui est une attention dont on doit lui savoir gré.

Je vous envoie également la lettre de l'Empereur. Le Roi propose deux légères modifications; la première consiste à substituer aux paroles sans garantie sincère celles-ci: sans rien stipuler en faveur du Saint Siège. Si l'Empereur voyait quelque inconvénient à cette substitution, vous vous borneriez à insister pour la suppression de l'adjectif sincère ou la substitution par celui de sérieuse.

La seconde substitution consiste uniquement dans le changement du temps

d'un verbe. Au lieu de Je puis avoir, l'Empereur écrirait j'ai pu avoir. Cette

substitution n'altère nullement le sens de la phrase, puisque quelques lignes plus

bas l'Empereur dit j'ai cru et non je crois.

Ces deux modifications n'auraient pas de valeur, si la lettre de l'Empereur

n'était pas destinée à etre commentée en Italie par tous les partis, et si chacune

des paroles qu'elle contiendra ne devait etre pesée par nos ennemis pour en tirer

des conséquences malveillantes.

Je crois utile d'obtenir de l'Empereur un engagement formel. Mais une fois l'engagement pris, je pense qu'il n'est pas nécessaire de hater la conclusion du traité, si on ne peut pas le publier de suite. Ainsi lorsque le projet relatif vous sera remis, prenez vos mesures pour pouvoir demeurer à Turin aussi longtemps que cela sera nécessaire. Il sera bon qu'à cette occasion vous alliez faire une course à Milan.

Vous ferez b'ien de ramener Pantaleoni, qui, tout en disant de très bonnes choses à Thouvenel, se laisse emporter par son imagination à vouloir déjà déterminer la part que l'Italie aura dans les dépouilles de l'Orient.

Dites à Thouvenel que je vais écrire à St. Martin pour qu'on use aux deux français arrétés à Naples toute l'indulgence possible. Mais priez-le de vouloir bien prendre en considération la position difficile, qui nous est faite vis-à-vis du pays par la conduite imprudente de plusieurs agents français et par l'imprudence des français envers lesquels on se montre généreux par suite des instances du Gouvernement de l'Empereur.

Il est notoire à Naples que toute la correspondance bourbonienne passe par les mains de M. Aimé d'Aquin et que jusqu'à ces derniers temps Gramont et surtout M. Mangin préfet de Police à Rome favorisent tous les projets réactionnaires.

Mais ce qui a produit le plus facheux effet, c'est la publication que vient de faire M. le Vicomte de Noé, un des quatre français arretés à Messine et que nous avons mis en fiberté pour faire plaisir à M. Thouvenel. Il est impossible de pousser l'imprudence plus loin et de compromettre plus sottement le Consul de France qu'il rend en quelque façon son compfice.

En présPnce de tels faits, le Gouvernement est forcé à des mesures de rigueur qui lui répugnent; mais qui enfin sont d'une absolue nécessité. Il ne peut permettre que l'idée se répande, que le Gouvernement Français entend assurer à ses sujets le droit de conspirer impunément.

J'espère que la mauvaise impression produite par le décret du 5 mai est effacée.

(l) Allude a due indirizzi dei romani per !"annessione di Roma all'Italia, l"uno a Vittorio Emanuele II, !"altro a Napoleone III, editi in C. BIANCHI, Storia diplomatica della questione romana, in c Nuova Antologia», vol. XVI (febbraio 1871), pp. 394-396.

109

VITTORIO EMANUELE II A NAPOLEONE III

(Ed. in Q. R., II, 472) Torino, 27 maggio 1861.

Quelque pénible que fut pour moi l'interruption diplomatique entre nos deux gouvernements, je n'ai pas cru devoir m'adresser plus tòt à V. M. pour la prier de reconnaitre le nouveau royaume d'Italie. Non que ma confiance dans l'amitié dont Elle m'a donné tant de preuves ainsi que dans ses sentiments bienveillants envers mon pays ait été ébranlée par ce qui s'est passé; mais parce que j'ai apprécié les graves et puissants motifs qui ont déterminé V. M. à protester en quelque sorte contre une politique qui s'éloignait de la ligne que V. M. jugeait plus conforme aux intérets de l'Italie et de l'Europe.

Lorsque le sentiment impérieux de mes devoirs vis-à-vis des populations qui ont placé en moi toute leur confiance m'a décidé, à mon très vif regret, à ne pas suivre les conseils de V. M., je ne me suis pas dissimulé que la conduite de mon Gouvernement étant peu conforme aux traditions diplomatiques, soulèverait bien des doutes et que l'on pourrait se méprendre sur les motifs qui l'avaient inspirée.

Sans me plaindre de la mesure que V. M. a jugé alors de devoir adopter, j'ai voulu laisser aux événements le souci de mettre en relief les véritables causes de ma conduite, en démontrant qu'elle a eu pour résultat d'éviter de grands malheurs à l'Italie, de grands dangers à l'Europe.

Cette démonstration, que V. M. me permette de le dire, me parait complète aujourd'hui.

Une grande transformation politique qu'une force irrésistible de sentiment national préparait depuis longtemps, s'est accomplie sans que les principes de l'ordre social aient été ébranlés. Les populations des différentes provinces de l'Italie, laissées libres de se prononcer sur leur sort, ont manifesté soit directement dans les comices populaires, soit par la voix unanime de leurs représentants, la ferme volonté de ne former qu'une seule nation. J'ai pu satisfaire ce vreu si légitime sans rencontrer nulle part d'opposition sérieuse. Mon Gouvernement soutenu par l'opinion publique, fort de l'appu'i du Parlement a pu rétablir (partout) l'ordre et la sécurité et apaiser peu à peu l'agitation et le trouble que les grandes catastrophes amènent nécessairement à leur suite. La réaction et la révolution, soit qu'Elles agissent séparément, soit qu'Elles réunissent leurs efforts, sont également impuissantes à mettre en danger l'ordre de choses que le suffrage universel a créé en Italie. Les nombreux soldats de l'ancienne armée Napolitaine débandés et en arme ont bien pu exciter ça et là dans l'Italie Méridionale des désordres et commettre des actes déplorables. Mais ne trouvant aucun appui dans les populations, ils ne sont parvenus nulle part à créer un centre de résistance de quelque importance. Il a toujours été facile à mes troupes, dont le nombre dans ces provinces ne s'élève pas au tiers de ce que le gouvernement qui a été renversé entretenait habituellement sous les armes, de les disperser. La garde nationale qui est encore loin d'étre organisée, leur a prété dans toutes les occasions un concours spontané et efficace; le plus souvent elle est parvenue seule à

rétablir l'ordre et à réprimer des mouvements qui on bien plus le caractère du

brigandage que de la guerre civile.

Quelque soit donc la manière d'apprécier les derniers événements, il est de

toute évidence qu'ils ont eu pour résultat de créer dans la péninsule un état de

choses offrant toutes les garanties nécessaires au maintien de l'ordre et de la

stabilité. Fondée sur des bases solides la Monarchie Italienne n'a rien à craindre

à l'intérieur et chaque jour elle est plus en mesure de faire face aux dangers qui

pourraient venir de l'Etranger.

Néanmoins un sentiment d'inquiétude et de regret existe dans le creur de

la nation. Il est dù à l'état de nos relations avec la France. Les Italiens ne

10 -Doct~menti diplomatici -Serie I -Vol. I

peuvent s'habituer à l'idée de ne pas considérer comme leur meilleur ami V. M. qui a eu une si grande part à leur régénération, à ne pas regarder les Français comme des frères avec lesquels ils sont appelés à concourir au développement des grands principes de la civilisation moderne. V. M. peut faire cesser cette pénible situation. C'est dans ce but que je viens faire appel encore une fois à la haute et généreuse bienveillance de V. M.

Qu'Elle me permette d'espérer qu'une divergence d'opinion sur des faits désormais accomplis et qu'on ne saurait détruire sans un bouleversement universel ne séparera pas plus longtemps deux gouvernements qui reposent également sur la base de la souveraineté nationale. V. M. acquerra par là un nouveau titre à mon impérissable reconnaissance et à celle de tous les Italiens.

110

PROGETTO DI RISPOSTA DI NAPOLEONE III A VITTORIO EMANUELE II

(Ed. in Q. R., II, 473)

Parigi, maggio 1861.

Je dois répondre en toute franchise à la lettre que V. M. a bien voulu m'écrire. Elle ne peut pas douter de mon sincère regret de m'etre vu contraint de rompre mes relations officielles avec Elle. Mais je devais d'un cOté dégager ma responsabilité d'une politique que je désapprouvais et de l'autre je prévoyais de grands malheurs pour V. M. et aux yeux de l'Europe un affaiblissement moral.nuisible à la cause pour laquelle nous avions combattu ensemble.

Quoi qu'il soit, je reconnais avec V. M. combien il est désirable que nos deux pays sortent de cette position anormale. Les intérets matériels en souffrent autant que les intérets politiques et il n'est pas logique qu'après tant de sacrifices pour l'indépendance de l'Italie la France ait l'air de se montrer indifférente à sa régénération.

Je désire donc autant que V. M. renouer nos rapports officiels, mais je ne puis lui dissimuler l'obstacle principal.

Un Gouvernement est toujours lié par ses antécédents comme par ses engagements. Voilà onze ans que je soutiens à Rome le pouvoir du St. Père. Malgré mon désir de ne pas occuper militairement une partie du sol italien, les circonstances ont toujours été telles qu'il m'a été impossible d'évacuer Rome. En le faisant sans garanties sincères, j'aurais manqué à la confiance que le chef de la religion avait mise dans la protection de la France. La position est toujours la meme. Il ne m'est donc pas possible, je le déclare franchement à

V. M., de reconnaitre le nouveau Royaume d'Italie, tant que V. M. ne sera pas réconciliée avec le Pape, ou que le St. Père sera menacé de voir les Etats qui lui restent envahis par une force régulière ou irrégulière.

Dan cette circonstance, que V. M. en soit bien persuadée, je suis mù uniquement par le sentiment du devoir. Je puis avoir des opinions opposées à celles de V. M., croire que les tranformations politiques sont l'reuvre du temps, et qu'une aggrégation complète ne peut etre durable qu'autant qu'elle aura été longuement préparée par l'assimilation des intérets, des idées et des coutumes; en un mot je pense que l'Unité aurait du suivre et non précéder l'Union. Mais cette conviction n'influe en rien sur ma conduite. Les italiens doivent etre les meilleurs juges de ce qui leur convient, et ce n'est pas à moi issu de l'élection populaire de prétendre peser sur les décis'ions d'un peuple libre.

Je prie donc V. M. de faire tout ses efforts pour lever les obstacles qui s'opposent à notre complet accord afin que rien ne sépare plus deux gouvernements qui reposent sur la souveraineté nationale.

111

IL GENERALE KLAPKA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(A R B, cass. U", n. 13, co.)

L. P. Parigi, 27 maggio 1861.

J'ai trouvé à mon arrivée ici les personnes dont je vous avait parlé avant mon départ. Une d'elles est membre à la Diète et un des homm~s les plus influents et les plus enérgiques du parti. Ils m'ont fait l'exposé exacte de létat des choses en Hongrie. La perte que nous avons faite en la personne du comte Teleki a causé, dans le parti, un vide, qui jusqu'à présent n'a pas encore été comblé. La confiance absolue dont jouissait Teleki auprès de la nation s'explique tant parceque l'on savait que jamais il ne transigerait sur aucun de ses principes, tant en ne poussant pas les choses à l'excès, enfin, tout le monde savait qu'il faisait partie, et qu'il représentait le Comité. Notre parti (celui de l'independance absolue) a donc subì une perte, mais il n'en existe pas moins et forme toujours encore la majorité dans la Diète et l'immense majorité dans le pays.

Quant à M. Déak, il est entouré du respect et de la sympathie générale du pays. Hors de la petite différence soulevée par la question de « l'adresse ou de la resolution », son programme se trouve accepté par tout le monde. On l'accepte comme un des moyens de gagner du temps et de prévenir un conflit prématuré. On restera donc sur le terrain légal, mais M. Déak lui-meme ne se fait pas d'illusion, et dans sa pensée il n'admet qu'une grande crise qui puisse sauver la Hongrie. Jusqu'à ce que ce moment soit arrivé Déak reste le chef des partis réunis, combattant toujours la loi à la main; une fois cette lutte légale close, il fera place aux autres.

Voici maintenant les conseils que j'ai cru devoir faire parvenir à nos amis à la Diète et dans le pays, qui dirigent le mouvement. l) Soutenir Déak et son programme aussi longtemps qu'il n'y aura pas question de transaction. 2) Si Déak voulait transiger, se séparer immediatement de lui, et s'opposer à toute idée de transaction qui empièterait sur la constitution de 1848. 3) Hflter l'arrangement définitif de nos rapports avec la Croatie, en sacrifiant meme, s'il le fallait, des droits incontestables, comme celui sur le port de Fiume.

4) Organiser, autant que possible, militairement les districts limitrophes de la Moldavie et de la Servie et y faire importer les armes deposées déjà, ou qui seront ultérieurement deposées dans ces pays.

5) Soutenir et developper l'organisation déjà existante des débris de l'ancienne armée hongroise, par la formation des com'ités, ecc., ecc.; sous le but ostensible d'association de secours mutuels.

6) Continuer l'entretien des rapports avec les régiments hongrois.

Ce mode de procéder permettra au pays d'attendre s'il faut meme, jusqu'au printemps prochain laissant aussi à l'Italie, le temps qu'elle réclame pour achever et compléter son organisation. Mais pour l'éventualité ou l'Autriche forcerait la Hongrie de quitter le terrain légal et de sortir de la résistance passive, fort des promesses que vous savez, je les ai assurés de la coopération active de toutes les forces de l'Italie.

J'ai vu le Prince Napoléon et le Comte Vimercati. Le premier, ennuyé par bien des choses, se prépare à faire un voyage de deux mois dans la Mediterranée. Le Comte m'a fait part des inquietudes qu'on nourr'it en haut lieu au sujet de la question d'Orient. Il est à désirer que la crise qui doit venir de ce cOté, ne nous surprenne pas trop tòt.

Je vous prie, Monsieur le Comte, de ne pas oublier M. Cerutti et ce qui se rattache à sa mission.

112

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

R. 329. Berlino, 27 maggio 1861.

M. le Baron de Schleinitz a dit à un de mes collègues qu'on lui faisait savoir de Turin que la Prusse devrait se presser de reconnaitre le Royaume d'Italie, si elle ne voulait pas se voir bientOt précédée par la France et la Russie. Il paraissait à S. E. que nous nous illusionnions en ce qui concerne au moins la Russie, et que quant à la Prusse rien n'était survenu qui put modifier son attitude expectante.

En effet, ainsi que j'ai pu m'en assurer hier dans un entretien avec le Ministre des Affaires Etrangères, ses dispositions n'ont point encore varié. Il veut temporiser, s'édifier sur la viabilité du nouvel Etat, laquelle serait contestée meme dans le monde impérialiste à Paris. D'ailleurs si l'opinion publique nous est favorable dans le Nord de l'Allemagne, elle ne l'est pas au meme degré dans le Midi; or la Prusse tient à ménager dans une certaine mesure des Gouvernements et des pays qui ne penchent déjà que trop vers l'Autriche. Cependant il est parfaitement exact-comme V. E. l'a declaré dans son éloquente réponse à l'interpellation de M. Tecchio, séanC€ du 21 mai-que les idées libérales gagnent du terrain dans les pays, et que nous pouvons en attendre les meillcurs résultats.

Sans faire de démarches directes pour éperonner le Cabinet de Berlin, je ne néglige aucune occasion pour rappeler adroitement les motifs qui devraient l'induire à nous accorder sa reconnaissance, et pour combattre les arguments par lesquels nos adversaires travaillent à le maintenir dans des hésitations qui sont du reste inhérentes à la politique prussienne.

Le Baron de Schleinitz m'a interrogé sur des négociations qui auraient eu lieu récemment entre Turin et Paris au sujet des affaires de Rome. N'ayant aucune instruction, sur ce point, je me suis borné à répondre par quelques observations générales. A cette occasion ce Ministre a démenti la nouvelle publiée dans les journaux, que la Prusse aurait donné son assentiment à certain projet d'occupation mixte du territoire romain par des troupes espagnoles, portugaises et bavaroises. Aucune démarche dans ce sens n'à été faite à Berlin.

113

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., II, 475)

T. 503. Paris, 28 maggio 1861, ore 16,10 (per. ore 17,45).

Thouvenel vous fait dire que l'Empereur est toujours bien ferme dans sa bonne disposition à notre égard. Il vous prie de mettre à la lettre du Roi la date de ju'in, laissant en blanc le jour que nous ajouterons ici; c'est désir de l'Empereur en outre de saisir le moment le plus opportun et ne laisser qu'un jour entre la réception de la lettre et sa réponse. Vous accompagnerez l'autographe du Roi par une lettre que vous m'adresserez officiellement disant que le Roi me charge comme officier de S. M. de remettre sa lettre à l'Empereur S. M. I. me donnera probablement sa réponse à porter au Roi avec le modèle du traité. Tout le reste suivra selon les dispositions données par vous qui ont été agrées par l'Empereur. Vous pouvez donc retarder l'envoi de la lettre du Roi jusqu'au premier juin.

S. M. m'a fait dire par Thouvenel qu'a son grand regret l'organisation de notre armée n'avance pas comme on dit; vous ferez bien de me faire écrire par Fanti ou du moins par Cugia une lettre que je puisse soummettre à l'Empereur disant ce qu'i s'est fait. L'insistance de l'Empereur et de Thouvenel à ce sujet mérite d'etre remarquée.

114

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR, AL CONTE VIMERCATI

(Ed. in Q. R., II, 479)

T. 337. Torino, 29 maggio 1861.

Le Roi vous autorise à apposer à sa lettre la date du premier juin. Je vous écrirai ce soir ou demain la lettre ostensible.

115 IL CONTE VIMERCATI

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., II, 478)

T. 506. Parigi, 29 maggio 1861, ore 16,40 (per. ore 19).

L'Autriche et l'Espagne ont présenté hier une note collective protestant contre les principes de vos discours et la déclaration de Rome comme capitale du Royaume d'Italie. Elles déclarent que le règlement de la question Romaine ne peut se faire qu'avec leur intervention comme puissances catholiques. Thouvenel a répondu pour le moment à Mon et enverra ensuite la meme réponse à Metternich, demandant d'abord ce que les deux puissances entendent pour concourir avec la France au règlement de la question Romaine et les prévenant que la France n'entend nullement qu'on discute les faits accomplis; ensuite Thouvenel dit que le Gouvernement français reconnaissant le Royaume d'Italie prendra des garanties suffisantes pour assurer la continuation de sa sollicitude pour le Pape et si l'Espagne et l'Autriche veulent obtenir des assurances du Gouvernement du Roi elles n'ont qu'à suivre pour leur compte l'exemple de la France et prouver ainsi qu'elles n'ont en vue que l'intéret du Pape. L'Empereur a approuvé cette réponse et a poussé Thouvenel à l'envoyer au plus tòt possible officiellement. S. M. I. désire attendre à échanger les lettres que les Chambres touchent à leur fin, mais ses dispositions sont nullement changées.

116

IL SEGRETARIO DI LEGAZIONE A LONDRA, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Cavour -Inghilterra, vol. II, t. II, 1329)

(Annesso cifrato a) R. s. n. Londra, 29 maggio 1861.

Lord Russell m'a dit que l'Ambassadeur Turc a été l'informer que son Gouvernement ayant consenti à l'union des Principautés Danubiennes durant la vie du Prince Couza, une conférence aurait à se réunir prochainement à Constantinople afin d'en régler les conditions. M. Mussurus lui demanda ce qu'on ferait pour la Sardaigne; Lord Russell lui répondit que le Roi d'Italie deva'it certainement y etre représenté et lui demanda à son tour s'il pensait que l'Italie devait s'appeler Sardaigne. L'Ambassadeur répondit qu'il croyait son Gouvernement plutòt disposé à admettre le représentant de l'Italie, mais il ignorait comment l'Autriche et la Russie envisageaient la question. Lord Russell ajouta qu'on pourrait peut-etre admettre le représentant italien comme plénipotentiaire du Roi Victor Emmanuel II.

117

IL SEGRETARIO GENERALE DEGLI ESTERI, CARUTTI, AL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 30 maggio 1861.

D'après les informations que vous m'avez fournies sur le malveillant procédé que viennent d'user envers vous les Ministres de la Bavière, du Wiirttemberg et du Mecklembourg en cette résidance, le Gouvernement du Roi s'est vu dans la nécessité de protéster contre une pareille conduite en retirant l'exequatur aux Agents Consulaires de ces puissances en Italie.

Je m'empresse. de vous transmettre ci-joint, pour votre information, copie de la dépeche que j'ai adressée à ce sujet à S. E. le Comte Brassier de S. Simon, qui est éventuellement chargé ici de la protection officieuse des sujets des puissances formant partie de la Confédération Germanique et qui n'ont pas de représentant.

118

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(A R B, cass. U", n. 15)

L. p. 53. Parigi, 1 giugno 1861.

Je regrette de devoir faire partir Collino sans pouvoir vous envoyer la lettre de l'Empereur. L'échange des deux missives ne pourra avoir lieu que dans quelques jours, l'Empereur ne voulant pas laisser passer trop de tems entre l'échange, la conclusion du traité et la reconnaissance. J'espère que ce retard, qui n'en est pas un pour le fait, ne vous inquiétera nullement.

S. M. a renouvelé à la presse l'ordre de préparer les esprits à la reconnaissance du Royaume d'Italie.

M. Thouvenel, dans sa note en réponse à celle de l'Espagne et de l'Autriche, dont je vous ai parlé dans mon téle~ramme du 29 dernier, après avoir demandé aux deux Puissances quelle étendue elles entendaient donner à leur prétention d'intervenir dans le règlement de la question de Rome comme puissances catholiques, ajoute que la France, étant disposée à reconnaitre les faits accomplis en Italie, prend pour son compte des arrangements avec le Gouvernement du Roi de façon à prouver encore une fois à la Cour de Rome sa plus vive sollecitude à son égard.

Par une phrase, que je ne saurais vous répéter car M. Thouvenel m'a donné lecture lui-meme en courant de cette note, le Ministre conseille les deux Puissances à suivre l'exemple de la France et à prouver, par la reconnaissance du Royaume d'Italie, que leur sollicitude à l'égard du Souverain Pontife n'a aucune arrière pensée. M. Thouvenel est très content de son ceuvre et l'idée de mettre les Cabinets de Vienne et de Madrid dans l'embarras a beaucoup souri à l'Empereur.

M. de Gramont écrit nouvellement qu'il se tient plus loin que jamais de tout ce qui entoure François II. « Rien, dit-il, n'excite plus le dégout que de voir les memes hommes qui ont perdu la dynastie de Naples, travailler à la rendre à tout jamais impossible »·

L'Empereur est parti hier pour Fontainebleau. J'avais bien recommandé à la Princesse Mathilde de dire à l'Empereur qu'elle était bien pressée de voir la maison qu'elle vient d'acheter au lac Majeur, mais que jamais elle n'aurait consenti à s'y rendre avant la reprise des relations officielles.

L'Empereur lui a répondu que « dans la premiére dizaine de juillet tout sera fini». La Princesse lui dit alors qu'elle comptait se rendre meme à Naples. « Vous pourrez aller où vous voudrez, a repliqué l'Empereur, bien entendu excepte Rome et Venise ».

Le Prince Napoléon part demain pour l'Algérie. Il a quitté l'Empereur assez de mauvaise humeur. L'affaire d'Aumale, dont il n'a pas su profiter pour se réhabiliter; ses disputes avec le Prince Murat et tous les cancans pour la Grande Maitrise de la Maçonnerie, ont beaucoup indisposé S. M. qui est travaillé par l'Impératrice qui abhorre le Prince Napoléon plus que tous les autre membres de la famille Impériale.

Je regrette d'un còté le départ du Prince, mais je vois, de l'autre, qu'il est de son intéret de s'absenter pour quelque tems.

Dumas est ici. Il a été chez le Prince Napoléon et la Princesse Mathilde. Il est dans la débine et s'est recommandé à L.L. A.A. pour que le Gouvernement du Roi le charge d'écrire l'histoire des Bourbons de Naples. L'Empereur est assez disposé à l'aider indirectement, mais Dumas voudrait que notre Gouvernement l'aide financiairement dans son entreprise; il demande pour cela 25.000 fr. Le Prince Napoléon lui donne une lettre pour S. Martino; je lui en dannerai une moi aussi, mais, bien entendu, je ne lui parlerai pas de sa demande. C'est à V. E. de voir si une histoire, écrite dans ce moment, avec la verve de Dumas, et qui serait lue par toute la France ne vaut pas l'argent qu'il demande. Pour mon compte, je pense que ce serait une chose utile. Avec ça, il est bien entendu, Monsieur le Comte, que ce n'est pas une recommandation que je vous fais. Je crois seulement de mon devoir de vous signaler la demande et l'importance que j'y trouve peut-etre à tort.

M. Nigra pourra du reste vous renseigner là-dessus puisque il en sait bien plus loin que moi.

L'Impératrice, au grand désespoir de M. de Kisseleff, est toute sympathie pour la Pologne. En révanche elle devient chaque jour plus mal disposée pour nous. S. M. donne de l'importance et une certaine force fictive à cette ignoble aristocratie napolitaine qui est ici, et qui, après avoir laisser [sicJ tomber son pays dans l'abrutissement et expulser son Roi, s'est fait couvrir de décorations par celui dont elle n'a pas eu le courage de défendre le tròne et ne sait que le rendre le complice du brigandage et de l'assassinat. Je m'aperçois que mes phrases sentent un peu le Dumas. J'espère cependant que vous ne m'en attribuérez pas les opinions.

Clary, celui qui a fait la campagne de 1859 avec l'Empereur en uniforme de garde national et ami de Murat, a été à Naples. C'est une espèce d'imbécile bien connu comme tel. Malgré cela son jugement sur l'Italie méridionale est

pris au sérieux aux Tuileries et a eu assez d'infl.uence pour que l'Empereur chargeat Conneau de me dire que nous n'organisons rien et que notre Gouvernement n'à ni force ni énergie.

C'est désolant de se voir à la merci de pareils imbéciles. La Cour de l'Empereur ne saurait étre plus mauvaise pour nous. Et, à présent, voilà l'Empereur à Fontainebleau, entièrement livré à ses manceuvres. Il n'y aura point de grande récéption. Il n'y aura d'invité que la petite còterie de l'Impératrice pour continuer le roman de la Croix de Bernis dont je vous ai déjà parlé. Parole d'honneur, on se croirait au Trianon! Heureusement Napoléon III n'est pas Louis XVI. Il marche avec la révolution qu'il domine en temporisant, mais il a le défaut de négliger les détails, et de ne pas assez préparer le terrein aux événements.

Je suivrais les ordres de V. E. relativement aux carabines, mais je n'ai pu, jusqu'à présent, mettre la main sur le Colone! Filippi qu'il faut nécessairement que je voie avant de faire parvenir la demande à l'Empereur.

Vous trouverez ci-jointe une lettre de Klapka. Décidément je l'ai trouvé bien mieux que Kossuth. Moins poétique, il juge sans passion et ne passe pas, sans raison, de l'exaltation à l'abattement.

Quand Kossuth a été ici, à l'entendre, tout était perdu pour la Hongrie, et il n'y avait méme plus de Hongrie.

M. Thouvenel vous prie d'écrire à S. Martino d'avoir beaucoup d'égards pour M. Soulange Baudin, Consul de France à Naples, et de tàcher de s'en faire un ami. Le Ministre dit que c'est un très brave homme dont les rapports sur notre compte nous sont favorables.

Ecrivez aussi, je vous en prie, à S. Martino de faire surveiller M. Dojon, correspondant d'Havas. C'est de lui que viennent toutes les mauvaises relations que colportent tous les journaux. Je compte en parler à M. Havas pour qu'il se dépétre de cet animai; je ferai faire cette démarche par Benedetti qui est très lié avec lui.

M'étant plaint auprès du Ministre des Affaires Etrangères de la conduite d'Aimé d'Aquin, M. Thouvenel m'a dit qu'il ne pouvait y croire à moins d'en avoir des preuves incontestables.

M. Pantaleoni a fini son travail. Le Docteur a été par écrit ce qu'il est en paroles, c'est à dire trop long et un peu spécieux. Cependant on peut dire que son travail est bon et qu'il sera utile pourvu qu'il soit vrai, ce dont je ne puis juger.

Grace à sa manie de recueillir des renseignemens, M. Pantaleoni m'a pourtant fait ici deux ou trois brioches, toujours dans la meilleure intention. Entr'autres il a été chez l'abbé Déguerry, Curé de la Madeleine, nommé tout recemment Evéque de Marseille et il lui a tenu un language qu'il aurait été mieux de ne pas tenir et qui, certes, sera connu à Rome à l'heure qu'il est.

Le Père Marie est entré tout à fait dans l'ésprit de M. Thouvenel. Le

Maréchal Mac-Mahon lui avait promis de la faire recevoir par l'Empereur, mais

puis S. M. est partie sans le voir.

Je tacherai de faire réparer ceci par Conneau, mais j'aurais préféré que l'entrevue eiìt eu lieu par l'entremise du Due de Magenta par la raison qu'un tel intermédiaire aurait donné à la visite un tout autre caractère.

3 heures.

Le Prince Napoléon m'a encore fait chercher pour me faire voir une lettre

très affectueuse que l'Empereur lui a écrite dans laquelle S. M. dit qu'il ne

veut pas que son cousin parte sans etre sur que ses sentimens à son égard

sont toujours les memes et qu'il a pour lui la plus vive et sincère affection.

Le Prince m'a encore parlé de Dumas me chargeant de vous prier de

tacher de lui venir en aide pour lui faire écrire l'histoire projétée. Dumas

se borne maintenant à 20.000 fr., dont 4.000 d'abord et le reste à chaque

volume qui paraìtra. Ce serait un pamphlet plus qu'une histoire, mais un

pamphlet qui serait lu par toute la France et qui ne manquerait pas d'y

produire un certain effet.

Le Prince, lui meme, est disposé à lui donner 6.000 fr. Mocquart s'est

chargé de lui faire donner quelque chose par l'Empereur. On tache de lui

concéder un théatre ki pour le tirer de la misère; mais ce projet ne peut s'ef

fectuer que dans un an. En attendant, Dumas retourne à Naples; le journal

qu'il y écrit cessera de paraìtre. S. Martino pourra tirer de lui le parti qu'il

voudra en y mettant cependant quelque ménagement.

Ce matin il est arrivé une nouvelle lettre de Lavalette. Elle dit que la

question de Syrie est arrangée, mais elle porte des nouvelles les plus alarmantes

sur la question orientale en général. Suivant ce diplomate la Turquie ne peut

arriver au printems '62.

M. Thouvenel vous fait dire qu'il est impossible de modifier la phrase sans garanties sincères. On remplacerait simplement la parole sincères par la parole serieuses comme le porte votre seconde proposition. Toutes les autres modifications sont adoptées.

Je prie V. E. de me rappeler au bon souvenir de M. Nigra et de me mettre entièrement à sa disposition pour tout ce qui pourra lui etre agréable à Paris. Je joins des lettres pour le Roi, pour Minghetti et pour Castelli, et une de Pantaleoni pour V. E.

J'ai envoyé ce matin à M. Thouvenel un extrait du rapport que vous avez adressé à Pantaleoni. J'espère que votre santé sera tout à fait remise.

119

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(Ed. in Q. R., II, 490)

T. 523. Parigi, 3 giugno 1861, ore 17,05 (per. ore 19,30).

L'Empereur m'a fait appeler et j'ai passé la journée d'hier à Fontainebleau; il s'est beaucoup intéressé à votre santé; il m'a longuement causé de toutes nos affaires et du moyen de procéder pour le retrait des troupes de Rome qui sera fait graduellement et dans un délai assez long; l'échange des lettres et du traìté auront lieu vers le 20. Le Prince de Capua qui depuis longtems

est à la charge de l'Empereur allait etre arreté pour dettes; S. M. l'a sauvé en lui donnant encore 30 mille francs. S. M. I. voudrait qu'on lui donne indemnité pour les biens privés qu'on lui a injustement confisqués; son mariage l'ayant mis mal avec toute sa famille il est dans une position exceptionnelle. S. M. m'a remis une espèce de note écrite par Mocquart et signée par le Prince que je vous enverrai par la première occasion. S. M. m'a autorisé à aller le voir au Chateau toutes les fois que je le juge convenable et me charge de vous dire de bien vous soigner et de prendre du repos. S. M. I. a dit: « Si le Comte de Cavour était obligé de quitter le Ministère meme pour cause de santé, je n'en ferais rien de la reconnaissance ~.

120

IL SEGRETARIO DI LEGAZIONE A LONDRA, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR

(A R B, cass. U", n. 16)

R. s. n. Londra, 3 giugno 1861.

Dans le cours de la semaine j'ai eu l'honneur d'adresser à V. E. une pièce chiffrée pour lui soumettre quelques observations que Lord John Russell m'avait communiquées par suite d'un entretien qu'H avait eu avec l'Ambassadeur de Turquie au sujet du titre que notre Représentant assumerait dans la conférence à réunir pour régler les affaires des Principautés Danubiennes. S. S. n'est plus entré dans cette question lorsque je lui ai donné lecture de la dépeche de V. E. sur cette matière. J'ignore quelles sont les dispositions du Gouvernement du Sultan à l'égard de la reconnaissance du Royaume d'ltalie. Celles de l'Ambassade Turque à Londres ne sauraient etre meilleures. Lors de l'arrivée du Prince Butera à cette Légation, j'ai demandé d'une manière amicale à M. Mussurus s'il était disposé à recevoir des cartes de visite avec la qualité de Secretaire de Légation de S. M. le Roi d'ltalie. M. Mussurus me répondit que non seulement il recevrait et rendrait les ·cartes, mais que pour son compte il fasait les vreux les plus sincères pour l'unité italienne. M. Butera laissa en effet ses cartes officielles avec les miennes et l'Ambassadeur les rendit le lendemain avec sa qualité.

Je dois informer V. E. de la vive émotion qui a été causée à Londres par l'annonce de son indisposition. Beaucoup de monde est venu à la Légation s'enquérir de l'état de sa précieuse santé.

P. S. -Je viens de voir Lord John Russell pendant quelques instants car il était pressé de se rendre à la Chambre. Je lui ai communiqué le contenu des dépeches de V. E. du 29 et 31 mai. S. S. m'a dit qu'elle ne manquerait pas de conseiller au Gouvernement de Portugal de reconnaitre le Royaume d'Italie. Il a ajouté toutefo'is qu'il n'avait pas grande confiance dans le succès de ses démarches car toutes les fois que le Comte Lavradio l'avait entretenu de la question Italienne à propos du congrès, il lui avait dit qu'il fallait faire quelque chose pour le Pape. J'aurais soin d'insister auprès de S. S. à cet égard lorsque j'aurai l'occasion de le voir de nouveau.

121

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, CAVOUR (Ed. in Q. R., II, 498)

T. 533. Parigi, 5 giugno 1861, ore 22 (per. ore 23,45).

Demain matin à 8 heures je vais à Fontainebleau; envoyez moi des nouvelles du Comte de Cavour avant mon départ.

122

IL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI, AL CONTE VIMERCATI (Ed. in Q. R., II, 502)

T. 356. Torino, 6 giugno 1861:

Le Comte a expiré ce matin à 7 heures. Ses derniers moments ont été très calmes; il a parlé toujours avec une immense foi de l'avenir d'Italie. Le Roi est allé hier soir, il a été très cordial. Sous le rapport religieux tout était preparé d'avance et s'est passé très convenablement. Le deuil de la ville est immense. J'ai réuni le Conseil, je crois que nous indiquerons au Roi Ricasoli comme l'homme de la situation pour le Ministère. Rassurez la France et l'Europe que la politique de Cavour sera continuée, et que le Gouvernement ne transigera pas avec la révolution: voilà le but du moment.

123

IL CONTE VIMERCATI AL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI (Ed. in Q. R., II, 503)

T. 534. Parigi, 6 giugno 1861, ore 10,15 (per. ore 11,24).

J'ai jugé plus convenable de suspendre ma course à Fontainebleau jusqu'à ce que je connaisse les intentions du Roi. Je n'ai pas cru à propos de me montrer trop effrayé de l'Empereur. Approuvez-vous ma conduite? Cherchez un prétexte pour éloigner Pantaleoni car il me donne de l'embarras. Répondez par télégraphe.

124

IL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI, AL CONTE VIMERCATI (Ed. in Q. R., II, 504)

T. 359. Torino, 6 giugno 1861.

Il est bien que vous allez à Fontainebleau. Dites à l'Empereur que, malgré le grand malheur qui vient de nous frapper, nous avons confiance dans l'avenir.

Le Roi est très bien disposé, il veut fermement la continuation de la politique du Comte de Cavour; il est résolu à ne pas transiger avec les partis extremes. Dites à l'Empereur que l'Italie toute entière fait appel plus que jamais à sa bienveillance et compte qu'il ne voudra pas abandonner l'reuvre qu'il a si généreusement initié.

125

IL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI, AL CONTE VIMERCATI

(Ed. in Q. R., II, 505)

T. 360. Torino, 6 giugno 1861.

J'approuve votre conduite. Le Roi a fait appeler Ricasoli. Le Ministère ne présentera pas ses démissions que lorsque le nouveau Cabinet sera constitué. Depuis deux jours j'ai la régence des Affaires Etrangères. Dites à Pantaleoni que sa présence nous serait très utile au Parlement et qu'il vienne le plus tOt possible.

126

IL CONTE VIMERCATI AL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI

(Ed. in Q. R., II, 506)

T. 537. Parigi, 6 giugno 1861, ore 16,25 (per. ore 18,45).

J'ai reçu votre dépeche chiffrée de ce matin. Thouvenel m'a donné rendez

vous pour demain matin à Fontainebleau. L'effet produit par la triste nouvelle

dépasse toute croyance. J'ai vu quelques Ministres et Benedetti qui sont cons

temés. Si vous avez quelque instruction à me donner pour mon entrevue de

demain envoyez-la cette nuit. Adressez vos dépeches toujours à Paris. Je tacherai

de rassurer l'Empereur et j'insisterai pour que rien ne soit changé à nos arrange

ments. Je vous informerai, en attendant j'ai bon espoir; il faut que notre courage

égale notre malheur.

Par suite d'une explication que j'ai eue avec Pantaleoni, il m'a promis de

ne plus faire des embarras.

127

IL CONTE VIMERCATI AL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI

(Ed. in Q. R., II, 509)

T. 541. Parigi, 7 giugno 1861, o1·e 18,40 (per. ore 21,50).

J'arrive de Fontainebleau; l'Empereur a été on ne peut plus bienveillant. Dites au Roi, qu'en face du grand malheur qui vient de frapper l'Italie S. M. I.

sent le besoin de resserrer les liens qui l'unissent au Roi et à la cause italienne. L'Empereur ne se cache pas les graves difficultés que le Roi rencontrera. J'ai témoigné à l'Empereur la plus vive reconnaissance au nom de S. M. et de l'Italie et soutenu par Thouvenel j'ai insisté pour qu'une démonstration fut faite qui coupe toute espérance à nos ennemis. L'Empereur a consenti a envoyer dès aujourd'hui à Vienne et à Madrid sa réponse dans laquelle est formellement annoncé sa ferme intention de reconnaitre le Royaume d'ltalie.

Rayneval sera remplacé par une personne qu'inspire grande confiance au Roi et au nouveau Ministère. S. M. I. approuve la nomination de Ricasoli. Il me charge de vous dire qu'il sait certainement que l'Angleterre a fait conseiller à François II de ne pas quitter Rome. L'Empereur a consenti en ma présence à tout changement proposé par le Comte de Cavour à sa lettre. Thouvenel regarde comme une grande victoire ce que nous avons obtenu, car le Prince de Metternich et tous nos ennemis travaillent pour passer quelque temps à Fontainebleau invités par l'Impératrice; mais c'est là méme que l'Ambassadeur d'Autriche recevra la réponse dont je parle plus haut. Ne craignez donc rien, l'Empereur sera inébranlable. Dites au Roi d'étre tranquille: l'alliance française est plus solide que jamais. Envoyez-moi une dépeche que je puisse faire voir demain à Thouvenel exprimant votre satisfaction. Vous recevrez officiellement des assurances du Gouvernement français que [sic] naturellement ne seront pas aussi explicites. L'Empereur désire que je fasse une course à Turin aussitòt le Ministère formé.

128

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI

R. 332. Berlino, 7 giugno 1861.

Ne me fiant pas aux récits des journaux, j'avais prié M. le Chevalier Carutti de Cantogno de me renseigner, par le télégraphe, sur l'état de santé de M. le Comte de Cavour.

Je le remercie d'avoir déféré à mon désir. Les télégrammes que V. E. a bien voulu m'adresser de son còté laissaient pressentir la catastrophe qui plonge l'Italie dans la consternation. Notre diplomatie surtout doit porter le deuil, car sous la direction de M. le Comte de Cavour elle a joué un ròle dont elle doit etre fiére a juste titre.

Peut-étre serais-je trop partial si je voulais moi-méme faire les éloges de celui dont nous pleurons la perte. J e me bornerai a transmettre quelques uns de jugemens que j'ai recueilli ici.

Le Baron de Schleinitz en rendant justice aux talents hors ligne du Comte de Cavour, s'est plu à reconnaitre que sa présence aux affaires avait essentiellement contribué au maintien des bons rapports avec la Prusse. «Ses adversaires eux memes-ajoutait-il-sont forcés de convenir que sa disparition de la scène politique est un malheur des plus graves. C'est ainsi du moins que le M~nistre d'Autriche s'est prononcé quand je lui ai lu le télégramme de M. le Comte

Brassier de S. Simon. Je suis certain que le Roi, mon Auguste Souverain, sera

vivement affecté de la mort imprévue d'un personnage aussi marquant ».

Les Ministres de France et d'Angleterre m'ont à leur tour exprimé leurs

condoléances les mieux senties sur un événement aussi douloureux pour l'Italie

que pour l'Europe entière. Le nom de l'illustre défunt passera à la postérité la

plus reculée comme une gioire de notre siècle.

L'opinion publique est frappée de stupeur. Les fonds ont baissé. Je joins ici un article qui a paru ce matin dans le Publiciste. Chacun des journaux publiera également une nécrologie.

Plusieurs personnes en me faisant part de leurs regrets, manifestaient la crainte que désormais le Gouvernement de S. M. ne serait plus assez fort pour lutter contre le parti avancé qui avec un patriotisme aveugle voudrait nous lancer dans la voie des aventures. Je n'ai pas hésité à donner spontanément l'assurance la plus formelle que le Roi continuerait à etre maitre de la situation, et qu'il saurait, comme par le passé, s'entourer de Conseillers fermement résolus à sauvegarder les intérets de l'Italie, mais non moins décidés à conformer leur conduite aux exigences des grands intérets Européens. J'ai parlé dans le meme sens au Baron de Schleinitz.

En attendant de connaitre quel sera le nouveau Ministre des Affaires Etrangères, je me félicite d'etre sous les ordres d'un Ministère qui était initié aux hautes vues politiques de M. le Comte de Cavour.

129

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI

R. 333. Berlino, 7 giugno 1861.

Je n'ai reçu que le 5 juin la dépéche (Cabinet) du 30 mai échu, sur le retrait de l'exequatur aux agents consulaires de Bavière, de Wiirttemberg et de Mecklembourg.

Le Baron de Schleinitz n'a pas hésité à me déclarer que les représentants de ces Puissances près la Diète German'ique avaient manqué de mesure vis-à-vis de notre Envoyé à Francfort. Au reste il semblait n'attacher aucune gravité à cet incident qui n'aurait, disait-il, d'autre conséquence que de charger la Légation et les Consulats de Prusse en Italie d'un surcroit de besogne. Il partageait du reste mon avis que les affaires ne marcheraient que mieux si on parvenait un jour à reunir en une seule main la protection des intérets allemands, vis-à-vis de l'étranger. Je lui ai fait observer, en souriant, que dans ce cas la Prusse devait nous savoir gré de la rapprocher d'un tel but.

Il est complètement inexact, malgré les assertions de l'Indépendance belge, que mes collègues de Bavière et de Wiirttemberg aient cherché à decider le Gouvernement Prussien à considérer ce retrait d'exéquatur comme une offense faite au nom allemand. Il se pourrait cependant qu'on méditàt quelque motion de ce genre à Francfort. J'aviserai à prévenir le coup. Lord Loftus me pretera son concours.

Du moment où les Envoyés des trois Cours allemandes précitées avaient refusé de recevoir des plis portant le cachet de la Légation de S. M. le Roi d'Italie, nous ne pouvions en effet rester sous le coup d'un procédé aussi blessant pour notre dignité. Je dois cependant noter ici que pour ce qui me concerne et précisement pour éviter de tels désagréments, je m'étais servi jusqu'ici d'un cachet à mes propres armes dans mes communications à des autorités avec les quelles nous ne nous sommes pas concertés préalablement, comme avec la Prusse, sur un modus vivendi. Je m'abstiens seulement d'employer l'ancienne dénomination de Sardaigne. C'est ainsi que j'ai agi vis-à-vis du Ministère Saxe, quand j'ai été chargé de régler l'extradition Voigt et Handwerk (dépeche de Turin n. 379). Néanmoins si V. E. est d'un avis contraire et qu'Elle pense que je doive suivre l'exemple de mon collègue de Francfort, je m'empresserai de m'y conformer.

130

VITTORIO EMANUELE II A NAPOLEONE III

(Ed. in Q. R., II, 510)

T. 365. Torino, 8 giugno 1861.

Je remercie V. M. de l'intéret qu'Elle prend au malheur qui vient de frapper mon pays et de la bienveillance avec laquelle Elle s'est exprimée à ce sujet avec Vimercati. Pour donner une preuve de mes sentiments vers le Comte de Cavour, j'ai ordonné que sa dépouille fut déposée à Superga où sont les tombeaux de ma famille (1). J'ai appelé le Baron Ricasoli a la Présidence du Conseil, qu'il a acceptée. Le Ministère actuel continue avec quelques modifications qui augmenteront sa force. V. M. I. peut etre sùre que Moi et mon Gouvernement nous saurons vaincre toutes les difficultés. Mais dans ce but je compte sur la constante bienveillance de

V. M. I. et sur son appui. La mort du Comte de Cavour me fait sentir encore plus vivement la nécessité de la prompte reconnaissance de mon Royaume de la pa>:t dE'

V. M. I. Ce serait un nouveau titre à la reconnaissance de l'Italie et à celle de Votre ami dévoué et fidèle allié.

131

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI

R. 92. Londm, 8 giugno 1861.

J'ai l'honneur d'informer V. E. que je suis arrivé à Londres ce matin à

six heureus.

La mort du Comte de Cavour a pris tout le monde par surprise. Les bulle

tins attribuant quelque gravité à la maladie tardivement publiés par les journaux

ne faisaient nullement prévoir que cette catastrophe fut aussi imminente. Aussi,

en apprenant la fin de cette existence si essentielle dans l'état des choses en Europe, la stupeur a-t-elle été générale. Je devrais dire la douleur, car toute la nation parait avoir éprouvé ce sentiment. On m'assure que des placards hier dans la Cité invitaient tous les citoyens à témoigner par le deuil (to mourn) la tristesse produite dans la population. Les deux Chambres ont cru devoir marquer par une mention spéciale les sentiments que leur insp'irait le grande homme d'Etat. Le blàme dont n'a pas craint de le flétrir le Marquis de Bath, n'a servi qu'à produire l'effet contraire. Le Marquis est un jeune homme très borné et d'aucune espèce de portée politique.

A la Chambre des Communes un Irlandais s'étant permis des observations du meme genre, il souleva une réprobation telle qu'on l'empecha de prononcer un mot de plus. Un témoin oculaire m'assure avoir rarement assisté à une pareille scène. J'ai vu aujourd'hui Lord Palmerston, Lord John Russell et d'autres personnes de toutes classes de la société. Ce n'est point une métaphore ou une figure de rhétorique. Tout le monde m'a parlé avec une telle émotion de cet événe:ment que leurs yeux étaient remplis de larmes.

Lord John Russell m'a chargé de faire savoir spécialement au Gouvernement du Roi que Lord Clarendon avait regretté qu'une absence l'eiìt empeché d'exprimer son opinion en cette circostance. Meme Lord Malmesbury a voulu prononcer quelques mots pleins de sympathie. Par contre il n'y a eu qu'une seule voix pour condamner le système adopté par la faculté et qui a amené selon les Anglais, un résultat qu'il disent facile à prévoir et qui sera suivi d'éternels regrets.

Des marques aussi unanimes et aussi spontanées de sympathie de la part d'une nation comme l'Angleterre, seront une ligne glorieuse dans l'épitaphe du Comte de Cavour. Elles indiquent, en outre, par leur vivacité dans un pays supposé généralement froid et apathique, une force de sentiments qu'on aime à constater et dont l'importance n'échappera pas à V. E. Elles formeront certainement contraste avec la manière dont ce douloureux événement aura été apprécié en d'autres pays.

(l) Nel suo testamento il Cavour espresse in modo esplicito il desiderio di essere seppellito a Sàntena, e il Re, quindi, non potè dar corso alla sua decisione.

132

NAPOLEONE III A VITTORIO EMANUELE II (Ed. in Cavour-Nigra, IV, 1300)

T. 544. Fontainebleau, 9 giugno 1861, ore 14,05 (per. ore 15,30).

La mort de M. de Cavour est une grande perte que j'ai ressentie vivement. Je ferai mes efforts pour arriver au résultat que V. M. désire, mais il faut m'y aider. Je vous prie de toujours compter sur mon amitié.

133

IL CONTE VIMERCATI AL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI (Ed. in Q. R., II, 511)

T. 547. Parigi, 10 giugno 1861, ore 15,10 (per. ore 16,45).

Thouvenel, Persigny et Rouher ont tous écrit à l'Empereur pour l'engager à reconnaitre immédiatement le Royaume d'ltalie, en conservant la garnison

11 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. I

française à Rome, jusqu'à ce que le Gouvernement du Roi puisse offrir des garanties d'arrangement et de sureté à la Religion et au Pape. Dans la note qu'on enverrait pour annoncer la reconnaissance, on répéterait quant à la Vénétie les memes protestations que l'Empereur a adressées à la Russie avant l'entrevue de Varsovie. Cet arrangement convient-il au Roi? Faut-il en pousser l'exécution? Donnez moi immédiatement des instructions. Aussitòt le Ministère composé, envoyez moi les noms.

134

IL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI, AL CONTE VIMERCATI

(Ed. in Q. R., II, 512)

D. s. n. Torino, l O giugno 1861.

J'ai envoyé votre dépeche au Roi. Mon opmwn est qu'il faut profiter du moment et accepter la combinaison proposée par Thouvenel, Persigny et Rouher. J e me réserve de vous dire l'opinion de Ricasoli.

Le Ministère est presque formé. Peruzzi, Bastogi et De Sanctis restent; Menabrea à la Marine, Miglietti Grace et justice, Scialoja Agricolture et commerce. Pour la guerre Della Rovere, mais on voudrait mettre Cugia ad interim pendant deux mois jusqu'à ce que Della Rovere ait complété l'organisation de la Sic'ile. Quant à moi j'hésite a garder l'Intérieur. Parfaitement d'accord avec Ricasoli sur la politique, il y a entre nous quelque différence sur l'organisation administrative. La publication du nouveau Ministère n'aura lieu que mercredi.

135

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI (l)

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 8-12)

R. CONFIDENZIALE S. n. Londra, 10 giugno 1861.

Dans les graves circonstances dans lesquelles nous nous trouvons soudainement placés, le Gouvernement du Roi tient, je pense, plus que jamais à etre exactement renseigné sur la manière dont l'Angleterre envisage quelques unes des questions qui préoccupent en ce moment les hommes politiques.

Revenu par conséquent immédiatement à mon poste, j'ai vu chaque jour depuis mon arrivée Lord Palmerston et une fois Lord J ohn Russell.

Leurs opinions, V. E. le devinera, je pense, facilement, sont que nous devons poursuivre une politique expectante et dilatoire, nous préoccupant plus de la consolidation de ce qui nous est échu en partage que poursuivant activement

la terminaison finale de la grande reuvre de l'unité, qu'ils envisagent pourtant comme la conséquence inévitable de cette meme politique de prudence et de sagesse qu'ils recommandent.

Lord Palmerston ne nous croit pas encore assez fortement organisés pour tenter les chances d'une guerre.

Il pense que l'Empereur Napoléon de son còté ne se sent pas encore tout à fait en mesure de se hasarder cette année encore une fois sur les champs de bataille. Il pense également que nous n'avons rien a craindre en fait d'attaques de la part de l'Autriche, trop affaiblie par ses divisions intérieures, pour songer à ajouter d'autres embarras. Il m'a dit avoir demandé au comte Apponyi avant-hier soir quel était son avis quant à ce qui se passa'it en Hongrie, et le Comte lui avait répondu que cela se passerait sous une forme de résistance passive, plutòt que d'amener une insurrection dans les rues. C'est peutetre là ce que craint davantage l'Autriche, car cette résistance la prive de la perception des impòts et c'est précisément en partie là-dessus que Lord Palmerston fonde son raisonnement sur ses intentions pacifiques à notre égard.

« Les rapports qui me parviennent sur la Vénétie -continua ce Ministre -sont des plus déplorables. L'un des rédacteurs du Morning Post qui en revient, dit que l'on ne peut comparer cet Etat qu'à l'Irlande après la famine. Mais cette province a l'air d'un camp retranché, les troupes s'y coudoient, les fortifications s'élèvent de tous còtés, et il est évident que si l'Autriche ne vous attaquera pas, elle n'en est pas moins résolue à la défensive ». Je dis à Lord Palmerston que je pensais justement interpréter les intentions du Gouvernement de S. M. en prévoyant que leur avis, quant à la conservation de la paix, serait d'accord avec celui de l'Angleterre. Quant à l'armée autrichienne, malgré cette accumulation de forces, elle me paraissait moins redoutable à cause du désaccord qui allait de pair avec celui des races dont elle se composait. Lord Palmerston dit que la discipline dans une armée pouvait beaucoup. Ce que je ne contestai nullement, ajoutant pourtant que si cette armée essayait une première défaite, cette discipline ne suffirait plus à empecher sa désorganisation totale. En quoi il fut de mon avis.

Ayant ainsi répondu au premier des deux points par lesquels j'avais commencé mon entretien, lui demandant ses prévisions sur les dangers qui pourraient nous menacer de la part de l'Autriche et de la France, Lord Palmerston me dit par rapport à la France qu'il était d'avis que l'Empereur n'assumerait pas une attitude hostile à l'Italie, malgré tous les conseils de son entourage qui nous était évidemment hostile, et malgré l'opinion que l'Empereur luimeme pourrait avoir conçue des dangers que ne manquerait pas d'entrainer pour la France la création du Royaume d'Italie.

Il est, je pense, inutile que je prie V. E. de ne jamais perdre de vue dans ses appréciations sur la politique de l'Angleterre et de la France relativement l'une à l'autre, que ces deux pays traversent en ce moment cette période intermédiaire qui est loin d'une alliance, sans etre encore entrée dans la ligne des hostilités. Cette définition est surtout applicable en ce moment; et je dois ajouter d'après les paroles de Lord Palmerston lui-meme, que nous pourrions nous trouver indirectement amenés à précipiter une terminaison hostile de la manière que voici.

Depuis longtemps, je pourrais presque dire, depuis un an, l'Angleterre reçoit de ses agens à l'étranger avis d'une active propagande exercée par la France dans l'ile de Sardaigne pour la détacher à son profit de l'union Italienne (1). Les Ministres Anglais m'ont souvent parlé de ce fait, alors que personne n'y songeait, et à plusieurs reprises ils ont appellé l'attention du Gouvernement du Roi sur cet agrandissement convoité par la France. J'ai cru de mon devoir parfois d'en faire mention dans ma correspondance avec cet illustre Ministre que l'Italie pleure en ce moment, et dans ma récente excursion en Piémont, dans la dernière conversation que j'ai eue avec lui, je suis revenu assez longuement sur ce point, lui rapportant meme ce que j'avais entendu de mes propres oreilles à Genes de la bouche de quelques Sardes que j'y avais rencontrés et qui s'accordait parfaitement avec les données qu'on avait ici.

On y parlait du mécontentement qui régnait dans l'Ile et était habilement exploité par des agents français, de tendances françaises qu'on y soulevait en comparant la situation de la Sardaigne avec celle de la Corse, on parlait meme d'autres démarches de M. Pietri entre la Corse et un comité établi à Portotorre.

Le comte Cavour déclara formellement que jamais il n'entendrait parler de pareils marchés et m'assura qu'il était question de publier quelques mots officiels dans la Gazette du Royaume. Quelques jours après il eut avec l'un des grands propriétaires de l'Ile (2) qui revenait de Cagl'iari (le jour meme où il se coucha hélas! pour ne plus se relever), une conversation qui roula principalement sur ce sujet important et dans laquelle il entendit la confirmation de la plupart des faits qui précèdent.

L'Angleterre est informée minutieusement de ces détails par ses agents consulaires, et comme j'avais l'honneur de le dire à V. E., on m'en parlait ici comme de chose positive alors que je croyais que ce n'étaient que les appréhensions d'une politique méticuleuse et pleine de préjugés contre la France.

Mais dans les conversations dont j'ai l'honneur de rendre compte à V. E., Lord Palmerston et moi revinmes sur ce sujet et il déclara très catégoriquement l'intention où était le Gouvernement Anglais d'empecher à tout prix une pareille augmentation du pouvoir maritime de la France dans la Méditerranée.

Il est meme digne de remarquer qu'en ne prenant purement que la ligne des intérets matériels, nous avons peut-etre moins d'utilité que l'Angleterre à empecher pareil transfert, vu que l'utilité problématique actuelle de la Sardaigne pourrait etre compensée par d'autres arrangements plus profitables, surtout si on y ajoutait un désir forme! des Sardes de se séparer de ndus.

' Mais il serait triste si la politique des Etats devait etre régie par de pareilles considérations. Lord Palmerston récapitulant les motifs qui ne pouvaient que nous convaincre de la nécessité de conserver l'ile, citait la dignité d'un grand état qui tend à repousser tout fractionnement qui de proche en proche établirait des précédents pour la Ligurie par exemple.

Il conseille vivement d'obtempérer aux légitimes demandes des Sardes, car les rapports consulaires établissent que réellement l'ile a été fort négligée depuis

longtemps. En rattachant l'ile par un bon service de bàteaux à Civita Vecchia, elle se trouvera réunie au continent et ralliée au système des ~roies ferrées. On augmentera la production en en favorisant l'écoulement, et se trouvant admis ainsi plus intimement dans la grande famille italienne par leurs intéréts ainsi que par leur langage et leurs tendances, la propagande française en perdra ses droits sur les Sardes.

Tels furent à peu près les raisonnements qui furent développés par Lord Palmerston d'une manière détaillée. Il ajouta avec beaucoup d'emphase qu'en tous cas il serait du devoir de l'Angleterre d'empécher toute cession de ce genre par tous les moyens en son pouvoir (1).

La seconde fois qu'il revint à la charge, je lui demandai s'il entendait par là que l'Angleterre ferait la guerre.

Lord Palmerston formula sa réponse à deux reprises différentes dans le cours de l'entretien, et cette réponse est en substance que la question d'un casus belli ne serait décidée qu'au moment où le cas se présenterait. Et en outre il ajouta qu'à coup sur cela mettrait, par le fait méme, fin à toute alliance avec la France en affectant de méme les rapports existants entre l'Angleterre et l'Italie.

J'ai cru essentiel de ne pas traiter à la légère ce point important parceque je suis convaincu que le Gouvernement du Roi, étant naturellement contraire à toute idée de cession ultérieure, la connaissance des opinions de l'Angleterre ne peut que donner plus de force à sa politique dans le cas où réellement la politique impériale pourrait vouloir se prévaloir des difficultés du moment pour poser des prétentions de ce genre.

Passant maintenant à un sujet différent qui a trait pourtant aux rapports de la France et de l'Angleterre au sujet de l'Italie, Lord John Russell m'a dit qu'ayant cru pouvoir conseiller à Paris, si réellement une occupation française était indispensable à Rome, qu'on la circonscrive à Rome seule et Civitavecchia; M. de Thouvenel avait pol'iment donné à entendre que l'Angleterre ferait bien de ne pas trop chercher à intervenir dans cette question catholique, la tendance en France étant évidemment de faire le contraire de ce qu'elle suggérerait.

Lord John ajoute en outre qu'à son grand étonnement il venait de recevoir de Constantinople par M. Musurus un télégramme fort effrayé ou l'on demandait ce que signifiait ce projet d'échange de la Vénétie contre l'Herzégovine espérant que l'Angleterre n'y preterait pas la main. Je répondis que c'était un bruit qui avait couru les journaux depuis plusieurs mois. Mais que rien à ma connaissance n'avait récemment donné une confirmation à ces rumeurs. Je me bornerai en terminant ce rapport à indiquer sommairement ce que les Ministres Anglais m'ont dit relativement aux autres questions de politique étrangère.

M. de Lavalette ayant voulu assumer un langage inconvenant dans la question de Syrie, les commissaires Anglais ont effectivement voulu le remettre à sa piace. Mais on s'attendait à un accord, grace à une proposi~ion, russe au fond, mais présentée par la Prusse, et à la quelle on était disposé ici à obtempérer.

C'était d'établir un chef chrétien unique pour les deux populations Druses et Maronites. Les Druses ayant été les agresseurs, L'Angleterre est disposée à admettre qu'ils doivent faire des concessions.

En outre elle se sent le pouvoir de les diriger gràce à l'ascendant que elle a su prendre sur eux. Seulement il est convenu que ce chef ne serait pas un Cleab.

A ma question s'il pensa'it que les désordres ne se renouvelleraient pas, Lord Palmerston a répondu qu'il ne le pensait pas. Que les Maronites ne se voyant plus soutenus par la présence des Français, se tiendraient tranquilles.

Les Druses seraient contenus par l'Angleterre qui leur a envoyé un agent à cet effet, un Anglais nommé Vood. En outre le troupes turques peuvent maintenir la tranquillité et sur mon hésitation à l'admettre, lord Palmerston me dit que les tures avaient en grande partie amenés les derniers désordres en tàchant pour contrecarrer les dispositions prises par les puissances en '40 ameuter les Druses et les Maronites pour se donner le droit de les remettre plus sous leur propre dépendance. Quant à l'objection que je lui opposais qu'étant mal payées ces troupes pilleraient Druses et Maronites, il affirma que les troupes recevaient habillement et nourriture mais pas de numéraire. Au reste la foi des hommes d'Etat d'ici dans la stabilité de la Turquie se maintient la meme.

On y est plus loin que jamais d'admettre le partage de l'Empire Ottoman et on n'y admettrait l'idée de l'occupation de la Syrie et de l'Egypte par l'Angleterre que pour empecher la France de mettre la main sur ce pays. Lord Palmerston s'est catégoriquement et une fois de plus expliqué dans ce sens sur cette question.

Dans les Principautés Danubiennes on semble croire ici qu'on ne réunira à ce sujet aucune commission ni a Constantinople ni à Paris. Mais qu'on échangera des Notes pour étabilir l'union des deux principautés sous le prince Couza, pendant sa vie.

Quant à l'Amérique, Lord Palmerston se déclara décidé à maintenir une stricte neutralité, malgré le langage agressif et emporté de M. Seward, qui dit qu'il eroit pouvoir à force de menaces et d'exagérations entrainer l'Angleterre à faire cause commune avec le Nord. Ce mème M. Seward se trouvant en Angleterre, il y a quelques années, disait à Lord Palmerston qu'étant dest'iné à devenir secrétaire d'Etat pour le prochain Gouvernement des Etat-Unis, il arrangerait les choses selon ses idées et annexerait le Canada.

Ces propos pleins de jactance firent hausser les épaules à Lord Palmerston et l'empèchèrent certes de donner la main à M. Seward.

J'ai demandé à Lord Palmerston, s'il ne craignait pas qu'on ne travaille à séparer le Canada de l'Angleterre. Il me répondit que cette Colonie était satisfaite du self-gouvernement qu'on lui laissait et avait fait preuve de ses sentiments au dernier voyage du Prince de Galles. Lord Palmerston ne semble au reste pas porté à donner beaucoup de regret à la séparation des Etats-Unis en deux parties et malgré les vanteries du Nord il croit la séparation devenue désormais inévitable.

Je profite aujourd'hui du Courrier Anglais pour trasmettre à V. E. ce rapport confidentiel, dans le quel j'ai tàché de réunir sans rétard les notions qui m'ont paru pouvoir l'intérésser.

(l) La lettera è indirizzata impersonalmente al Ministro degli Esteri che, il 10 giugno 1861, non era stato ancora nominato.

(l) -Jusqu'à ce que je serai au Ministère, ou à la Chambre, pas une parcelle de sol italien ne sera cédé [Notazione marginale Ricasoli]. (2) -Il marchese Salvatore Pes di Villamarina.

(l) II n'en est pas besoin [Notazione margine Ricasoli].

136

IL CONTE VIMERCATI AL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI

CA C R, Carte Vimercati)

L. P. 54. Parigi, 10 giugno 1861.

Le coup terrible qui vient de nous frapper m'a tellement accablé qu'il a fallu toute la force du raisonnement et de la nécessité pour m'empècher de tomber dans l'abattement. J'ai fait appel à toutes mes forces pour conserver ma tète et tirer ici tout le parti possible de la génerosité et de la grandeur d'àme de l'Empereur.

Ma première pensée a été de me rendre immédiatement à Fontainebleau, mais reflexion faite, j'ai jugé plus convenable d'attendre pour connaitre les intentions du Roi et mème me faire appeler par l'Empereur. Effectivement le 6 au soir M. Benedetti me communique de la part de M. Thouvenel, qui était absent, le désir de S. M. de me voir avec lui à Fontainebleau. Je me rendis aux ordres et le lendemain 7 à 9 heures du matin nous rencontràmes l'Empereur, qui me prit à part, et commença par me témoigner le véritable chagrin que la mort du Comte de Cavour lui avait causé. Je saisis le moment pour lui dire que l'Italie et le Roi avaient plus que jamais besoin de son appui. Je lui témoignai la pleine confiance que nous avions en sa personne, surs qu'il n'aurait pas voulu faire tomber sur nous les tristes conséquences du grand malheur qu'i venait de nous frapper. Les paroles de l'Empereur furent réellement bonnes tellement affectueuses que j'ai pu à peine cacher l'émotion qu'elles avaient produite sur moi.

L'Empereur me dit, tranquillisez-vous, rien ne sera changé à mes projets et mème je sens la nécessité de vous donner un appui, si non plus efficace, au moins plus apparent. Alors je fis connaitre à l'Empereur l'intention du Roi de charger S. E. le Baron Ricasoli de la formation d'un nouveau Cabinet. L'Empereur approuva le choix et reconnu que ce personnage éta'it l'homme de la situation. Il semble cependant croire que le Baron Ricasoli étant le Président du Conseil aurait pris la direction des affaires intérieures, vu la fermeté de son caractère l'aurait mis plus que tout autre à mème de contenir les partis.

S. M. me demanda si je savais qui pourrait ètre appelé au Ministère de la guerre, je lui répondis que pour le moment je n'avais aucune idée. L'Empereur me demanda ensuite des details sur vos antécedents, que nul n'était plus que moi à mème de lui donner. S. M. me dit ensuite qu'il croyait qu'il fallait aussi, si non pour le moment, du moins dans un avenir rapproché, compter avec M. Rattazzi, et je dois dire qu'il parle de lui sans ressentiment et dans un sens plutot bienveillant. Toutes ses demandes furent faites par l'Empereur dans le but d'avoir des connaissances sur les personnages dont il m'a parlé. Il ajouta que son affection pour l'Italie n'allait pas certes à vouloir injluencer le Roi, dans le choix des hommes qu'il croyait utile d'appeler au pouvoir. Je crois devoir vous signaler cette dernière phrase car je ne voudrais pas qu'il entrat dans votre esprit la pensée que la douleur qui m'accablait, ait pu un seui instant me faire oublier aux yeux de l'Empereur la dignité du Roi et l'indépendance de notre pays. L'Empereur me congédia en me disant d'attendre qu'il m'aurait fait de nouveau appeler et que nous aurions causé avec M. Thouvenel.

Au bout d'une heure on me fit entrer dans le Cabinet de l'Empereur et là

S. M. me renouvela, en présence de M. Thouvenel, les memes demandes qu'il m'avait faites avant, en me répetant les memes assurances.

Ici M. Thouvenel fit sentir à l'Empereur la nécessité d'empecher promptement que les ennemis de l'ltalie puissent croire à un changement de la politique de la France. L'Empereur adhère à ce que la note en réponse à la note collective de l'Espagne et de l'Autriche, sur la question de Rome fiìt envoyée au plus tòt.

S. M. dit à M. Thouvenel de lui donner lecture de cette note dont je connaissa'is déjà le sens et j'ai pu m'aperçevoir que la phrase où l'on exprimait l'intention de reconnaitre le royaume d'ltalie, avait été remplacée par une autre bien plus accentuée et explicite.

L'Empereur m'a beaucoup parlé du Roi et de l'Italie du Midi, me demandant des détails sur M. de S. Martino. Il parla du Général la Rovere et M. Thouvenel dit qu'il voyait avec une très grande satisfaction qu'il réussissait parfaitement en Sicile.

Je me permets ici de vous faire observer, M. le Ministre, que c'est là un objet de l'attention speciale du Gouvernement français. M. Thouvenel personnellement tient à ce que ce pays soit bien gouverné et dirigé par un homme dont le Roi et l'Italie puissent etre parfaitement siìrs soit comme capacité, soit comme dévouement. Au moment où ces idées ont été exprimées je ne connaissais pas encore que le général de la Rovere fiìt en vue pour entrer au Ministère. Maintenant je crois que le sens des paroles prononcèes par M. Thouvenel en presence de l'Empereur, est, qu'on regretterait beaucoup ic'i qu'on fùt obligé de rappeler le Général de la Rovere de Sicile.

L'entretien fiìt très long. Je me borne pour le moment à vous donner par cette lettre les points saillants de cette conversation, et me réserve de vous en donner les détails interessants de vive voix à ma première entrevue avec vous; puisque je sais que l'Empereur aussi bien que M. Thouvenel désirent que j'aille faire une course à Turin à peine le Ministère sera constitué.

L'Empereur exprima a M. Thouvenel son intention que la note à l'Autriche et à l'Espagne fiìt envoyée le jour meme avec la date du jour de la mort de

M. de Cavour.

Sa Majesté fit servir au Ministre des Affaires Etrangères et à moi le déjeuné dans sa chambre, d'où il sortit à l'entrée de l'Impératrice qu'i resta, dit-elle, nous tenir compagnie.

Le respectueux attachement que je porte à l'Empereur m'empèche de vous signaler sa conversation. Qu'il suffise de vous dire, M. le Ministre, que M. Thou\tenel n'en revenait pas.

Dans le trajet de Fontainebleau à Paris, le Ministre et moi nous entràmes dans tous les détails sur ce qu'il y avait à faire. Il reconnut d'abord qu'il était

possible de laisser à Turin M. de Rayneval et me dit avoir expr'imé à l'Empereur son intention d'envoyer en mission temporaire jusqu'à la reconnaissance M. Benedetti qui est tout-à-fa'it dans nos idées. Je fis observer à M. Thouvenel que ce choix qui n'aurait pu etre meilleur pour nous, avait un inconvénient sérieux, auquel il fallait songer.

M. Benedetti a été celui qui signa à Turin la traité de Nice et de la Savoie. Son arrivée à Turin ne manquerait pas de donner de la consistance aux mensonges de Mazzini, sur la cession de la Sardaigne.

3 heures.

J'ai vu M. Thouvenel, qui a adressé un long mémoire à l'Empereur pour l'engager à reconnaitre immédiatement le royaume d'Italie. Le Ministre luimeme m'a lu ce mémoire fait par Benedetti dans un sens beaucoup plus énergique, que le ministre a cru devo'ir mitiger. Benedetti, qui tient à son reuvre, m'a lu à son tour l'originai qui servait beaucoup mieux nos intérets. A la suite

M. Thouvenel m'a lu le projet de note qu'on se proposerait d'envoyer à Turin pour motiver la reconnaissance. Il y est clairement exprimé que le gouvernement français reconnaissant l'Italie n'entend pas rétirer ses troupes de Rome et qu'elles y resteront jusqu'à ce que le gouvernement du Roi donnerait au Pape les garanties de sureté suffisantes, ou bien il se mettrait d'accord avec le S. Père lui meme pour un arrangement entr'eux. Quant à la Vénétie, on reproduirait les memes déclarations qui on été faites par l'Empereur avant l'entrevue de Varsovie. Vous trouverez ces déclarations dans le dernier recueil de documents diplomatiques publié par le gouvernement français. L'intention de M. Thouvenel à laisser ses troupes à Rome jusqu'à la mort du Pape que de nouvelles lettres de Rome assurent ne pas pouvoir vivre longtems. Ayant les troupes françaises sur le lieu on pourrait agir plus énergiquement sur le Conclave, car on pourrait leur dire, «si vous n'élisez pas un Pape qui nous convienne, l'armée française se retirera de suite ». Il va sans dire qu'on s'entendrait avec le gouvernement du Roi pour proposer la candidature d'un pontife favorable aux idées nouvelles.

J'attends la réponse au télégramme que je vous ai envoyé tout-à-l'heure pour savoir si cet arrangement serait accepté par le Roi, et par le Baron Ricasoli, qui avait déjà donné son appui au projet que j'ai porté à Turin. MM. Persigny et Rouher ont tous les deux appuyé par des lettres séparées à l'Empereur. Quant-à-moi je n'ose en faire parler à S. M. ignorant les intentions du gouvernement du Roi.

Le Ministre des Affaires Etrangères désire que je me rends à Turin aussitòt le nouveau Cabinet constitué. Cette course de quelques heures sera indispensable pour continuer l'accord intime entre les deux gouvernements.

L'Empereur m'a rem'is la demande du Prince de Capoue, pour la restitution de ses biens particuliers. J'avais déjà entretenu le Comte de Cavour de cette affaire, je porterai cette pièce moi meme à Turin, et vous donnerai toutes les explications à ce sujet.

L'Impératrice insiste plus que jamais pour qu'on évacue le palais de la Duchesse de Bivona à Naples. Veuillez, je vous en prie, adhérer à ce desir et òter au plus tòt ce pretexte de mauvaise humeur.

Je confie cette lettre au Docteur Pantaleoni et je vous prie de vouloir bien faire remettre la lettre ci-jo'inte pour Castelli.

M. Thouvenel voit plus que jamais le nécessité d'avoir ici M. Nigra.

137

IL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI, AL CONTE VIMERCATI

T. 369. Torino, 11 giugno 1861.

Je viens de voir Ricasoli. Il accepte la séparation des deux questions. La reconnaissance immédiate est la grande affaire sur la quelle il faut concentrer maintenant tous !es efforts. Le renouvellement des protestations contenues dans l'article premier du Memorandum auquel vous faites allusion, ne change en rien la position. La question romaine serait laissée de còté pour le moment; cela n'empecherait pas de la reprendre en sous-ceuvre plus tard. La reconnaissance serait meme un acheminement à des négociations ultérieures à ce sujet. Remerciez vivement Thouvenel, Persigny et Rouher. Les nouvelles de Naples et de Sicile constatent une amélioration sensible dans la sureté publique et dans l'opinion. Je reste au Ministère de l'Intérieur.

138

IL CONTE VIMERCATI AL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI

(Ed. in Q. R., II, 514)

T. 549. Parigi, 11 giugno 1861, ore 19,55 (per. ore 22,10).

L'Empereur n'a pas encore répondu aux lettres des Ministres sur la reconnaissance. Le Conseil des Ministres qui devait avoir lieu demain a été différé à Vendredi. Nos ennemis travaillent avec acharnement pour empecher la reconnaissance; ce n'est plus la question italienne qui est maintenant en jeu ici, mais la lutte entre le nouveau et le vieux parti auquel l'Empereur ne peut appartenir. La difficulté est seulement de l'amener à la reconnaissance avant la clòture des Chambres. Une personne va demain à Fontainebleau pour travailler dans notre sens. Persigny fera de meme. Je retarde mon voyage à Turin à moins que l'Empereur ou Thouvenel m'engage à le hater; je ne crois pas convenable d'abandonner le champ à nos ennemis. Demandez au Roi et à Ricasoli si je dois continuer mon ceuvre. La mission que je remplis ici exige toute confiance; il faut donc que je sache si je jouis de celle des nouveaux Ministres. Répondez par télégraphe. Dumas est à Naples.

139

IL MINISTRO DELL'INTERNO, REGGENTE GLI ESTERI, MINGHETTI, AL CONTE VIMERCATI

(Ed. in Q. R., II, 515)

T. 391. Torino, 12 giugno 1861.

Soyez parfaitement sur que vous avez la confìance entière du Gouvernement. Continuez vos efforts.

140

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 551. Parigi, 13 giugno 1861, ore 0,35 (per. ore 2,10).

L'Empereur est décidé à nous reconnaitre immédiatement pourvu que le Gouvernement du Roi promette simplement de respecter le territoire actuel du St. Père et ne demande point au Gouvernement Français engagement de rappeler ses troupes de Rome. Thouvenel me dit qu'en mettant ces conditions l'Empereur obéit à une nécessité absolue de prévoyance vis-à-vis de l'immense opposition que rencontre ici la reconnaissance. C'est un énorme succès d'avoir amené" S. M. I. à ce point. Répondez par télégraphe, car S. M. I. désire une réponse immédiate. Ce soir détails par courrier. Dites à Minghetti que la maladie du Prince Murat n'a rien d'alarmant.

141

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 552. Parigi, 13 giugno 1861, ore 14,45 (per. ore 15,10).

Je viens de chez le Ministre des Affaires Etrangères où j'ai été pour connaitre l'étendue qu'il donnait à la phrase de sa lettre d'hier: « si votre Gouvernement promet de respecter le territoire actuel du St. Père et de s'abstenir de demander le rappel de nos troupes ». Suivant Thouvenel ceci n'infirmerait en rien la solution avenir de la question Romaine, et son opinion personnelle est que dans quelques mois, quand l'Empereur se sera convaincu de la solidité du Gouvernement et aura vu que les difficultés auront diminuées en Italie, on devra donner suite au Traité projeté qui permette à la France de rappeler ses troupes. La question de la reconnaissance soulève ici de toute part tant d'opposition que l'Empereur est forcé d'employer, pour le moment du moins, certains ménagements. Je n'envoie pas de courrier ce soir parce que Thouvenel désire qu'après qu'il aura vu l'Empereur demain, je me rende moi-meme à Turin pour m'éxpli· quer avec V. E. sur toutes les questions.

142

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI,

AL CONTE VIMERCATI

(Ed. in Q. R., II, 516)

T. 374. Torino, 13 giugno 1861, ore 18,10 (pe1-. ore 20,40).

Le Gouvernement du Roi est loin de penser qu'il soit utile à la cause italienne d'attaquer le territoire actuel du St. Père. Il accepte par conséquent la condition de respecter ce territoire. Etant convaincu que la nécessité de rap· peler les troupes de Rome se fera sentir chaque jour plus vivement, il n'insiste pas auprès de l'Empereur dans ce but, tout en se reservant de faciliter l'exécution de cette mesure lorsque l'Empereur croira le moment venu de l'adopter. Nous attendons donc avec confiance que le Gouvernement Français nous reconnaisse immédiatement.

143

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 553. Parigi, 13 giugno 1861, ore 18,12 (per. ore 20,40).

J'attends avec impatience votre réponse au sujet de la reconnaissance. Demain il y a Conse'il des Ministres à Fontainebleau; Thouvenel part d'ici à 8 heures et il voudrait pouvoir dire quelque chose à S. M. I. Il ne s'agit plus de faire un Traité qui devrait etre soumis aux Chambres auparavant, mais de la simple assurance d'observer les deux conditions demandées. Mon devoir est de faire connaitre à V. E. que toute la diplomatie ed 1es Corps de l'Etat tàchent du moins de détourner l'Empereur de toute idée de reconnaissance.

144

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONTE VIMERCATI

(Ed. in Q. R., II, 517)

T. 375. Torino, 13 giugno 1861, ore 21,30.

Retenez que soit à l'extérieur, soit à l'intérieur le Gouvernement du Roi suivra les déclarations qu'il a fait hier à la Chambre. Il sera inflexible autant que calme et prudent; il montrera une solidité qui devra apparaitre d'autant plus étonnante que les amis, sans le vouloir, retardant à nous reconnaitre, flattent et encouragent les mauvaises passions des ennemis de l'Italie, qui le "lont aussi de l'Empereur. Nous résisterons pourtant à tous, j'en ai foi!

145

IL CONTE VIMERCATI

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 554. Parigi, 14 giugno 1861, ore 14,05 (per. ore 15,30).

Ce matin avant de partir pour Fontainebleau, Thouvenel m'a écrit que, vu les dispositions contenues dans votre première dépeche chiffrée d'hier il a la ferme conviction de tout terminer avec l'Empereur. S. E. pour hater la reconnaissance m'engage à demander l'autorisation de remettre la lettre du Roi que j'ai ici. V. E. en a copie et verra qu'elle peut servir pour la combinaison actuelle aussi bien que pour la précédente. Thouvenel croit que S. M. I. verrait avec plaisir que je me rende à Turin demain pour vous expliquer de vive voix les raisons pour lesquelles, malgré ses véritables sympathies, est obligé de ménager les partis qui sont ses ennemis comme les notres, ce qui fait qu'on doive sacrifier les apparences pour sauver la réalité. Je ferai mon profit de votre dépeche télégraphique d'hier au soir. Seui votre fermeté à soutenir l'idée nationale et les ménagements dans les formes peuvent nous conduire au but de tout creur italien. Veuillez bien me dire si je dois adhérer au désir de l'Empereur et de Thouvenel que je fasse une course à Turin.

146

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONTE VIMERCATI

(Ed. in Q. R., II, 518)

T. 376. Torino, 14 giugno 1861, ore 23.

Vous etes autorisé à montrer la lettre et venir à Turin.

147

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 336. Berlino, 14 giugno 1861.

Monsieur... (l) dont j'ai reçu la visite hier, m'a donné les détails suivants sur les dispositions du Roi de Prusse à notre endroit. Il se trouvait au Palais précisément lorqu'est arrivée la nouvelle si imprévue de la mort de M. le Comte de Cavour. Sa Majesté s'est exprimée de la manière la plus convenable sur l'immense perte que nous avions faite d'un homme d'Etat dont Elle appréciait pleine

talès, Ministre de Prusse à Paris, qui retourne aujourd'hui à son poste après avoir eu un entretien avec le Roi qui lui accorde beaucoup de confìance •·

ment le haut mérite. Il résulte de différentes conversations que Monsieur... a eues avec son Souverain, que ses sentiments ne nous sont aucunement hostiles. Il y a meme une amélioration sensible qui s'est opérée graduellement dans son esprit depuis quelques mois. Ainsi il convient d'avoir agi sagement en résistant aux suggestions de rappeler son représentant près notre Cour. Il y a plus. Il commence à comprendre que le projet si souvent mis sur le tapis d'une confédération italienne, ne pourrait se réaliser que sous des conditions aléatoires, et que dès lors l'unitarisme serait préférable. Mais ses scrupules légitimistes le font hésiter à se prononcer dans un sens qui équivaudrait au coup de grace pour les dynasties déchues. La Cour de Prusse veut d'ailleurs, par une prudente réserve, éviter de rompre en visière avec le midi de l'Allemagne où les gouvernements, et meme une partie assez considérable de la population, blament notre politique dans le but de se rendre agréables à l'Autriche.

Guillaume I, satisfait de son attitude expectante à notre égard et s'exagérant peut-etre le service rendu en nous laissant M. le Comte de Brassier de St. Simon, voudrait qu'à notre tour, lui sachant gré de sa conduite, nous ne cherchassions pas à peser sur ses déterminations pour une reconnaissance officielle, après meme que la France s'y sera décidée. Monsieur... ajoutait: «Vouloir exercer en ce moment une pression à cet effet, vouloir nous soumettre à une forte épreuve, ce serait une maladresse. Comptez plutOt sur le bénéfice du temps. Moi-meme je ne perdrai pas de vue cette question, et, sans rien brusquer, je préparerai le terrain ».

V. E. voit, d'après ces indications, que si le Roi Guillaume n'est pas encore entièrement converti à notre cause, il y a chez lui progrès réel. Et je suis assez de l'avis de Monsieur... qu'il vaut mieux ne rien précipiter. Quant au Ministère, il ne serait pas faché -le bon sens me porte à le crdire -d'une volteface de

S. M. L'élément libéral gagne à vue d'rei!. Les élections au mois d'octobre constateront ce fait. Or, par une reconnaissance du Royaume d'Italie, il raffermirait sa popularité passablement ébranlée.

La presque unanimité des journaux de ce pays a payé un juste tribut d'éloges et de regrets, à la mémoire de M. le Comte de Cavour. La Gazette Prussienne jusqu'ici s'est tue, de crainte probablement de dire trop ou pas assez. La presse officieuse autrichienne a eu de moins le courage de son opinion. V. E. aura remarqué cette phrase de la Donau Zeitung, organe ministériel: « Le Comte de Cavour succombe dans un moment où sa mort devient plus dangereuse que ne l'eut été sa vie». Le Comte Karoly, Envoyé d'Autriche déclarait, le 6 Juin, au Baron de Schleinitz, que cet événement était une grande calamité. Le meme jour, il aurait été plus explicite vis-à-vis de M. de Mohrenheim, le Chargé d'Affaires de Russie en l'absence du Baron de Budberg. « M. de Cavour -disait-il aurait diì mourir trois mois plus tard, laps de temps encore nécessaire pour régler nos questions intérieures ».

Ce propos, si tant est qu'il ait été tenu, serait assez significatif; mais je doute presque de son authent'icité, car M. de Mohrenheim est un peu hableur de sa nature; d'ailleurs, à la date du 6, ce ne pouvait etre qu'une appréciation tout à fait individuelle, et dont la responsabilité par conséquent ne saurait remonter jusque au Cabinet de Vienne. Il n'est pas moins vrai que si celui-ci pleure ce sont des larmes de crocodile.

(l) Il nome che manca è rivelato dal seguente annesso cifrato al rapporto: • Les dét~>Us confìdentiels contenus dans la première partie de cette dépéche proviennent du Comte de Pour

148 IL CONTE VIMERCATI

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 555. Parigi, 15 giugno 1861, ore 10,45 (per. ore 11,10).

Je vous demande l'autorisation de remettre à Thouvenell'original de la lettre autographe du Roi pour etre remise à l'Empereur; cela hatera la reconnaissance. M'y autorisez vous?

149

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONTE VIMERCATI

(Ed. in Q. R., II, 518)

T. 377. Torino, 15 giugno 1861, ore 12.

Je vous autorise a remettre à Thouvenel la lettre du Roi.

150

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 557. Parigi, 15 giugno 1861, ore 13,25 (per. ore 14,30).

Tout est arrangé. Je pars ce soir, précédant d'un jour la note officielle qui vous sera remise par Rayneval, vous annonçant la reconnaissance du Royaume d'Italie. La lutte a encore été très vive. L'Autriche protestera, en accusant la France d'une infraction au Traité de Zurich.

151

IL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, THOUVENEL, ALL'INCARICATO D'AFFARI FRANCESE A TORINO, RAYNEVAL (l)

(Ed. in L. V., l, pp. 1-2 e Ricasoli, VI, pp. 18-19) Parigi, 15 giugno 1861.

Le Roi Victor Emmanuel a adressé à l'Empereur une lettre qui a pour objet de demander à S. M. de le reconnaitre comme Roi d'Italie. L'Empereur a accueilli cette communication avec les sentiments de bienveillance qui l'animent envers l'Italie et S. M. est d'autant plus disposée à en donner un nouveau gage en accé

dant au vreu du Roi, que notre abstention, dans les circonstances actuelles, pourrait faire naitre des conjectures erronées et etre considérée comme l'indice d'une politique qui n'est pas celle du Gouvernement Impérial. Mais, si nous tenons à ne pas laisser à ce sujet de doutes sur nos intentions, il est toutefois des nécessités que nous ne pouvons perdre de vue, et nous devons prendre soin que notre reconnaissance ne soit pas interprétée d'une façon inexacte en Italie ou en Europe.

Le Gouvernement de S. M. n'a caché, en aucune circonstance, son opinion sur les événements qui ont éclaté l'an dernier dans la Péninsule. La reconnaissance de l'état de choses qui en est résulté ne pourrait donc en etre la garantie de meme qu'elle ne saurait impliquer l'approbation rétrospective d'une politique au sujet de laquelle nous nous sommes constamment réservé une entière liberté d'appréciation. Encore moins l'Italie serait elle fondée à y trouver un encouragement à des entreprises de nature à compromettre la paix générale. Notre manière de voir n'a pas changé depuis l'entrevue de Varsovie, où nous avons eu occasion de la faire connaitre à l'Europe comme au Cabinet de Turin. En déclarant alors que nous considérions le principe de non-intervention comme une règle de conduite pour toutes les puissances, nous ajoutions qu'une agression de la part des Italiens n'obtiendrait pas, quelles que pussent en etre les suites, l'approbation du Gouvernement de l'Empereur. Nous sommes restés dans les memes sentiments et nous déclinons d'avance toute solidarité dans des projets dont le Gouvernement Italien aurait seui à assumer les périls et à subir les conséquences.

Le Cabinet de Turin, d'autre part, se rendra compte des devoirs que notre position nous crée envers le Saint-Siège, et je croirais superflu d'ajouter qu'en nouant des rapports officiels avec le Gouvernement Italien nous n'entendrons nullement affaiblir la valeur des protestations formulées par la Cour de Rome contre l'invasion de plusieurs provinces des Etats Pontificaux. Pas plus que nous, le Gouvernement du Roi Victor Emmanuel ne saurait contester la puissance des considérations de toute nature qui se rattachent à la question Romaine et dominent nécessairement nos déterminations et il comprendrai, qu'en reconnaissant le Roi d'Italie, nous devons continuer d'occuper Rome tant que des garanties suffisantes ne couvriront pas les intérets qui nous y ont amenés.

Les Gouvernement de l'Empereur a jugé nécessaire d'entrer, en un pareil moment, dans les explications les plus franches avec le Cabinet de Turin. Nous avons la confiance qu'il en appréciera le caractère et l'objet.

Vous voudrez bien, Monsieur, donner lecture et remettre copie de cette dépeche à M. le baron Ricasoli.

(l) Comunicato a Ricasoli il 20 giugno 1861.

152

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. 48, n. 34, orig. outogr.)

L. P. l. Londra, 17 giugno 1861.

Permetta a chi è probabilmente quasi uno sconosciuto per lei di offrirle l'espressione sincera di gran soddisfazione che provai quand'ebbi la nuova della

accettazione dell'alto impiego a cui ella venne chiamato dal Re ed acclamato

dalla Nazione come l'uomo di Stato il più atto a condurre a termine la grande

impresa del movimento italiano. D'onde venga questa confidenza degli Italiani.

in lei si trova additato dalla storia delle ora scorse vicende. Ed in questi gravi

momenti, che ancora dovremo traversare, senno e fermezza ci vuole. E queste

qualità la Nazione le riconobbe in lei.

Io perdo nel Conte di Cavour il migliore dei superiori ed un Capo che

mai mi fece sentire parola severa o di rimprovero, ma che anzi, con un'amo

revolezza ed indulgenza al di là dei miei meriti sempre, per dir così, pensò ad

antivenire a qualunque domanda avessi potuto dirigergli. Ed era tale la mia

fiducia in lui che per conseguenza naturale ne venne che io me ne rimettessi

a lui per qualunque cosa riguardasse la legazione o la mia posizione nella

carriera, !imitandomi puramente ad accennare quanto mi sembrasse opportuno,

senza mai nulla chiedere direttamente. E questo sistema ella mi permetterà,

~ignor Barone, di continuarlo anche con lei. Non mancherà chi le dirigerà

domande e petizioni. Sarà dunque un sollievo il pensare che dalla Legazione

in Londra, finchè vi rimarrò, nulla ha a temere a questo riguardo. La sola

eccezione a questa regola sarebbe più apparente che vera, poichè la sola cosa

che fino ad un certo punto le domanderei sarebbe di dest'ituirmi. Almeno in

certe date circostanze che non sarà forse inutile di spiegare.

Coll'ammasso d'occupazioni che ella deve avere non può essere che con

gran esitanza che io mi permetterò di pregarla di dar qualche momento di

attenzione alle mie circostanze individuali, benchè in relazione col posto che

mi trovo occupare in Londra. Ma è forse indispensabile ad un capo di cono

scere il carattere dei suoi subordinati.

Mi sia lecito, prima di tutto, dirle che chiedo permesso d'indirizzarmi a

lei, come ad un amico di mio zio Massimo, cioè schiettamente e in tutta

confidenza.

Sia difetto o virtù io mi trovo frequentemente sotto al peso di una gran diffidenza di me stesso e quindi ne venne (e devo talvolta ridere di me stesso) che in varie circostanze pregai il Conte Cavour di esaminare ben bene se non sarebbe stato meglio mandar un altro Ministro a Londra. Queste istanze le feci a voce e le feci per iscritto. Le feci quando all'occasione della cattura del Cagliari ebbi un dissidio col Ministero Tory. Le feci quando, fatte le annessioni, non era più rappresentato il Piemonte, ma l'Italia intiera. Cito questo . perchè me ne ricordo. Tralascio le altre. Colla solita sua bontà Cavour mi confortò ed incoraggì a continuare. Ma se le sue idee, signor Barone, menomamente non si combinassero con le mie, o se per caso, benchè avendo confidenza in me, credesse d'averne maggiormente in quelchedun altro, la prego caldamente a non lasciarsi fermare da nessuna considerazione personale a mio riguardo. Egli è evidente che pei posti soprattutto di Parigi e di Londra, ella deve avere persone che le ispirino confidenza eccezionale. Ed anche a merito pari, è naturale che si preferisca chi da lungo tempo si è conosciuto. Si accerti che parlandole così io non fo frasi, ma le dico francamente che chiunque ella mandasse sarebbe sicuro d'avere, per parte mia, qualunque maggiore assistenza fosse in mio potere di dargli. Mi pare che sia un dovere per ogni cittadino di

servire il paese secondo i mezzi che Domineddio gli ha concessi. Ma avendo

12 -Documenti diplomatici -Serie I-Vol. I

ora servito, bene o male, come diplomatico, per 23 anni, non ho nissuna difficoltà a far posto agli altri, ed anzi mi sembrerebbe da desiderarsi un'epoca di riposo. Non essendo una carriera come una moglie, ho sempre gelosamente cercato di tenermi perfettamente indipendente da essa e di così combinare i casi miei che in nulla dovessi dipendere dai pubblici impieghi. Ond'è che mi sono avvezzato a vivere per dir così con un piè nella staffa per andarmene nel)(cl vita privata appena ne avessi avuta la menoma ragione plausibile. Questo modo di vedere le proverà che non solo non mi lagnerei se fossi rimpiazzato, ma lo stimerei cosa sì giusta da proporla io per il primo. Questa dunque è questione da esaminarsi sotto un triplice aspetto. Sul giudizio che ella ne porta. Sul modo relativo a me e che ora ho avuto l'onore di esporle; e in terzo luogo in relazione alla legazione ed agli affari. Questi non possono realmente farsi bene se non si ha la coscienza di possedere intera la confidenza dei superiori. Una legazione, soprattutto nelle circostanze imminenti, richiedendo un importante stabilimento e spese ingenti ond'essere al caso di rappresentare un gran paese, non può farsi questo se non da chi ha garanzie di stabilità. Per esempio, in questi mesi, prima dell'Esposizione del '62, dovrà il Ministro di S. M. mutar casa, non essendo l'attuale importante abbastanza. Dovranno provvedersi argenterie ed altre suppellettili atte a quella rappresentanza da prevedersi quando tanti Italiani visiteranno l'Esposizione l'anno venturo e fors'anche principi della famiglia reale. Nascono qui altri quesiti di primaria importanza e di cui la soluzione dipende forse più da circostanze ancora dubbie, ma che sarebbe indispensabile veder

decise quanto prima.

Intendo dire se la Legazione italiana in Londra, se un'Ambasciata venisse stabilita a Parigi, non diverrebbe AmbasCiata essa pure?

Credo qui poter rimarcare che essendo, penso, intenzione nostra asserire in faccia ai Gabinetti europei una posizione effettiva di potenza di primo ordine, se noi medesimi ammettiamo pei nostri rappresentanti una posizione secondaria, faremo precisamente gli affari di quelle potenze che amerebbero cacciarci in seconda linea.

L'Inghilterra stessa sentì talmente in quel modo, che si determinò un anno fa a stabilire un ambasciatore a Vienna, non volendo accettare una posizione seconda a nissuno. Qui a Londra abbiamo ambascierie di Francia, Russia, Austria e perfino Turchia.

Il Governo del Re vedrà dunque cosa penserà bene di fare. Non predico per me, perchè, siccome Ella vede, non cerco nemmeno di conservarmi come Ministro, e, se vi fosse intenzione di rimpiazzarmi, la nomina di un ambasciatore ne darebbe forse addizionalmente un motivo plausibile. Ma naturalmente, anche in questo caso, mi parrebbe giusto che mi si dicesse francamente quali sieno le intenzioni del Governo del Re. Stabilita che siasi la questione principale, chiederei permesso all'E. V. di scriverle quelle idee che mi sembrerebbero indicate per la parte finanziaria.

Il Conte di Cavour stimò opportuno, col principiare del '61, di aumentare

lo stipendio mio portandolo in complesso a centomila franchi. Benchè dovessi

quest'aumento ad un atto suo spontaneo, non credetti dovergli celare che si

doveva, oltre ad un'abitazione più vasta, dar dei pranzi, che non bastava.

Temendo che non mi s'accusi d'avarizia, m'affretto ad aggiungere che per me non insisterò mai sulla quistione finanziaria, essendo deciso a far sempre in proporzione di quanto mi si fisserà. Non fo dunque suggerimenti, ma osservazioni. Se poi fosse nelle intenzioni di V. E. che io rimanga come Regio Rappresentante in Londra, mi permetta che io le scriva sempre siccome ho fatto sempre con i miei superiori e come Ella scriverebbe a me: schiettamente e senza restrizioni.

Col Conte di Cavour la parte più importante e segreta degli affari diplomatici si faceva per mezzo di lettere particolari. È lecito in queste entrare in certi particolari minuti e direi quasi intimi che sembrerebbero mancare di gravità in una redazione ufficiale. Anzi generalmente davo in un dispaccio un sunto officiale della mia corrispondenza privata, onde al caso si potesse far vedere ai deputati. Se V. E. lo crederà bene, si continuerà nell'istessa guisa.

Qualunque cosa fosse per succedere a questo mio riguardo, avrei sempre la coscienza d'avere, in questi tredici anni che fui a Londra, contribuito a collocare la legazione del Re in una posizione eccezionale, non escluse quelle delle grandi potenze. Credo che nissuno mi potrà accusare di presunzione se la dico la più popolare e la più stimata.

Veramente deggio vergognarmi delle dimensioni che ha preso questo mio scritto. Gran fortuna è la mia di trovarmi in relazione diretta con un illustre cittadino che da tanfi anni ho conosciuto qual uno dei più chiari ingegni di Italia. E questo sia la mia scusa. E sarà mia gran ventura se da lei la mia collaborazione non verrà giudicata del tutto inutile. Scrissi col cuor sulla mano perchè sapevo a chi scrivevo.

153

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. 48, n. 35, orig. autogr.)

L. P. 2. Londra, 17 giugno 1861.

Lo stato delle relazioni tra l'Italia e l'Inghilterra essendo qual può bra

marsi ed essendo i Parlamenti nei due paesi occupati essenzialmente di legi

slazione locale, temo la mia corrispondenza non sia per riuscire in questo

momento poco interessante.

La ricognizione del Regno Italico per parte della Francia pare abbia, forse,

preso gli uomini politici di questo paese un po' per sorpresa. Almeno, temen

dosi che la morte del Conte di Cavour non avesse avuto per risultato di dar

forza a quel partito che avvicina l'Imperatore ed avversa l'Italia, si seppe,

'con un po' di sorpresa, che invece quel Sovrano perseverava in altre idee.

Siccome la simpatia che provasi per la causa d'Italia è sincera, così si è favo

revolmente accettato quest'indizio di buone intenzioni. Questo non impedisce

naturalmente che, con l'usata diffidenza riguardo al Governo imperiale, gli

Inglesi non cerchino di indovinare il motivo di questa nuova mossa e sien

pronti a vedervi intenzioni politiche per l'avvenire.

La voce corsa nei giornali francesi di un riavvicinamento dell'Austria e

dell'Inghilterra in presenza delle complicazioni in Oriente, mi è stata sup

posta verosimile. Ma aspetto a parlarne all'E. V. quando avrò riuniti dati più

precisi.

La quistione romana, e soprattutto le riserve che pare siansi fatte a Parigi a questo riguardo nel riconoscere il nuovo Regno, sono oggetto di gran curiosità fra gli uomini politici inglesi, dai quali sono di frequente interrogato. Intanto si è sparsa la voce dell'indisposizione del Papa e credesi che, ove occorresse una vacanza, più facilmente si potrebbe improvvisare una soluzione che permetterebbe al successore d'accettare il fatto compiuto.

Un cattolico liberale inglese, il quale conosce a fondo le opinioni cattoliche in Inghilterra, mi diceva ieri sera essere opinione generale che il clero non potrebbe ricusarsi ad accettare fatti imposti, mentre mai potrebbe dare la sua adesione a quelli che s'i dovessero ancora compiere. Vidi una lettera di Roma, che parlava dei Cardinali come assai sbigottiti dalla morte del Conte di Cavour e dicevano: vivo costui, eravamo sicuri d'escir per la porta, mentre ora potrebbe occorrere che uscissimo dalla finestra.

Lord Palmerston lodò assai, due giorni fa, la prudenza usata dal Conte di Cavour nel non promuovere disturbi popolari a Roma, che avessero dati ai Francesi, per rimanervi, pretesti simili a quelli che egli gli accusa d'aver cercato e sperato in Siria. Ed avendovi dovuto rinunziare, per essere le popolazioni tranquille, essi hanno, dice Lord Palmerston, pensato bene di far le cose da signori.

Ho consultato il Times sull'opportunità di promuovere, coi giornali inglesi, una sottoscrizione al monumento Cavour. Tante furono le sottoscrizioni fatte quest'anno che si pensò preferibile prescinderne. Ma fu parere dei Lords Palmerston e Shaftesbury e di Panizzi di promuovere una sottoscrizione privata di, per es., 50 gran nomi a cinque lire sterline l'una, e quindi poi il giornalismo potrebbe parlarne. Un simile tributo sarebbe quanto, mai onorevole per la memoria del Conte di Cavour.

Avevo pure pensato di far un funerale: ma il mio prete della Legazione pretende che il clero inglese vi metterebbe tutta la cattiva grazia possibile. Intanto si stanno preparando, sull'illustre defunto, due articoli biografici, l'uno pel Quartely e l'altro per L'Edinburgh Review.

154

IL MINISTRO FRANCESE DEGLI INTERNI, PERSIGNY (1), AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 19-21)

L. P. Parigi, 17 giugno 1861.

Je vous remercie de tout mon creur de la confiance si flatteuse que vous me montrez. J'en accepte avec d'autant plus de reconnaissance le témoignage que j'ai la convinction de la mériter en ce qui concerne la pureté de mon intention.

Vous savez déjà que la France reconnait le royaume d'ltalie et qu'ainsl vos observations aussi justes que fondées ont été devancées par l'Empereur. Mais je suis heureux de cette circonstance pour vous faire connaitre aussi nettement que possible notre situation.

L'indépendance de l'Italie a été le seul but de la guerre d'Italie. Ce que la France a voulu ce n'était pas de substituer sa domination à la domination autrichienne, car ce vol aussi impolitique qu'odieux n'aurait abouti qu'à soulever contre nous tous les sentiments d'un peuple généreux et à nous imposer tous les inconvénients de la conquéte sans aucun de ses avantages. Bien loin d'ambitionner l'héritage de l'Autriche en ltalie, et en dehors de toute considération morale, nous ne pouvions rien désirer plus ardemment que la formation en Italie d'un grand gouvernement issu comme nous du suffrage universel, et participant des mémes principes et des mémes intentions. L'Italie grande et forte c'est l'annullation de l'Autriche comme puissance agressive et par conséquence de la Sa'inte Alliance elle-méme. Car une fois réduite à l'impuissance les éléments d'une coalition contre la France n'existent plus nulle part. L'indépendance de l'Italie, sans parler des sentiments qu'excite cette grande et noble cause, voilà l'intérét véritable de la France, voilà l'idée claire et nette qui est le principe de tonte notre politique. Mais, malheureusement, à còté de ce grand intérét et de cette grande cause, un autre intérét trouble et embarasse notre politique, car la France se trouve placée entre deux choses qu'elle ne peut sacrifier ni l'une ni l'autre. Comme français et issu de la révolution française l'Empereur est naturellement dévoué à l'indépendance italienne, mais comme catholique, et quelle que soit l'impossibirité des prétres à Rome, il ne peut prendre aux yeux des catholiques de l'Europe l'attitude d'un persécuteur de l'Eglise. Entre ces deux causes qui semblent irréconciliables l'Empereur n'a malheureusement pas la possibilité de ces allures franches et nettes qui d'ordinaire facilitent les solutions; et de là ces accusations injustes et passionées de dublicité de la part de ceux-là mémes qui connaissent le mieux la raison de son attitude. Pour moi, quoique convaincu de l'immense supériorité du parti libéral en France sur ce qu'on appelle le parti catholique, je ne croirais pas devoi:r; conseiller à l'Empereur rien qui put lui donner l'apparence non seulement de persécuter l'Eglise, mais de ne pas faire tout ce qui est en son pouvoir pour protéger le pape.

Voilà, monsieur le Baron, la vérité de la situation. C'est une difficulté grave dont vous étes victime comme nous, et que nous· ne pouvons pas plus supprimer les uns que les autres. Mais si vous comprenez bien cette situation la plus grande partie de la difficulté se trouvera d'avance écartée. Je vous engage donc à n'attacher jamais qu'une importance conventionnelle aux formes, aux réserves, aux formules destinées à ménager l'opinion divisée sur ce grand débat. Confìez-vous à la pensée vraie et pure de l'Empereur qui veut, et veut fortement que l'Italie se constitue dans toute son indépendance. Ne croyez pas surtout à cette fausse appréciation de Lord Palmerston qui semble croire que nous ne restons à Rome que pour garder un pied en Italie. Je professe une haute estime et un sincère attachement pour ce grand homme d'état, mais il se trompe ou il se laisse tromper sur ce point. Le but, le seui but auquel nous tendions avec ardeur c'est de trouver avec vous des combinaisons qui en

assurant l'indépendance spirituelle du Saint-Père, nous autorisent à quitter Rome. Aidez-nous à cette ceuvre que nous désirons autant que vous-mémes, et croyez surtout à la sincérité de l'Empereur.

Je finis, Monsieur le Baron, en vous remerciant de nouveau des preuves de confiance que vous venez de me donner. Laissez-moi vous dire que je serai heureux d'y répondre dans toutes les circostances où vous croirez bon de mettre à l'épreuve mon amour pour la cause de l'Italie, ma respectuese sympathie pour votre Rdi, et la haute et profonde estime que vous m'inspirez.

(l) Sul retroscena dei rapporti diretti tra il Persigny e il Ricasoli, cfr. LYNN M. CASE, Franco-Ita!ian Relations 1860-1865, Philadelphia 1932, pp. 113-114.

155

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 337. Berlino, 18 giugno 1861.

Le Prince de la Tour d'Auvergne m'a communiqué hier matin, avant meme d'en avoir parlé au Baron de Schleinitz, la dépéche (15 juin) adressée par

M. Thouvenel à M. de Rayneval relativement à la reconnaissance du Royaume d'Italie. Il avait reçu également une dépéche confidentielle expliquant les motifs, d'un ordre européen, qui avaient engagé le Cabinet de Tuileries à ne pas différer davantage un acte aussi important.

De plus M. Thouvenel écrivait par cette méme expédition une lettre particulière. En voici quelques passages dont mon collègue de France m'a donné lecture, en me recommandant le secret le plus absolu. « J'ai passé plusieurs nuits blanches. Ce n'est pas sans avoir murement pesé le pour et le contre que j'ai franchi le fossé, en conseillant à l'Empereur une reconnaissance qui nous mettra mieux en mesure d'éxercer une influence modératrice à Turin. J'espère que je n'aurai pas à me repentir. Mais je puis vous assurer en mon ame et conscience, que je n'ai été inspiré que par des pensées conservatrices et pacifiques. La Prusse, en suivant notre exemple, ferait un acte d'un intérét grandement européen; mai si je n'ose y compter j'espère du moins qu'en se plaçant à notre point de vue, elle saura apprécier convenablement notre conduite ».

Dans la soirée j'ai rencontré le Baron de Schleinitz. Un télégramme venait de lui annoncer, sans en préciser la teneur, l'arrivée à Turin de la dépéche précitée du 15 juin. Il ne pouvait donc pas encore en juger la portée. Il lui semblait toutefois que du moment où l'on reconnaissait, les réserves n'étaient guère de mise.

J'aurais pu l'édifier sur ce point, mais j'ai du me taire par égard pour

M. de La Tour d'Auvergne qui m'ava'it demandé le secret. Je me suis borné, en me basant sur l'opinion émise par mon interlocuteur, à exprimer l'espoir que, lorsque la Prusse nous reconnaitrait à son tour, elle le ferait largement, à savoir d'une manière conforme à sa dignité aussi bien qu'à la notre. Il ne s'est pas prononcé, en prétextant, comme fin de non recevoir, que pour la Prusse le moment n'était pas encore venu de prendre une décision.

En attendant il se félicitait d'avoir su résister aux insinuations tendantes à une rupture, car s'il eùt cédé, le Cabinet de Berlin se serait trouvé, comme la Russie, dans une grave embarras pour renouer les rapports diplomatiques.

M. de Schleinitz m'a dit en outre avoir lu une intéressante dépeche sur le premier entretien entre le Comte Brassier et V. E. dont le langage avait été correcte et des plus satisfaisants. Il ne doutait pas que les relations entre nos deux Gouvernements se maintiendraient sur un bon pied, malgré la perte immense que nous avions faite dans la personne de M. le Comte de Cavour. Ce Ministre éminent, par sa note du 29 mai (retrait d'exéquatur), a donné une dernière preuve d'énergie, et, qui plus est, d'habilité en mettant les rieurs de son còté. M. de Schleinitz m'a parlé ensuite dans les termes les plus honorables de V. E. avec laquelle il comptait bien entretenir les meilleurs rapports.

Ce n'est qu'aujourd'hui que le Comte de La Tour d'Auvergne s'est acqu'itté des instructions de son Gouvernement. Il a longuement développé les motifs qui ont provoqué la détermination récente de l'Empereur Napoléon. M. de Schleinitz a fini par convenir que s'il avait été en lieu et piace de M. Thouvenel, aurait probablement donné le meme conseil à son Souverain, et qu'à ses yeux la garantie la plus sùre contre tout désordre était le maintien des troupes françaises à Rome: -(ces derniers mots ne s'accordent pas trop avec son opinion de la veille sur les réserves). Le Ministre de France pour renforcer ses arguments, déclarait qu'une reconnaissance de l'Italie ajouterait tellement les chances à la conservation de la paix générale, que l'Autriche elle meme devrait applaudir à la résolution du Cabinet des Tuileries. M. de Schleinitz ne croyait pas à de semblables dispositions chez une Puissance qui avait espéré sans doute que le bien sortirait du mal. Si elle spécule sur le désordre, ses projets ne sont pas très redoutables; car -soit dit passant -sa position est loin de s'améliorer. Tout récemment le Ministre de Turquie à Vienne interpellait le Comte de Rechberg sur une concentration de troupes (vingt m'ille hommes) vers l'Herzégovine. M. de Rechberg en cherchant à justifier une mesure purement défensive, faisait cet aveu: « Nous devons prendre certaines précautions, lorsque nous ne rencontrons de tous cotés que des adversaires ».

J"e m'abstiens d'ajouter des commentaires sur la dépeche française du 15 juin. Que les réserves soient sérieuses ou de pure forme, un grand pas est fait. L'avenir fera le reste. Bien souvent déjà on a cherché à barrer la voie qui mène à l'unité de l'Italie. Le bon sens de nos populations, la fermeté de nos hommes d'Etat, nommément dans l'Italie centrale, après le paix de Villafranca, ont su écarter les obstacles. Le passé est un garant de l'avenir.

156

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, DURANDO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 19. Costantinopoli, 19 giugno 1861

Je n'ai pas cru opportun de répliquer par écrit à la réponse que la Sublime Porte a faite à la notification officielle de la Constitution du Royaume d'Ital'ie, et dont j'ai transmis à V. E. copie par le dernier courrier (1). Toutefois, cornme vous avez du le remarquer, cette réponse conçue en termes très courtois allègue certaines raisons spéciales qui l'empechent, dit-elle, de reconnaìtre immédiatement le nouveau Royaume, tandis que les déclarations verbales antérieures semblaient au contraire tout à fait favorables. J'ai du demander à Aali Pacha quelques explications à cet égard. Je fus assez étonné d'entendre de sa bouche que ce retard était causé par suite des informations puisées à bonne source concernant un pian élaboré par feu le Comte Cavour relativement au rachat de la Vénétie, lequel se serait effectué par le moyen d'une cession de quelques provinces turques (Croatie-Bosnie et Herzégovine) à l'Autriche avec une indennité pécuniaire à la Porte. Je ne crois pas en vérité que ce soit là la véritable raison, mais bien un simple prétexte, pour colorer un refus dans le but de gagner du tems et attendre que d'autres puissances, notamment la France, ait formellement reconnu le Roi d'Italie. J'ai meme quelque soupçon que ce revirement de la Porte ne soit du à la malveillante influence de quelques représentants de certaines Puissances, avec lesquels je me trouve en conflit depuis cette malencontreuse affaire des armes. Le Marquis de Lavalette non seulement n'a point fait d'opposition, mais j'ai la certitude qu'il a pris lui mème l'initiative de ses bons offices, bien que je ne pouvais pas le presser trop à cet égard par la raison bien évidente que la France elle mème n'avait pas encore jugé opportun de nous reconnaìtre.

Vous comprenez, Monsieur le Baron, que je ne pouvais pas entrer en discus-· sion avec Aali Pacha sur le mérite de ce pian qu'il attribue gratuitement au Comte Cavour, ni l'admettre, ni le réfuter. Je me bornai donc à lui déclarer que, si un tel plan avait été élaboré, ou produit d'une manière sérieuse, le Comte Cavour, avant de lui donner suite, n'ignorant pas que personne mieux que moi n'était en position de lui donner des renseignements sur la possibilité de son exécution, en ce qui touche le consentement de la Porte, m'aurait interpellé officieusement et confidentiellement. Or, je le déclarai formellement à Aal'i Pacha, M. de Cavour ne m'a pas jamais, et sous aucune forme, directement ou indirectement, laissé entrevoir un pareil projet, et que j'étais donc parfaitement en droit de supposer, que l'existence de ce pian attribué au Comte Cavour était une insinuation de quelques Puissances qui ne demanderait pas mieux de nous brouiller avec tout le monde pour éluder ou empècher la reconnaissance du Royaume d'Italie.

Le Ministre Ottoman m'a paru satisfait et me promit d'en parler au Conseil, afin d'accélérer l'acceptation du titre de Roi d'ltalie, et de faire disparaìtre les mauvaises impressions (2).

Après ces explications j'eus avec Aali Pacha une séance très longue au sujet du Traité de Commerce, que je lui avais présenté et qui n'est autre chose que

l'amalgame de deux Traités français et anglais, qui ont été dernièrement conclus avec la Porte. Il va sans dire que tout le texte du projet e:-:t conçu par le Royaume d'Italie et pas autrement; y compris les Etats qui ont été dernièrement annexés. Nous nous sommes à peu près entendus sur toutes les dispositions, exceptés quelques détails de peu d'importance.

(l) -La nota turca dell'H giugno, trasmessa dal Durando a Torino con rapporto 12 giugno 1861, n. 18, fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, 27 luglio 1861, n. 182. (2) -Nelle istruzioni confidenziali date dal Cavour al Cerruti per la missione in Oriente (18 settembre 1860), gli si prescriveva di raccogliere informazioni sulla Bosnia, l'Erzegovina, il Montenegro e la Bulgaria, avvertendo che queste indagini erano • necessarie per decidere se abbia a favorirsi in quei Paesi la formazione di Stati cristiani indipendenti, o se, come fu proposto spesso dai pubblicisti, convenga cercare di compensare l'Austria della perdita del Veneto coll'accordarle le provincie turche sino al golfo di Salonicco ». Cfr. anche C. DuRANDO, Episodi diplomatici, Op. cit., p. 127, in nota.
157

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO

(Ed. in L. V., l, pp. 3-5)

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 21 giugno 1861.

Le Chargé des Affaires de France est venu me donner communication de la dépèche dont vous trouverez ci-joint une copie.

Dans cette dépèche S. E. le Ministre des Affaires Etrangères de l'Empereur déclare que S. M. l. est prete à nous donner un nouveau gage de ses sentiments de bienveillance en reconnaissant le Royaume d'Italie. Il ajoute toutefois que cet acte aurait surtout pour but d'empècher des conjectures erronées et qu'il ne saurait impliquer l'approbation rétrospective d'une politique au sujet de laquelle le Gouvernement de S. M. I. s'est constamment réservé une entière liberté d'appréciation. Encore moins serions nous fondés d'après cette dépèche à voir dans la reconnaissance de la France un encouragement à des entreprises de nature à compromettre la paix générale. Rappelant les déclarations du Gouvernement Français à l'époque de l'entrevue de Varsovie, M. Thouvenel répète qu''il continue à regarder le principe de non-intervention comme une règle de conduite pour toutes les puissances, mais il déclare que le Cabinet des Tuileries déclinerait d'avance toute responsabilité dans des projets d'agression dont nous aurions à assumer les périls et à subir les conséquences.

Passant ensuite à expliquer la position de la France vis-à-vis de la Cour de Rome, M. Thouvenel rappelle que des puissantes considérations obligent le Gouvernement Impérial à continuer d'occuper Rome, tant que des garanties suffisantes ne couvriront pas les intérèts religieux que l'Empereur a justement a creur de protéger, et il exprime la confiance que le Gouvernement du Roi saura apprécier le caractère et l'objet de ces franches explications.

Avant de vous faire connaitre ma manière de voir sur les considérations développées dans la dépèche de M. Thouvenel, je dois vous prier, Monsieur le Comte, d'esprimer à M. le Ministre des Affaires Etrangères ma vive et profonde gratitude ·pour la précieuse marque de sympatie que l'Empereur est disposé à donner à notre cause nationale en reconnaissant le Royaume d'Italie.

Cet acte revèt dans les circonstances actuelles une valeur toute particulière, et les Italiens seront profondément touchés en voyant que S. M. l. bien qu'Elle n'ait pas modifiée son jugement sur les événements qui se sont passés l'an dernier dans la péninsule, est disposée à donner à l'Italie, encore attristée d'un grand deuil national, une preuve si éclatante de sa haute et généreuse bienveillance.

En vous priant d'etre l'organe de ces sentiments auprès du Gouvernement de l'Empereur, je ne fais que suivre l'exemple du grand citoyen dont nous pleurons la mort. J'apprécie comme lui à sa valeur la franchise avec laquelle le Gouvernement Impérial a bien voulu nous faire connaitre sa manière de voir sur les événements qui pourraient surven'ir en Italie. Je ne saurais mieux répondre à cette preuve de confiance qu'en exprimant avec une égale franchise et sans aucune réticence toute ma pensée.

Chargé par la confiance du Roi de remplacer le Comte de Cavour à la Présidence du Conseil et dans la direction de la politique extérieure, j'ai trouvé mon programme tracé d'avance dans les votes récents que les deux Chambre du Parlement ont eu l'occasion d'émettre sur les questions les plus importantes pour l'avenir de l'Italie.

Après de longs et mémorables débats le Parlement, tout en affirmant d'une manière solennelle le droit de la nation à se constituer dans sa complète unité, a exprimé l'espoir que les progrès que la cause de l'Italie fait chaque jour dans la conscience publique améneraient peu à peu et sans secousse la solution si ardemment souhaitée par les Italiens.

Cette confiance dans la justice de notre cause, dans la sagesse des Gouvernements Européens ainsi que dans l'appui chaque jour plus puissant de l'opinion publique, que le Comte de Cavour exprimait avec tant d'éloquence peu de temps avant sa mort, a passé tout entière dans l'administration que j'ai l'honneur de présider. Le Roi et ses Ministres sont toujours convaincus que c'est en organisant les forces du pays et en donnant à l'Europe l'exemple d'une marche sage et régulière, que nous réussirons à sauvegarder nos droits sans exposer l'Italie à des agitations stériles et l'Europe à des dangereuses complications.

Vous pouvez donc, Monsieur le Comte, rassurer complètement le Gouvernement de l'Empereur sur nos intentions au sujet de la politique extérieure. Méanmoins les déclarations de M. Thouvenel, relativement à la question romaine, m'obligent à ajouter quelques mots à cet égard.

Vous savez, Monsieur le Comte, de quelle manière cette question est envisagée par le Gouvernement du Roi. Notre vceu est de rendre à l'Italie sa glorieuse Capitale, mais notre intention est de ne rien òter à la grandeur de l'Eglise, à l'indépendance du Chef Auguste de la religion Catholique. Nous aimons par conséquent à espérer que l'Empereur pourra dans quelque temps rappeler ses troupes de Rome sans que cette mesure fasse éprouver aux catholiques sincères des appréhensions que nous serions les premiers à regretter. Les intérets meme de la France, nous en avons la conviction, décideront le Gouvernement Français à prendre cette détermination. Tout en laissant à la haute sagesse de l'Empereur d'apprécier le moment où Rome pourra etre sans danger laissée à elle meme, nous nous ferons toujours un devoir de faciliter cette solution, et nous espérons que le Gouvernement Français ne nous refusera pas ses bons offices pour amener la Cour de Rome à accepter un accord qui serait fertile en conséquences heureuses pour l'avenir de la religion aussi bien que pour le sort de l'Italie.

Veuillez donner lecture et copie de cette dépeche à S. E. le Ministre des Affaires Etrangères.

158

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 563. Parigi, 23 giugno 1861, ore 11,55 (per. ore 14,55).

Il est impossible à Thouvenel de voir l'Empereur avant demain à 2 h.; j'aurai sa réponse demain soir à 8 h. Le Ministre des Affaires Etrangères ne revenant de Fontainebleau qu'à 7 h. j'espère que vous pourrez faire la communication à la Chambre mardi, présentant la Note française et votre réponse, car le Moniteur, en publiant la reconnaissance, fera connaitre les réserves concernant Rome. Thouvenel est content de votre réponse. Une dépeche télégrafique de Costantinople annonce imminente la mort du Sultan qui a fait appeller son frère pour lui recommander sa famille et l'Empire.

159

IL PRESIDENTE DEL COl'JSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONTE VIMERCATI

T. 386. Torino, 24 giugno 1861, ore 21,.'10.

Dites moi SI ]e puis donner aussi commun'ication des pièces comme me faisait espérer votre télégramme d'hier. Le Comte Arese partira vendredi sans attendre la réponse de l'Empereur au Roi qui pourtant ne tardera pas.

160

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 565. Parigi, 24 giugno 1861, ore 23,15 (per. ore 0,15 del 25).

Par suite de vives instances, l'Empereur a pris la détermination qui vous aura été déjà annoncé par une dépeche télégraphique expédiée aujourd'hui à 2 h. à Rayneval. S. M. I. a décidé que les deux notes officielles seront seulement citées au Moniteur. Pressez le départ d'Arese, après quoi l'Empereur enverra une lettre autographe très aimable au Roi.

161

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 23-27)

L. P. l. Torino, 24 giugno 1861.

Ella ha avuto fiducia in me, e mi ha scritto con intimità; cosi ella mi ha reso giustizia, ed io risponderò alla fiducia mostratami.

Ho "indugiato in replicarle perchè le cose sono molte ed in specie in questi primi momenti d'un nuovo ufficio; e neppure tutti i momenti che potrei dir liberi, possono fare per me, che ho già tanto stanca la vista, che m'è impossibile talvolta di lavorare.

Entro tosto in materia.

Io penso che una Legazione italiana a Londra debba oggi tenersi in grado cospicuo, e non inferiore a quello delle altre potenze di primo ordine. Amerei in proposito ricevere da Lei informazioni giuste, onde potessi regolare il mio criterio, in ispecie per apparecchiare il Bilancio per il Ministero degli Esteri per l'anno 1862.

La ricognizione del nuovo Regno per parte della Francia è senza condizioni

o riserve che offendano la nostra dignità e impediscano lo svolgimento ulteriore della nostra nazionalità. Così dunque io non ho niente a lamentarmi. Ciò nonostante gli Italiani, e con essi il mondo civile, ed inoltre i Cattolici sinceri, debbono deplorare la ostinazione Romana, e debbono adoperare senza posa per una soluzione sapiente e sollecita dell'affare romano. Le circostanze che lo impongono sono tali, che ove si aspetti la soluzione unicamente dal tempo, il che vuoi dire dalla progressione degli eccessi, che in ogni maniera di violenza e di stupidità s'i commettono dalla Curia Romana, io prevedo una soluzione brusca e dannosa agl'interessi stessi della Chiesa Romana. Io non temo nulla di protondamente lesivo alla nostra causa nel prolungamento di questo stato di cose, che in Roma si mantiene sotto lo scudo delle armi francesi; ma vedo però che l'indugio genera e genererà molti danni; sarà una continua offesa all'umanità, un vituperio alla Religione, che si deve da tutti deplorare. Così una proposta che potesse conciliare i veri e sacri interessi della Chiesa, senza danneggiare i supremi ed imprescrittibili diritti nazionali, sarebbe oltremodo desiderabile. Non dipenderebbe dal Governo del Re che tale proposta non si facesse, e tale che armonizzerebbe compiutamente con i grandi principii di libertà, dai quali ogni rigenerazione deve venire. Separazione della potestà temporale e libertà piena della Chiesa, e indipendenza nell'amministrazione di se stessa, devono esserne i cardini. D'altronde non è credibile che riformandosi tutte le istituzioni sociali, quella della Chiesa possa durare attaccandosi al passato, piuttosto che rigenerandosi nelle fonti della sapienza divina.

Egli è pur certo che persistendo nelle pastoie, in cui l'Imperatore de' Francesi tiene l'affare di Roma, questo s'invelenisce, s'imputridisce ognora più; e l'Italia, che sola oggi mostra saggezza, avrà ed ha da faticare assai per non restare offesa dalle conseguenze. L'Imperatore stesso non vuole accorgersi che questo stato di cose ha per effetto di frapporre un ostacolo alla simpatia che dovrebbe correre naturalmente viva tra i due popoli francese ed italiano, e che correrebbe quando cessasse l'occupazione Romana; neppure si accorge che il suo contegno nelle cose Romane da un lato gli attira odio, senza che ispiri amore alla parte liberale.

Si opina che morto il Papa attuale, il nuovo accetterebbe i fatti compiuti. Forse non si pensa che occorrerebbe eziandio rilasciare il resto degli antichi Stati Papali; ossia farebbe d'uopo rinunziare al potere temporale. Così dovrebbe fare e forse farebbe, se le truppe francesi in tal caso lasciassero Roma. Io credo che l'Imperatore dei Francesi, a sede vacante, dovrebbe almeno farsi surrogare dalle truppe del Re d'Italia; nè io avrei ritegno di promettere che vi stassero a tutela del Santo Padre per un tempo, che dovrebbe essere sufficiente a combinare il modo per la sistemazione ulteriore del Capo della Chiesa Cattolica. Dovrebbe bene pensarci l'Imperatore di non impegnarsi con un nuovo Papa, che potrebbe, forse, volere proseguire per la via di ostinazione del predecessore; dovrebbe guardar bene a non continuare per una via che offende tuttogiorno il grande principio di non intervento da lui fondato, come offende la dignità della nazione francese, la dignità e gl'interessi d'Italia, e mantiene nel Cattolicismo un germe che può portare alle più gravi, alle più disastrose conseguenze.

Io concludo che mantenere questo stato di cose in Roma è contrario alla Chiesa Cattolica, è pernicioso all'Imperatore e alla Francia; mantiene nel seno degl'Italiani un fomite perenne d'inquietezza e di malessere; minaccia una soluzione violenta, e dannosa al principio di umanità. È al contrario di utile grande per la Chiesa, per la Francia e per l'Italia che la soluzione delle cose romane avvenga sotto l'azione dei grandi principii di umanità e di libertà. Perché questo non avviene? Roma e Francia sono sotto lo stesso malefico influsso. L'Italia al contrario, tenendosi nella via della sapienza, porge alla Francia e a Roma il vero scioglimento, libertà piena alla Chiesa; ma infine l'Italia stessa durerà in una paziente sapienza così stupidamente sottoposta a durissime pruove? Quanto a me, deciso di non darmi riposo per arrivare a una soluzione, manterrò per dovere e per convinzione ovunque l'ordine, e non permetterò che si attenti in alcuna parte del Regno alla inviolabilità del territorio, che resta ancora consegnato * all"infernale * Governo della Curia Romana. Confido però nella saggezza dei Governi.

In una felice e pronta soluzione delle cose romane, vedrei facilitarsi anco l'acquisto della Venezia. In un riscatto con denaro io non conto. È un modo, che un Governo che si rispetti, non accetterebbe mai! Quando la soluzione debba esser pacifica, io non la vedo che in un compenso di territorio. D'onde trarsi questo territorio equivalente alla Venezia?

Ho riso in questi giorni per la semplicità, con che si crede costà alla cessione della Sardegna. Io non amo sentirne parlare. Finché io sia vivo, e solamente Deputato, non si cederà un pollice di territorio italiano. In Italia non v'è territorio altro che italiano, e vi sono parti che ancora non appartengono agl'Italiani, e a loro dovranno appartenere. Io dico al Governo Inglese e agl'Inglesi: «Non vi lasciate pigliare dalle paure di cessioni, e piuttosto cooperate al riacquisto di quanto non è ancora degl'Italiani; questo riacquisto in un modo o nell'altro deve farsi; ove le vie pacifiche non bastino, verrà l'occasione per la riconquista ».

162

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(A R B, cass. 48, n. 70, orig. autogr.)

L. P. 3. Londra, 24 giugno 1861.

Mi recai ieri da Lord John Russell ed avendogli chiesto che notizie avea da Torino, egli mi disse che indirettamente egli aveva inteso, per mezzo di Lord Ellenborough, che ove un movimento ostile si fosse dichiarato in Ungheria, credeva difficile l'E. V. che l'Italia potesse starsene con le mani alla cintola. Lord

John non diede un parere a questo riguardo, limitandosi ad osservare che per mezzo del Conte Appony l'Austria asseriva di non voler prendere in Ungheria misure estreme. Ora e sopratutto dopo recenti eventualità, il partito liberale in Ungheria non parendo disposto a prendere le armi, era da sperarsi fra queste due attitudini passive che la pace non sarebbe turbata. Dissi allora che il passivo pareva stesse certamente a favore dell'Austria, poiché non gli si pagavano le imposte. E Lord John assenti, aggiungendo che certamente questo potrebbe dar luogo a contese con spargimento di sangue. Doversi aspettare per giudicare la situazione che altri ragguagli si fossero ottenuti.

Passando quindi alla quistione romana, egli disse che benchè forse non credesse interamente d'andar così lontano come l'illustre Conte di Cavour, però non potersi sicuramente negare che l'occupazione armata per parte dei Francesi di Roma, non presentasse una strana anomalia in un paese che si voleva libero e che trovavasi per dir così tagliato in due da questa posizione strategica e politica di una nazione forestiera. Averne egli fatto parola col conte di Flahault, il quale recentemente gli venne a leggere la risposta data all'insistenza dell'Austria e della Spagna. Ma limitarsi Thouvenel a rispondere che i motivi che avean condotta l'armata francese a Roma, esistendo tuttora, non si pensava a levarla. Interpretai questa risposta quasi volesse significare che esistendo tuttora il pericolo di un intervento austriaco o spagnolo, la Francia credesse dover impedirlo colla presenza delle sue truppe. E spiegava questa supposizione dall'idea che l'Imperatore fosse stanco della posizione falsa ch'avea in Italia, e non desiderasse prolungarla indefinitivamente. Lord John rispose che forse poteva esser così, ma tutt'assieme dava a temere che per un motivo o l'altro la cosa non fosse presta a finire. Avend'io fatta allusione a quanto disse ultimamente alla Camera, egli mi fece notare che erroneamente qualche giornale estero aveva attribuito, come venendo da lui, una risposta la quale era soltanto una citazione di quella di Thouvenel.

Alla mia interrogazione se l'Inghilterra avrebbe visto di buon occhio una soluzione presa di concerto fra le sole potenze cattoliche, disse che tutt'altro: l'Inghilterra, senza precisamente opporvisi, avrebbe trovato un tal modo di procedere senza lei passabilmente offensivo.

Mi disse poi che aveva permesso a suo nipote Odo Russell di venire a Londra per qualche settimana desiderando sapere da lui direttamente come stessero le cose.

Gli feci osservare essere opinione di molti che il Papa stava in grave pericolo della vita e che potendo, da un momento all'altro, aver luogo una sede vacante intrighi senza fine erano da aspettarsi da varie potenze epperciò lo facevo giudice dell'opportunità di questa assenza.

Sembrò Lord J ohn colpito da questa idea, ma disse che finora le notizie che riceveva non gli davano a credere un pericolo immediato.

Avendo io nella conversazione fatto allus'ione all'opportunità in simil caso di cogliere il destro d'una tal transizione tra un pontificato e l'altro per stabilire a Roma un nuovo ordine di cose che possa essere accettato dal successore di Pio IX, Lord John rispose interamente in quel senso ed aver egli particolarmente scritto nel modo istesso nelle sue istruzioni confidenziali. Ed (io) gli citai l'opinione analoga del primo Napoleone, come conforme alla sua.

Mi diè lettura di una lettera particolare di suo nipote Odo da Roma, in cui diceva aver il Papa consigliato ai Cardinali, ov'egli venisse· a morire, d'adunarsi ed eleggere immediatamente un successore prima che o i liberali o la politica estera potessero intervenire; i Cardinali avrebbero ricevuto freddamente questo suggerimento dicendo, morta S. S. non aver egli il diritto di dar disposizioni per la nomina d'un successore. E ch'eran di parere che non prima del solito, cioè di nove giorni, si dovesse adunare il Conclave. Questo concorderebbe con quanto si diceva qua, desiderarsi cioè da gran parte del clero che fatti compiuti li mettano al caso d'accettarli.

Odo Russell soggiunse che morto il Papa dovrà il Cardinale Antonelli sottrarsi colla fuga alla vendetta dei numerosi suoi nemici, fra cui parecchi Cardinali. Dice la lettera che Gramont e Goyon non van d'accordo. E quanto alla salute del Papa, non la vede tanto in nero.

Tanto Lord John come Lord Palmerston mi dissero di aver ricevuto da Parigi le osservazioni le più officiali e le più decise sulla non esistenza di viste francesi sulla Sardegna. S'aggiungeva che se il Governo italiano credeva alla presenza di propagandisti nell'isola, dovea arrestarli. E disse il Thouvenel d'aver date istruzioni severe ai Consoli francesi in Sardegna, onde impediscano, qualunque influenza francese d'esercitarsi in quel senso. Dietro al principio che chi sprezza apprezza, essi dicono che non val la pena per un simile paese d'incontrar difficoltà massime.

Lord John soggiunge che i rapporti di due Consoli inglesi in Sardegna non lo aiutavan punto. L'uno dicendo non esistervi propaganda francese. L'altro invece affermando il contrario.

Il Conte Flahault anche lui spontaneamente mi venne a parlare a questo proposito trattando d'assurdi i rumori di questo genere.

I due Ministri inglesi mi dissero poi di nulla ancora aver ricevuto in proposito da V. E. Al che risposi esser sicuramente inutile una risposta per parte dell'E. V., essendo i suoi principii abbastanza conosciuti. E mi sembrarono dello stesso parere.

Lord John mi disse avergli Hudson scritto che il dottor Pantaleoni, dopo aver visto parecchie volte Thouvenel, era tornato a Torino. Mi espresse il suo rincrescimento di non averlo visto a Londra, e soggiunse ridendo che anni sono Pantaleoni aveagli detto esser suo parere che soltanto si dovesse desiderare una riforma nel Governo Pontificio, ma voler i Romani sopprimerlo affatto. Disse allora Lord John che i Romani avean ragione ed avrebbe desiderato ora domandare a Pantaleoni chi dei due ora trovasi aver avuto ragione.

Credo necessario, vedendo con quale insistenza i giornali del continente spacciano tali assurdità, di dar la smentita la più completa ai rumori che si sono sparsi relativamente alla salute della Regina Vittoria. Trovasi precisamente di servizio, in questo momento, una delle figlie di Lady Palmerston, e sicuramente, se esistesse qualcosa di simil fatta, non potrebbe mai esser il segreto così gelosamente custodito che non se ne sapesse qualche cosa. La Regina è stata addoloratissima della morte di sua madre; ma trovasi, del resto, come al solito. Non posso spiegarmi questa notizia se non perché da qualche anno si pretendeva che i medici eran di parere, che ove S. M. non avesse avuto più figli, questo avrebbe influito sulle sue facoltà mentali.

S'aspettano stasera in Londra il Conte e la Contessa di Persigny. Non si attribuisce però alla venuta dell'ex-Ambasciatore nessun scopo politico. Viene ad accompagnare sua moglie desiderosissima di rivedere gli amici suoi in Londra.

P. S.-Credo necessario d'informare l'E. V. che in certi casi in cui per ]ettere di affari devo servirmi della posta, che per accordo preso con una persona fidatissima gliele trasmetto in un semplice involto senza indirizzo, onde così vengano recapitate all'E. V .

163

IL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 566. Parigi, 25 giugno 1861, ore 9 (per. ore 11).

Le Moniteur de ce matin annonce la reconnaissance dans ces termes: «L'Empereur a reconnu le Rdi Victor Emmanuel comme Roi d'Italie. En notifiant cette détermination ati Cabinet de Turin le Gouvernement de S. M. I. a déclaré qu'il déclinait d'avance toute solidarité dans les entreprises de nature à troubler la paix de l'Europe, et que les troupes françaises continueront à occuper Rome tant que les intérets qui les y ont amenées ne seront pas couverts par des garanties suffisantes ».

164

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 567. Parigi, 25 giugno 1861, ore 11,42 (per. ore 14,15).

Les notes ne seront pas publiées dans le Moniteur pour vous laisser pleine liberté d'action; si pourtant vous le jugez convenable, vous pourrez le publier m'en prévenant par télégraphe. Il est presque impossible que l'Empereur reçoive Piombino dans ce moment; Thouvenel est d'avis qu'il ne le reçoive point. Arese est attendu avec empressement par S. M. I. et meme par l'Impératrice; sa venue ici fera grand bien. La Valette a reçu ordre de ne pas quitter Constantinople vu l'état du Sultan. Pour le moment on n'enverra pas d'Ambassadeur à Turin, mais un simple Ministre Plénipotentiaire. Je travaille de mon mieux pour avoir Benedetti.

165

IL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 568. Parigi, 25 giugno 1861, ore 12,15 (per. ore 14,20).

A dix heures j'ai présenté à Thouvenel votre dépeche du 21. Thouvenel a témoigné sa satisfaction pour l'heureux succès des négociations ayant pour but

la reconnaissance du Royaume d'Italie et son espoir dans la continuation des bons rapports entre la France et l'Italie. L'état de sainté du Sultan qui était très compromis hier n'est plus aujourd'hui si alarmant. La Valette a reçu l'ordre de rentrer à Constantinople.

166

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, DURANDO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 569. Costantinopoli, 25 giugno 1861, ore 14 (per. ore 17,40\

S. M. le Sultan est décédé ce matin; son frère Abdul-Aziz Effendi lui succède. Tout est maintenant tranquille. Je prie V. E. de me prévenir aussitòt que la reconnaissance du Royaume d'Italie de la part de la France aura lieu afin d'accélérer la conclusion du Traité de commerce.

167

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI pp. 28-32) (l)

L. P. 55. Pm·igi, 25 giugno 1861.

En arrivant à Paris je me suis empressé de me rendre chez le Ministre des Affaires Etrangères qui m'attendait avec impatience. La réponse envoyée par le gouvernement du Roi au Cabinet des Tuileries, a été trouvée satisfaisante par

M. Thouvenel, qui s'est chargé de la remettre le lendemain à l'Empereur.

Sur mes instances ré'itérées, pour qu'il allàt voir l'Empereur le jour meme pour mettre V. E. en mesure d'annoncer à la Chambre la reconnaissance du Roi d'Italie pour le lundi 24 le Ministre m'a demontré l'impossibilité pour lui de se rendre à mon désir, n'osant aller chez S. M. avant le moment que l'Empereur lui avait fixé. D'ailleurs, a-t-il ajouté, il est impossible que la reconnaissance soit publiée, sans que la réponse du Cabinet de Turin soit connue par le Conseil des Ministres, convoqué pour lundi, à cet effet.

Cette réponse très catégorique et faite malgré mes vives instances a motivé ma première dépeche, dans laquelle je vous annonçais l'impossibirité d'adhérer à votre désir, et la nécessité de différer à aujourd'hui la communication au Parlement.

L'Empereur toujours animé des memes sentiments de bienveillance pour le gouvernement du Roi, vous a envoyé de Fontainebleau, hier à deux heures, l'autorisation désirée par V. E. J'ignore si elle est arrivée à temps.

13 -Documenti diplonuth-i -Serie I-Vol. I

Dès ma prem1ere entrevue avec M. Thouvenel, je l'ai trouvé très préoccupé des complications que pourrait amener la mort imminente du Sultan. Ordre immédiat a été envoyé à M. de Lavalette de ne pas quitter son poste pour le moment, sa présence à Constantinople étant jugée indispensable.

L'Empereur semble avoir changé d'avis sur ses intentions de ériger en Ambassade la Légat'ion de Turin. C'est seulement dans quelques mois que cet acte qui implique une nouvelle marque de sympathie aura lieu.

La nécessité de laisser M. Lavalette à Constantinople et le désir de ne pas envoyer de suite un Ambassadeur, font de soi-meme tomber la possibilité d'avoir à Turin ce diplomate dont les antécédents et les opinions auraient parfaitement convenu au gouvernement du Roi.

Fermement convaincu de la nécessité exprimée par V. E. d'avoir à Turin un représentant français, qui ne fut pas comme la plupart des diplomates de ce pays contraire à l'Italie et aux véritables idées de l'Empereur, j'ai cru servir aux intentions de V. E. en renouvelant tous mes efforts, pour que le choix du Ministre tombat sur Benedetti.

J'ai taché de vaincre les répugnances que M. Thouvenel éprouve à se séparer de son habile secrétaire général. Il en a parlé à l'Empereur, auquel je n'ai pas manqué de faire parvenir de mon còté les plus vives sollicitations à ce sujet.

Je ne puis encore vous envoyer une formelle assurance sur l'accomplissement de notre désir, mais je puis assurer V. E. que S. M. s'est montré très favorable à ce sujet.

Le Père Louis Marie, des Carmes déchaussés, qui était entré en rapports avec M. de Cavour et qui l'avait meme étonné par la largeur de ses vues en matière religieuse, ayant pleinement adopté le principe de libre Eglise en libre Etat, est revenu de Rome, où il avait été envoyé par l'Empereur d'accord avec M. Thouvenel et Cavour. Il apporte que la mort du célèbre Ministre a causé à Rome la plus vive émotion parm'i tous les Cardinaux, notamment ceux qui s'étaient montrés favorables au projet que le Cabinet de Turin avait fait parvenir au sacre Collège.

La situation de la ville éternelle est peinte par le Père Louis avec des couleurs très sombres; le parti de Monseigneur de Mérode est plus exalté que jamais, et on croit que s'il ne rencontre pas d'obstacles dans le S. Père, il ne tardera pas à compromettre tout-à-fait les intérets dont il s'est fait le champion.

L'avis du Père Luis est que le gouvernement du Roi ne devait pas tarder

à faire connaitre au S. Père ses intentions bien arretées de maintenir en cas

d'arrangement les conditions proposées jadis par le Comte de Cavour. Cette

démarche sera d'autant plus nécessaire en vue de l'état de santé du Pape qui

parait, au dire général, ne pas pouvoir vivre au delà de l'automne.

Les renseignements arrivés au Ministre des Affaires Etrangères confirment les assertions du Père Mar'ie sur la santé du S. Pontife.

L'occupation de Rome par l'armée française qui certes durera plusieurs

mois encore pourra etre, selon M. Thouvenel et l'Empereur, d'un grand poids

sur l'élection d'un nouveau Pape, et il sera d'autant plus facile au gouver

nement de l'Empereur d'exercer son infiuence, si des Cardinaux encouragés par les démarches constantes du gouvernement du Roi pour amener un arrangement, auront le moyen de se montrer favorables au nouvel état de choses.

Le général Klapka est ici de retour de Londres, il se rend à Genève où le général Tlirr doit le rejoindre. La Hongrie suivra décidément sa révolution légale sans amener une conflagration, qui donnerait dans ce moment gain de cause à l'Autriche et qui aurait pour résultat de désarmer et d'affaiblir le pays, par des moyens indirects. L'Empereur ne manque pas d'encourager les chefs Hongrois dans la voie de la modération, les événements étant éloignés pour le moment, il faut tacher de les préparer pour l'avenir.

La question d'Orient, le mouvement des nationalités, et le mécontentement de toutes les populations Allemandes, offrent les éléments qui pourront ouvrir à la France la voie à ses veritables tendances, d'autant plus qu'en France la politique Imperiale commence à etre comprise, et les partis à etre clairement dessinés.

Le Comte Arese est attendu ici. J'ai eu l'honneur de le dire à V. E. sa venue ne pourra qu'apporter une influence salutaire à notre cause.

L'Empereur enverra un général de sa maison pour complimenter le Roi et lui apporter une lettre autographe adaptée à la circonstance, et s'i l'Empereur ne repond pas à présent à la lettre du Roi, c'est seulement pour éviter de répéter dans la lettre les phrases de réserve qu'ont été écrites dans la note qui à servi de base à la reconnaissance.

Les répéter, ce serait vouloir s'immiscer trop directement et vouloir donner à ces réserves une étendue plus grande qu'elles n'ont pas elles memes. Thouvenel a l'intention de proposer à l'Empereur d'envoyer le Maréchal Niel, ou le général Fleury.

Je me permets de faire observer à V. E. qu'il serait utile de pourvoir le plus tòt possible à l'envoi du M'inistre ici, pour que la lacune des rapports officiels ne soit plus prolongée.

Je prierai aussi V. E. de vouloir bien me faire connaitre ses intentions au sujet de la question de Rome, car M. Thouvenel désirait se mettre d'accord pour statuer préalablement sur le choix du nouveau Pape qui devrait etre fait, d'accord entre les deux gouvernements, comme a été arreté avec M. de Cavour.

M. Boittelle, préfet de police, me charge de Vous prévenir que Mazzini déploye toute son activité pour provoquer un mouvement dans les états du P ape.

On vous recommande M. le Baron da faire b'ien surveiller les frontières. C'est sur Garibaldi que Mazzini tache aussi d'exercer son influence malfaisante. Il parait que Garibaldi a fait en France et en Angleterre des demandes d'argent.

M. de Metternich est très mécontent de son séjour à Fontainebleau. Il passe ses journées avec l'Impératrice, mais l'Empereur ne se laisse voir que très peu le tenant complètement à l'écart et réfusant toute conversation d'apparence. M. La Guerronnière directeur de la Presse ne demande pas mieux que de se mettre à votre disposition pour tout ce qui pourra vous etre agréable,

lui ayant manifesté ainsi qu'à M. de Persigny votre désir que la presse française eiìt soin de présenter la question italienne à son véritable point de vue. MM. Laguerronnière et Persigny se sont démontrés tout à fait favorables à ce désir. Je confie cette lettre à M. le Comte Greppi, premier secrétaire de Légation à Berlin, qui se rend à Tur'in ce soir.

(l) Se ne dà peraltro il testo collazionato sull'originale esistente in A C R.

168

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONTE VIMERCATI

T. 390. Torino, 26 giugno 1861, ore 16,30.

Le Gouvernement du Roi a décidé de déposer demain à la Chambre les Notes officielles échangées avec le Gouvernement Impérial.

169

IL MINISTRO FRANCESE DEGLI ESTERI, THOUVENEL, ALL'INCARICATO D'AFFARI FRANCESE A TORINO, RAYNEVAL (l)

(Ed. in L. V., I., 1861, pp. 8-9)

Parigi, 26 giugno 1861.

Le bruit s'étant répandu que le Gouvernement de l'Empereur cherchait à obtenir la cession de l'ile de Sardaigne, j'ai cru devoir inviter notre consul à Cagliari à saisir toutes les occasions de démentir cette assertion. Je vous envoie ci-jointe, en copie, la dépeche que j'ai écrit à ce sujet à M. Grosse, et dont vous pourrez faire usage ainsi que vous le jugerez convenable.

ALLEGATO.

Paris, 11 juin 1861.

Monsieur,

vous aurez remarqué que le bruit s'est un moment répandu de l'intention où serait le Gouvernement de l'Empereur d'obtenir la cession de la Sardaigne, et que l'on a été jusqu'à prétendre que des agents français parcouraient l'ile pour préparer les populations à l'annexion de leur pays à la France. Vous savez, Monsieur, que ces conjectures ne sauraient avoir aucun fondement, et que nous n'avons jamais donné le moindre prétexte autorisant à nous preter un pareil dessein. Nous devons donc démentir hautement de si étranges assertions, qui tendent à faire suspecter notre loyauté; et je vous prie de saisir, de votre còté, toutes les occasions qui vous seront offertes pour empecher qu'elles soient plus longtemps propagées dans votre résidence. Ces rumeurs ayant été reproduites par les correspondants des journaux de Londres, vous voudrez bien vous en expliquer très-nettement, dès que vous en trouverez le moment opportun, aussi bien avec votre collègue d'Angleterre qu'avec les autorités locales.

THOUVENEL

(l) Comunicato a Ricasoli da Rayneval.

170

VITTORIO EMANUELE II A NAPOLEONE III

(Ed. in R. BoNFADINI, Vita di F. Arese, Torino 1894, pp. 272-273).

Torino, 27 giugno 1861.

Les événements qui se sont dernièrement accomplis dans la Péninsule italienne et qui sont le résultat de la volonté libre et spontanée des populations, m'ont décidé à sanctionner la loi que le Parlement a votée et par laquelle j'assume pour moi et pour mes successeurs le titre de Roi d'Italie. Cet acte se trouvant ainsi consacré solennellement, je charge le Comte François Arese, sénateur du Royaume, d'en apporter personnellement à V. M. I. la notification, en qualité de mon ambassadeur extraordinaire. Je suis persuadé que V. M. verra avec plaisir le choix que je viens de faire de ce personnage pour cette honorable mission, et qu'Elle voudra bien l'accueillir avec sa bienveillance accoutumée. Je prie en conséquence V. M. de prèter une foi entière à tout ce que le Comte Arese aura l'honneur de lui dire de ma part et surtout lorsqu'il l'assurera des vceux ardents que je ne cesse de faire pour le bonheur de V. M. et de Sa Maison Impériale et pour la prospérité de la France. Ces vceux sont une suite des sentiments très vifs de haute estime et d'inaltérable amitié avec lesquels je suis.

171

ISTRUZIONI DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, ALL'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE

(Ed. in R. BONFADINI, op. cit., pp. 276-278)

Torino, 27 giugno 1861.

l. Dimostrare all'Imperatore l'impossibilità che il Papato rimanga nelle attuali condizioni e che a Roma le cose continuino lungo tempo nello stato presente, senza divenire per l'Italia una piaga logoratrice. Dedurre la necessità che la Questione Romana progredisca, almeno d'un passo, prima che il Parlamento si riunisca di nuovo nella sessione autunnale.

2. -Ciò posto, prevedere le due ipotesi: Papa vivo, o vacanza nella Santa Sede. 3. -Finchè vive il Papa, il Governo del Re deve continuare a far proposte di conciliazione. Questi negoziati, diretti fra il Governo del Re e quello della Santa Sede, avranno per lo meno il vantaggio di metter sempre più nel torto la Curia romana. 4. -Pregare l'Imperatore di adoperare tutta la sua influenza per agevolare queste trattative. Il richiamo delle truppe francesi sarebbe il mezzo più effi. cace per costringere la Curia romana ad addivenire agli accordi. 5. -Per agevolare all'Imperatore il richiamo delle sue truppe, il Governo del Re è disposto ad accettare il disegno di trattato proposto dal Principe Napoleone e formulato in cinque punti mediante una lettera in data 13 aprile 1861, che fu approvata dall'Imperatore. 6. -Ove questo disegno non potesse più essere eseguito, il Presidente del Consiglio acconsentirebbe anche a sostituire alle truppe francesi una guarnigione italiana, la quale non avrebbe pur sempre altro ufficio che di mantenere l'ordine, senza pregiudicare punto le questioni di sovranità per le quali si continuerebbe a trattare. La guarnigione potrebbe anche essere mista, di truppe italiane e francesi o di truppe italiane e papaline. 7. -Nei negoziati fra il Governo del Re e la Corte Romana, si continuerebbe a pigliar per base il principio: «Libera Chiesa in libero Stato ». Sarebbero mantenute in massima le istruzioni date al Padre Passaglia. 8. -Ove ciò non bastasse, e l'Imperatore lo credesse necessario, si potrebbe eziandio mettere innanzi il disegno di lasciare al Papa la città Leonina. 9. -In caso di morte del Pontefice, l'Imperatore ed il Re dovrebbero segretamente accordarsi sulla condotta a tenere sia rispetto al Conclave, sia rispetto alla popolazione romana. 10. -Rispetto al Conclave, occorre esercitare ogni mezzo d'influenza per formare un partito energico e liberale che facesse adottare e giurare dai Cardinali costituzioni consone al principio degli accordi proposti. I capi più adatti a ciò sarebbe i cardinali Di Pietro e De Silvestri. Conviene inoltre far uso delle esclusive spettanti alla Francia ed al Portogallo e preparare la via all'elezione d'un Papa liberale. È perciò necessario accordarsi sul candidato (Santucci, Bofondi). 11. -Rispetto alle popolazioni fa d'uopo pregare l'Imperatore di permettere che, tosto morto il Pontefice, ed appena i Cardinali saranno riuniti in Conclave, si voti per suffragio universale l'annessione di Roma al Regno d'Italia. Mancando il principio del diritto regio: «Le mort saisit le vif », la sovranità durante la vacanza della Santa Sede deve far ritorno al popolo, il quale può esercitarla senza violare i riguardi di gratitudine o di riverenza verso un titolare esistente. Ogni difficoltà sarebbe così agevolmente superata, ed il nuovo Papa, trovando già cessato di fatto il potere temporale, potrebbe più convenientemente rassegnarsi al nuovo ordine di cose. Ma siccome è a temersi che i Cardinali cerchino di tener nascosta la morte del Pontefice e riunirsi segretamente per procedere, omessa ogni canonica formalità, ad una frettolosa ed arbitraria elezione, fa d'uopo ottener che l'Imperatore sostituisca a Goyon ed a Gramont altri uomini, che possano mettersi compiutamente d'accordo cogli agenti del Governo italiano. La stessa presenza delle truppe francesi a Roma servirebbe in questa ipotesi a guarentire la legalità e la sincerità del voto d'annessione emesso per suffragio universale.

L'Imperatore, riconoscendo l'autorità ed efficacia di questo voto, non farebbe che applicare a Roma, ne:i momento in cui niun vincolo personale lo lega col Pontefice futuro, quel rispetto della volontà popolare ch'egli ha gloriosamente introdotto nel pubblico diritto europeo. A questo principio rendeva esplicito omaggio il signor ministro Thouvenel, anche in ciò che riguarda la Questione Romana, nella bellissima e recente sua nota (6 giugno 1861) alla Spagna ed all'Austria.

12. In caso di elezione fatta altrove che a Roma, e particolarmente sul territorio austriaco, il Governo italiano spera che l'Imperatore sarà d'accordo col Re nel non ammettere la validità dell'elezione.

172

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, THOUVENEL

(Ed. in A. PrNGAUD, B. Ricasoli e la questione romana in • Nuova Antologia •, l febbraio 1932, pp. 364-365)

L. P. Torino, 27 giugno 1861.

Accordez-moi votre bienveillance et veuillez me permettre d'ouvrir toute entière mon àme sur les affaires de Rome. Premièrement, en mon nom et au nom de tous mes concitoyens, je vous professe une bien vive reconnaissancc pour l'heureux résultat qui, moyennant vos sages conseils, rétablit entre la France et l'Italie ces bons rapports qui, à mon avis, sont destinés à se raffermir tous les jours davantage, et à produire des bienfaisants effets sur les conditions de l'Europe.

Je passe à parler de Rome.

La France et l'Italie ont le meme intéret dans le règlement de l'affaire de Rome. J'ose meme dire que l'intéret est encore plus grand du còté de l'Empereur et de son gouvernement. L'Italie souffre de cette agitation qui trouve sa cause dans les conditions violentes de Rome, mais enfìn elle est dans son droit, la raison et la confìance publique sont pour elle; l'Italie est dans une position nette. La France ne l'est pas. L'occupation de Rome est la violation d'un grand principe, qui fait l'honneur de la France de l'avoir proclamé et sérieusement soutenu au prix du sang. Le gouvernement impérial par cette occupation maintient et alimente la résistance obstinée et anti-chrétienne du gouvernement romain, qu'on peut maintenant juger comme un pouvoir factieux, qui veut se maintenir par tous les moyens possibles contre la volonté de Dieu et des hommes. Ce fait malheureusement doit avoir deux fàcheuses conséquences: lo de refroidir la sympathie des Italiens envers l'Empereur, et d'empecher ainsi qu'une force libérale imposante se forme en France, et sur laquelle le gouvernement puisse s'appuyer comme inévitable base à toute autorité ; 2o d'empecher que Rome se détache avec loyauté et franchise d'un pouvoir tout à fait contraire à (l) la grandeur et à la force de l'Eglise.

L'obstination de Rome, entretenue par la sureté que Rome trouve dans la présence des troupes françaises, aura de bien tristes conséquences. J'en suis sur. Je vois les choses de près, et je suis en état de mieux en juger.

Le gouvernement du Roi juge les choses avec calme, et de la hauteur d'un grand principe; autant qu'il dépend de lui, il empechera la ruine du Pontifìcat, tout en aidant la réforme inévitable de l'Eglise romaine. La réforme doit nécessairement se faire à la suite de l'abandon du pouvoir temporel et de l'application du principe de liberté. La réforme sera la régénération de l'Eglise et du principe religieux, sera l'étendue du catholicisme. Le Pape gagnera encore des millions de fìdèles. Mais il faut de la bonne volonté, et sans retard. Persévérant dans l'obstination et dans la violence, laissant que le mal par son excès ouvre le chemin au remède, je crains que le remède tardera trop et que l'opportunité sera perdue. Je déplorerai cela comme homme d'Etat; mais comme citoyen, je suis sur que l'Italie y gagnera. Veuillez bien, Excellence, considérer quelle sera la position de la France en ce cas extreme. On ne peut pas la préciser, mais on peut la pressentir très grave et difficile. Il me parait que nous devons travailler ensemble pour trouver une solution sage de cette affaire de Rome. Il me parait que la France doive aider le gouvernement du Roi, afìn qu'il puisse s'entendre avec le Pape et ses cardinaux et préparer à l'Eglise un avenir meilleur en la faisant revivre de ses propres cendres.

Quant à notre intérieur, nous rencontrons des diffìcultés qui sont naturelles à cet état de choses. Les réactionnaires et les mazziniens s'agitent et mettent en commun leurs efforts sous le prétexte de l'espoir que Rome maintient; mais le gouvernement ne cédera devant aucune tentative, soyez-en sur, et il a la force pour combattre les brigands et les factieux.

Mais, je répète encore, il faut presser la solution de Rome, parce que je n'ai pas d'espoir, meme sur un nouveau Pape, s'il se trouvera soutenu par les troupes françaises.

Je soumets ces questions à votre haute sagesse.

(l) Nel testo edito dal Pingaud mancano le parole • contraire à ».

173

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOL!

(Ed. in Ricasoli, VI, p. 32)

T. 575. Parigi, 27 giugno 1861, ore 20,25 (per. ore 22,10).

Votre discours à la Chambre pour communiquer la reconnaissance a produit le meilleur effet. Le Général Fleury qui revient de Fontainebleau m'a dit que l'Empereur en a été très satisfait. Je n'ai pu dire à Thouvenel que vous publiez les deux notes, car il est à la campagne jusqu'à ce soir. La mort du Sultan fait craindre ici des graves complications. On craint que le nouveau Sultan tombe sous l'influence anglaise. La santé du Pape empire toujours plus. L'Empereur parait retarder de quelques jours son voyage à Vichy. Prévenez-en Arese.

174

IL MINISTRO A MADRID, TECCO,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 173. Madrid, 27 giugno 1861.

Alcuni gravi diplomatici incidenti massimamente relativi alla nostra causa nazionale vennero in questi giorni a produrre su questo Governo quasi una sorpresa altrettanto poco gradita quanto d'altronde da esso, a dir vero, ben meritata.

L'uno dei detti incidenti si fu la comunicazione al Governo istesso, per parte di questo Incaricato d'Affari di Francia, Conte di Bondy, sul fatto del riconoscimento del Regno d'Italia dall'Imperatore dei Francesi, comunicazione su cui mi diedi già premura d'informare telegraficamente V. E.

Non ebbi a meravigliarmi che tale comunicazione sia tornata, come si seppe, assai poco gradita a questo Ministro degli Affari Esteri dopo quanto già avevo dovuto portare a cognizione di V. E. sulle strane difficoltà, da lui poco anzi sì mal a proposito elevate riguardo al modo provvisorio precedente

mente convenuto per le nostre relazioni con questo Governo. Nell'elevare che fece allora simili difficoltà, doveva egli naturalmente lusingarsi che il riconoscimento della Francia sarebbe stato ancora almeno ritardato.

All'ora menzionato diplomatico incidente se ne aggiunse ben tosto un altro anche più disaggradevole al certo per lo stesso Governo, quale fu la pubblicazione da giornale straniero della risposta del signor Thouvenel ad una nota, in cui l'ambasciatore di Spagna in Parigi in ~ocietà con quello di Austria eccitava ad un accordo di Cattoliche Potenze in favore del potere temporale del Papa. Simile inattesa rivelazione infatti venne a mostrare al pubblico quanto questo Governo fossesi lasciato vergognosamente illudere dal pseudo liberale signor Mon per assumere l'odiosa solidarietà di una proposta comune coll'Austria, e ciò dopo aver sempre vantato da parte sua principii liberali non solo, ma ben anco vive simpatie per la causa nazionale d'Italia.

Per singolare coincidenza poi venne qui pure a colpire il pubblico un'altra rivelazione ancora la quale sebbene in tutt'altro oggetto non fu però meno spiacevole a questo Gabinetto; comparve infatti pubblicata da straniera stampa una proclamazione dell'Imperatore di Marocco, da cui risulterebbe che egli già pronto e risoluto ad entrare in una nuova guerra colla Spagna ne sarebbe stato solo ritenuto dalla mediazione della Francia. Ora secondo queste pubblicazioni ministeriali in proposito, la vertenza col Marocco sarebbesi dovuta trovare in ben altri termini poiché perentoriamente in sè dichiarava che il governo da se solo negoziava col Marocco per ottenere pacificamente come si sperava le nuove da lui domandate guarentigie, le quali d'altronde senza ricorrere a mediazione straniera avrebbe rivendicate pure occorrendo colle armi.

Le accennate rivelazioni senza parlar d'altre meno gravi forse, ma egualmente spiacevoli, come sulla vertenza Messicana, sono tali da portare un colpo assai sensibile al prestigio del Ministero attuale e la stampa dell'opposizione non senza ragione esacerbata per gli ultimi rigori eccessivi con cui si servì contr'essa in questi giorni, si servirà di tutto ciò come di arma contundente,

che può produrre non lieve effetto sulla pubblica opinione. Si sa d'altra parte che i nemici di questa situazione in Parigi, Narvaez segnatamente, già concertano qui coi capi della coalizione antiministeriale per preparare un nuovo ministero.

La caduta dell'attuale è quindi diventata più o meno probabile e forse non lontana. Ma su quest'ultimo punto come su altri relativi mi riservo a spiegarmi meglio con prossima occasione.

Il ristabilimento della Regina dopo il suo ultimo parto va ad accrescere questi giorni nuove feste a Corte. Le circostanze non mi permetterebbero di assistervi convenevolmente. Mi lusingo d'interpretare le intenzioni di V. E. valendomi della facoltà già accordatami eventualmente dal compianto di Lei Predecessore di assentarmi alcuni giorni per ragioni di salute lasciando in tal caso questo Segretario di Legazione alla spedizione degli affari.

175

L'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, LA MINERVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 15. Lisbona, 28 giugno 1861.

Je m'empresse d'envoyer à V. E. la traduction de la Note du Ministre des Affaires Etrangères en date d'hier par laquelle M. d'Avila déclare que dorénavant je serai reçu comme Chargé d'Affaires de S. M. le Roi d'Italie (1).

Ci-joint j'ai l'honneur de trahsmettre également a V. E. copie de la Note que j'avais dans le temps adressée à ce Gouvernement pour lui notifì.er le vote du Parlement sanctionné par le Roi (2).

Deux sont les causes principales qui ont déterminé le Cabinet à nous reconnaitre en ce moment. La première, ainsi que j'ai eu l'honneur d'en informer le Prédécesseur de V. E., c'est qu'on voulait attendre que la France eut reconnu officiellement le Royaume d'Italie. Cette décision de suivre l'exemple de la France, outre de le mettre à l'abri de tout embarras à l'égard des autres Puissances catholiques, avait l'autre but de donner une espèce de démenti à l'opinion généralement accreditée que le Portugal dans les questions politiques est toujours à la remorque de l'Angleterre. Il est vrai que dans l'intervalle entre la reconnaissance de l'Angleterre et celle de la France il y a eu assez de temps pour que le Portugal eut pu nous reconnaitre et montrer ainsi son indépendance, soi t vis-à-vis de l'Angleterre soit vis-à-vis de la France, dont il a suivi immédiatement l'exemple.

La seconde cause qui a décidé le Cabinet à ne plus différer cet acte, ne fut ce que pour quelques jours, a été la discussion qui devait commencer aujourd'hui ou demain à la Chambre des Députés sur la réponse au Discours de la

n. -175.

Couronne. Ainsi que je l'avais annoncé dans mes dépèches précédentes, plusieurs orateurs étaient décidés de traiter la question d'Italie et de s'en servir pour faire éprouver un échec au Cabinet actuel. La cause italienne aurait trouvé de la sympathie mème auprès de plusieurs députés ministériels, parmi lesquels on comptait ceux de Porto, et l'Opposition croyait non sans raison d'obtenir une victoire brillante. Le Ministère s'étant haté de reconnaitre le Royaume d'Italie avant cette discussion, a òté à l'opposition l'occasion la plus probable d'arriver au pouvoir en provoquant un vote de blame sur une question politique importante.

La nouvelle de la reconnaissance du Royaume d'Italie a été accueillie avec faveur à Lisbone, où la sympathie est générale pour notre pays et pour toutes les causes de la liberté.

(l) -Pubblicata, in traduzione, nella Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, 19 luglio 1861, (2) -Allegata nota 11 aprile 1861 di La Minerva al Ministro degli esteri portoghese, D'Avila, dove si comunica che il Parlamento italiano ha approvato la legge con la quale Vittorio Emanuele II assume per sè e per i suoi successori il titolo di Re d'Italia.
176

IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOI.I

R. CONFIDENZIALE. Francoforte, 28 giugno 1861.

Le nouveau Ministre des Affaires Etrangères de Bade, M. de Roggenbach, dont j'ai déjà fait connaitre à V. E. les tendances libérales, est venu ici s'entendre avec la Légation de Prusse sur différentes questions de la politique .fédérale, et pendant les quelques instants qu'il est resté à Francfort, il a chargé quelqu'un de cette Mission de venir me dire confidentiellement que le Gouvernement Badois ne partageait point les sentiments hostiles des Etats secondaires contre le nouveau Royaume d'Italie, pour lequel au contraire il avait les plus grandes sympathies. M. de Roggenbach a ajouté que naturellement le Gouvernement Badois ne pouvait pas prendre l'initiative d'une reconnaissance qui appartenait d'abord à la Prusse, mais que sitòt que cette Puissance aurait reconnu le nouvel ordre de choses en Italie, le Gouvernement GranDuca! s'empresserait de suivre cet exemple, et qu'en attendant il était bien aise de faire connaitre ses sentiments à cet égard.

Je n'ai pas besoin de faire ressortir l'importance de la démarche du Ministre appelé à diriger la politique d'un Etat qui par sa position dans la Confédération, aussi bien que par l'étendue de son territoire, vient immédiatement après les Royaumes de Hanòvre et de Bavière. Ces témoignages de sympathie, sont d'autant plus précieux, que, comme j'ai eu souvent l'occasion de la faire observer, si les populations allemandes sont favorables à l'unité Italienne dans laquelle elles voient poindre celle de l'Allemagne, par contre les Gouvernements secondaires y sont systématiquement opposés; et à ce point de vue l'expression des sentiments du Gouvernement Badois en notre faveur est un fait très remarquable qu'il importe, je crois, d'accueillir avec tout l'empressement qu'il mérite.

Quoique M. de Roggenbach ait dit à la personne chargée de me faire cette confidence, que la position du Gouvernement Badois vis-à-vis de ses confédérés l'obligeait à la plus grande prudence, je n'aurais pas cru dépasser les limites de

la réserve qui m'était commandée, en allant lui porter moi meme l'expression de mes remerciements; mais il n'avait fait que rester quelques heures à Francfort et était immédiatement reparti. Toutefois si V. E. le juge à propos, je puis parfaitement sous prétexte d'aller passer quelques jours à Bade me rendre à Carlsruhe qui est sur la route, et en allant faire visite au Baron de Roggenbach répondre à l'expression des sympathies de son Gouvernement par un acte de politesse. C'est aussi l'avis de la personne qui a bien voulu etre l'intermédiaire de ses confidences. Mais avant de faire une pareille démarche, j'ai dù nécessairement prendre les ordres de V. E., et attendre ses instructions.

177

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (Ed. in Ricasoli, VI, p. 33)

T. 577. Parigi, 29 giugno 1861, o1·e 16,55 (per. ore 20,30).

L'Empereur m'a témoigné sa satisfaction pour la manière dont vous avez annoncé aux Chambres la reconnaissance. Il m'a chargé de faire parvenir au Roi l'expression de toute sa sympathie.

S. M. I. désire qu'on fasse arriver aux Hongrois des conseils de prudence afin d'éviter tout conflit qui dans ce moment leur serait fatale et enlèverait des forces qui pourraient etre utiles pour l'avenir.

Il est impossible que l'Empereur et meme Thouvenel reçoivent la Députation Romaine au moment meme où on a fait des réserves en faveur du Pape. C'est précisement parcequ'il veut rappeler ses troupes que l'Empereur veut éviter qu'on croie qu'il cède à une pression. La Députation Romaine a compris ces raisons (1).

Le choix du Ministre à envoyer à Turin présente la plus grande difficulté; Arese étant ici nous travaillerons ensemble à contrebalancer les mauvaises influences. C'est décidément le Général Fleury qui ira complimenter le Roi. S. M. I. est très contente de l'envoi de Nigra ici. L'Empereur part le 3 pour Vichy. L'Impératrice vous remercie pour l'évacuation du Palais Bivona. L'Empereur vous recommande l'affaire du comte de Capoue.

178

IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE. Francoforte, 29 giugno 1861.

Il me revient de bonne source que depuis le retrait de l'exéquatur par le Gouvernement du Roi aux Consuls de Bavière, de Mecklembourg et de Wiirt

• come una votazione completa di quasi tutti i cittadini Romani abili al voto •·

temberg, ces trois petits Etats ont eu à plusieurs reprises et tout dernièrement encore la pensée de saisir la Diète d'une proposition tendant à faire remettre leurs passeports aux agents de S. M. en Allemagne. Mais l'Autriche consultée, les en a fortement dissuadés parce qu'elle ne veut pas en raison de l'Italie avoir de nouvelles affaires sur les bras. Pour le moment donc, et surtout après la reconnaissance du Royaume d'Italie par la France, le mauvais vouloir des petits Etats en question se trouve paralysé. C'est là du moins l'opinion de la personne qui est venue me confider ce qui précède, en voulant bien me promettre de me tenir au courant de ce qui pourrait etre tenté plus tard.

(l) Non potendo fare altro, il principe di Piombino comunicava a Ricasoli il 3 luglio 1861 (A R B, cass. 48, n. 121, orig. autogr.) che aveva visto il Dott. Conneau e si era sforzato di dimostrargli che la petizione, sebbene non giungesse a 10.000 firme, tuttavia doveva ritenersi

179

IL CONSOLE A ROMA, TECCIO DI BAYO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 97. Roma, 29 giugno 1861.

Ieri soltanto venne qui conosciuto, in modo positivo, l'articolo del Moniteur sul riconoscimento, per parte dell'Imperatore, del Regno Italico, notizia che dava luogo da due giorni a più versioni in aperta contraddizione tra loro. Il partito liberale ne rimase soddisfatto, malgrado la riserva spettante agli affari di Roma, che si lusinga di veder elusa tra breve. Mi si assicura che l'opposto partito egualmente non ne fu scontento, lasciando detta nota tutta la latitudine di interpretare qual sorta d'interessi trattenga qui le truppe francesi, a tutela della S. Sede, e che spera perciò indefinitivamente.

180

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, ALL'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE

(Ed. in R. BONFADINI, op. cit., pp. 288-89).

L. P. Torino, 1 luglio 1861.

Roma prosegue n~lle sue pazzie. Ti ho oggi comunicato un telegramma pervenutomi dal nostro Console a Roma (l). Come si può lasciare ancor sussistere quella caverna d'infamità; come lasciare andare alla propria rovina il Papa? Tu sai che tra le speranze che mi corrono vi è quella che il Papa purificato possa rigenerarsi fondando il vero Cattolicismo; cioè una Religione più universale che non è quella che si chiama Romana; ma se si lascia andare il Papa alla propria distruzione, resterà del Romanismo un mucchio di rovine. Dimmi se sia da cattolici sinceri

e da uomini di senno di lasciare andare le cose di Roma alla disperata! Converrebbe far bene capire queste cose costaggiù.

Se succedesse qualche sollevazione nelle provincie di Viterbo, cosa farebbero le truppe Francesi di Roma? Vi si condurrebbero per rimettere l'ordine? Sarei curioso di avere una risposta. Fra le occupazioni miste si potrebbe combinare che le truppe francesi stessero a Roma, e le italiane nella provincia Viterbese. Sarebbe anche questo un passo.

Importa grandemente rimanere chiari pel caso di morte del Papa, per essere questa una eventualità gravissima e prossimissima.

Ti unisco le parole che io ho detto alla Camera, e dalle quali vedrai qual sia il mio pensiero rispetto a Roma (1). Ora v'è tempo, forzando le cose può non esserci più tempo.

(l) Evidentemente accenna al te!. n. 580 dell'l luglio, ore 7,45, per. a Torino alle 9, del console Teccio : c La réaction tente les derniers efforts; bandes armées se dirigent par differents points sur Aquila. Une échauffourée a eu lieu ici entre gendarmes et population: quelques blessés et un gendarme tué •

181

L'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 36-39)

L. P. Parigi, 1 luglio 1861.

Approfitto della partenza del generai Cucchiari per renderti conto del mio primo colloquio con Thouvenel.

Lo vidi ieri verso le 2. Dopo i complimenti d'uso, gli consegnai la tua lettera, ch'egli lesse tosto, chiedendomi se io ne conoscevo il contenuto. Sulla mia risposta negativa, egli me ne diede lettura, e soggiunse:

«Il parait que le baron Ricasoli est très-pressé et qu'il ne tient aucun compte de nos difficultés intérieures. J'ai eu beaucoup de peine à obtenir la reconnaissance du Royaume d'Italie: mais quant à Rome je n'ai aucun espoir de réussir pour le moment ».

Intavolata in tal modo la conversazione, gli esposi tutte le considerazioni che ci fanno vivamente desiderare una pronta soluzione della questione romana. Credo inutile di ripetere a te le mie parole; mi limito a riferirti testualmente quelle di Thouvenel.

-Vous ne pouvez douter-mi disse-du désir de l'Empereur de rappeler ses troupes de Rome. Mais il voit l'impossibilité de le faire avant la mort de Pie IX. L'Empereur croirait manquer à l'honneur en abandonnant en ce moment le Pape, dont il a pris la défense pendant ces douze années. A en juger par l'opposition qu'a rencontré dans le Conseil des Ministres, dans le Sénat et dans le Corps législatif la reconnaissance du Royaume d'Italie, le rappel des troupes fait en ce moment provoquerait une agitation qui comprometterait sérieusement la tranquillité de la France et mettrait en danger la dynastie impériale. Il faut donc renvoyer cette décision jusqu'au moment où un nouveau Pape occupera le siège de Saint-Pierre.

-Mais alors -lo interruppi io -vous vous trouverez dans les mémes difficultés et dans les mémes incertitudes.

-Une fois le Pape changé -riprese Thouvenel -le rappel des troupes deviendrait plus facile. Car des deux choses l'une: ou le nouveau Pape s'arrangerait avec vous, et nous pourrons nous retirer avec honneur: ou il continuerait dans les erremens actuels, et nous le laisserons agir à sa guise en lui laissant toute la responsabilité de sa conduite.

-Nous sommes prets -gli risposi -à traiter tout de suite directement avec Rome sur les bases énoncées dans le projet de Passaglia.

-J'en suis convaincu-riprese Thouvenel-mais c'est la Cour de Rome qui ne veut pas entendre parler de négociations. Son entetement à ce sujet va au point que lorsque l'Espagne écrivit la note que vous connaissez, Antonelli adressa à Madrid un office pour prier le Cabinet Espagnol à ne pas se meler de ce qui ne le regarde pas.

-Il est cependant impossibile -aggiunsi io -que les choses restent indéfiniment dans cet état. Tant que vous resterez à Rome, les Cardinaux ne céderont point: le Pape, quoique maladif, peut vivre longtemps encore et ce seront les mazziniens qui profiteront de toutes ces hésitations.

-Ne craignez pas-replicò il Ministro -qu'il se passe longtemps avant qu'il y ait une vacance du St. Siège. La santé du Pape empire chaque jour, et bien des choses peuvent arriver avant le mois de novembre. La garnison française nous sera fort utile pendant le Conclave. Nous sommes prets à nous mettre d'accord avec vous sur le nouveau Pape. Santucci nous va: il y aurait aussi De Andrea, mais il n'est pas papable ».

Allora io lo interruppi per esporgli l'idea di far votare l'annessione per suf~ fragio universale, appena riunito il Conclave. Egli rispose:

« L'expédient est ingénieux, mais il aurait trop l'air d'un tour de passepasse. D'ailleurs je ne comprends pas trop comment le Pape et le Roi pourront rester dans la meme ville. S'ils sont d'accord, ils pourront exercer une influence immense sur tout le monde catholique: s'ils ne· le sont pas, le Pape sera bien obligé de s'en aller de Rome. Mieux vaudrait renoncer à faire de Rome votre capitale ou chercher un autre endroit pour le Pape ».

Misi allora innanzi il disegno della città Leonina, ma non parve ch'egli lo credesse eseguibile. Volendo riservar materia per un altro colloquio sullo stesso argomento, gli chiesi che cosa pensava sull'Ungheria.

-Dans un mois -mi disse egli -la question sera mure, et il sera temps àe prendre une décision. Continuez à precher la patience aux hongrois. Qu'ils ne fassent pas d'imprudences. Ils n'ont pas d'armes, ils seraient écrasés. D'ailleurs seriez-vous prets, le cas échéant, à attaquer la Vénétie?

-Tout seuls? -chiesi francamente. -Vous seuls avec les hongrois. Combien de soldats auriez-vous à mettre en ligne? -Notre effectif actuel ne dépasse pas 150.000 hommes. Mais je n'ai pas encore des données officielles à ce sujet. -Ce chiffre n'est pas suffisant. Il ne faut pas risquer ce que vous avez obtenu. Ayez patience, attendez des occasions qui vous ne manqueront point.

Gli chiesi allora come dovevo regolarmi pel ricevimento ufficiale.

-Je serai d'avis-mi rispose-que nous nous passions de la cérémonie. Je ferai annoncer au Moniteur que l'Empereur vous a reçu en audience publique et que vous lui avez remis la lettre du Roi. Cela fait, votre ambassade est finie : vous pouvez rester à Paris sans caractère officiel, et n'aurez aucune visite à faire ni à recevoir du Corps Diplomatique. Du reste vous parlerez de cela vous-meme avec l'Empereur. Je lui ai annoncé votre arrivée: il me fera bientòt connaitre ses ordres à cet égard.

Presi allora commiato da lui, e verso sera ricevetti un bigliettino col quale mi comunicò il seguente dispaccio dell'Imperatore: « Priez Arese de venir demain diner et coucher à Fontainebleau >.

Partirò oggi dopo mezzodì e ritornerò a Parigi domani probabilmente coll'Imperatore, il quale parte mercoledì per Vichy. Giovedì pranziamo da Thouvenel. Nulla è deciso ancora quanto al ministro francese a Torino. Però l'Imperatore è deciso a non innalzare per ora ad ambasciata la sua legazione a Torino. Cercherò di far nominare Lavalette o Benedetti. Si parla pure d'i La Tour d'Auvergne. Talleyrand è già nominato a Bruxelles. Ti scriverò dopo aver parlato coll'Imperatore, ed all'uopo spedirò un corriere.

(l) Allude alle dichiarazioni fatte alla Camera dei Deputati nella tornata del l luglio 1861 nella discussione per un prestito di 500 milioni: cfr. Ricasoli, VI, pp. 439-440.

182

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(A R B, cass. 48, n. 101, orig. autogr.)

L. P. 8. Londra, 1 luglio 1861

Ho letto col massimo interesse la lettera ch'Ella mi ha fatto l'onore di scrivermi e che inoltre mi fece gran piacere provandomi ch'Ella m'aveva inteso. Le domandai confidenza. E scrivendomi siccome Ella fece, mi diede una prova che aderiva alla mia domanda. Epperciò, benchè io non abbia trovato una risposta diretta al mio quesito sulle sue intenzioni a mio riguardo, ho dovuto però dal complesso della lettera conchiudere nulla volersi innovare.

Ove poi fosse altrimenti, di nuovo la pregherei, come un atto di giustizia, di rendermene avvisato, poichè sto per incontrare non lievi spese nel riordinare il materiale della Legazione del Re. V. S. ha una riputazione cosi stabilita di fermezza e di droiture che confido in lei come se l'avessi conosciuta da trenta anni. E questo inoltre mi ispira una confidenza che nell'istessa maniera mi fa scrivere come ad un amico.

Le dirò dunque che da un amico mio mi [si] mandò da Parigi la lettera torinese dell'Independance, che qui unisco, e nello stesso tempo mi si faceva sapere lavorarsi da Parigi a far sì che venga al posto di Londra un Ministro più devoto alla politica francese di me che sono, com'Ella saprà, accusato di gallofobia. Mi si aggiungeva del resto essere la E. V. anche accusata dell'istesso peccato e che erasi, per conseguenza, piuttosto accettato che desiderato la sua elevazione al posto di primo Ministro. Almeno s'avrebbe voluto che la direzione degli Affari esteri restasse in mano di persona più devota agli interessi francesi. Ed anche questo andando fallito; almeno desideravasi che a Parigi e a Londra s'avessero diplomatici accetti alla Corte Imperiale. Ecco quanto mi si faceva sapere a voce per la mia norma. Ora credo, per amor di giustizia, dover aggiungere che chi mi dava questa prova d'amicizia forse era male informato, e si può anche talvolta accusare d'un po' di credulità ben intenzionata. Ma questo mi faceva però desiderare di veder chiarirsi quei dubbi che simili comunicazioni non potevano non far nascere in me.

Intanto, appena giunto a Londra, capitò da me Persigny. Non so se l'E. V. è informata di certe stranezze a mio riguardo di questo mio ex collega, il quale persuaso lui e ripetendo a Parigi che per mezzo della mia intrinsichezza colla famiglia di Lord Palmerston io esercitassi su di lui un'illimitata influenza e cosi me ne valessi per destare diffidenze fra la Francia e l'Inghilterra, cercò realmente di nuocermi presso il mio Governo. E se non riuscl, lo dovetti prima al senno e alla bontà per me del Conte di Cavour, poi alle varie altre stramberie di Persigny, le quali provarono sempre più che, benchè uomo onesto, avea però il cervello guasto. Che anzi un giorno mi scrisse Cavour: «Persigny s'en prend à nous de ce qu'il n'a pu faire comprendre au Cabinet Anglais l'absurde politique de l'Empereur par rapport à l'Italie ». Per consiglio di Cavour aveva usato pazienza finchè rimase qui come ambasciatore; ma poi, non potendo a meno di risentirmi di una specie di persecuzione, gli feci sapere che avrei sospeso quelle intime relazioni sin qui avutesi.

Ma appena giunto capitò da me. E nello stendergli la mano non credetti più dover esitare a spiegarmi chiaramente. Egli protestò di non aver mai voluto attaccare nè le mie intenzioni, nè i miei sentimenti di onoratezza. Io, naturalmente, asserii che delitto avrei stimato una politica che avesse finito col produrre scissione tra la Francia e l'Inghilterra, mettendoci nel difficilissimo incarico di scegliere fra l'una e l'altra. Ma soggiunsi anche esser io Italiano prima di tutto e non poter prendere il mot d'ordre da Parigi. Malgrado queste sue prevenzioni contro me, ringraziai caldamente Persigny di quanto esso aveva fatto pel nostro paese, essendo realmente, credo, il solo che ci assista nei Consigli imperiali.

Il risultato fu che ci lasciammo in buoni termini. Del resto Persigny è venuto qua senza missione di sorta. Lord John mi domandò perchè fosse venuto, e Lord Palmerston, benchè lo stimi come onest'uomo, consigliò però a sua moglie una certa riservatezza nel riceverlo. Del resto, appena giunti, marito e moglie vennero dai Palmerston, i quali con me gli invitarono a pranzo l'indomani.

Tornando ora alla lettera di V. E., ne comunicai le parti che credetti più utili a Lord Palmerston ed a Lord John, i quali ne approvarono pienamente le tendenze. Anzi non posso a meno, nella sciagura che ci ha percosso colla perdita del nostro gran cittadino, di non ritrovare benefica sempre la mano della Provvidenza la quale aveva riservato, per metterlo a capo d'una gran nazione per dir così rinascente, un uomo di pensieri elevati come V. E. Con sentimenti di tal fatta si possono realmente fondar li Stati, mi direva ultimamente ancora mio zio Massimo, che una nazione esordiente ha d'uopo appoggiarsi su principi elevati, evitando invece quanto potrebbe abbassarla e parer concedere qualcosa alle sfere inferiori. Ella non può a meno di riuscire ad ottenere plauso in Inghilterra per la semplice ragione ch'Ella pensa ed agisce da gentleman, parola che per l'Inglese riassume quanto v'ha di elevato e di distinto.

14 -Documenti diplomatici -Serie I -\'ol. I

Solo chi visse in relazioni intime e dirette con quel grand'uomo di Stato di cui lamentiamo la perdita, potrà capire l'abnegazione di cui dovette far prova tutta la vita, onde ottenere fini grandi con strumenti che forse gli andavano tutt'altro che a genio, facendo fondamento sulla politica francese, mentre le sue idee erano più inglesi, ed accettando impegni che lo legavano irrevocabilmente a quella politica, e che lo obbligavano per arrivare alla realizzazione di una grande idea, a compromettersi talvolta con quegli stessi uomini di Stato inglesi che sommamente onorava.

È inutile il dissimularlo. Dessi avean bensì conservata la loro ammirazione pei suoi gran talenti, ma dopo le inesatte asseverazioni sull'affare di Savoia e Nizza, non si potevano difendere da quella diffidenza che un giorno faceva, in un biglietto confidenziale di Lord John a Lord Palmerston, scrivere: «Non obblighiamo Cavour a dirci più inesattezze (la parola era più forte) di quanto sia indispensabile».

V. E. vedrà dunque quanto sia vantaggioso che la politica d'Italia sia diretta da persona che, come H Barone Ricasoli, ha nella storia contemporanea potuto acquistarsi un si chiaro nome. Questo sentono i Ministri inglesi e gli amici nostri, e lo sentirono soprattutto dal contenuto dell'ultima sua lettera. Ed io mi stimo fortunato il constatare il fatto e di poterle trasmettere quest'attestazione di stima. Ricompensa ambita e meritata dagli uomini che la pensano come Lei.

Non devo però celarle che tali furono le impressioni lasciate dal sistema, sfortunatamente or ora invalso e finito, che riguardo alla Sardegna non si crede assolutamente scevra di reticenze l'espressione che non si cederà un pollice di territorio italiano, chiedendosi da taluni se, fuori di terraferma e dei paesi di Sicilia, si considerino le altre isole come terre italiane. Questo le dico acciò esplicite sieno le espressioni che verranno usate a questo riguardo. Del resto van scemando le inquietudini a questo riguardo; ma, lo ripeto, c'entra in questo soprattutto l'uomo più che la fraseologia.

Gran buon effetto produssero parimenti le parole da Lei pronunziate al Parlamento. S'ha gran confidenza pure nella lealtà del Re. Da taluni giudicaronsi un po' pericolose le parole pronunziate da S. M. in risposta alla Deputazione romana, ma nessuno dei Ministri me ne parlò. Quanto alla quistione romana, i Ministri vanno pienamente d'accordo con Lei su tutti i punti essenziali e teoretici. Ma credo si desidererebbe di sapere più precisamente quali siano le intenzioni ed il programma, per dir così, del Governo del Re. Hudson rispose brevemente a Lord John che V. E. aderiva alle idee di Lord John a questo riguardo. Ma, siccome mi disse questo Ministro ieri, avendone espresse varie, non sa precisamente di quali si tratti. La venuta di Persigny mi pare in questo senso una gran fortuna da non lasciarsi scappare. Persigny non ignora che i Ministri inglesi, e principalmente Lord Palmerston, lo stimano come galantuomo, se non come uomo sempre savio. Il suo soggiorno, sia come esule sia come ambasciatore a Londra, gli ha ispirato gran venerazione per le cose inglesi. Trovandosi come semplice viaggiatore e libero, per qualche giorno, dai tedi inseparabili della vita ministeriale, egli trovasi in migliori disposizioni di spirito. Oltre all'idea dominante sua attualmente dell'Orleanismo e la necessità di distruggerlo, egli ha una mania contro la gente pretesca di qualunque sorta. Affermò a me e a Lord Palmerston che quanto avea fatto per smascherarli era nulla, in paragone di quanto stava per fare. Esser stato errore l'aver avuto per loro troppi riguardi. Se dunque Lord Palmerston e Lord John, i quali mi si dichiararono prontissimi a farlo, possono ragionarlo sulla necessità d'agire prontamente e deliberatamente contro la Corte di Roma, forse, tornando a Parigi, egli potrà parlare all'Imperatore nell'istesso senso. Mentre se venisse da me o mi accuserebbe di spingere i Ministri inglesi in una direzione antifrancese o mi crederebbe pregiudicato. Ma, lo ripeto, ci mancano dati precisi e non conviene perder tempo dovendosi fermar pochi giorni. Thouvenel è già un tutt'altro uomo dicendo a Cowley di non mischiarsene troppo. Però, mi disse ieri Lord J ohn, che Flahault pure diceva che il nostro Governo dovrebbe assistere l'Imperatore proponendo una combinazione accettabile per uscir d'imbroglio. Par che base di questa combinazione sarebbe una parte, benchè minima, della città di Roma lasciata al Papa.

Lord Palmerston prese ad esaminare a lungo nella sua conversazione il punto speciale di far sì che il Papa resti indipendente e fino a che punto egli e i suoi Cardinali dovrebbero considerarsi come dovendo rendere qualcosa a Cesare. Ed io gli rispondevo doversi ad un certo segno prender per paragone la libertà spirituale di cui godrebbe il Papa se avesse dovuto scappar in Inghilterra. Ma da noi si domanderebbe di più. Feci osservare che per ora il Sacro Collegio era ancora a tempo a propor condizioni. Ma se succedeva qualche trambusto dovrebbe accettarle. Opinò Lord Palmerston che fracasso non succederebbe stante la presenza francese. Ed inoltre egli pare, sembra, colpito dall'idea che la Francia voglia, rimanendo con 20.000 uomini a Roma, conservarsi una posizione strategica sia per tenersi l'Italia in sua balìa, sia per favorire le pretese dei Murattisti ove potessero aver successo.

Se V. E. lo crederà utile e mi darà qualche ragguaglio più preciso sulle sue intenzioni riguardo alla soluzione della questione romana, gliene sarò riconoscente e me ne servirò nel modo sovrindicato.

Al fine di farmi un'idea più precisa delle intenzioni del Governo Inglese, domandai a Lord John se egli sarebbe intenzionato d'elevare la legazione inglese al primo rango in Italia. Mi disse che non credeva che vi fosse una tal intenzione, poichè dovrebbesi far lo stesso per la Prussia. Del resto scriverglisi da Parigi che per ora rimarrebbe un Ministro e non un ambasciatore. Resta dunque più facile ragionare sull'occorrente al Ministro di S. M. Mi riservo di dar alcune cifre in proposito, che saran prendendo per base quanto Hudson riceve a Torino, cioè 125.000 franchi, e, tenendo conto della differenza delle capitali, nessuno, credo, potrà dirlo esagerato.

La sottoscrizione inglese al monumento Cavour ha camminato ammirabilmente e le mando circa 120 dei più bei nomi d'Inghilterra. Se posso, le manderò, a sigillo volante, la lettera diretta al Sindaco di Torino. La pregherei a voler far sì che nella stampa si dia una certa importanza a quest'atto di simpatia e, se lo crede opportuno, V. E. non avrebbe difficoltà a scrivere una lettera di quattro righe a Lord Shaftesbury, che tanto si adoperò in questa come in altre occasioni a pro dell'Italia.

P. S. -Ho l'onore di trasmetterle, a sigillo volante, la lettera al Sindaco di Torino. Lord Shaftesbury si raccomanda acciò sia immediatamente mandata al Conte Cossilla.

183

CIRCOLARE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AGLI AGENTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

Torino, 2 luglio 1861.

La Camera dei Deputati ha approvato nella sua adunanza di ieri, con voto quasi unanime, la legge per cui vien fatta facoltà al Governo del Re di contrarre un prestito di 500 milioni effettivi. Intesa a somministrare i mezzi di saldare le spese cagionate dai meravigliosi avvenimenti trascorsi, di sopperire alle esigenze future, la legge del prestito era essenzialmente un provvedimento politico. La discussione di quella legge doveva pertanto collocare il Gabinetto, che una sventura irreparabile ha chiamato alla direzione della cosa pubblica, in presenza della manifestazione legale dei sentimenti e delle convinzioni del paese. Il voto che verrebbe reso, sarebbe come la misura ed il criterio della confidenza ispirata dal presente Ministero, del concorso che ei può ripromettersi dal Parlamento e dalla nazione.

L'esito di questa prova, sono lieto di constatarlo, ha pienamente corrisposto al concetto ed alle speranze che induceva a nudrire la rappresentanza di un paese che frammezzo a cosi straordinarie vicende ha dato saggio costante e luminoso di patriottismo, di politica saviezza, e del fermo suo proposito di accettare con animo volonteroso quanti sagrifizi richiedesse l'opera della sua indipendenza e della sua unità nazionale.

Non ho d'uopo, sig...., di farle notare tutta l'importanza della deliberazione presa dalla Camera colla quasi unanimità dei suffragi. Quest'importanza è di tanto maggiore che la legge del prestito provvede ai più gravi ai più vitali interessi della patria nostra, e che avevale preceduta il voto dell'altra legge rilevantissima per cui venne creato un solo debito pubblico per l'intiera Italia. Tali risultamenti avranno, ne son persuaso, benefico influsso sulla situazione nostra, non meno all'interno che rispetto all'estero. Dopo d'avere costituita l'unità nazionale, noi saremo giunti così a fondare eziandio l'unità finanziaria d'Italia. Confortati dal credito pubblico e dalla pubblica opinione, noi speriamo ci verrà dato parimenti, mercè l'incremento della ricchezza nazionale, e mercè una amministrazione previdente, solerte, e misurata, di riparare ai disavanzi cagionati da una lotta di più anni, e di ristabilire fra non molto l'equilibrio fra le entrate e le spese. Il programma esposto con tanta chiarezza e precisione su questo proposito dal mio on. Collega il Ministro delle Finanze porge ogni maggior sicurezza e noi vogliamo confidare sarà accolto con non minor favore dall'opinione straniera che noi sia stato in seno al Parlamento nostro e dal nostro paese.

Dal canto mio ho creduto dovere in occasione così solenne chiarire nuovamente e con tutta la franchezza di un intimo convincimento gli intendimenti del Governo del Re nella sua azione all'interno ed all'estero. La nostra politica si riassume nello svolgere all'interno la prosperità nazionale, col promuovere il commercio, le industrie e le arti, col dare agli interessi municipali e provinciali ampio mezzo di venir soddisfatti, col tutelare risolutamente e fermamente l'ordine pubblico senza venir meno al rispetto delle leggi, ed alla sincera applicazione di quei liberali principii che informano le nostre istituzioni.

Riguardo all'estero, il Governo del Re non può perdere di mira il compimento di quell'opera che venne con tanta costanza condotta ormai al desiderato suo termine. Ma nel volgere ogni nostra sollecitudine in far sì che l'indipendenza nazionale venga totalmente compiuta, fj.denti nella ragione e nelle simpatie d'Europa, noi non ci faremo provocatori di crisi le quali dovessero turbare la pace generale e mettere a repentaglio gli interessi stessi della causa Italiana. Questa politica, io non potrei dubitarne, otterrà l'approvazione delle potenze amiche, e le renderà propense al compimento dei nostri destini.

Nel vedere l'Italia riconosciuta già dai principali Governi d'Europa, assodata ormai negli interni suoi ordinamenti, pronta a prestar al Governo ogni maniera di concorso, ci è lecito portar fiducia che i dubbi che ancora potevano sussistere presso alcuni Governi non tarderanno a far luogo ad un sentimento di fondata sicurezza intorno allo stabile e regolare andamento del nuovo ordine di cose, ed all'assetto definitivo dell'Italia.

Autorizzo la S. V. Ill.ma a valersi di questi dati e di queste osservazioni nei suoi rapporti col Governo presso cui è accreditata.

184

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A MADRID, TECCO

D. s. n. Torino, 2 luglio 1861.

Ho ricevuto il dispaccio confidenziale del 20 scaduto giugno in cui la

S. V. Ill.ma riferisce la difficoltà che nelle provincie e talvolta eziandio nella Capitale vengono frapposte al pieno e sincero eseguimento degli accordi stati presi col Governo di S. M. Cattolica per dare provvisoria norma ai reciproci rapporti sinché sia dalla Corte di Spagna riconosciuto il Regno d'Italia. Questi accordi, mi sia lecito il qui riepilogarli, recavano che niun ostacolo verrebbe fatto al visto per parte delle Autorità Spagnuole dei passaporti ed altri documenti spediti dalla Real Legazione o dagli Agenti Consolari d'Italia; che per riguardo alle opinioni di S. M. Cattolica la S. V. Ill.ma terrebbe nella sua corrispondenza un modo che non l'obbligasse a menzionare affrettatamente il titolo di Re d'Italia assunto dall'Augusto Nostro Sovrano; che dal canto suo il Ministero Spagnuolo per non fare aperta opposizione a quel titolo usando l'antico di Re di Sardegna si restringerebbe ne' suo'i indirizzi a qualificare la S. V. Ill.ma di Ministro, etc., di S. M. il Re Vittorio Emanuele II.

Se queste intelligenze dinotavano da ambe le parti sentimenti di conciliazione e desiderio di continuare in quei termini di benevolenza che sempre avevano segnate le relazioni fra i due Governi, mal potrebbe disconoscersi che nel proporre quel temperamento noi abbiamo dato alla Corte di Spagna tanto maggior prova di deferenza quanto erano minori le concessioni che per noi le venivano chieste. Il Governo del Re doveva dunque tenere e tiene tuttora per fermo che l'osservanza delle basi convenute, come affidata alla lealtà ben conosciuta del Governo di S. M. Cattolica non possa patire alterazione. Noi vogliamo credere pertanto che se nacquero difficoltà, queste siano un semplice malinteso di Autorità subalterne, e non già un effetto di istruzioni diramate dal Gabinetto di Madrid. Ma se, ciò che sono alieno dal supporre, io andassi errato in questa mia credenza, allora io dovrei arguirne con sommo _mio rammarico che il Governo di S. M. Cattolica, non tiene in tutto quel pregio che noi teniamo giustamente le amichevoli relazioni, che sinora esistettero fra i due Stati, e che sarebbe sommamente increscevole per noi il non poter coltivare con quella sollecitudine di cui ci fu grato in ogni congiuntura il dare testimonianza.

Invito la S. V. Ill.ma a leggere il presente dispaccio a S. E. il Ministro degli Affari Esteri di S. M. Cattolica ed a farmi conoscere il risultato che avrà avuto questa comunicazione.

185

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, ALL'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE

(Ed. in R. BONFADINI, op. cit., p. 286)

T. 399. Torino, 3 luglio 1861, ore 13.

Le décret dictatorial déclare appartenir à l'Etat les biens des Bourbons (l); il faut le Parlement pour l'abroger; ni le Parlement l'abrogerait ni le Gouvernement le proposerait parce qu'il ne pourrait faire chose contraire a sa conscience et à l'opinion publique. Du reste comment peut-on imaginer que celui qui a perdu une couronne, puisse se calmer à la restitution de quelques biens, tandis qu'il est déjà en possession de valeurs volés quatre fois plus forts que les biens saisis, et dont il se serve pour nourrir des réactions téméraires et stériles au but qu'on se propose, plutòt que d'en jouir paisiblement? A-t-on oublié les exemples des Dynasties déchues françaises? On aurait le moyen de tout sauver, exceptés les Bourbons qui ne le méritent pas. Le Gouvernement de l'Italie propose ce moyen, et on le repousse et on l'ajourne à un moment qui aura le tort du fameux trop tard. Laissant aller la Cour de Rome en proie de ses passions, je prévois une catastrophe dans l'Eglise Romaine que le Gouvernement du Roi et en bonne politique et par des considérations politiques voudrait prévenir. Rome est pour l'Italie une cause de trouble très dangereux, une menace continuelle à l'ordre public. Les républicains travaillent les populations leur indiquant les troupes françaises comme la seule cause qui empeche la solution romaine dans le sens national. Que l'Empereur y réfléchisse bien s'il est de son intéret d'entretenir une source continuelle d'intrigues, de conspiration et de trouble. Quant à moi je résisterai jusqu'à me faire écraser contre tout désordre ou qu'il vienne d'en bas ou d'en haut, du còté rouge ou du còté noir, et l'Italie doit se compléter coute qui coute, et malgré tous les obstacles. Thouvenel dit que je suis pressé, j'en ai raison;

dans ma lettre particulière j'ai employé le langage simple comme la vérité, sans figures oratoires; j'ai envisagé la chose au véritable point de l'intérét français et italien. J'ai rempli un devoir. Est-il vrai que les troupes françaises évacuent Civita-Castellana, Viterbo et Bagnorea?

(l) Con telegramma della mezzanotte del 2 luglio n. 585 (R. BoNFADINI, op. cit., p. 285), l'Arese aveva comunicato a Ricasoli che l'Imperatore desiderava sapere se il Governo 1taliano fosse disposto a restituire a Franeesco II i beni privati confiscati in cambio della part8nzada Roma.

186

L'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in R. BONFADINI, op. cit., p. 287)

T. 586. Parigi, 3 luglio 1861, ore 13,10 (per. ore 16,20).

Votre discours sur l'emprunt est très mal interprété ici. Faites déclarer par l'Opinione dans un article, que en parlant d'une occasion favorable vous vouliez faire allusion à la question d'Orient.

187

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, ALL'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE

T. 400. Torino, 3 luglio 1861, ore 24.

Je ne sais pas si les interprétations dont parle votre chiffre, sont basées sur le texte officiel de mon discours. J'ai dit: «L'opportunité qui se prépare et surgit au sein du temps ouvrira la route de Venise ». Il s'agit d'une opportunité qu'on espère et qu'on ne détermine pas: et dans l'état de l'opinion en Italie qui affirme son droit sans vouloir cependant troubler la paix européenne, je ne comprend pas que le Gouvernement Italien put dire moins pour satisfaire les légitimes aspirations nationales sans éveiller des susceptibilités diplomatiques. On doit bien se pénétrer de la mission d'un gouvernement chargé de constituer la nation après une remarquable révolution. Il doit fortifier son autorité en se montrant aussi décidé à soutenir les droits de la nation qu'à CO!l}battre l'anarchie chez lui; ce qui revient au méme que défendre l'ordre public en Europe. Cependant pour preuve de bon vouloir envers le Gouvernement de l'Empereur, l'Opinione parlera dans le sens que vous indiquez.

188

L'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in R. BoNFADINI, op. cit., pp. 282-84)

L. P. Parigi, 3 luglio 1861.

Lunedì alle tre dopo mezzodì giunsi a Fontainebleau. Rimasi stupito vedendo alla stazione le vetture di Corte con piqueur e scudiero e tutta la pompa pel ricevimento ufficiale dell'Ambasciatore.

Le prime parole dell'Imperatore furono: Comment vous n'étes pas en uniforme? Gli risposi che credevo che la cerimonia ufficiale non avesse luogo subito. Dopo qualche scherzo su questo argomento, si passò a cose più serie. Non potendo riferirti testualmente tutti i discorsi tenuti nei tre lunghi colloqui che avemmo insieme, te ne dirò il sunto, riservandomi di aggiungere a voce al mio ritorno qualche particolare. L'Imperatore mi ripeté ch'egli sarebbe lietissimo di poter richiamare le sue truppe. Trovatemi, egli disse, qualche modo onorevole d'uscirne ed io vi lascio liberi d'agire, sotto la vostra intera responsabilità, secondo i vostri interessi. Ma io non posso richiamare le truppe senza che la sicurezza del Papa sia garantita, e che per conseguenza voi siate d'accordo colla ·corte Romana; ora finché vive il Papa attuale è vana ogni lusinga di potere neanche intavolare dei negoziati. L'Imperatore soggiunse che egli è pronto a combinare i suoi sforzi coi nostri per ottener in caso di Conclave l'elezione d'un Papa liberale. Egli approva la scelta del Santucci, ma dubita che questi, una volta eletto, accetti senza restrizione il progetto del Passaglia e del Pantaleoni e rinunci affatto al potere temporale. Se poi il nuovo Papa fosse affatto retrivo, l'Imperatore non essendo legato con lui da tante ragioni di deferenza, richiamerebbe le sue truppe.

Alla mia proposta di riprendere i negoziati sulla base dei cinque punti proposti dal Principe Napoleone, l'Imperatore rispose ch'egli ebbe recentemente a convincersi della impossibilità di mettere ora in esecuzione quel disegno.

Il disegno della Città Leonina è pure giudicato poco eseguibile dall'Imperatore. In ogni caso, egli mi disse, questo disegno presuppone un accordo col Papa e questi è irremovibile nel suo rifiuto di trattare. E qui tornarono in campo le obbiezioni già fatte dal Thouvenel sulla pratica impossibilità che il Re ed il Papa coesistano a Roma, sulle conseguenze che un tale stato di cose avrebbe per l'Europa, ecc.

Insomma l'Imperatore non vede alcun modo conveniente di risolvere a priori la questione romana; egli crede che il partito migliore sia quello di trar profitto dei cambiamenti che devono in un'epoca prossima avverarsi nelle circostanze di fatto. Egli inclinerebbe tuttavia a far studiare il disegno di stabilire a Roma una condizione di cose analoga a quella esistente nei Principati Danubiani. Il papa riterrebbe cioè l'alta sovranità su Roma e nel patrimonio di S. Pietro. Il Re amministrerebbe e governerebbe Roma ed il suo territorio in modo analogo alle altre parti dello Stato. Credetti opportuno di non accogliere nemmeno la discussione su questo disegno, che richiamerebbe in campo l'antico concetto del Vicariato.

Venendo alla politica generale, l'Imperatore non mi nascose che l'ultimo tuo

discorso non fece sopra di lui buona impressione ed a me certamente non fece

un letto di rose. Egli mi disse chiaramente: O voi potete far da voi soli, ed in

questo caso siete liberi d'agire come credete e di correre tutti i rischi della vostra

condotta. O voi avete bisogno dell'aiuto della Francia, ed è ragionevole che te

niate conto non solo dei suoi interessi, ma altresì delle sue opinioni e dei suoi

desideri. Quando eravate uno Stato di quarto ordine, niuno badava ai discorsi

imprudenti dei vostri Ministri. L'esagerazione dell'audacia può essere nei deboli

una virtù. Ma ora che senza esser ancora una grande potenza, diveniste un grande

Stato, dovete apprendere il linguaggio temperato e conveniente che parlano in pubblico gli uomini di Stato europei. Minacciare senza essere forti è il calcolo più fallace: compromettere i propri amici è il vero modo di non averne alcuno.

Venendo all'Ungheria, egli mi disse che le notizie più recenti di Vienna gli facevano credere imminente lo scoppio di un'insurrezione: che questo era appunto nei voti del Governo Austriaco, il quale coi 40.000 uomini che ha in Ungheria avrebbe schiacciato i ribelli, e che se l'Italia si compromette correrà gravissimi pericoli. Aggiunse che la Russia è finora contro di noi e che invece la Prussia ci riconoscerà forse fra qualche tempo, se noi evitiamo ogni sospetto di voler turbare la pace; perciò egli è di tutta necessità l'esser cauti e prudenti anche nelle parole. Altre cose aggiunse che ti dirò a voce. Lo vedrò ancora questa sera alle sette, e ti manderò se occorre per telegrafo ciò ch'egli mi dirà di più importante.

189

IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE S. n. Francoforte, 3 luglio 1861.

Faisant suite à ma dépeche confidentielle du 30 juin dernier (1), je viens ajouter aujourd'hui que l'un des arguments qui a encore employé le Ministre d'Autriche pour dissuader les Envoyés de Mecklembourg, de Bavière, et de Wiirttemberg de présenter à la Diète une proposition de représailles relative au retrait de l'exequatur de leurs Consuls dans les Etats du Roi, a été que la Prusse s'opposerait certainement à sa prise en considération, et qu'il y avait déjà assez de points de dissidence avec le Cabinet de Berlin, sans ajouter encore celui-là. Le plus récalcitrant des trois Envoyés a été celui de Bavière, M. de Pfordten, qui aux observations de M. de Kiibeck a répondu qu''il considérait la mesure prise par le Gouvernement du Roi comme une injure faite à toute l'Allemagne, et que s'il avait encore été Ministre des Affaires Etrangères, il n'eut pas hésité, sans consulter personne, à donner l'ordre au représentant de Bavière de demander à la Diète l'éloignement immédiat de cette légation. Au reste ces trois Messieurs tout en étant animés de la meme haine contre tout ce qui se rapporte à l'unité d'Italie, étaient loin d'etre d'accord sur la rédaction de la motion à présenter: chacun d'eux voulait y mettre son mot, et le résultat de tant d'intelligences réunies a été que l'on ne ferait rien, pour le moment, que l'on attendrait.

M. le Baron de Oettzen, Ministre des Affaires Etrangères de Mecklembourg, qui a passé ici quelques jours, a été également de cet avis, et l'on est maintenant décidé à en rester là.

En resumé toutes ces petites passions retrospectives n'on abouti à rien, et en présence de l'opinion de l'Allemagne si favorable à l'Italie, sont venues donner une nouvelle preuve du manque d'accord complet et de l'impuissance radicale des Gouvernements actuels.

Mais en terminant, pour donner à V. E. une idée des étranges illusions dont on se berce encore à Vienne, je ne dois pas oublier d'ajouter que pour continuer à exercer son action et son influence sur les petits Etats, l'Autriche, dans cette circonstance comme dans toutes celles qui se présentent, ne cesse de répéter sur tous les tons, que ce qui se passe en Italie n'a « à ses yeux qu'un caractère provisoire et que, comme le dit souvent le Président de la Diète, l'on reviendra sur tout cela».

(l) Recte: 29: cfr. n. 178.

190

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 4 luglio 1861.

J'ai appris avec une sincère satisfaction, par votre dépèche confidentielle du 24 du mois de juin dernier (1), les conseils et les efforts que le Gouvernement de S. M. Britannique ne cesse d'employer pour nous aider à compléter l'cevre de notre indépendance, et pour obtenir au Royaume d'Italie la reconnaissance des Gouvernements qui hésitent encor à donner leur adhésion au nouvel ordre de choses. Ce sont là des nouveaux et constants témoignages d'une amitié qui nous a déjà rendu d'immenses services, et qui ne s'est jamais démentie. Le Cabinet Britannique sait trop tout le prix que ses conseils ont à nos yeux pour ne pas ètre assuré de l'accueil qu'ils trouveront toujours de notre part.

Mais l'avis, très bienveillant sans doute et très sage, que Lord John Russell vous a donné sur notre attitude envers la Prusse me parait supposer des renseignements qui manqueraient d'exactitude. Tenant compte des dispositions de la Cour de Prusse et voulant éviter avec le plus grand soin des difficultés inutiles, loin d'insister pour une reconnaissance plus ou moins immédiate, le Gouvernement du Roi a toujours déclaré au Cabìnet de Berlin que nous le laissions parfaitement libre de juger du moment où il croìrait pouvoir nous reconnaitre sans aucune répugnance pour ses principes, aucun inconvénient pour sa politique.

Tout ce que nous avons demandé, et cette demande a été accueillie, avec empressement par la Prusse, c'est que des mesures transitoires fussent adoptées entre les deux Etats pour la continuation de ces bons rapports qui existaint entre eux et qui effectivement n'ont subi aucune espèce d'altération. Nous ne voyons pas de motif de ne pas persévérer dans cette réserve. Nous aimons à espérer qu'en voyant le nouvel ordre des choses se consolider, en nous voyant suivre une politique modérée et rassurante, la Prusse sera portée à imiter l'exemple de l'Angleterre et de la France.

Quant à l'étrange bruit de cessions, que la mauvaise foi seule peut s'obstiner à propager, je suis bien aise que la France l'ait démenti catégoriquement. Comme l'avaìt déjà solennement déclaré M. le Comte de Cavour, comme je viens

...

d'en répéter moi mème la déclaration la plus formelle à la Chambre, une cession quelconque de territoire italien est moralement impossible et le Gouvernement du Roi n'y consentirait jamais.

(l) Allude alla confidenziale n. CCIII, il cui contenuto coincide in gran parte con quello della particolare dello stesso giorno pubblicata al n. 162.

191

L'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (Ed. in R. BONFADINI, op. cit., p. 287)

T. 599. Parigi, 4 luglio 1861, ore 9,35 (per. ore 10,40).

J'ai vu l'Empereur hier au soir; il est dans les mèmes dispositions que Thouvenel à ne rien décider à présent. Je commence aujourd'hui mes visites aux Ministres et aux hommes d'Etat. Il est faux que les troupes françaises soient retirées de Viterbo. Le Général Fleury ira à Turin porter au Roi la réponse de l'Empereur. Du reste rien de nouveau.

192

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLJ, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, LA MINERVA

T. 404. Torino, .5 luglio 1861, ore 16.

La santé du Saint Père donne des inquiétudes les plus sérieuses. Les Puissances catholiques doivent en conséquence se préoccuper de l'élection future. Je vous prie de présentir adroitement les intentions du Cabinet de Lisbonne et de me faire connaitre s'il serait disposé à se concerter avec nous à l'égard d'une éventualité d'une si haute importance. Vous ne devez engager en aucune manière l'action du Gouvernement du Roi ni autoriser le Cabinet Portugais à croire que vous faites cette ouverture par ordre exprès du Ministère. D'après les réponses qu'on vous fera, je vous donnerai des instructions ultérieures. Soyez très circonspect vis-à-vis des Membres du Corps diplomatique étranger sans exception.

193

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, ALL'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE (Ed. in R. BONFADINI, op. cit., p. 288)

T. 406. Torino, 5 luglio 1861, ore 21,30.

Nous n'avons jamais eu l'idée de faire notre emprunt sous forme de loterie (1). J'ai le plaisir de vous dire que mon discours à la Chambre a produit une heureuse impression à l'intérieur, a donné de la force au Gouvernement et a imposé subjection aux exaltés.

(l) Alle 17,26 dello stesso giorno l'Arese aveva telegrafato (n. 594) la voce di!Tusa a Parigi e riferitagli dal Persigny che il prestito italiano sarebbe stato emesso sotto forma di lotteria, forma che avrebbe impedito la quotazione in Borsa (R. BoNFADINI, op. cit., p. 283).

194

RESOCONTO DEL PROFESSOR BIANCHI (l) SUL COLLOQUIO CON KOSSUTH (A R B, Cass. D. 2, n. 82, co.)

Torino (Albergo Trombetta), 5 luglio 1861, ore 20.

Presento una lettera del B(arone). K. si congratula di rivedermi: ricorda il nostro colloquio del luglio '59 dopo Villafranca, e soggiunse: Vedete, io aveva ragione di dirvi che non avreste avuto bisogno dei miei Ungheresi, perchè non ci sarebbe intervento. Veniamo alla questione. Egli starà agli ordini del

B. per la nota risposta. Intanto è lieto poter dare buone notizie. Tempo fa passando per Parigi si presentò come al solito a Thouvenel, dicendogli che si teneva agli ordini dell'Imperatore, che non dimandava udienze, ma faceva sapere essere presente se mai l'Imperatore avesse voluto vederlo. L'Imperatore gli fece dire da Thouvenel: Dites d Kossuth qu'd présent iZ faut que je fasse le mort. Ora però l'Imperatore ha degnato di fargli sapere che è contento, molto contento dell'andamento delle cose in Ungheria, che loda l'accorgimento, la dignità, la moderazione della Dieta; ma esser necessario che il nobile popolo Ungherese conduca le cose con pazienza fino alla futura primavera perchè allora egli l'Imperatore sarà pronto, ma quello che si dice pronto. L'Indirizzo Deak era appunto combinato in modo da dar luogo a lunghe discussioni e guadagnar tempo: Francesco Giuseppe vi era chiamato Re. Ora niuno è Re d'Ungheria se non è coronato coi riti consacrati. La Dieta pertanto cancellò dall'Indirizzo la parola, che sarebbe sembrata un implicito riconoscimento, e tolse un paragrafo che si prestava alla medesima interpretazione. L'Austria ricusò ricevere quest'Indirizzo, allegando la forma poco rispettosa e conveniente. La Dieta delibera se restituirà o no il titolo e il paragrafo controversi. Non è probabile che la Dieta venga a transazione; se ciò accadesse l'indipendenza dell'Ungheria sarebbe compromessa per un tempo di cui non è prevedibile la durata. Per sostenere il morale del paese Kossuth soggiunge avere scritto lettere ai capi e fatto sapere per telegrafo il discorso pronunziato dal B(arone) alla Camera il 1° corrente. Ciò egli reputa molto giovevole. Se l'Ungheria venisse a transazione colla Casa d'Asburgo, l'Italia mancherebbe di un aiuto e forse per la forza delle cose potrebbe avere se non un nemico di più, almeno un esercito più numeroso da combattere.

195

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 342. Berlino, 5 luglio 1861. Le Baron de Schleinitz m'a dit hier qu'il lui revenait que certaines phrases

du dernier discours prononcé par V. E., lors de la discussion de l'emprunt, avaient produit partout une vive alarme.

grazione ungherese.

J'ai invité M. de Schleinitz à attendre le texte méme du discours -connu jusqu'ici que par des extraits télégraphiques --avant d'en apprécier la véri-table portée. Au reste je me suis référé au programme adopté par notre Ministère de continuer la pol!itique de M. le Comte de Cavour, à savoir celle d'affirmer le droit de l'Italie de se constituer une nation unie, de procéder avec énergie, mais aussi avec prudence parce que nous visions à atteindre ce but sans secousse, et sans compromettre la paix de l'Europe. J'ai cité à cet effet des passages de la dépéche du 21 juin à notre Chargé d'Affaires à Paris. Pour dissiper les ombrages causés non seulement par les allusions à Venise, mais aussi par la revendication des frontières naturelles, j'ai rappelé le contenu de la dépéche du 16 mars 1861 (Cabinet) au Marquis d'Azeglio, et la déclaration des plus explicites que j'avais été chargé de faire sur notre ferme intention de respecter en toute chose les droits de la Confédération germanique (dépeche Cabinet du 2 janvier 1861: décret du Commissaire dans les Marches relativement au Lloyd autrichien).

Le Baron de Schleinitz a paru accuellir avec satisfaction ces explications, du moins m'a-t-il donné l'assurance que le Gouvernement Prussien ne se laisserait pas entrainer par des opinions préconçues. Il se réservait de nous juger d'après nos actes. J'ai ajouté que les antécédents de V. E., non moins que ces circulaires récents, étaient la meilleure garantie qu'Elle saurait, sans recourir à des moyens téméraires, compléter la grande oeuvre de notre indépendance.

La politique prussienne est si vacillante, si indécise que je m'explique jusqu'à un certain point que ses hommes d'Etat se troublent à la lecture d'un discours empreint d'un esprit aussi résolu et de convinctions patriotiques aussi profondes. C'est pourquoi j'ai cru convenable d'y joindre quelques remarques en guise de calmant, mais sans me permettre toutefois de modifier un langage qui ne saurait mieux répondre à nos légitimes aspirations.

J'ai pu nouvellement m'assurer dans mon entretien avec le Baron de Schleinitz que la Prusse n'est pas à la veille de nous reconnaitre. Le Cabinet de Berlin, malgré mes insinuations indirectes, persiste à garder une attitude expectante et d'observation. Il veut avant tout se convaincre si nous réussirons à nous consolider dans l'Italie méridionale. Sous ce rapport il importerait que je fusse à méme de fournir quelques détails sur la situation des provinces napolitaines, situation que nos adversaires exploitent en la représentant sous les couleurs les plus sombres.

(l) Celestino Bianchi, segretario particolare del Ricasoli, manteneva i contatti con l'emi

196

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 343. Berlino, 5 luglio 1861.

La question de la prestation du serment par les Etats de la Monarchie, est résolue dans le sens constitutionnel. Les fétes se borneront au couronnement à Konisberg et à l'entrée solennelle a Berlin du Roi Guillaume 1er. Sa cassette particulière en couvrira les frais évalués a 300.000 thalers.

La crise ministérielle est ainsi écartée, ou plutòt elle est ajournée jusqu'aux élections prochaines. Cependant la position du Baron de Schleinitz n'est pas encore définitivement réglée.

On désigne trois candidats à sa succession: le Comte Bernstorff, M. de Bismark et M. d'Usedom, Ministres de Prusse à Londres, S. Petersbourg et Francfort. Le Comte Bernstorff tient trop à l'extrème droite pour avoir des chances sérieuses. M. de Bismark a trop d'énergie pour s'accomoder de l'esprit irrésolu de son Souverain. Ce diplomate penche pour l'alliance avec la France et la Russie. Il serait mème disposé a faire bon marché de la rive gauche du Rhin, moyennant une large compensat!ion dans le Nord de l'Allemagne. M. Usedom conviendrait peut-ètre mieux à la Cour. Il est doué de plus de finesse que ses compétiteurs. Il saurait admettre des tempéraments dans la poursuite de ses projets favorables à la suprématie de son Pays dans la Confédération germanique. M. Usedom ayant résidé plusieurs années à Rome est versé dans !es affaires italiennes et sous ce rapport peut-ètre nous rendrait-il quelques services.

En attendant le Roi d'ésire que M. de Schleinitz reste à son poste.

Au reste une modification ministérielle ne changerait pas de sitòt l'attitude expectante du Gouvernement à notre égard. Il nous reconnaitra quand il se connaitra lui mème!

Quant à la Russie, elle ne songe pas encore non plus à nouer des relations officielles avec le Royaume d'Italie. Telle est du moins l'impression .du Due de Montebello en suite de ses entretiens avec le Prince Gortschakoff. Celui-ci se montre très peu satisfait de la reconnaissance de la France, acte qui ne s'accorderait guère avec les déclarations transmises l'année dernière à Varsovie par l'Empereur Napoléon, nommément avec le troisième point du Memorandum soumis aux trois Souverains du Nord: « les circonscriptions territoriales de l'Italie et l'établissement des pouvoirs destinés à gouverner les divers Etats de la Péninsule seront réglés par un Congrès ~. Le Prince Gortschakoff semble oublier que les négociations de Varsovie n'ont abouti qu'à un résultat négatif, en laissant d'ailleurs à la France pleine liberté de prendre conseil de ses propres convenances.

Au sujet de l'Autriche je sais de très bonne source qu'elle a l'intime conviction qu'une agression de sa part contre l'Italie aurait pour conséquence inévitable une guerre avec la France. Cette considération seule l'oblige d'ajourner l'exécution de ses projets vindicatifs.

En attendant voici l'impression rapportée, il y a peu de jours, par une course à Vienne. M. de Schmerling ne désespère pas, tant s'en faut, de faire entendre raison aux hongrois, de mème qu'aux autres Provinces aux quelles on prète des tendances séparatistes. Leurs députés actuels ne reflètent pas l'opinion de la majorité. Partout il existe un grand nombre d'indécis qui finiront par comprendre que leurs véritables intérèts seront mieux sauvegardés par une union étroite entre les différentes parties de l' Empire. En Hongrie notamment la masse du peuple n'aurait aucune velleité d'autonomie complète. Si les Chambres continuent à y formuler des prétentions inadmissibles, elles seront dissoutes, et des élections directes ameneront des élémens plus maniables. Il sera possible alors d'avoir une représentation plus homogène dans le Conseil de l' Empire

(Reichsrath).

M. de Schmerling est peut-etre en bonne foi. Mais, au dire de plusieurs personnes très sensées, la Cour et le Comte de Rechberg jouent à la constitution, en attendant le moment opportun pour jeter par dessus bord leur masque de Iibéralisme, leur appareil fantasmagorique.

197

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, ALL'AMBASCIATORE STRAORDINARIO A PARIGI, ARESE (Ed. in R. BONFADINI, op. cit., pp. 289-90)

L. P. Torino, 6 luglio 1861.

Ricevo la tua lettera del 3 luglio corrente.

In verità non sono arrivato a capire il pensiero intimo dell'Imperatore su Roma. Sembra che oggi non voglia nulla fare per scioglierla, voglia meglio rimettersi al tempo di un nuovo Papa, pure influendo ad una elezione favorevole alla elezione di un Papa che sia disposto ad abbandonare un potere che è l'annientamento della grandezza e autorità spirituale.

Questa idea io la comprenderei meglio se fosse aggiunto, che ove il Papa nuovo persistesse un po' più o un po' meno nelle idee del vecchio, l'Imperatore richiamerebbe le sue truppe.

Qui sorge appunto al pensiero il caso d'un Papa che resista a quella conciliazione che solo può essere compatibile con il diritto nazionale. Che faranno allora le truppe francesi? A me pare che il Governo francese dovrebbe fin d'ora rendersi conto di questa eventualità, che per quanto si può prevedere per l'esperienza del passato, è la più probabile.

A fermare poi i miei giudizi su questo molto grave oggetto aspetterò il tuo ritorno.

Ho poi la soddisfazione di potere dichiarare, anco più largamente che non feci nel mio telegramma di ieri, che le mie parole all'occasione del prestito furono molto favorevolmente accolte dagli Italiani! Io non so concepire né un Governo debole, né un Governo matto. So concepire un Governo che conosce molto nettamente quello che deve volere, e deve avere animo di saperlo dire nettamente alla Nazione e al tempo stesso deve sapere dire con quali modi vuole conseguire Io scopo prefissosi. Io credo di avere enunciato il pensiero e il dovere del Governo in modo netto, e così è stato inteso all'interno, e ne ho avuti attestati non dubbi.

II Governo è oggi rafforzato dentro e fuori il Parlamento, e i matti hanno inteso che il Governo vuoi fare lui, e non ammette compartecipi estranei al potere esecutivo, nel quale sta la responsabilità e insieme l'autorità. In questa franca esposizione vi concorrono tutte le ragioni di ordine pubblico e di convenienza politica, e, invero, credo che l'Imperatore dei Francesi sia più d'accordo meco nel fondo dell'animo, che con le parole a te dirette non abbia mostrato d'esserlo. V'è una questione pregiudiziale, amico mio, ed è, che io non potrei tenere altro linguaggio da quello tenuto e aspetto dal Re e dal Parlamento la censura che mi può veramente convenire.

Credo pure in coscienza che consolidando il Governo del Re rendo un grande servizio, non solo all'Italia, ma pure all'Imperatore, il quale, ha troppa mente, per non capire che l'Italia è per Lui un solido rinfranco.

198

L'INCARICATO D'AFFARI PORTOGHESE, DE CASTRO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

Torino, 6 luglio 1861.

Le Gouvernement de Sa Majesté, tout en me transmettant copie de la Note qui a été adressée, le 27 du mois passé, à Monsieur le Comte de la Minerva pour lui communiquer que Sa Majesté le Roi Don Pedro V a reconnu le titre de Roi d'Italie, que Sa Majesté Victor Emmanuel Il, d'accord avec le vote du Parlement italien, avait pris pour lui et Ses Successeurs, m'ordonne de porter ce fait à la connaissance de V. E., et en mème temps de vous prévenir que le Gouvsrnement de Sa Majesté Très-Fidèle n'entend pas renoncer, par l'acte de reconnaissance du Royaume d'Italie, au droit, qu'il tient, de faire partie d'un Congrès des Puissances Européennes qui ait à résoudre définitivement les questions auxquelles l'organisation du mème Royaume peut donner lieu.

199

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, DURANDO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 597. Costantinopoli, 6 luglio 1861, ore 20 (per. ore 23,30).

Par note officielle d'aujourd'hui le Gouvernement Ottoman reconnait le Royaume d'ltalie (1). Le 8 j'adresserai les félicitations du Roi au Sultan; je signerai le Traité de Commerce le 9 ou le 10 et je partirai dans le courant de la semaine.

200

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A MADRID, TECCO

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 42-44)

L. P. Torino, 7 luglio 1861.

La ringrazio delle notizie, le quali lasciano a desiderare nel Gabinetto di Madrid una più buona volontà verso il Regno d'Italia, di quella che ha

mostrata finora. Il fatto però ch'Ella mi cita della mediazione della Francia nella vertenza fra la Spagna e il Marocco, mediazione solennemente confes~ sata dall'Imperatore del Marocco stesso, potrebbe porgere indizio di una qualche influenza che l'Imperatore dei Francesi esercita già o tenderebbe ad esercitare sulla politica spagnola: nel qual caso non sarebbe improbabile che in un tempo più o meno vicino il Gabinetto di Madrid si piegasse a riconoscere il Regno d'Italia, ponendo all'atto quelle medesime clausole e riserve che il Gabinetto di S. M. I. ha creduto di usare. Ad ogni modo non saprei vedere quale guadagno potrebbe fare l'Italia nel caso di una crisi ministeriale in genere, e nella formazione di un Ministero Narvaez in ispecie.

I Ministeri della Spagna, sia per antica abitudine, sia perchè il reggimento costituzionale vi ha allignato a stento e frammesso alla tempesta delle guerre civili e dei colpi di Stato, subiscono ancora troppo le influenze di palazzo, e sorgono e cadono per intrighi di camarille, più che per impulso di maggioranze parlamentari. Quindi nel caso nostro non apparisce chiaro, mi sembra, se l'attitudine del Ministero attuale nella questione italiana, sia inspirata da convincimenti proprii, o da alte volontà, alle quali ei non abbia coraggio di contrastare, o dalla maggioranza delle Cortes rappresentante un paese schiavo ancora delle superstizioni antiche e animato da quel brutale fanatismo religioso, che gli lasciò in retaggio, insieme con l'ignoranza e la miseria, Filippo II. Su ciascuno di questi punti vorrei ch'Ella si compiacesse darmi chiare e precise informazioni, affinchè potessi farmi adeguata idea dello stato delle cose e delle idee in codesto regno per mia norma nell'avvenire: e le sarei grato se Ella volesse aggiungervi qualche ragguaglio sull'influenza che oggi è più preponderante in Spagna, se quella di Saint-James o quella delle Tuileries; se la crisi ministeriale apparisce probabile e prossima; se veramente vi abbia possibilità d'un Ministero Narvaez, e nel caso con quali idee di politica interna ed esterna quest'uomo di Stato verrebbe al potere, e se si congettura quanta parte potrebbe avere la Francia in questo fatto e di qual occhio lo vedrebbe. La sua abilità conosciuta saprà senza dubbio procurarsi nozioni esatte su quanto le vado indicando, e le assicuro che mi arriveranno molto gradite. Quanto all'ultima parte del suo dispaccio, io penso come lei, ch'Ella non debba comparire a Corte in occasioni solenni, se non come Ministro e rappresentante di S. M. il Re d'Italia. Finchè ciò non possa farsi, io l'autorizzo ad assèntarsi in simili occasioni, siccome da lei viene proposto. L'Italia ormai è un regno di 22 milioni; ha diritto al rispetto delle Nazioni d'Europa, al fianco delle quali si è collòcata prendendo il posto che le spetta: il Governo del Re, mentre

lintende di compiere l'opera della ricostituzione della Nazione, rendendole Roma e Venezia, vuole che sia serbata in faccia a tutti i propri rappresentanti la dignità nazionale; ed essi. troveranno sempre nel Governo del Re le migliori disposizioni per sostenerli, quando uopo ve n'abbia.

Non ho bisogno di dirle quale sia la linea politica che intendiamo seguire, poichè la manifestano chiaramente i discorsi da me pronunziati al Parlamento Nazionale. Ella vorrà certamente uniformarsi al loro spirito, e, sia nelle private conversazioni, sia per mezzo della stampa liberale, propagare questi sentimenti e questi principii. Io non dubito che le aspirazioni e gli sforzi dell'Italia per emanciparsi dallo straniero e per costituirsi in nazione non debbano trovare

15 . Documenti diplomatici -Serie I -Vol. I

più calde simpatie nella Spagna, in quel nobile paese che combatté per ottocento anni continui, a fine di liberarsi dalla dominazione dei Mori; e da più di trent'anni combatte pel trionfo e il consolidamento delle istituzioni liberali.

(l) Sciogliendo la riserva della nota dell'H giugno, la nota del 6 luglio comunicava il riconoscimento del Regno d'Italia da parte della Turchia: cfr. Gazzetta Ufficiale del Regno d'ltatia, 27 luglio 1861, n. 182.

201

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 176. Madrid, 7 luglio 1861.

Come non mi era difficile il presagirlo, il moto democratico di Loja dovette cedere tosto di fronte alle forze del Governo Spagnuolo non tardò a dirigervi da ogni parte per la sua pronta soppressione. Infatti oltre le prime colonne di truppe spedite contro gli insorti da Granata e da Malaga una terza colonna tenne lor dietro da Cordova mentre di qua partiva con altre forze il secondo Comandante militare di questa Capitale incaricato di prendere il comando di tutte le truppe destinate ad agire contro i rivoltosi di quella città!

Sebbene poi in quest'intervallo la banda rivoluzionaria che sotto gli ordini del capo R. Perez del Alamo aveva occupato Loja vi si fosse dal canto suo considerevolmente accresciuta ed ivi pure fortificata con barricate e trincee vedendosi tuttavia alfine già quasi interamente circondata da forze del Governo talmente superiori che ogni resistenza sarebbe stata vana abbandonò detta città secretamente nella notte dal 4 al 5 corrente uscendone dalla sola parte donde le comunicazioni non erano ancora intercettate colle vicine montagne e si ritirò nelle anfrattuosità della Sierra Nevada.

Le truppe del Governo occupata Loja si diedero ad inseguire tosto i rivoltosi fuggitivi e raggiuntone il nucleo principale, dopo un breve combattimento, in cui oltre a non pochi morti e feriti caddero pure fra i prigionieri alcuni dei principali autori del movimento, il resto degli insorti si disperse intieramente ed alcuni pochi rimasti col capo Perez, valendosi della cognizione che hanno come contrabbandieri dei passaggi di quei monti che conducono verso la sierra di Ronda e Gibilterra, non cercano ormai che di giungere colà a porsi in salvo.

Intanto Commissioni militari vennero tosto istituite sui luoghi per condannare i sollevati che son già caduti ed andranno cadendo in potere delle truppe del Governo. Non si ha quindi ormai più che ad aspettare le tristi notizie di sanguinose esecuzioni. Egli è da deplorarsi altamente che fra i principali insorti caduti prigionieri si vedano pure figurare persone di bella fama come l'Enriquez, Alcade Corregidor (Sindaco o Podestà) di Loja istessa nonchè alcuni giovani di buone famiglie di quella città come pure di varii altri luoghi di quella provincia segnatamente tutta la famiglia del così detto Sombrerero di Alhama composta del padre con tre giovanetti figli.

La clemenza parrebbe però tanto più opportuna quanto la repressione è stata più pronta e compiuta senza che d'altronde i sollevati siansi resi colpevoli di delitti atroci contro le persone e le proprietà private; ma come già ebbi ad osservare preventivamente tale clemenza è più da desiderarsi che da sperare

in un paese ove troppo inveterate sono certe crudeli tradizioni trista eredità delle guerre civili.

In quanto agli elementi principali che produssero lo sciagurato moto democratico testè espresso, ciò che se ne venne sinora a conoscere ulteriormente non fa che confermare le mie prime indicazioni in proposito.

In un colloquio che ebbi ieri con questo Ministro delle estere relazioni si rivenne sull'argomento della famosa nota che, data dall'Ambasciatore Spagnolo in Parigi simultaneamente ad altra del Rappresentante Austriaco nella stessa città sulle cose d'Italia, ne aveva di recente provocata identica risposta dal Gabinetto Francese, porgendo così motivo di supporre quasi un accordo della Spagna col nemico d'Italia, come già avevo avuto occasione di farne cenno allo stesso Ministro. Su tale argomento il signor Collantes non esitò a rinnovare la sua precedente osservazione che non eravi stato in ciò accordo veruno coll'Austria contro la causa nazionale d'Italia, ma bensì solo che la Spagna, essendosi diretta a tutte le Potenze cattoliche per provocare una conferenza all'oggetto di avvisare in essa ai mezzi di meglio assicurare l'indipendenza del

S. Pontefice, l'Austria sola s'era mostrata disposta a concorrere a questo oggetto speciale, ma che il Governo spagnolo con ciò non aveva inteso né intendeva entrare in ulteriori intelligenze con quella Potenza.

Nell'accogliere dal canto mio con gradimento tali dichiarazioni del Ministro mi permisi tuttavia di osservare ancora che, se le altre Potenze cattoliche interessate al medesimo titolo in favore del S. Pontefice non crederono in tal caso di doversi unire all'Austria, mi pareva risultarne che l'interesse religioso mostrato esclusivamente da questa sola Potenza veniva ad essere più che sospetto di altre mire.

Qui però accennava il Ministro su tal proposito alla circostanza, che le altre Potenze cattoliche non eransi forse credute competenti a deliberare su quanto era stato !issato dai trattati del 1815 per non essere esse intervenute alla loro confezione come l'Austria. Tale osservazione, ripresi io allora, parrebbemi ben piuttosto concludente contro l'Austria istessa; la quale, dopo avere essa la prima infranto nel caso di Cracovia quei trattati appunto che tanto aveva contribuito a fare in suo proprio favore, mal può pretendere d'imporne ora l'osservazione a coloro i quali non fecero allora che subirli. Soggiunsi pur anco che dopo la solenne restaurazione in Francia della Dinastia Napoleonica, la cui perpetua esclusione aveva pur formato la base di tutto il compatto del '15, mal sapevo persuadermi che si potesse ancora sul serio invocare il resto di quelle leonine stipulazioni. Finii col dire che in quanto all'indicatomi scopo religioso, quello cioè di assicurare in modo degno ed efficace alla

S. Sede la più decorosa indipendenza per l'esercizio del suo potere spirituale, mi pareva pur evidente che nessuno al certo se non il Governo nazionale italiano era in grado di ciò fare; a meno che si osasse pretendere coll'Austria, essere più conforme alla dignità del S. Pontefice il continuare ad essere mantenuto colla sola forza soldatesca straniera in una posizione non meno incompatibile col carattere essenziale istesso dell'Augusta Sua Spirituale Autorità, che colla volontà del popolo ove risiede.

Queste mie semplici osservazioni mi parvero assai bene accolte dal Ministro di Stato che d'altronde non vi fece alcuna replica; anzi passò più ad accennare al suo rincrescimento per certe difficoltà che erano insorte qua e là momentaneamente nelle nostre relazioni, dicendosi desideroso di appianarle sempre per quanto possibile. E qui mi è grato poter ora dal canto mio soggiungere che in questi ultimi giorni non si rinnovò più veruna di quelle difficoltà di cui ebbi già a far cenno confidenziale all'E. V. E varii articoli successivi nei periodici ispirati dal Ministero vennero accennando in modo soddisfacente allo stato delle nostre relazioni. Mi permetto di qui acchiudere come saggio l'ultimo di detti cenni comparso or ora nel giornale semiufficiale la Correspondencia (l) da cui rimane anche confermato ciò che già mi era lusingato di rilevare del buono effetto prodotto dalla mia ultima conferenza sull'animo dell'anzidetto Ministero.

P. S. Al momento di chiudere questo mio rapporto mi pervenne il dispaccio di Gabinetto di cui V. E. mi onorava sotto la data del 2 del corrente luglio. Mentre mi reco quindi a grata premura di porgergliene le più sentite grazie godo pure ad un tempo, che da quanto precede l'E. V. possa sin d'ora rilevare essersi già le mie relazioni di officio con questo Governo felicemente modificate per modo da rispondere alla giusta sollecitudine insieme alla fiduciosa speranza che nel precitato dispaccio Ella compiacevasi su tal proposito manifestarmi.

202

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(A R B, cass. 48, orig. autogr.)

L. P. 9. Londra, 8 luglio 1861.

Non ho gran cosa da scriverle per que~to corriere. Ho veduto Lord John ieri, al quale piacque molto la circolare direttami da V. E. in data dei 2 luglio. Lodò quanto in essa dicevasi riguardo al non provocare crisi all'estero. Fece, quasi scherzando, l'osservazione che ogni Ministro aveva un'espressione sua propria onde definire il suo special programma e notò parlare in tale guisa V. E. del compimento dell'apra. Soggiunse che egli intendeva benissimo com'Ella potesse e dovesse parlare in quel modo deciso e risoluto che fece. Non doversi naturalmente aspettare che un Ministro inglese andasse tant'oltre, appunto perché non erano affari direttamente suoi, ed ognuno era miglior giudice di quanto fosse opportuno.

A suo parere l'Imperatore non sarebbe disposto ad acconsentire ad una totale cessione di Roma e del potere temporale, bensi accetterebbe di lasciar la Città Leonina al Papa.

Persigny, per quel poco che gliene disse, pare abbia sostenuto opinioni che sono anacronismi, riparlando d'un dominio da lasciarsi in principio generale al Papa, mentre il Re ne avrebbe l'amministrazione effettiva. In fatti la solita idea del Vicariato. Lord John pare gli abbia detto esser queste cose non più di questi

tempi e del resto, come al solito, non fece molta attenzione a quanto gli disse, né molto si curò di rispondergli. Intanto Thouvenel seguita a mostrar gelosia di qualunque parte l'Inghilterra volesse arrogarsi coi consigli in questa materia. E non piace poi nemmeno a Lord John quell'ansietà dubbiosa che mostrano i Francesi riguardo allo stato di Napoli e della Sicilia, parendo che così da quanto succede ne vogliano trarre argomento d'impossibilità d'unificare l'Italia. Naturalmente risposi esser colpa, in gran parte, dei Francesi e dell'occupazione loro, se il Re di Napoli dirigeva la reazione ed i suoi complotti.

Il Duca di Modena ha mandato qua un tal capitano Macdonald con carte e ragionamenti in sua difesa. Costui è incaricato di fare il suggeritore a Normanby.

Intanto osservai, in varie circostanze, in questi ultimi giorni, che il partito Tory, presumendo di poter tornare al potere, né curandosi di vivere in ostilità con noi, ha mutato modi con me e molto si è mansuefatto. Pare che voglian dire: c non all'unità d'Italia facevamo obbiezioni, ma al modo con cui Cavour l'eseguì. Ora poi accettiamo fatti i quali crearono un potere che, all'occasione, può dar fastidi alla Francia. Dunque si accettino i fatti compiuti e siamo amici :.. Evidentemente gli trover~mo sempre nemicissimi su qualunque idea di riprendere Venezia all'Austria, a meno che questa volontariamente vi aderisca. Anzi, due giorni sono, a casa di Lord Derby, Seymour Fitzgerald, uno dei loro caporioni, biasimò il linguaggio esplicito di V. E., dicendolo non chiesto dalle circostanze. Ma gli risposi, che se non suonava armoniosamente a certe orecchie inglesi, questo discorso aveva fatto gran bene all'Italia rassicurando gli spiriti e facendoli avere piena confidenza nel Ministero del Re. Cosi pure rendevansi nulli i tentativi dei partiti estremi d'impadronirsi della direzione del movimento. Ci scusasse dunque se parlavamo per noi e non per l'Inghilterra a l'estero.

Ma, le ripeto, che affermazioni venute da lei producono effetti rassicuranti e quanto alla cessione della Sardegna, benché rimanga esatta l'osservazione che feci, preferirsi che si dicesse una buona volta per nome che non si cederà la Sardegna, invece d'una formula che a taluni pare un po' farisaica. Nullameno il carattere elevato di V. E. impedisce i dubbi e fa appunto quanto le dissi, ponendo alta la politica che regge l'Italia.

Mentre sul continente s'è menato gran rumore di quanto si disse in Parlamento riguardo alla Polonia, qua gli amici dei Polacchi si lagnano del carattere evasivo delle risposte che vennero date dal Ministero. Czartorisky e Zamojsky da un pezzo eran qua lavorando indefessamente. Onde i Ministri non credettero dover ricusare né di dare comunicazione di documenti, né di dire qualche frase. Ma si avrebbe torto di vederci sotto altri arcani fuori di una certa soddisfazione a contrariarci la Russia per le tendenze che dimostra verso la Francia.

L'occupazione possibile di Tetuan o Tangeri dalla Spagna, potrebbe dar luogo a serie rimostranze per parte dell'Inghilterra, tanto più che l'opposizione pare voglia tenere un linguaggio energico a tal proposito.

P. S. Credo di dover aggiungere, riguardo a Napoli, che ognuno che me ne parla esprime il voto che il Governo usi gran fermezza, senz'andar ad eccessi di repressione. Ma il principale redattore del Times non esitò, sabato scorso, a indicarmi la fucilazione in grande, come essendo nell'opinione sua il solo rimedio.

(l) :i!: allegato al rapporto un piccolissimo ritaglio del giornale che sembra inutile trascrivere, essendone il contenuto accennato nel testo.

203

IL MINISTRO FRANCESE DEGLI ESTERI, THOUVENEL,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 44-46)

L. P. Parigi, 8 luglio 1861.

J'ai reçu la lettre que V. E. m'a fait l'honneur de m'écrire en date du 27 juin, et la complète franchise qui vous l'a dictée inspirera aussi ma réponse. En reconnaissant le titre que le Parlement italien a déféré au Roi Victor Emmanuel, l'Empereur a voulu qu'une plus longue abstention de la France, dans un moment où l'on n'aurait pas manqué de lui donner une signification hostile, ne vint pas accroitre les embarras et les difficultés que devait nécessairement rencontrer dans la Péninsule l'établissement d'une monarchie unitaire. Sa Majesté a pensé qu'il n'était conforme, ni à l'origine de son pouvoir, ni aux sentiments de bienveillance dont Elle est animée pour l'Italie, de paraitre contester à une nation voisine et arnie le droit de régler en pleine liberté les condition de son existence politique. Mais j'ai été chargé, en mème temps, de déclarer loyalement qu'il était deux points que nous n'envisageons pas comme le Cabinet de Turin, et au sujet desquels nous réservions nos opinions. L'un de ces points concerne Rome.

Si je ne désire pas moins que V. E. la solution de ce grand problème, je ne dois pas lui cacher que son còté religieux est tout aussi important pour le monde chrétien que son còté politique peut l'ètre pour l'Italie, et que ce double intérèt ne saurait ètre trop murement pesé. C'est l'intérèt religieux, qui, aux yeux de l'immense majorité des Français, semble inséparable du maintien du pouvoir du Pape à Rome, ou, tout au moins, exclusif de la résidence dans la mème ville d'un Souverain puissant et du Chef de la Catholicité, c'est cet intérèt, dis-je, que les circonstances ont placé sous notre sauve-garde, et notre honneur, non moins que notre conscience, ne nous permet pas de rappeler nos troupes tant qu'un accord, bien difficile non seulement à conclure aujourd'hui, mais mème à négocier, ne se sera pas établi entre le Sant-Siège et le Roi d'Italie. L'Empereur a fait connaitre à cet égard son opinion tout entière à M. le Comte Arese, et elle est conforme à celle que je vous exprime.

Je n'hésite donc pas à souhaiter, pour le maintien des bonnes relations de la France et de l'ltalie, que cette question brillante puisse ètre ajournée à des temps plus propices et plus calmes. Si V. E. me le permet, j'en dirai autant de la question de la Vénétie, et j'émettrai également le vreu que l'Autriche, à la veille d'entrer en arrangement avec la Hongrie, n'ait pas à voir dans l'expression trop vive et trop ardente du désir des ltaliens une provocation qui lui rendrait sa liberté d'action, sans qu'il nous fUt possible d'opposer le principe de non intervention à une grande Puissance se prétendant blessée dans son honneur, et déclarant ne pas ètre obligée d'attendre qu'un adversaire, qui annonce hautement et d'avance l'intention de la combattre, soit armé contre elle de tous ses moyens d'attaque.

L'ltalie en deux ans, Monsieur le Baron, a été récompensée de ses longues souffrances; elle a fait pour son unité, dans ce court intervalle ce que d'autres nations ont mis des siècles à accomplir. N'y a-t-il pas là pour les esprits patriotiques, fermes et sensés comme le votre un légitime motif de patience et d'espoir, et le travail d'assimilation à opérer à l'intérieur ne leur ouvre-t-il pas un champ assez vaste et assez fécond? Je terminerai, comme j'ai commencé, en répétant à

V. E. que sa franchise a excité la mienne, et je me plais à croire qu'elle n'y verra qu'une expression de mes bien sincères sympathies pour la cause italienne.

204

L'INVIATO STRAORDINARIO PRESSO LE CORTI DI SVEZIA E DANIMARCA, TORRE ARSA (1), AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(A R B, Cass. D 2, n. 40)

L. P. Stoccolma, 8 luglio 1861.

Partendo domani alla volta di Torino l'inviato straordinario di questo Governo colla risposta alla lettera Reale ch'ebbi l'onore di presentare, credo mio dovere non perder tempo a portare confidenzialmente alla conoscenza dell'E. V. le cose più essenziali dettemi dal Re il giorno che pranzai alla Corte, ed alcune mie particolari osservazioni che possono, forse, contribuire a rendere più facili le nostre relazioni con questo paese.

Le intenzioni di S. M. il Re Carlo XV verso l'Italia sono quali noi possiamo desiderarle e quel che più vale la M. S. sa valutare di quanto interesse sia per la Svezia lo avvicinarsi a preferenza alla Francia ed a noi. Il Re è giovane ed ardente, e quindi vagheggia con affetto l'alta missione alla quale potrebbe essere destinata la sua patria nel Nord per lo svolgersi di certi avvenimenti. E son persuaso che se la questione dei Ducati dovesse produrre una guerra tra la Germania e la Danimarca la Svezia non mancherebbe di far per questa qualunque sacrifizio. Principale cura sono quindi del Re l'esercito, e la marina onde avere all'occorrenza 80 mila uomini circa sotto le armi.

Parlando francamente dei nostri rapporti accennai all'utilità di un trattato di commercio tra i due paesi, e S. M. colla più cordiale sollecitudine, dissemi subito che ne comprendeva pienamente l'importanza, e che avrebbe dato gli ordini opportuni perché dal suo inviato costi se ne fossero tosto iniziate le trattative. Convinto, in quanto a me dell'utilità che principalmente ne ritrarrebbero le nostre provincie meridionali spero che l'E. V. non vorrà disapprovarmi per l'iniziativa presa.

Durante il pranzo, e dopo S. M. parlommi a lungo con amichevole espansione del nostro Augusto Sovrano, ed avendo finito per chiedermi se io credevo che poteva riuscire gradito il suo ritratto, e qualche altro piccolo regalo a S. M. il Re d'Italia, si mostrò contento della mia assicurazione della riconoscenza colla quale sarebbero state accolte queste prove di cordiale amicizia, e mi diede tosto un suo bel ritratto in fotografia per io presentarlo da parte sua al nostro Sovrano,

p. -120, era stato incaricato di una « missione straordinaria » presso le Corti di Stoccolma e Copenhagen: in A. E. si conservano le istruzioni direttegli dal Ministero, i suoi rapporti ufficiali da Stoccolma e Copenhagen, nonchè una relazione di carattere storico-politico sui paesi scandinavi, da lui stesa al ritorno in Torino il 25 agosto 1861.

accennando nello stesso tempo di volermi aggiungere qualche altro oggetto alla mia partenza.

S. M. mi parlò del Generale Bildt, che viene costi come inviato straordinario, con molto vantaggio designandolo come il suo migliore amico, e per meriti distinti destinato tra non molto ad un'alta posizione in questo paese. Dopo il pranzo S. M. degnossi di presentarmelo personalmente, e cosi avendo avuto l'ag'io di conversare seco per qualche tempo potei convincermi che il Generale divide le aspirazioni del suo Re, e che apprezza le grandi quistioni che attualmente interessano l'Europa perfettamente come vanno riguardate dal Gabinetto che l'E. V. degnamente dirigge e presiede.

S. A. R. il Principe Oscar, fratello prediletto del Re, mi trattenne più a lungo parlandomi più particolarmente delle cose d'Italia, ed io mi lusingo di aver confermato l'A. S. R. nell'opinione che l'unica soluzione possibile della quistione italiana, e la più conforme agli interessi generali dell'Europa, si era quella che ormai è da annoverare, grazie al cielo, ne' fatti compiti.

Il Ministro degli Affari Esteri, S. E. il Conte Manderstroem è stato ammalato con un attacco d'asma, e perciò non mi è riuscito vederlo pria di sabato ad un pranzo ch'ebbe la cortesia di darmi. Egli è certamente un uomo distinto, ma se dovessi credere ad una mia prima impressione lo direi un diplomatico della vecchia scuola, e di quelli perciò che accettano il nuovo ordine di cose in Europa con una certa diffidenza, e non come un vero progresso per l'umanità. Buon per noi se mai il mio giudizio si apponesse al vero, che in questo paese l'importanza dei Ministri non eguaglia quella che si hanno negli altri paesi costituzionali. Qui mercé la stessa costituzione il Re regna e governa, e perciò i Ministri sono veri delegati del potere esecutivo, e non consiglieri della Corona rappresentanti l'opinione politica dominante nello Stato. Qui insomma si può esser Ministro per la sola autorità e volontà del Re ch'esercita un potere maggiore di quello che avrebbe voluto forse attribuirgli la costituzione. Qui perciò è essenziale che un agente diplomatico riesca più d'ogni altro gradito al Capo dello Stato.

Le accoglienze a me fatte dal Re, dalla Corte, dal governo e dal popolo sono state veramente al di là di ogni mia aspettazione e quindi io non manco, per come mi è stato anche ordinato dall'E. V. di mostrarne la dovuta riconoscenza. Il Ministro degli Stati Uniti d'America era qui da un mese e mezzo, e fu ricevuto dal Re la prima volta la dimane del mio arrivo, e dopo di me. Verso il 15 del mese dimanderò la mia udienza di congedo, e poscia mi preparerò a lasciare questa capitale per essere a Copenhagen verso il 30 onde attendervi il Re di Danimarca che vi ritornerà da un suo viaggio nelle provincie al cominciare di Agosto.

(l) -Il Marchese Vincenzo Fardella di Torre Arsa, come già risulta dal documento n. 89,
205

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO (Ed. in Ricasoli, VI, pp. 46-50)

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 9 luglio 1861.

Un fait que je regrette, quelque exceptionnelles que soient les circonstances qui I'ont amené, a fourni à M. le Comte de Goyon, Commandant en Chef des troupes françaises dans les Etats du Saint Siège, l'occasion d'adresser au Consul du Roi à Rome une lettre que je dois vous charger de mettre sous les yeux de

S. E. le Ministre des Affaires Etrangères de S. M. l'Empereur {1).

Les brigands qui envoyés ou soudoyés de Rome infestent les provinces limitrophes, après avoir ravagé le pays, cherchent et trouvent avec une facilité déplorable un abri sur le territoire pontificai. Un détachement de nos troupes ignorant selon toute apparence la véritable limite, où dans la chaleur de la poursuite, franchissait dernièrement la frontière et opérait à Rio Freddo l'arrestation d'un de ces individus les plus dangereux et les plus coupables. C'est là sans doute à ne considérer que les strictes règles du droit, une violation de frontière, provoquée toutefois par des attentats à la sfireté publique dont il serait impossible de ne pas rendre responsable la négligence ou la connivence des autorités pontificales.

Mais pareilles violations de limites arrivent quelque fois sur d'autres territoires dans des conjonctures infiniment moins pressantes et loin de recourir à des menaces ou à des recriminations blessantes, les états intéressées s'empressent toujours de régler de la manière la plus courtoise ces sortes d'affaires.

En employant un langage qui s'écarte des formes usitées entre Gouvernement et Gouvernement et qui, s'il était connu, ne pourrait qu'etre regardé par la nation italienne comme une offense à sa dignité, Monsieur le Comte de Goyon ne s'est certainement pas inspiré aux sentiments qui animent la France, et le Gouvernement de l'Empereur, j'en suis sur, n'en sera pas moins aftligé que nous l'avons été nous memes.

Dans cette conviction, Monsieur le Comte, je me serais volontiers abstenu de signaler au Gouvernement de l'Empereur le procédé de Monsieur de Goyon, si l'incident dont il s'agit ne révélait toujours d'avantage les inconvénients très graves de la situation qui est faite à la France en meme temps qu'à nous par ce qui se passe dans les états du Sait-Siège.

Nous ne saurions assurément nous préoccuper du danger de « rencontres vigoureuses et facheuses » auxquelles fait allusion la lettre de l'honorable Général. Nos soldats sont pénétrés d'une trop juste admiration pour cette vaillante armée qui a si noblement soutenu à Magenta et à Solferino les intérets de notre cause nationale; ils savent trop tout ce que l'Italie doit à la France de services et de reconnaissance, pour qu'on ait à craindre jamais qu'une extrémité quelconque puisse les exposer au malheur d'une collision. Mais d'autres périls plus réels et plus graves doivent nous inspirer de vives et sérieuses inquiétudes, et ce n'est pas d'aujourd'hui seulement que le Gouvernement du Roi a du s'en ouvrir avec la franchise et la confiance que lui inspire l'amitié de la France.

Nous respectons les motifs qui ont déterminé l'Empereur à prolonger le séjour de ses troupes dans une province que les Italiens considèrent comme une

tout •·

des portions les plus importantes de leur patrie, dans une ville que tout désigne

comme la Capitale naturelle de l'Italie sans qu'elle cesse d'etre le centre de la

catholicité. Nous sommes persuadés que dans la haute sagesse de notre Auguste

Allié le drapeau français n'est pas et ne peut pas etre un obstacle à la consolida

tion de notre unité nationale, à l'accomplissement d'une reuvre qui est tout aussi

l'reuvre de la France que la nòtre. Aussi les italiens, malgré l'anxiété toute

naturelle qu'ils éprouvent en présence d'une question si vitale pour leur patrie,

ne cessent-ils d'avoir une entière confiance dans la politique éclairée, dans les

sentiments généreux de l'Empereur, comme dans un constant accord entre le

Gouvernement du Roi et le Gouvernement Français.

Cependant nous ne saurions cacher que les tentatives qui de Rome viennent

troubler constamment et d'une façon si grave la tranquillité de nos provinces

méridionales produisent dans l'esprit de nos populations un effet déplorable. La

conscience publique en est justement émue, le sentiment national en est irrité.

L'opinion de tous les gens honnetes demande vivement que le Gouvernement du Roi prenne avec vigueur toutes le mesures nécessaires pour protéger la vie, la propriété, le repos de ses sujets, qu'il tache d'obtenir de la bienveillante sollicitude de la France pour l'Italie, qu'on cesse enfin d'abuser de la protection du drapeau français pour organiser impunément à quelques pas de nos frontières des brigandages et des atrocités qui répugnent à tous les principes de la société civile, à tout sentiment d'humanité, à l'esprit et à la morale de la religion chrétienne.

Le Gouvernement de l'Empereur qui en reconnaissant le Royaume d'Italie nous a donné un gage précieux de l'intéret qu'il porte à notre pays, déplore sans doute tout autant que nous qu'on se couvre de son nom et de sa puissance pour faire appel aux passions les plus brutales et ensanglanter nos provinces voisines.

Mais ce n'est que l'autorité de la France elle meme qui peut efficacement couper court à de semblables excès. Si un pareil état de choses se prolongeait, je dois le dire avec douleur, le prestige du Gouvernement du Roi, l'infiuence salutaire qu'il exerce sur les esprits, en subiraient une profonde atteinte.

Jusqu'ici nous avons pu réussir à guider et contenir le mouvement italien dans une voie qui lui a mérité les sympathies de l'Europe. Mais, si en présence de la sécurité avec laquelle une réaction qui n'a pas de raison d'etre, profite de l'occupation française pour troubler le repos de l'Italie, nous devions nous montrer presqu'impuissants à défendre nos frontières et à faire valoir nos droits, notre tache deviendrait bien plus difficile, et les aspirations nationales pourraient prendre un essor compromettant pour le maintien de ces principes d'ordre et de modération qui n'ont cessé de régner jusqu'à ce jour.

C'est sur ce danger, Monsieur le Comte, plus encore que sur un incident isolé que je vous engage à appeler de nouveau l'attention du Gouvernement de l'Empereur. L'évidence meme du mal lui fera sentir, j'ose m'en fiatter, combien il est urgent de hater d'accord avec nous une solution qui sans nuire aucunement à ces grands intérets spirituels, que nous avons tous à creur de sauvegarder, donne à l'Italie la sécurité et la satisfaction qu'elle a lieu d'espérer et d'attendre du concours bienveillant de la France.

(l) • Je vous prie -aveva scritto il Goyon al Teccio di Bayo il 29 giugno -de nous donner des explications nettes sur cette violation de territoire. J'envoie nos officiers sur les lieux pour réclamer l'homme qui a été indftment arrété. Je ferai, s'il le faut, occuper la frontière, et dans ce cas, j'ai l'honneur de vous faire observer que de pareils faits ne se produiraient pas sans rencontres vigoureuses et fàcheuses. Nous ne pouvons admettre que on viole pour quoi que ce soit le territoire confié à notre garde. Nous sommes Français avant

206

NAPOLEONE III A VITTORIO EMANUELE II (l) (Ed. in Cavour -Nigra, IV, 1301)

Vichy, 10 luglio 1861.

Je me suis plu à recevoir avec distinction le comte Francesco Arese, Sénateur, que vous m'avez envoyé pour m'apporter la notification de l'acte législatif, qui confère à V. M. le titre de Roi d'ltalie. Je charge particulièrement mon aide de camp et premier écuyer le Général Fleury, qui vous est connu, de vous exprimer en qualité de mon envoyé extraordinaire toute la satisfaction que m'a causée le choix d'un personnage aussi distingué que le Comte Arese pour remplir cette haute mission et le vif intérèt que j'attache aux grands événements qui se sont accomplis dans la péninsule. Je fais des vreux pour que l'ltalie repose en paix et prospérité sous votre sagesse, et je vous prie de croire à tout ce que vous dira de ma part le Général Fleury, surtout lorsqu'il vous exprimera les sentiments de haute estime et d'inviolable amitié, avec lesquels je suis, Monsieur mon frère, de V. M. le bon frère.

207

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 344. Berlino, 11 luglio 1861.

Ainsi qu'il résulte de mon rapport n. 342 j'avais devancé vos instructions. Mais la circulaire du 2 juillet m'a mis à mème de fournir hier au Ministre des Affaires Etrangères de Prusse des données et des observations qui ne pouvaient manquer de produire le meilleur effet, parce que mon langage était autorisé par

V. E. J'ai cité, entre autres, textuellement les articles concernant la politique extérieure. Le Baron de Schleinitz m'en a témoigné toute sa satisfaction.

J'ai ensuite donné lecture de la dépèche (Cabinet) du 5 juillet sur les affaires de Naples, afin de prouver de plus en plus à ce Ministre, que nous étions maitres de la situation en Italie. J'ai mème exprimé l'espoir que, du moment où nous offrions de sérieuses garanties sur la marche régulière des choses, la Prusse ne tarderait pas à suivre l'exemple des Puissances qui déjà ont reconnu le Royaume d'Italie.

M. de Schleinitz faisait des vceux pour que nous réussissions, dans l"intérèt de notre propre cause, à pacifier entièrement les provinces napolitaines. Il semblait craindre cependant qu'après avoir triomphé des difficultés dans l'Italie méridionale, nous ne fussions tentés de nous retourner avec toutes nos forces contre Rome et Venise.

Quant à la reconnaissance, le Gouvernement Prussien réserve toujours sa décision. Il se fiatte qu'en attendant nous saurons à notre tour nous abstenir de lui adresser une mise en demeure de se prononcer. Il croit avoir des titres à invoquer pour que nous usions de quelque ménagement sur ce point. Nous avions déjà reçu de nombreuses preuves de son désir de maintenir de bonnes relations avec le Cabinet de Turin, et tout récemment encore il avait témoigné de sa bienveillance. Le Mecklembourg voulait saisir la Diète Germanique de la question du retrait d'exéquatur aux Consuls de trois Puissances allemandes, et provoquer des mesures de représailles. Le Gouvernement Prussien ayant eu vent de ce projet, il est parvenu à l'ajourner indéfiniment.

J'ai remercié M. de Schleinitz de ces procédés qui m'inspiraient la confiance que le Cabinet de Berlin ne s'arretrait pas à mi-chemin, et cela dans son intéret aussi bien que dans le nòtre.

(l) La lettera fu recata al Re dall'Arese, partito da Parigi 1'11 luglio, avendo compiutocosi la sua missione straordinaria.

208

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 345. Berlino, 11 luglio 1861.

V. E. aura vu par ma dépeche précédente que j'ai parlé, incidemment, au

Bar011 de Schleinitz de la question de reconnaissance.

Voici pourquoi.

Il est décidé que M. de Schleinitz cédera dans quelques semaines son portefeuille au Comte de Bernstorff, Ministre de Prusse à Londres, qui a évincé, contre toute prévision, les autres candidats. Le futur Ministre des Affaires Etrangères est personnellement mal disposé pour l'Autriche où il représentait son pays en 1850. Le Prince Schwartzenberg avait demandé et obtenu son rappel. Lors meme qu'il chercherait aujourd'hui à se remettre dans les bonnes graces de l'Empereur François-Joseph, mes appréhensions ne se porteraient pas de ce cOté; car, en dépit des hommes, la force des choses l'emportera toujours sur les velleités de rapprochement intime entre deux Puissances rivales. Je crains bien plutòt les tendances réactionnaires, l'esprit routinier, les principes légitimistes, le caractère hautain et cassant de ce diplomate de la vieille école. On devrait supposer qu'en acceptant de siéger dans un Ministère libéral, il en adoptera les idées. Mais le libéralisme des membres actuels du Cabinet ne sait-il pas transiger avec l'entourage rétrograde du Roi? Et d'ailleurs le Comte Bernstorff ne se croira aucunement solidaire de la politique intérieure. Dans ces circostances nous perdrons au change; car si M. de Schleinitz ne s'est pas s'ignalé par une gestion brillante, il a su du moins prévenir bien des complications par une attitude conciliante. Il conviendrait par conséquent d'utiliser, si possible, l'intervalle assez court qui s'écoulera avant l'arrivée au pouvoir de M. de Bernstorff, pour tàcher de vaincre les hésitations du Cabinet de Berlin à notre égard.

Il serait, il va sans dire, au dessous de notre dignité d'insister nous memes trop vivement -je me suis borné pour mon compte à de simples observations mais peut-etre serait-il le cas d'invoquer les bons offices de l'Angleterre. Les conjonctures seraient assez propices en ce sens, que la Prusse, mécontente de l'attitude de certains Etats du Midi de l'Allemagne qui agissent à l'instigation de l'Autriche, commence à se repentir d'avoir usé de trop de condescendance à leur endroit. J'ai parlé sur ce sujet à Lord Loftus qui a paru comprendre mes arguments.

Le concours de la France nous serait aussi très précieux; mais j'ose à peine y compter, car l'amitié qu'elle nous porte n'est point assez désintéressée pour qu'elle veuille s'employer activement à nous ménager de nouveaux alliés. En effet jusqu'ici le Prince de La Tour d'Auvergne n'a été chargé d'aucune démarche officielle dans ce but.

C'est vraiment dommage que M. de Bismark n'ait pas été appelé à recueillir la successione de M. de Schleinitz, car il n'eut pas hésité à proposer au Roi Guiillaume de reconnaitre sans plus tarder le Roi d'Italie. M. d'Usedom également, sans etre aussi résolu dans ses allures, n'aurait pas manqué de precher en notre faveur.

Je vous serais reconnaissant, Monsieur le Baron, si vous vouliez me communiquer le jugement que le Marquis d'Azeglio porte et qu'il est parfaitement à meme de porter sur M. de Bernstorff, son collègue de Londres.

Voici un article de la National Zeitung qui réclame une prompte reconnaissance du Royaume d'Italie.

P. S. -Le Baron de Schleinitz sera nommé, assure-t-on, Ministre de la Maison du Roi.

209

IL MINISTRO AD ATENE, MAMIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. l. Atene, 6-11 Zuglio 1861.

Io giungeva in Atene il 6 del corrente e subito fui visitato dal Prefetto di Polizia che fecemi le più larghe profferte a suo nome ed a quello del Ministro degli affari interni. Altrettanto io ne riceveva dal Ministro degli esteri Signor Conduriotis.

Istruito da loro che S. M. il Re Ottone era in procinto di lasciare Atene e che aveva differito di qualche giorno il suo viaggio per potere accogliere il nuovo Ministro del Re d'Italia, mi affrettai di chiedere udienza la quale ottenni immediatamente e fu nel fatto la più cortese ed affabile che potesse desiderarsi.

Venni introdotto nella Sala del Trono dal Signor Conduriotis che è parimente Ministro della Real Casa; il Re mi vi attendeva circondato da suoi. ajutanti e altri dignitari. Io pronunciai a un dipresso le infrascritte parole:

Sire

c: Le Roi Victor Emmanuel II mon auguste maitre m'a fait l'insigne honneur de me nommer son envoyé extraodinaire et son ministre plénipotentiaire près

de V. M. J'ai le bonheur de remettre dans Vos mains la lettre où il se plait à Vous informer de ma noble mission.

«Il lui importe beaucoup de Vous prouver, Sire, combien il a été touché du vif intéret et de l'affectueux empressement avec lequel V. M. a bien voulu reconnaitre d'une manière officielle son nouveau titre de Roi d'Italie, titre glorieux qu'il doit à la protection de la Divine providence, au vote populaire et à la valeur de son bras.

«En meme temps il a désiré de resserrer de plus en plus les rapports d'amitié et, j'oserais dire, de fraternité naturelle qui existent entre la Grèce et l'Italie; ces deux pays qui se partagent l'honneur d'avoir posé les bases de la civilisation de tout l'Occident. Personne, d'ailleurs ne peut ignorer que plusieurs provinces de l'Italie méridionale sont fières de leur origine hellénique.

« Quant à moi, chargé de représenter à la Cour d'Athènes le Roi d'ltalie, et dont Vous avez daigné, Sire, agréer le choix, je m'efforcerai par toutes mes pensées et par tous actes de mériter complètement Votre Royale bienveillance '>.

Il Re mi si fece molto accosto per bene udirmi essendo di grosso orecchio.

Gentilissima e cordiale fu la risposta di lui; insistette sul punto dell'amicizia fra i due stati, toccò della utilità reciproca di ricavarsi dalle relazioni più frequenti e più intime, si rallegrò della nostra risurrezione, lodava le scienze e le arti italiane, e compiva il suo parlare ripetendo la molta soddisfazione che recavagli di vedere in Atene la nuova legazione italiana, aggiungendo parole soverchiamente lodative per la persona dell'Inviato. Dopo ciò entrava meco in discorsi più famigliari e chiedevami con premura notizie del Re e della Reale famiglia, mostrando piacere di essere informato di parecchi particolari della nostra corte.

In tutto questo, Eccellenza, io dovetti accorgermi della grande riservatezza anzi del compiuto silenzio tenuto da S. M. rispetto ai principii politici, e così mi compiacqui doppiamente di avere io fatto altrettanto nel mio breve discorso per non isgradire al principe nè ingelosire gli altri ministri rappresentanti. Solo stimai mio debito di accennare le cagioni poderose per cui è divenuto legittimo e sacro il titolo di Re d'Italia assunto dal nostro Monarca.

Venuto poi in presenza della Regina, conobbi alle prime parole di Lei il suo spirito disinvolto, la pronta e fine intelligenza, l'animo elevato e più che muliebre. Fra l'altre cose che le dissi fu questa fondata nella verità, che sebbene io avessi appena girato l'occhio sopra Atene ed i suoi contorni, incontravo da pertutto miglioramenti e perfezionamenti che portavano il nome di lei, ovvero da Lei pigliato aveano un qualche principio. Sfavillò negli occhi di molto compiacimento, ma stimò convenevole il cambiar subito di proposito.

Due giorni dopo, tornai a Corte per presentare alle LL. MM. il mio Segretario Privato Nobile Signor Conc~ni, e il Comandante del Vittorio Emanuele Marchese di Montezemolo con tutta la ufficialità sua. Il Re e la Reg'ina volgevano parole graziose a ciascuno in particolare e non nascondevano la loro curiosità di sapere lo stato attuale della nostra marineria della quale mi sono avveduto che qui si aspettano grandi cose.

Compita la visita, io, il Comandante Montezemolo, il Comandante in seconda Signor Ansaldi, e il tenente Signor Giribaldi siamo stati commensali delle Loro Maestà. Il Re aveva fatto invitare molti dignitari, e alcuni insigni professori dell'Università. Io sedetti alla destra della Regina, la quale quanto durò il desinare e più tempo dopo (scusi l'E. V. questa minuzia) conversò meco senza quasi interruzione, e entrò in discorsi di antichità, di lettere, di lingue, e di cento altri argomenti, mostrando pel sottoscritto una particolarissima degnazione da tutti avvertita. Non ometterò di ricordare che S. M. il Re, ambidue le volte che ho avuto l'onore di visitarlo, non si fregiava di altro ordine cavalleresco, eccetto quello della Nunziata.

Egli andrà domani al Pireo per salire sopra un piccolo ma elegante Vapore greco che porta il suo nome. Io mi troverò colà come a caso, e non mancherò di ossequiarlo a bordo del suo legno e accompagnarlo coi miei auguri. Di tali uffici qui non si può fare a meno. Il Re dicesi va in Baviera e dopo breve dimora a Monaco, assaggerà la virtù di qualche acqua termale. Aggiungesi che tratterà in famiglia la questione gelosa e difficile della successione al trono ellenico, definendo e assicurando la quale, spera di togliere esca ai partiti; dapoichè il Governo stesso va confessando che l'ultima cospirazione era macchinata col fine di mutare la persona regnante. Io ne scriverò alla distesa a V.

E. nell'ordinario prossimo. Intanto non voglio tacerle che interpretando io le intezioni sempre cortesi e nobili di cotesto Governo Italiano proposi al Re d'i valersi della nostra pirofregata il Vittorio Emanuele, ovunque gli fosse bisogno

o piacere di condursi. Il Re sebbene non accettava, mostrò di gradire altamente l'offerta e ne fece vivi ringraziamenti a me ed al Comandante.

Pochi rappresentanti delle Corti estere sono qui a questi mesi; e ognuno che può, si ripara dai caldi stemperatissimi nei radi luoghi freschi e ombrosi dell'Attica. Perciò infino ad ora, non ho conosciuto di persona fuori che il Ministro Ottomano Signor Photiadès il quale ieri dettesi premura di comunicarmi con lettera tutta di sua mano la nuova della ricognizione ufficiale che fa la sua Corte del Regno d'Italia. L'ho ringraziato con le migliori parole che ho saputo. È un giovine di mente svegliàta, ricco e alquanto sfarzoso. Si ripromette ogni bene dal nuovo Sultano cui attribuisce meriti singolari e afferma essere deliberato a proseguire con somma energia l'opera della civiltà, né appartenere punto, come ne correva voce, alla setta degli Ulemi fanatici e dei retrivi. Staremo a vedere.

V. E. intende che io non dovea far visita né all'Austria, né alla Russia, né ad alcun altro potentato che nega di riconoscerei. Ho fatta eccezione per la Prussia la quale non ha mai rivocato da Torino il suo Ministro. Ma l'inviato Russo sembra dolersi d'essere escluso e m'ha per vie indirette fatto conoscere il gran desiderio che avrebbe d'una mia visita! Questo prova che cominciamo ad aver qualche peso nella bilancia europea, e che prestissimo la Russia saluterà officialmente il Monarca d'Italia.

Tutto il popolo greco, può dirsi, à festeggiato in suo cuore l'arrivo della Legazione italiana, e crede che al presente la sola nostra nazione gli può recare ajuto efficace e disinteressato. Nel rendere io visita al Prefetto di polizia, uomo assai gradito alla Corte l'udii non senza maraviglia significarmi che la speranza dei Greci è fondata sulle buone sorti d'Italia e confidarsi essi nelle origini che abbiamo comuni e per le quali componiamo quasi un popolo solo. Tutto ciò non sembra detto fortuitamente né senza permissione della Regina; e dico della Regina perché il Ministro Conduriotis discorrendo meco jeri l'altro in Palazzo attribuiva a Lei sentimenti ed espressioni molto simili alle riferite. Il Conduriotis ha fama di probità specchiatissima, né debbo sospettare nelle sue parole un'arte di provocazione per leggermi dentro l'animo; ad ogni modo, le mie risposte furono modeste e non uscirono dai generali.

Gli italiani di qui, genterella di poca importanza, ed alcuni giovani greci aveano apparecchiato un inno da cantarsi con qualche solennità per festeggiare l'arrivo della legazione Italiana. La polizia stimò bene di non permetterlo, veduta la condizione dei tempi e considerato che molte importanti carcerazioni politiche sono accadute solo un quindici giorni addietro e si sta ancora rintracciando tutte le fila d'una non leggiera cospirazione. Ma la Polizia stessa e il Ministro dell'Interno sonosi largamente scusati della proibizione volendo anzi tutto che la non sia reputata per conto niuno come un segno di poco rispetto e di poca affezione all'inviato di Re Vittorio Emanuele.

Darò più tardi a V. E. quella spiegazione dell'accidente e di più altre cose che mi apparisce la più chiara. Ma come ciò stia, certo è che noi possiamo con mediocre diligenza e fatica estendere qui e nei contermini paesi la nostra influenza, e ingrandirla di giorno in giorno, e oso affermare, recarla a un segno al quale forse nessuna potenza può giungere, sebbene fornita di gagliardissimi e copiosissimi mezzi. E per citarne uno di questi, fo noto a V. E. che la Francia, l'Inghilterra, la Russia mai non mancano di tenere nel Pireo un loro legno da guerra a tutta requisizione dei rispettivi Ministri. Noi non solo non vi abbiamo stazione di navi da guerra, ma passano parecchi anni senza che vi si faccia vedere la nostra bandiera.

Nell'abboccamento prossimo che avrò col Ministro degli Esteri gli terrò discorso fondato e premuroso del Trattato postale fra i due paesi; ed ho viva speranza che in pochissimo altro tempo sarà condotto al suo termine.

11 luglio.

Questa mane il Re giungeva al Pireo verso le otto e un quarto. Ricevette allo scalo gli omaggi e saluti di molti Senatori e altri personaggi del Regno poi salpò sopra una picciola nave molto bene accomodata ed ornata. La Regina lo accompagna infino a Kalimaki, dove il Re si condurrà a "Qordo dell'Ottone legno della compagnia greca dei Vapori corrieri, né si fermerà mai per via insino a Venezia. Io mi son fatto debito di visitarlo a bordo e mi à di nuovo accolto con isquisita gentilezza di parole e di maniere.

lo vorrei da ultimo pregare l'E. V. d'una condiscendenza che tornerebbe al sottoscritto decorosa e graditissima: e sarebbe di concedermi che il nobile Signor Concini mio Segretario privato potesse vestire la divisa di Addetto alla Legazione. Ciò darebbegli facoltà di essere ammesso alle feste di Corte e crescerebbe, come, si suoi dire, un poco di lustro al seguito dell'Inviato. Le altre principali legazioni di qui compongonsi di parecchie persone; l'Italia, d'un solo segretario di seconda classe dopo il Ministro.

210

VITTORIO EMANUELE II A VIMERCATI

(A. c. R.)

L. P. Torino, 11 luglio 1861.

La ringrazio delle sue due lettere (1). Deploro molto le parole dette dal

Barone al Parlamento di cui prima non fece confidenza né a me né a nessuno

al Ministero.

Deploro pure che la missione d'Arese sia stata come fù ma se Arese a cui parlai a lungo, si fosse tenuto nei termini da me fissati ciò non sarebbe successo. Io non ho cambiato in niente la mia maniera di pensare da quando lo viddi, sulla questione Romana. Ma è una questione di tempo e non ambisco nemmeno per ora di andarci e nemmeno per qualche tempo, so benissimo che la Francia per ora non può fare diverso da quel che fa e sono fermo nelle mie idee che la questione della Venezia in qualunque maniera giunga è sempre a preferire che preceda la questione Romana. Ora non si metta in pena di ciò che è successo, niente è peggiorato per ciò e ne siamo all'istesso punto, assicuri frattanto l'Imperatore che sono fermo nelle mie idee che sono tali come le espressi. Altri potranno dire parole ma fatti salvo che lo voglia io, nessuno. Bisogna però calcolare un caso solo per ora e questo è importante. Sapere in che intenzione sarebbe l'Imperatore in caso di morte del Papa, e cosa potressimo fare noi o per accertarsi la nuova nomina d'accordo con lui preventivamente o per profittare della circostanza del momento se ciò accadesse. Cioè quello che bisognerebbe bene combinare prima per agire lestamente al momento senza titubazione, ma salvo questo caso aspettare dal tempo e finire prima la questione Veneta. Dica all'Imperatore che mi finisca il tormento di Francesco II a Roma che è un gran bugiardo.

Riguardo a Nigra esso partirà subito che la missione di Fleury si è compiuta, si intenderà con me prima di partire e la prego di mettersi perfettamente d'accordo con lui.

Per la sua nomina la cosa sarà fatta in pari tempo e non in segreto ma al chiaro del sole e del Mondo intiero. Ringrazi Thouvenel da mia parte e lo assicuri dell'interesse che tutti due prendiamo per i nostri affari. Sappia dirmi dove mi hanno portato la mia figlia, mi si dice che è partita pel Canadà .

211

IL CAVALIER UCCELLI (2) AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. 49, n. 18, orig. autogr.)

L. P. Parigi, 11 luglio 1861.

Ho creduto conveniente non presentare la lettera al Conte di Persigny finché Arese rimaneva a Parigi, sia per non ferire le di lui suscettibilità, sia perchè

L. CHIALA, Torino 1890, pp. 368-370).

16 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. I

Thouvenel non ne venisse avvertito, giacché qualunque sia la segretezza che uno

possa mettere in opera, Parigi è così pettegolo che tutto viene a risapersi.

Thouvenel, favorevolissimo alla nostra causa, va in congedo domani, sabato

adunque avrò l'onore di recarmi al Ministero dell'Interno e per quanto è nelle

mie facoltà cercherò di far comprendere tutta la gravità della nostra posizione,

e tutto l'interesse che il governo italiano prende a una soluzione pronta e defini

tiva della questione Romana.

Insisterò più specialmente sulla convenienza politica e sui pericoli religiosi,

sul bisogno urgentissimo di entrare in trattative, come sulla necessità che ci in

combe di svolgere queste trattative in modo consentaneo al principio nazionale.

Non insisterò gran fatto sulla questione di diritto, poiché il Governo francese

tiene molto a non perdere l'aureola di Stato conservatore e antirivoluzionario,

molto più che la questione di Roma conspira con tutti i partiti a danno del Bona

partismo. Le provincie per il momento sono più invelenite della Capitale, la quale

si affiacchisce nel suo zelo cattolico, e comincia ad assuefarsi all'idea di Roma

italiana. Fra sei mesi Parigi o per stanchezza o per persuasione sarà convinta che

il Papato temporale non ha più ragioni di esistere e continuare.

Walewski, checché ne dica il Conte Arese, continua nelle sue intemperanze

austriache, ma appunto perché troppo esagerato, non è da reputarsi pericoloso,

inoltre la sua posizione al Ministero di Stato è molto teatrale, e quasi niente

politica.

Son felice di sentire che Ella pensi a proporre un progetto per le cose di Roma, è ottimo divisamento, giacchè in questo importantissimo affare è nostro interesse mostrare un'attività perenne e quasi direi esagerata. Da alcuni giorni prende consistenza la voce che il Conte Persigny lasci il Ministero degli Interni per l'Ambasciata di Londra, ove il Conte Flahault decrepito di corpo e di spirito non può gran fatto giovare ai disegni dell'Imperatore, inoltre si aggiunge che l'attuale Ministro degli Interni non sia così attivo, e così tenero del suo dicastero, forse per mancanza di attitudine, forse per voglia di maggior quiete. Sarebbe una disgrazia per noi, giacché è impossibile che esista al mondo un uomo più antiaustriaco del Conte Persigny.

I legittimisti francesi e napoletani si agitano assai, però con magro costrutto: si tengono sedute e conciliaboli dalla Duchessa di Bivona, dalla Marchesa di San Giuliano, di più la Marchesa di Brende (credo sorella del deputato Caracciolo) viaggia in su e in giù tra Parigi e Orléans, colla scusa apparente di un figlio posto a studi in quel seminario, ma collo scopo reale di confabulare col vescovo Dupanloup, primo agitatore del clero francese.

Il Re di Napoli non lascerà mai Roma, ve lo trattengono tutte le ciancie di questi imbroglioni, e le sue speranze chimeriche, per cui l'idea di voler purificare il Vaticano coi ragionamenti e colle persuasioni mi sembra vacua e interamente ineseguibile.

Aggiungo due righe sopra un fatto di mediocre importanza. Si tratta di un tal Vescovo Sokolski di Bulgaria che dicono esser passato dalla Chiesa Latina alla Chiesa Greco-Russa, lasciando i suoi antichi amministrati nell'incertezza e nel disordine. Cause di denaro sembrano aver prodotto l'apostasia di questo Prelato. Non sarebbe inopportuno, a parer mio, che la nostra Legazione di Costantinopoli si occupasse di questo affare, e se poche migliaia di franchi potessero essere sufficienti, cercare di ritenere in seno del cattolicesimo queste pecorelle neofite e periclitanti.

Prenda lo scherzo per quello che vale. Ho da ringraziarla in mille modi dei suoi buoni uffici a mio riguardo e rinnovarle le mie più vive istanze, giacché non posso dirle quanto sarebbe per me doloroso il non poter essere utile in guisa veruna al mio paese.

(l) Le due lettere del Vimercati mancano. ma il loro tenore può rilevarsi da quanto il Vimercati scriveva al Castelli il 5 luglio 1861 (Carteggio politico di M. Caste!li, edito da

(2) Fabio Uccelli, giornalista e poligrafo fiorentino (cfr. su lui F. MARTINI, Fra un sigaro e l'altro, Milano 1876, pp. 186-192; G. MAzzoNr, L'Ottocento, Milano 1934, p. 1391), era stato incaricato d'una missione personale del Ricasoli presso il Persigny.

212

NAPOLEONE III A VITTORIO EMANUELE II (l)

(Ed. in Q. R.• II, 520)

Vichy, 12 luglio 1861.

J'ai été heureux de pouvoir reconnaitre le nouveau royaume d'Italie au moment meme où V. M. perdait l'homme distingué qui avait le plus contribué à la régénération de son pays. Par là j'ai voulu donner une nouvelle preuve de ma simpathie à une cause pour laquelle nous avions combattu ensemble. Mais en reprenant nos rapports officiels, je suis obligé de faire mes réserves pour l'avenir.

Un gouvernement est toujours lié par ses antécédents. Voilà onze ans que je soutiens à Rome le pouvoir du Saint Père. Malgré mon désir de ne pas occuper militairement une portion du sol italien, les circonstances ont toujours été telles qu'il m'a été impossible d'évacuer Rome. En le faisant sans garanties sérieuses, j'aurais manqué à la confiance que le chef de notre religion avait mise dans la protection de la France. La position est toujours la meme. Je dois donc déclarer franchement à V. M. que tout en reconnaissant le nouveau royaume d'Italie, je laisserai mes troupes à Rome, tant que V. M. ne sera pas réconciliée avec le Pape, et tant que le Saint Père sera menacé de voir les Etats qui lui restent envahis par une force régulière ou irrégulière.

Dans cette circonstance, que V. M. en soit bien persuadée, je suis mù uniquement par le sentiment du devoir. Je puis avoir des opinions opposées à celles de V. M., croire que les transformations politiques sont l'ceuvre du temps, et qu'une aggrégation complète ne peut etre durable qu'autant qu'elle aura été longuement préparée par l'assimilation des intérets, des idées et des coutumes; en un mot je pense que l'Unité aurait dù suivre et non précéder l'Union. Mais cette conviction n'influe en rien sur ma conduite. Les italiens sont les meilleurs juges de ce qui leur convient, et ce n'est pas à moi, issu de l'élection populaire de prétendre peser sur les décisions d'un peuple libre.

J'espère donc que V. M. unira ses efforts aux miens pour que dans l'avenir rien ne vienne troubler la bonne harmonie si heureusement rétablie entre nos Gouvernements.

(l) Questa lettera fu presentata al Re dal generale Fleury il 17 luglio, cfr. Gazzetta Ufficiale, 18 luglio 1861, n. 174.

213

L'INCARICATO D'AFFARI, LA MINERVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

L. RISERVATA S. n. Lisbona, 13 luglio 1861.

En causant avec le Ministre des Affaires Etrangères sur les conditions actuelles de Rome, sur la question romaine et sur les conséquences plus ou mo'ins favorables, que l'éventualité de la mort du Pape pourrait avoir pour l'intéret en général de l'Italie et pour le pouvoir temporel, et en lui faisant allusion à l'infl.uence que le Portugal exerce dans le Conclave par son droit de veto, je me suis permis de lui dire qu'il devrait dans l'utilité meme de son Pays unir son infl.uence à celle que nous pourrions exercer, afin de paralyser les intrigues que les Cours d'Autriche et d'Espagne ne manqueraient pas de faire pour que le choix tombàt sur un Cardinal ennemi de toute conciliation, ou, ce qui serait encore pis, sur un Cardinal non italien contrairement à la tradition inveterée du Sacré Collège.

S. E., après avoir généralisé la question politique, a fini par me dire que ce serait vouloir prévoir l'inconnu, que de vouloir dès à présent porter un jugement quelconque sur les conséquences de la mort du Pape. Quant à ce que je lui disais sur l'utilité d'unir leur influence à la nòtre, il me fit observer avant tout que la santé du Pape d'après les dernières nouvelles s'était de beaucoup améliorée; mais un moment après il me demanda tout court de combien de voix nous croyons pouvoir disposer. Je lui ai dit que je ne pouvais rien préciser à cet égard, car depuis mon départ de Rome plusieurs Cardinaux que je connaisf:ais étaient morts, et que, les circonstances ayant beaucoup changé des opinions individuelles auraient pu se modifier, soit dans un sens, soit dans un autre. Mais je lui ai fait observer,

qu'il ne s'agissait pas d'évaluer à priori un nombre quelconque de voix, mais plutòt de renforcer par leur concours l'infiuence que l'union de deux Gouvernements catholiques et libéraux pourrait exercer sur la partie des Cardinaux qui aimeraient à en venir à une conciliation dans le sens réclamé par les circonstances actuelles. Après cela M. d'Avila ayant tourné la conversation sur d'autres objets,

je n'ai pas voulu insister de ma part, de crainte qu'il ne pensat que je lui tenais

ce langage d'après des instructions que je n'avais pas.

En rapportant cette conversation toute académique, s'il m'était permis d'exprimer à V. E. ma manière de voir sur cette question, je serais porté à croire que le Gouvernement Portugais, dans le cas où l'eventualité du Conclave se vérifie, tàchera de se tenir à l'écart autant que possible de toute intrigue, comme il l'a fait jusqu'à présent dans les grandes questions, sans toutefois renoncer à son droit de veto; et tout au plus le fond des instructions qu'il donnera à son ambassadeur à Rome, sera de se rapprocher à la France à préférence de toute autre Puissance.

214

IL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

L. P. 10. Parigi, 14 luglio 1861.

Coll'ordinario postale di ieri pervenivami il dispaccio che l'E. V. mi faceva l'onore di rivolgere, sotto la data del 9 corr. mese s. n., per darmi l'incarico di

porre sotto gli occhi di questo Sig. Ministro degli Affari Esteri una lettera che il Sig. Conte di Goyon, Comandante in Capo del Corpo di occupazione francese negli Stati del Papa, indirizzava il 29 del pp. giugno al Console di S. M. in Roma, in occasione dell'involontaria violazione di frontiera commessa a Rio-Freddo da alcuni nostri soldati. L'E. V., nell'ordinarmi di far noto al Governo dell'Imperatore il tenore della lettera del Signor di Goyon, mi ingiungeva di chiamar principalmente la seria attenzione del Sig. Ministro degli Affari Esteri, più che sull'incidente che ha fornito pretesto allo scritto del Signor Goyon, sull'attuale situazione delle cose che riesce in pari tempo d'imbarazzo per la Francia e di pregiudizio per l'Italia.

Nell'assenza del Sig. Thouvenel, partito da pochi giorni in congedo da Parigi, ho creduto dover mio rivolgermi al Sig. Benedetti che è in questo momento a capo della Direzione Politica, tanto più che il Sig. Billault, attualmente incaricato della reggenza interina del Ministero degli Affari Esteri non ricevendo in udienza il Corpo Diplomatico che ogni giovedì, avrei dovuto ritardare di troppo a fare a questo Governo la comunicazione di cui l'E. V. mi aveva dato l'incarico.

Misi sotto gli occhi del Sig. Benedetti la lettera del Sig. di Goyon, sul tenore della medesima attirai la sua attenzione, ed avvalendomi degli argomenti svolti nel dispaccio di V. E. di cui diedi pure lettura in parte al Sig. Benedetti, lo richiedeva di voler far prendere in considerazione al Governo Imperiale l'urgente necessità di addivenire ad una soluzione degli affari di Roma, la quale, nel porre in salvo gli interessi religiosi della Cattolicità, desse all'Italia quelle garanzie d'ordine e di sicurezza di cui ha bisogno per compiere l'opera della sua unificazione nazionale.

Prestavami sostenuta attenzione il Sig. Benedetti e quindi, siccome la mia comunicazione concerneva sia l'incidente della lettera del Conte di Goyon, sia la questione più essenziale ed importante della presenza delle truppe francesi in Roma, davami egli ai due punti sopradetti il seguente riscontro.

Il Sig. Benedetti dicevami che la lettera del Sig. di Goyon, di cui il Ministero degli Affari Esteri avea già avuto copia dal Dipartimento della Guerra, non dovea considerarsi come contenente espressioni offensive alla dignità della nazione italiana: imperocché -dicevami il Sig. Benedetti -tale lettera non è già un uffizio che sia stato scambiato tra Governo e Governo, nel qual caso i termini potrebbero scostarsi alquanto dagli usi diplomatici, ma bensì è una comunicazione che un Capo d'Armata indirizza ad un Agente Estero per ottener spiegazioni sul fatto di una violazione di territorio: lo scritto può risentirsi alquanto del carattere militare di chi lo vergava, ma le ultime parole « Nous sommes Français avant tout » tolgono alle espressioni antecedenti ogni qualunque malevola significazione. Infatti il Generai di Goyon colle predette parole -seguitava il Signor Benedetti -ha voluto dire, che, benché le due nazioni ed i due Governi fossero fra loro uniti dai vincoli della più stretta amicizia e simpatia, e le due Armate si fossero trovate a fianco l'una dell'altra in presenza di un comune nemico, pure, in un caso dato, le truppe francesi di occupazione in Roma non potrebbero ricordarsi che degli ordini ricevuti, che della loro qualità di francesi.

In quanto alla questione principale, vale a dire alla questione di Roma, il Sig. Benedetti disse che il Governo Imperiale, al par del Governo d'Italia, desiderava grandemente che questo nodo di intricate e spinose difficoltà venisse tolto in qualche modo, e che ciò non potrebbe verificarsi che in seguito di accomodi che fossero per intervenire tra la Corte Papale ed il Governo del Re: esser cosa conveniente che i segreti e confidenziali negoziati, intavolati al tempo del Conte di Cavour, venissero o continuati o ripresi: esser questo l'unico modo di poter sperare una qualche soluzione alla questione di Roma; imperocché il Santo Padre avrebbe dichiarato che, se le truppe francesi abbandonassero Roma, Egli puranco in questi momenti sarebbe partito da quella Città: in tale stato di cose esser per ora impossibile che l'Imperatore Napoleone giudichi opportuno di richiamare le sue truppe dallo Stato Pontificio.

Finito che ebbe di parlare il Sig. Benedetti, credetti dovergli fare osservare che l'interpretazione che egli dava alle parole del Sig. Generale Goyon mi pareva più speciosa che vera, e che per fermo gli antecedenti del Signor Generale di Goyon erano tali da giustificare quella interpretazione che da noi si era data alla lettera a cui si allude: che del resto siccome il Governo del Re più assai che dell'incidente si dava pensiero della gravissima situazione fatta alla Francia ed all'Italia per la presenza delle truppe imperiali a Roma, cosi io rinnovava a lui la preghiera di voler più sul secondo soggetto che sul primo attirar l'attenzione del Governo dell'Imperatore. Richiesi in pari tempo il Sig. Benedetti di voler ragguagliare il Sig. Billault della comunicazione che io gli aveva fatto per ordine di V. E., affinché questo Ministro, quantunque interinalmente incaricato della gestione degli affari esteri, potesse egli puranco essere informato degli inconvenienti che sorgono giornalmente per lo stato di cose esistente in Roma e del desiderio vivissimo dell'E. V. che a tali inconvenienti si tolga la principale ed unica cagione. In tal guisa il Sig. Billault potrà, nel render conto della sua gestione, tener discorso su questa grave difficoltà all'Imperatore che, reduce dalle acque di Vichy, il 25 di questo mese, si fermerà alquanti giorni sia a Parigi che a Fontainebleau prima di dar principio alla rassegna di Chàlons, e ad altre escursioni autunnali.

215

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL

(Ed. con alcune varianti in Ricasoli, VI, pp. 51-59).

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 15 luglio 1861.

Depuis mon arrivée au Ministère j'ai attentivement suivi votre correspondance politique, et -je me hàte de le déclarer-elle m'a donné la meilleure opinion de votre capacité comme de votre dévoument. La connaissance que vous avez de la situation de l'Allemagne aussi bien que de la situation de l'Italie, peut vous mettre à meme de rendre d'utiles services à notre pays, et vous verrez sans doute avec plaisir que je vienne faire particulièrement appel à votre concours.

A mesure que le temps et la réfiéxion ont permis aux passions de se calmer une amélioration sensible et sans cesse progressive s'est manifestée dans l'opinion publique de l'Allemagne à l'égard de l'Italie. Les préventions et les fausses susceptibilités s'effacent peu à peu devant les faits et les intérets réels; le bon

sens et la probité des Allemands vont triomphant chaque jour davantage de

préjugés que l'Autriche s'efforçait de semer et d'entretenir dans l'intérèt d'une

domination qui lui échappe.

Ce mouvement de l'opinion il importe grandement de le cultiver; c'est

mème pour nous un devoir essentiel. Deux questions restent encore à résoudre

pour achever l'reuvre de notre indépendance, pour que l'Italie n'ait pas à

redouter de retomber dans les anciennes divisions, dans l'ancienne servitude:

la question de Rome, la question de notre unité nationale.

La question de Rome, la plus grave de toutes, car elle implique à la fois les intérèts spirituels du monde catholique et les intérèts nationaux de tout un peuple, commence à sortir de ces obscurités qui l'enveloppaient, et nous devons une sincère reconnaissance à ces courageux publicistes qui en Allemagne aussi n'ont pas hésité à opposer à des erreurs et à des préventions que le temps avait rendues respectables, les plus solides convictions de la raison humaine et de la foi religieuse.

Si nous, si les Italiens demandent avec instance que Rome soit rendue à l'Italie, qu'elle devienne la Capitale d'un Royaume qui naguère n'était encore regardé que comme une utopie, ce n'est point par une puérile imitation d'une époque dont le retour ne serait ni possible ni désirable, ce n'est point dans une idée de domination, ce n'est pas pour dicter du haut du Capitole des lois que le monde n'accueillerait plus, car le temps des dominations exclusives est heureusement et définitivement passé.

Des raisons bien plus justes, des nécessités bien plus impérieuses pous

sent les Italiens à faire de la ville éternelle le siège de leur gouvernement. Par ses traditions Rome est la seule grande cité italienne devant laquelle toutes les gloires, toutes les ambitions municipales puissent s' incliner. Par sa position, elle est le point naturel de raccordement entre l'Italie méridionale et l'Italie septentrionale, elle est un centre d'où il devient facile au gouvernement d'administrer avec une égale célérité toutes les parties de la péninsule.

D'autre part, il faudrait un grand aveuglement pour ne pas le reconnaitre, tant que Rome est le siège d'un pouvoir que sa faiblesse mème et la répulsion irresistible qu'il inspire à ses sujets forcent à s'appujer sur l'étranger, elle sera toujours un foyer d'intrigues et de complots contre notre vie nationale. Elle sera toujours un appel incessant aux ingérences et à la domination étrangère, un obstacle à ce que l'Italie devienne assez unie, assez forte pour vivre tranquillement dans ses confins, et se vouer au développement pacifique de ses ressources.

Ce sont là des vérités palpables, que l'histoire des siècles passés n'a que trop mises en évidence et que sont journellement confermées par les efforts incessants que la Cour de Rome met en reuvre pour défruire à sa naissance l'indépendence et l'unité de notre patrie. Mais nous ne serions pas si déterminés à poursuivre notre but, s'il ne s'agissait que de nos convenances et mème des nécessités de notre position actuelle, si nous n'avions la conscience d'un droit positif, imprescriptible, si nous n'ét'ions convaincus de servir la cause du progrès religieux et civil de la société tout autant que la cause de notre regénération nationale. Je ne discuterai pas ici les titres sur lesquels repose le pouvoir temporel du Saint-Siège. Son origine purement humaine n'est nullement inhérente à la mission du successeur de Saint Pierre. Les Papes, on le sait, ont possédé d'abord

à titre féodal prenant l'investiture des Empereurs peu soucieux de laisser à l'église en Italie un pouvoir qu'ils n'étaient pas à méme d'exercer. La dédition et la conquete vinrent ensuite augmenter la puissance temporelle du Saint Siège. Mais les moyens employés pour l'étendre furent souvent en opposition avec les préceptes de la religion chrétienne et de la justice naturelle. Si à quelques moments donnés de l'histoire la Souverainété temporelle des Papes a pu produire certains effets utiles à la Société civile, il serait impossible d'admettre qu'elle ait jamais été nécessaire à l'indépendance du Saint Siège. Tout au contraire l'autorité spirituelle du Chef August de l'Eglise s'est affaiblie à mesure que sa domination temporelle a pris de plus vastes proportions. Le pouvoir temporel du Pontificat Romain n'a été bientòt qu'une source de corruption pour l'Eglise, d'agitations et de conflits pour la Société.

L'incompatibilité des devoirs du Ministère Sacerdotal avec les devoirs si compliqués et si divers d'un bon Gouvernement est évidente. Il n'est pas possible de bien remplir les uns, sans négliger les autres. La situation matérielle et morale des Etats du Saint-Siège en est la preuve la plus frappante.

Devant les maux qui résultèrent nécessairement et partout de la confusion des deux pouvoirs, leur séparation est devenue comme un dogme des temps modernes, et il n'est désormais presque plus d'esprit éclairé et de bonne foi qui ne rende hommage à la sublime maxime du divin fondateur de l'Eglise, que son règne n'est pas et ne peut pas étre de ce monde. Les progrès de la civilisation, la liberté politique, la liberté religieuse généralement admises permettent de réaliser cette séparation sans que le monde catholique puisse raisonnablement craindre que l'indépendance spirituelle de l'Eglise [en] soit aucunement atteinte. L'Allemagne doit d'autant plus se persuader de la justesse de ces principes qu'elle méme a longtems éprouvé, quoique dans une mesure beaucoup moindre que nous, les inconvénients inséparables de la confusion des deux pouvoirs et qu'il lui a fallu subir les cruelles péripéties d'une guerre de trente ans et l'humiliante bien que salutaire mesure d'une médiatisation imposée par un conquérant étranger pour voir disparaitre de son sein l'anomalie et le scandale de ces principautés ecclésiastiques qui déshonoraient la religion et corrompaient les moeurs par le faste licencieux de leurs Cours.

L'Allemagne et l'Europe devraient donc savoir gré à l'Italie de ses efforts pacifiques pour résoudre à l'avantage de tous les Gouvernemens et de tous les pays, sans commotion, sans secousse, sans excès, un problème qui ailleurs a semé de si funestes divisions et couté tant de sang et de sacrifices. Cette solution que nous demandons à la liberté, ne compromet nullement l'indépendance spirituelle et le prestige de l'Eglise: elle aura au contraire pour effet de mettre l'exercice du Ministère Sacerdotal au dessus des contestations mondaines, et d'étendre sa légitime influence sur les consciences.

Quant à l'unité de l'Italie à laquelle nous aspirons et que nous désirons si ardemment et si fermement de compléter, notre droit ne saurait consciencieusement étre révoqué en doute. Les nations comme la famille sont une création de la Providence. Lorsque tous les éléments concourent pour qu'un peuple se sente appelé à reconstituer sa nationalité, opposer à ce mouvement des obstacles, le réprimer par la force, ce serait provoquer sans fruit et sans but des explosions et des violences qui mettraient en péril non seulement la paix et la tranquillité générale, mais le principes mème qui sont la base de l'ordre social. Par contre un peuple constitué dans ses limites et dans ses conditions naturelles apporte par le fait méme de sa constitution un concours moral à l'amélioration des destinées des autres peuples. En vertu de certe loi d'équilibre qui régit tout aussi bien le monde moral que le monde physique, les progrès accomplis dans un pays se com:muniquE>nt nécéssairement à tout ce qui l'entoure. L'histoire des dernières années atteste combien le mouvement italien a été cause d'heureuses conséquences pour le succès du mouvement libéral en Europe et particulièrement en Allemagne. L'Autriche meme a été obligée de rendre hommage aux principes de liberté et jusqu'à un certain point aux légitimes exigences de l'esprit natiou.al.

L'ltalie a eu la sagesse et le rare bonheur d'arriver presque au terme de sa marche vers l'unité sans écarts révolutionnaires, sans provoquer de conflagration en Europe. Notre plus ardent désir, comme notre plus ferme résolution, est de ne pas dévier de cette voie. Mais pour cela il faut que la sagesse de l'Europe au lieu de nous susciter des diffìcultés nous vienne en aide. Le revirement qui à cet égard s'opère en Allemagne est de bon augure. A bout d'arguments pour justifìer sa domination sur la Vénétie, pour résister au courant de l'opinion des Cabinets comme des peuples qui lui conseillent de renoncer à une domination désastreuse pour ses fìnances, menaçante pour son avenir, l'Autriche a prétendu prouver à l'Allemagne que la possession de ce pays si malheureux et si digne d'un sort meilleur est nécessaire à la défense du territoire germanique, à la liberté et au développement de ses relations com merciales et maritimes. Heureusement les raisonnements de l'Autriche ne sonl pas mieux fondés sur la science stratégique que sur les droits des nations, et il y a en Allemagne des militaires trop instruits pour ne pas sentir la futilité de ces arguments. Une nation de 40 millions d'habitants braves et aguerris qui a des frontières très bien disposées pour la défense n'a pas besoin de posséder quelques lieues de territoire et quelques forteresses sur le sol étranger pour sauvegarder sa sécurité et son indépendance.

L'Italie d'ailleurs réunie en un seul corps n'aura jamais aucun intérét à menacer ses voisins, à sortir de ses frontières ou à permettre que son territoire serve d'appui à des invasions étrangères. Si l'on veut en conséquence que nous ne soyons pas comme une menace perpétuelle pour le repos de l'Europe on n'a qu'à nous donner ce qui est nécessaire à notre existence. Alors nous ne demanderons pas mieux que de jouir en paix des admirables ressources d'un pays qui n'a rien à envier aux autres et pour qui des idées de conquéte ou d'agression seraient un non-sens impossible à concevoir. Et quant au commerce le système de liberté inauguré en Italie et que l'Italie a tout intérèt à maintenir assure au trafìc età la navigation de l'Allemagne plus de facilité, plus d'avantage que n'en pourrait jamais espérer sous la domination de l'Autriche. Notre législation douanière, nos tarifs, nos conventions sont là pour le prouver.

Je suis entré avec vous, Monsieur le Comte, dans ces développemens parce que vous pourrez vous en servir utilement dans vos rapports avec les hommes politiques de l'Allemagne, dans l'action que vous ètes appelé à exercer sur l'opinion publique. La presse libérale allemande vient déjà de montrer des dispositions favorable aux droits de l'Italie. Il faut l'encourager dans cette voie, il faut qu'au moyen du journalisme vous tàchiez de faire répandre dans les masses des vérités qui une fois généralement admises ne manqueront pas d'exercer une excellente influence sur les Gouvernement allemands et de rendre possible, comme nous en formons des vreux sincères, de compléter l'indépendance de l'Italie tout en évitant le double fléau de la révolution et de la guerre.

Quant à la manière d'agir sur la presse je m'en rapporte, Monsieur le Comte, à votre sagacité, et à votre tact, et si des moyens niatériels vous étaient nécessaires je vous engage à me l'indiquer. En mème temps vous aurez soin de concilier toujours plus à notre cause la faveur des Diplomates qui, comme le Ministre de Bade à la Diète, se mettant au dessus de vulgaires préjugés savent apprécier la justice de nos tendances nationales, et ne pas faire à l'Italie un grief de vouloir cette liberté et cette indépendance dont l'Allemagne se montre pour son propre compte si justement jalouse.

216

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY (l)

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 15 luglio 1861.

Je viens de recevoir les dépèches N. 342 et 343 de la série politique que vous m'avez fait l'honneur de m'adresser en date du 5 de ce mois.

Dans l'état d'incertitude et de tension qui règne encore en Europe, je suis peu surpris que mes déclarations au Parlament National aient suscité quelque alarme. En donnant des explications que j'approuve, en les appuyant sur des documents dont j'accepte la solidarité, bien qu'il n'émanent pas de mon initiative, car la politique du Gouvernement du Roi reste la mème, vous ètes venu, Monsieur le Comte, au devant de ma pensée et de mes désirs.

Cependant, qu'il me soit permis de le dire, ces alarmes étaient elles fondées, les interpretations qu'elles supposent sont elles justes?

Qu'on se reporte aux circonstances dans lesquelles j'ai parlé, et on trouvera que mes paroles n'annoncent ni des vues agressives, ni des impatiences périlleuses.

J'avouerai sans peine, Monsieur le Comte, que, peu habitué aux réserves calculées du langage diplomatique, il m'eut été difficile d'employer des formules dont je suis loin pourtant de méconnaitre les avantages. Dans la situation d'ailleurs où je me trouvais en présence du Parlement et du pays, dans notre situation mème vis-à-vis de l'étranger, les réticences et les ambiguités auraient pu éveiller des appréhensions sérieuses en Italie sans inspirer plus de sécurité à l'Europe.

Appelé depuis peu de jours par la bonté du Roi à la direction des affaires,

si je pouvais compter sur la confiance de la Chambre et du pays, c'est

moins certainement comme Ministre que comme individu, comme Italien profon

dément convaincu des droits, profondément dévoué au bonheur de sa patrie.

Cependant, je dois à ma loyauté de le déclarer, je ne saurais regretter sous un point de vue très essentiel la netteté et la franchise de mes paroles. Il y a dans la politique du Gouvernement du Roi par rapport à l'Italie deux questions distinctes, la question de principes, et la question qu'on pourrait appeler d'opportunité et de convenance.

Or sur la question de principes il serait impossible de transiger. Comme Ministre tout autant que comme individu, je crois qu'il est de mon devoir d'affirmer hautement les droits de l'ltalie; son droit de compléter son unité, d'assurer son indépendance et son repos, en revendiquant Rome comme sa capitale naturelle, en revendiquant la Vénétie comme partie intégrante du sol italien, de la nationalité italienne. Que ces principes soient admis, que les Puissances au lieu de les combattre, au lieu d'y susciter des obstacles, cherchent à les faire prévaloir dans les conseils de l'Europe, et la question sera immensément simplifiée; on aura enlevé à la situation une grande partie de ses incertitudes et de ses périls.

Rassuré sur le but fina! de ses efforts le Gouvernement du Roi tient trop de compte de la position des autres Gouvernements, des diffi.cultés qu'ils ont eux mèmes à vaincre, des intérèts qu'ils ont à ménager, pour qu'il veuille forcer le cours des événements et précipiter un dénoument qu'il serait heureux de pouvoir se promettre de la sagesse et de la justice de l'Europe.

Pourquoi des Gouvernements aussi éclairés, aussi patriotiques et aussi justes que la Prusse, ne voudraient-ils pas confirmer par leur attitude ces légitimes espérances, et aider de leur influence un résultat aussi utile au maintien de la paix générale qu'aux intérèts de la civilisation?

Ce n'est point, vous le savez, Monsieur le Comte, par un esprit de domination, par une timide condescendance à des exigences révolutionnaires que le Gouvernement du Roi se fait l'interprète et l'appui des vreux qui portent les ltaliens vers Rome et vers Venise. Des principes d'un ordre supérieur guident notre conduite.

Par sa position géographique, comme par ses traditions, Rome est le centre nature! de l'Italie, et on pourrait diffi.cilement concevoir le Royaume d'Italie fortement constitué sans lui donner Rome pour Capitale. Sa faiblesse engage et engagera toujours le Gouvernement Pontificai a chercher des appuis dans la protection et dans les armes étrangères. Aujoud'hui mème c'est à l'ombre d'un drapeau étranger, quoiqu'ami des Italiens, qu'on ourdit à Rome ces complots, qu'on y organise ces brigandages qui répandent la terreur dans nos provinces méridionales.

Le pouvoir temporel des papes est désormais condamné autant par l'esprit de la religion chrétienne, que par les intérèts de la société civile. Il y a entre l'exercice du Ministère sacerdotal et les sollicitudes du gouvernement temporel des incompatibilités radicales. Les populations en souffrent et ne veulent plus supporter un régime qui les condamne à l'inertie, à un abaissement matériel et intellectuel qui contraste tristement avec les progrès de tous les autres pays de l'Europe civilisée. Tant que cet état de choses dure, on tourne dans un cercle vicieux et terrible, l'insurrection des masses ou l'occupation étrangère. Or l'Italie, l'Europe méme ne peuvent pas accepter indéfiniment une situation qui compromet sans cesse son repos.

L'Allemagne sait par expenence combien la confusion des deux pouvoirs lui a été funeste. La séparation qui a été chez elle le fruit de luttes longues et sanglantes, peut etre obtenue en Italie sans bouleversement, sans secousse, gràce aux progrès de la foi religieuse et des institutions politiques.

L'Eglise et son Auguste Chef trouveront sans doute dans l'entière liberté que le Royaume Italien est pret à garantir au pouvoir spirituel, dans le sentiment religieux et dans le respect des populations, plus d'indépendance et plus de dignité qu'ils n'en reçoivent d'une souveraineté temporelle odieuse aux sujets, et qui ne peut exister sans le secours des bayonettes étrangères.

En nous efforçant de parvenir sur les bases que le Gouvernement a proclamées à la séparation et à l'indépendance reciproque des deux pouvoirs, nous croyons rendre un immense service aux Gouvernements, non moins qu'à la civilisation et à l'humanité.

Mais ce n'est point à la violence et à des troubles, c'est à l'opinion publique, c'est à la raison, c'est enfin à des accords qui concilient autant que possible tous les grands intérets qui sont en cause, que nous voulons demander la réalisation de ce but.

Je croirais presque superflu, Monsieur le Comte, de revenir ici sur les droits et sur les devoirs du Gouvernement Italien relativement à la Vénétie. Vingt deux millions d'Italiens ne peuvent pas, on le comprend, démeurer indifférents au sort de leurs malheureux frères retenus encore sous une domination qu'ils abhorrent et à laquelle ils veulent absolument se soustraire. L'indépendance de l'Italie ne sera d'ailleurs que nominale tant qu'une armée étrangère, campée au milieu de redoutables forteresses, pourra attendre le moment de renverser le nouvel ordre de choses. Or toute nation a le droit, le devoir meme d'assurer sa propre existence. Demander aux Italiens de renoncer à la Vénétie c'est leur demander une abnégation contraire à la nature, contraire à la justice. Mais en ne jamais perdant de vue un objet indispensable à notre sécurité, à notre existence, le Gouvernement du Roi saura également faire la part des circonstances, et ne pas provoquer prématurément une lutte qu'il désire sincèrement d'éviter. Une solution pacifique ne nous parait ni impossible ni d'une difficulté extreme, pourvu qu'on la cherche de bonne foi, pourvu qu'on accepte une transformation évidemment providentielle et qui est bien plus propre à garantir la paix et l'équilibre de l'Europe, que ces combinaisons artificielles qui finessent toujours par se briser contre les tendances naturelles des peuples.

Vous pourrez assurer en attendant que le Gouvernement du Roi est fermement décidé à maintenir la tranquillité publique, à ne tolérer aucune espèce de desordre de quelques parte qu'il vienne, de quelque drapeau qu'il se couvre.

(l) In italiano e con la data (errata per evidente lapsus) del 5 luglio, questo dispaccio è stato pubblicato da C. BIANCHI, Storia diplomatica della questione romana, in • Nuova Antologia •, vol. XVI (1871), pp. 353-355.

217

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. 49, n. 27, orig. autogr.)

L. P. 10. Londra, 15 luglio 1861.

Mi venne riferito da persona ottimamente informata trovarsi fra le carte di Lord Palmerston un sunto di conversazione tra l'Imperatore e il principe di Metternich a Fontainebleau. Questa conversazione non veniva al riferente che di seconda mano. Senza rendermi mallevadore della sua realtà, ecco quanto mi ripetè a questo riguardo Lord John Russell che fui a trovare ieri e che, senza !asciargli vedere come fossi informato, portai a discorrere sull'argomento.

Prima di partirsene dalla visita di Fontainebleau il principe Metternich, corredato di un fascio di giornali tedeschi che più o meno lo motteggiavano sulla figura fatta da lui, per essersi scelto il momento di questa visita per riconoscere l'Italia, domandò, non solo di abboccarsi coll'Imperato.re, ma di saper da lui, questa volta almeno, quali fossero le sue viste politiche onde farle sapere al Governo a Vienna e probabilmente così esonerarsi della taccia di nullità che gli si rinfacciava.

L'Imperatore avrebbe acconsentito a parlare e (secondo me con sincerità apparente) gli avrebbe parlato nel modo seguente.

Esser egli di parere che le alleanze fra le nazioni non son durevoli se non basate sugli interessi reciproci. Pochi paesi prestarsi più dell'Austria a quest'armonia. Per esempio esser d'intoppo per la Russia la questione polacca, in cui la Francia avea naturalmente altri modi di vedere. Esser l'alleanza con l'Inghilterra piuttosto un timore reciproco per le forze immense che in ambo i lati si trovavano e potran produrre immensi danni. Ma non esservi simpatie fra i due. Non so come giudicò la Prussia. È facile però indovinare. Francia ed Austria invece cattoliche entrambe ed avendo interessi comuni eran fatte per intendersela.

Solo esisteva un motivo di dissidio. La questione della Venezia. L'Imperatore avrebbe schiettamente dichiarato esser suo parere che la Venezia dovesse essere unita al Regno d'Italia. Aver pensato in quel modo in principio alla guerra né aver motivo, malgrado le fasi percorse, di pensare altrimenti. Una volta intesi su questo punto, nulla impedirebbe i due paesi di collegarsi per decidere questioni europee.

Il principe avrebbe fatto obbiezioni e dato ad intendere che inutilmente spererebbesi che l'Austria aderisse a questo modo di vedere. Domandò dunque se l'Imperatore penserebbe impiegare per forzarnela le armi. Napoleone promise e dichiarò di no. Dimandò allora il diplomatico se la Francia avrebbe appoggiato moralmente e diplomaticamente una tale transazione. L'Imperatore solennemente ancora prese impegni di non farlo.

Ecco esattamente quanto mi venne riferito. Quanto Lord John mi ripetè s'accordava perfettamente con quanto mi venne narrato esser stato messo sotto gli occhi di Lord Palmerston.

Il giorno prima (sabbato) Panizzi mi diede da pranzo con uno dei senatori il quale gode dell'intiera confidenza dell'Imperatrice. Costui trovossi a Fontainebleau tutto il tempo che vi rimase la Corte. Credetti bene di citar questa conversazione prima per sapere se fosse vera, quindi onde si sapesse a Parigi ad ogni modo le voci che correvano nel Gabinetto Inglese.

Costui non prestò fede a questa conversazione, aggiungendo che ove si fosse

discorso di materie così importanti egli avrebbe finito per saperne qualcosa. Disse che il principe Metternich aveva la posizione d'un perfetto gentiluomo, ma credeva poter dire che a Fontainebleau non avea discorso coll'Imperatore più di cinque o dieci minuti e mai su questioni gravi.

Domandai come un paese scaltro come l'Austria potesse avere in una simil corte per rappresentante un imbecille; si strinse nelle spalle e non rispose.

L'impressione prodotta in me è che l'Imperatore abbia, secondo l'usanza sua, voluto corbellare l'Impero Austriaco, facendogli quel male che sappiamo ma con bei modi e con belle parole. Vedendo il principe istizzito e venutogli a dimandare se propriamente intendesse canzonarlo, rispose con la massima urbanità che poiché non era da tanto da accorgesene, lo canzonerebbe un po' più, finchè la dose fosse compiuta che lui stesso finisse più tardi per non esser obbligato di interrogare altrui.

Ad ogni modo quanto precede non potrà a meno che interessare l'E. V.

Panizzi e Lacaita, avendo con lavoro improbo percorso tutto il dossier concernente il Duca di Modena, credono d'aver messo il dito su documenti comprovanti le asserzioni di Gladstone alla Camera dei Comuni. Essi si lusingano di aver ridotto al silenzio Lord Normanby. E vedo infatti che dovendo egli aver fatte le sue interpellanze, venerdì non fiatò punto. Locchè sarebbe eccellente.

Il Ministero Inglese deve necessariamente modificarsi, essendo il Ministro della Guerra talmente ammalato che non si crede possa vivere due mesi. Naturalmente non si tratta che di rimpastare altrimenti la composizione attuale. Ma sino a ieri non erasi presa risoluzione definitiva.

218

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 348. Berlino, 15 luglio 1861.

Hier le Baron de Schleinitz m'a annoncé lui mème sa prochaine sortie du Ministère. Le moment lui avait semblé opportun, et il s'était empressé de le saisir pour rentrer dans une vie paisible nécessaire au rétablissement de sa santé délabrée. Dans une dixaine de jours il quittera Berlin. Le Sous-Secrétaire d'Etat, M. de Griiner, fera l'intérim. Le Comte de Bernstorff n'entrera en fonctions que dans quelques semaines à son retour de Carlsbad.

A propos de son successeur, il m'a dit qu'on se tromperait fort si on acceptait certains jugements sévères propagés à son égard dans le Corps diplomatique. Il n'est ni cassant, ni intraitable. Le seul défaut qu'on pourrait lui reprocher, ce serait de tenir extrèmement à certains préjugés aristocratiques, et de le faire trop sentir. Au reste c'est un homme d'Etat parfaitement loyal, raisonnable et conciliant. Le fait est que le Roi ne pouvait mieux choisir parmi les élements qu'il ava'it sous la main. D'après ses antécédents à Vienne, on ne saurait le ranger dans le nombre des partisans chaleureux de l'Autriche. Vis-à-vis de la France, il est d'avis que, comme tout voisin puissant, il convient de s'entourer de mille précautions, mais on aurait tort de le classer parmi les gallophobes. Pour ce qui nous concerne, nous le trouverons sans préventions. Lors de la guerre d'Italie en 1859, il était sans doute très contraire à notre politique, mais depuis lors les événements ont marché. Il s'est produit un nouvel ordre de faits qui en acquérant une certaine consistance, ont amené dans son esprit des témpéraments propres à

accomoder les affaires. n lui sera méme plus facile qu'à son prédécesseur de surmonter les obstacles qui s'opposent enco1·e à la reconnaissance du Royaume d'Italie.

M. de Schleinitz ne s'est pas expliqué davantage. Il voulait peut-etre me laisser comprendre qu'en suite des affinités de M. de Bernstorff avec le parti réactionnaire quant au régime intérieur, ses propositions à notre égard auraient plus de chances d'etre accueillies, en ce sens qu'elles paraitraient moins suspectes au Roi et à son entourage que celles d'un Ministre à principes libéraux.

J'ai été bien aise d'entendre cette opinion de M. de Schleinitz. Je l'ai remercié des bons rapports qu'il avait constamment entretenus avec moi. Il s'est plu, de son còté, à m'assurer qu'il avait été entièrement satisfait du tact et de la mesure que j'avais montrés dans des circonstances où mon ròle était des plus épineux soit vis-à-vis du Gouvernement Prussien, soit vis-à-vis de la majorité de mes collègues. Aussi se ferait-il un véritable plaisir de me recommander à la bienveillance du Comte Bernstorff.

J'ai répondu que si j'avais obtenu par mon attitude des suffrages aussi précieux, le mérite en revenait exclusivement à mon Gouvernement dont je n'avais fait que suivre, à la lettre, les instructions toujours empreintes d'un vif sentiment d'amitié pour la Prusse.

219

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 349. Berlino, 15 luglio 1861.

Il me revient que le Cabinet de Pétersbourg a écrit une note des plus ressenties à Paris à propos de la reconnaissance du Roi d'ltalie par la France.

M. de Bismark l'explique ainsi: le Prince Gortschakoff est obligé de temps en temps de laisser échapper quelques bouffées de mauvaise humeur. C'est en quelque sorte une soupape de siìreté. Pour conserver son portefeuille, il fait un peu la cour aux sentiments légitimistes de l'Empereur Alexandre surtout en faveur de François Il. Sans nous etre hostile, il pense que l'expérience que nous avons faite dans les Deux Siciles, est décisive, que cette expérience a tourné contre nous, et qu'il serait temps d'eu venir à une autre combinaison, celle de couper l'ltalie en trois parts!

Il me revient également que le Roi de Prusse, à son départ de Berlin, était assez disposé à faire visite à l'empereur Napoléon au Camp de Chalons. L'entrevue est donc assez probable.

J'ai l'honneur d'accuser réception de la dépèche de V. E. n. 389 du 8 juillet. Le Baron de Schleinitz a déjà envoyé au Consul de Prusse à Amsterdam les ordres nécessaires pour le visa de nos passeports. J e dois noter ici que sauf les Belges, les Hollandais et les Anglais, les autres sujets ètrangers doivent encore se munir de passeport et de visa pour passer la frontière de ce pays.

220 IL CAVALIER UCCELLI

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(A R B, cass. 49, n. 79, orig. autogr.)

L. P. Parigi, 15 luglio 18fil.

Questa mattina ho potuto finalmente abboccarmi col Conte di Persigny e rimettergli la lettera ch'Ella ebbe la gentilezza di inviarmi. La nostra conversazione ha durato più di tre quarti d'ora e ad ogni istante ho potuto convincermi ch'egli ama sinceramente e con profonda convinzione la nostra causa, e che nel tempo stesso egli nutre aperta fiducia sull'energia, sulla lealtà e sulla forza del Governo del Re. Questo modo di sentire del Conte di Persigny io debbo esprimere tutto intero, giacché non mi sembrava dettato né enfaticamente, né colla fatua leggerezza di chi vuole dilungarsi in complimenti; soprattutto egli sembrava far caso immenso dell'autorità ch'Ella ha saputo così facilmente raggiungere; autorità essenzialmente personale e scevra per intero di vincoli di partiti, come di antecedenti che possano far dubitare dell'avvenire.

Venendo in seguito a parlare di Roma, il Ministro ha cominciato col dirmi essere il governo dell'Imperatore sicuro della Francia: Vescovi, legittimisti, orleanisti e agitatori clericali esser cose di poco momento, senza consistenza e senza base. Le ultime elezioni hanno provato questa opinione vittoriosamente giacché non un solo dei candidati presentati dalla reazione ha potuto riescire a penetrare nei consigli generali, quantunque gli sforzi per conseguire questo scopo non fossero stati né scarsi, né deboli. Infine il Conte di Persigny è convintissimo che il paese cammina col Governo e che ciò che fa l'Imperatore è per la maggiorità ben fatto, a condizione però di continuare in quelle vie di moderazione fino adesso percorse, ed allontanare per sempre i modi audaci e le agitazioni brusche ed intempestive.

Queste assicurazioni date dallo stesso Ministro dell'Interno hanno in realtà una grande importanza, giacché servono a smentire la credenza invalsa fra molti in Italia, che l'Imperatore cioè fosse impotente a dominare il clero, e che la questione romana fosse per lui una questione di politica interna piuttosto che un inciampo suscitato dalla Curia pontificia.

Ad onta che la situazione in Francia sia notevolmente migliore, ad onta che gli animi sieno meno agitati dalle passioni religiose, è egli prudente lasciar Roma in un tratto e abbandonare il Capo della Chiesa nelle mani della rivoluzione italiana trionfante? Questo è ciò che non consente né può consentire l'Imperatore senza turbare la gran massa del popolo, che non s'occupa di politica, ma che rispetta il culto in cui venne elevato, come si rispetta tutto ciò che è abituale e tradizionale.

Non si vuole in alcuna guisa effaroucher le genti timide, e di mediocre intelligenza, senza offrir loro una ragione apparentemente logica e plausibile; non si vuole infine dare in olocausto il Pontefice senza esser prima convinti che Roma continuerà ad essere in futuro, come per il passato, la sede ed il tempio massimo del cattolicismo.

Ciò è base fondamentale di tutto, ciò è punto sul quale non possono accettarsi né dubbi, né obbiezioni; che Roma diventi la Capitale politica dell'Italia, che il Parlamento e il Re vi facciano continua residenza non debbono essere ragioni, né cause perché il Papato se ne allontani e perché il Vaticano non seguiti ad essere la reggia dei successori di San Pietro.

Per ottenere questo risultato, al quale veramente tendono tutti i nostri sforzi, per ottenere in ultima analisi che la Francia lasci Roma atta a contenere nel suo seno il capo della Nazione e il capo della Chiesa, il Conte Persigny consiglia il Governo italiano a dichiarare solennemente in ogni circostanza ed in qualunque momento che Roma e il suo territorio saranno aggregati alle altre provincie italiane senza invasioni, senza misure e modi rivoluzionari, e senza nulla ch'abbia l'apparenza di conquista e di violenza, ma di pieno accordo colla Francia e col Papato medesimo, si dovessero anche aspettare mesi ed anni per raggiungere questo scopo definitivo.

Quando l'Italia avrà solennemente dichiarato di non giungere a Roma che per questa via, quando il Governo del Re Vittorio Emanuele II, potrà mostrare alla Francia ed all'Europa ch'egli è tanto forte da impedire agitazioni e movimenti insurrezionali, come pure tanto autorevole da sapersi conservare in Parlamento un prestigio ed un potere incontrastabile, allora il Governo dell'Imperatore potrà soltanto ritirare le sue truppe da Roma, perché sicuro della lealtà, dell'influenza e dell'energia del Gabinetto italiano, sicurezza che il Governo imperiale potrà facilmente raggiungere riflettendo al carattere nobile, elevato e previdente del Barone Ricasoli e che porrà Napoleone III nella posizione di giustificarsi in faccia dei suoi sudditi e dell'Europa intera.

Abbandonata Roma senza sotterfugi, e senza l'apparenza di aver fatta un'altra concessione alla rivoluzione italiana, il papato cade in sfacelo e dopo poche ore si trova evidentemente costretto a trattare col Governo del Re, per conseguenza a cedere ogni e qualunque diritto di esistenza temporale.

Inoltre può darsi il caso che il Pontefice attuale, di già sensibilmente malato, possa soccombere da un momento all'altro, in questo caso sarebbe bene fatto, il procedere immediatamente ad un suffragio universale che porrebbe le basi di un nuovo diritto in Roma, innanzi che l'altro Pontefice venisse eletto ed acclamato. Non mi dilungherò su questo progetto perché di già noto a Torino, e perché posto in disparte per il miglioramento avvenuto nella salute del Pontefice.

Queste, presso a poco, sono state le idee che il Conte di Persigny mi ha esternate con estrema benevolenza e con singolare energia di linguaggio; egli inoltre ha voluto formulare concisamente la sua maniera di vedere aggiungendo:

qu'il faut aller à Rome ayant l'idée de ne vouloir point y aller.

Ciò solo può permettere all'Imperatore di ritirare decorosamente le sue truppe, dar della polvere negli occhi alla gran massa dei popolani suoi sudditi e giustificarsi col Papato e coll'Europa.

L'attitudine del Governo italiano ed il suo prestigio in casa e all'estero, sono la via per cui è soltanto permesso di ritirare le truppe francesi. Le debolezze, le provocazioni insensate, e il desiderio continuamente espresso sia dal Parlamento, sia dal Governo del Re di volere ad ogni guisa giungere a Roma non servirebbero che a prorogare l'occupazione e nuocere al consolidamento della nostra unità!

17 . Documenti diplomatici . Serie I . Vol. I

Il Conte di Persigny mi ha permesso di andare a trovarlo quando meglio io lo desiderassi, ciò che non mancherò di fare ogni qualvolta io voglia più addentro approfondire le di lui idee sulla questione italiana.

Avendo inteso dire e letto sui fogli che Caracciolo partirà per Lisbona per complimentare il Re di Portogallo, ho pensato ai corrispondenti dei principali giornali di quella Capitale e tutti mi hanno assicurato che sarà fatto il possibile perché il ricevimento sia quale si conviene all'inviato di un gran popolo. Ho di già fatto spedire alcuni dettagli biografici sopra l'Ammiraglio Caracciolo, come pure sopra l'on. Camillo.

Il miglior modo per giungere a Lisbona è di prendere il vapore transatlantico che parte da Bordeaux ogni 24 del mese, la via per la Spagna essendo troppo ardua, e i piroscafi che partono regolarmente da Nantes essendo troppo meschini e lenti.

Ho grande difficoltà a distruggere giornalmente le cattive impressioni che fanno a Parigi i discorsi di certi italiani di Firenze e d'altri luoghi tendenti a far vedere i nostri più vitali interessi sotto un aspetto falso e precario, ed a considerare l'unità della Penisola come chimerica e assolutamente impraticabile.

Fabrizi mi scrisse, e non mi dette notizie soddisfacenti della mia candidatura, vedremo. Se Ella credesse opportuno di farmi accompagnare in guisa di segretario taluno dei personaggi che saranno in seguito incaricati di notificare all'estero l'esaltazione del Re Vittorio a Re d'Italia, reputo che ciò potrà giovarmi, se non altro per levarmi d'addosso l'oscurità del nome, grande ostacolo per farsi eleggere in casa e fuori.

221

IL MINISTRO AD ATENE, MAMIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 2. Atene, 16 luglio 1861.

lo non posso intrattenere l'E. V. d'altre cose che delle importanti alla scienza di stato ed alla Diplomazia. In diverso caso io non mi asterrei di parlarle di ciò che modernamente chiamiamo impressioni di viaggio, le quali riuscirebbero nuove e curiose. Rispetto all'informare l'E. V. della vera condizione politica di questo regno, m'accorgo di aver bisogno d'altro più tempo, non volendo arrischiare i giudicj e fondarli sopra fatti o mal conosciuti o troppo parziali. Intanto, non Le tacerò come a prima vista appariscono contrasti e differenze singolarissime e non facilmente esplicabili. Il Re sebbene mostri uno zelo ardente per la causa nazionale, affetti in ogni cosa di grecizzare, tengasi allato gli avanzi dei vecchi combattitori della indipendenza ellenica e i figliuoli o nipoti dei già defunti, sebbene nel '54 tentasse più o meno copertamente di cacciare i Turchi dalla Tessaglia ed altre provincie, adempia tutto che cattolico le cerimonie della Chiesa ortodossa con iscrupolosità, e nella vita privata tenga costumi severissimi, non giunge a captivarsi l'animo dei suoi sudditi. Tre mezzi egli aveva per sovrastare e dominare con soddisfazione e amore dei popoli. Osservare gelosamente lo Statuto, lasciando ogni cosa nelle mani dei più notabili cittadini. lnsignorirsi della opinione pubblica per maniera da condurre gli affari secondo i propri concetti ma consentiti sempre e partecipati dal Parlamento; sospendere la Costituzione e dichiararsi dittatore per salvare la patria. Questo terzo partito ricercava un ingegno grande e la fortuna compagna a qualche impresa ardita e magnanima. Ingegno e scienza poco minore domandavasi dal secondo partito. Il primo invece confacevasi a capello col carattere tardo e fiacco del Principe e con la scarsa sua istruzione non emendata da naturale acutezza e da pronto e profondo intelletto. Per isventura, Egli entrò in una via che non è dispotismo, e non è sincera legalità. Pervenne a disfare i vecchi partiti senza crearne uno nuovo o ciò che era meglio, senza accordare le intelligenze e le volontà intorno un sistema largo, generoso e pratico bene conformato alle ardite speranze e alle aspirazioni incessanti della nazione. I capi più notabili dell'opposizione costituzionale avendo mancato essi pure il più delle volte d'idee pratiche e abilmente connesse, e taluno essendosi lasciato guadagnare e sforzare, è stato agevole alla corona lo screditarli, in un Regno di poco più d'un milione di cittadini, anzi in questa sola Atene dove quasi tutta la vita politica si raduna, sorgono guerriciole infinite più di persone che di idee e sembrano le moltitudini essere cadute in una trista indifferenza della cosa pubblica e delle politiche istituzioni.

D'altra parte, fa singolare contrasto a tutto ciò l'amore sincero e profondo che porta questo popolo alla libertà e all'uguaglianza civile. Tuttogiorno parla e discute avvenimenti e faccende politiche; egli come i suoi padri vivrebbe volentieri sempre fuori di casa sulle piazze e nei Caffè (che sono le Agore moderne) leggendo gazzette e inframmettendo alla lettura commenti spesso mordaci e ognora avveduti e sensati. Ciò nulla ostante, la libertà individuale non è quale domanderebbero i diritti costituzionali; e il Governo non si perita mai nell'usare e strausare dei mezzi che stima di possedere per vincere le opposizioni tenaci ed incomode. Trattiene, per esempio, a sua volontà e per più mesi negli uffici di posta i giornali; sospende pe' suoi partegiani la riscossione delle tasse, mentre l'affretta con ogni rigore per cittadini che gli votano o scrivono contro. Tutto ciò, costituisce in fondo una specie di lotta assidua e di crescente diffidenza fra il governo e il popolo; il che potrebbe degenerare in aperta rivolta, quando le cose d'Oriente vacillassero, e i gran potentati non fossero in condizione di accorrere uniti a porre il piede sulle sorgenti faville. Ma per non istancare l'E. V. con le sole generalità che forse non ha bisogno di sapere dalle mie Relazioni, verrò ai particolari importanti dell'ultima cospirazione. I migliori cittadini e i pubblicisti più istruiti del Regno, dopo avere per qualche anno illuminato le moltitudini circa i difetti più gravi dell'amministrazione e la continua violazione dello Statuto si accordarono a fare una prova assai vigorosa e vincendo le arti innumerevoli e astutissime della Corte pervenire ad avere nel Parlamento una pluralità liberale. Così sperarono di costringere la Corona a mutar registro e che lo Statuto e il governo risponsabile dei Ministri diventasse una verità. La prova ebbe esito buono; nella Camera dei Deputati l'opposizione poté contare un qualche voto di più del partito contrario. Tentò il re primamente di scomporre quella debole maggioranza chiamando a Corte uno dopo l'altro i membri dell'opposizione, ma cosa molto rara in Atene, non riuscì nell'intento. Allora disciolse la Camera e promulgò le nuove elezioni. Ciò che ha fatto o lasciato fare per rivolgerle a suo favore è incredibile e inaudito nei moderni regni costituzionali e sarebbe tedioso a dinumerare e descrivere; quale sa ne ho accennato più sopra. Aggiungerò solo che le elezioni le

quali dovrebbero esser compite in ogni dove quasi contemporaneamente, durarono qui di là da tre mesi. In tal modo il Governo ha riconquistato per sé la pluralità dei suffragi. Caduta la speranza di rimetter le cose nella via legale e sincera dello Statuto, accadde in Grecia quello che da pertutto, si macchinò di soppiatto e fu risoluta la cacciata del Re. Io giudico che più unione e maggior coraggio civile avrebbe, anni sono, impedito al male di procedere fino a tale estremo; ed oggi medesimo vi sarebbero rimedi molto più efficaci e fruttiferi della cospirazione. Ma i greci la pensano diversamente. Ora, il concetto loro si è di andar maturando la rivolta al punto da ripetere lo stesso fatto del Quarantaquattro, quando senza spargere sangue nè turbare il paese forzarono il Re ad accettare la Statuto. Sperano dunque un bel giorno con un soprassalto mandar via il Re e la Regina, radunare immediate un'assemblea Costituente allato ad una Reggenza, e non dubitano di affermare che la quasi unanimità di quella proclamerà Re di Grecia o il secondogenito di Vittorio Emanuele o il figliuolo del Duca di Genova. Questo lavoro dei più caldi liberali non ha potuto procedere, come è naturale, tanto occulto ed ignoto che alla Corte non ne sia pervenuto sentore. Quindi un mese fa, dietro alcuni indizii deliberava d'incarcerare molte persone, la più parte ufficiali del piccolo esercito. Tra essi v'ha un colonnello e altri ufficiali superiori e quasi tutti appartengono alle principali famiglie del Regno. Di poi il Governo rivolsesi alla stampa periodica; comperò con somme non leggiere parecchi giornali; alcuni cessarono di venire in luce avendo i compilatori o carcerati o latitanti. Ma il processo non conduce a importanti rivelazioni; e la polizia e la Corte trovansi impacciate e dolenti. Spargono intanto che tutto ciò accade per gli intrighi della Russia e la cospirazione avere avuto per fine d'alzare al trono di Grecia un Ypsilanti che dimora in Parigi ed ha per moglie una figliuola dello straricco banchiere Sina di Vienna. Il fatto sta che un solo degli ufficiali incarcerati pare avesse accettata la candidatura dell'Ypsilanti. Ma in genere quegli ufficiali ed altri loro colleghi vogliono la cacciata dei Turchi e l'ingrandimento del Regno; e si confidano pel resto ai patrioti che stimano saldi ed incorrotti. Il capo conosciuto di tutta l'opposizione è il vecchio e venerabile Canaris che i gendarmi avrebbero già menato prigione se non si temesse un troppo vivo risentimento del popolo. Intanto, il paese si mostra impassibile e lascia rimanendosi taciturno che il corso ordinario del processo e del giudicio arrivi al suo termine. Ma s'io debbo credere a persone che io stimo assai probe e compiutamente istruite la quiete e la impassibilità non sono altro che una savia e ben calcolata aspettazione. Il Governo, si aggiunge, non ha modo legale alcuno di condannare gli imputati, e rimarrà con un pugno di mosche in mano. Il vecchio Canaris dice che il Re e la Camarilla

sono tanto spregievoli da non meritare che si sparga a loro cagione una sola stilla di sangue greco, cadranno come un frutto vizzo ed inverminito. Tutto ciò può stare; ma io debbo a V. E. far noto che questo popolo non è gran fatto coraggioso, e d'altra parte il governo ha in questi sedici anni di falso reggimento costituzionale imparato assai i modi di corrompere i poco sani e illudere e tener a bada i più integri. E quando anche dal processo politico attuale non esca veruna condanna giuridica, il governo troverà mezzo di perdere gli imputati ad esempio e paura degli altri. Però deesi dubitare grandemente che le speranze dei patrioti si avverino, quando niuna esteriore circostanza non venga a soccorrerli. Certo è, nondimeno, che il popolo greco non ha più fede alcuna nella diplomazia inglese, russa e francese e che solo l'Italia chiama oggi a sé le simpatie vivissime e generali della nazione. A me seguitano gli uomini di governo a fare carezze. Ma nel cuor loro vivono in serio sospetto. Rinnovo all'E. V. la preghiera di far vedere qui il più spesso che mai sia fattibile la nostra bandiera.

[P. S.]. -Giungeva questa mane col piroscafo francese il Signor Conte Greppi Segretario di Legazione. Io debbo molte grazie a V. E. di aver posto al mio fianco un signore de' più compiti e degni che possieda la nostra diplomazia. Esso mi recava i sigilli e la cifra.

222

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(A R B, cass. 49, n. 43, orig. autogr.)

L. P. 57. Parigi, 16 luglio 1861.

Un'occasione sicura mi porge mezzo d'indirizzarle stassera la presente. Le notizie che giungono di Roma al Ministero degli Esteri di qui accennano tutte alle mene di Francesco II divenute sempre più attive ed intraprendenti.

A tal riguardo una comunicazione assai esplicita fu inviata al Duca di Cadore con ordine di darne conoscenza al Card. Antonelli. In essa ancora una volta si chiama l'attenzione del Governo Papale sulle funeste conseguenze cui la sua cieca accondiscendenza alle mene sopradette condurrà inevitabilmente la Corte di Roma.

Dal canto suo il Duca di Cadore scrive al Ministero e fa conoscere direttamente all'Imperatore che lo stesso Antonelli è insufficiente per resistere alle pazze imprese del Merode col quale il Card. è realmente in assai mali termini.

Parmi qui (mi permetta V. E. di dirle la mia opinione), il caso di far rinnovare col mezzo di Pantaleoni e dell'Aguglia certe proposte che furono intavolate dal Conte di Cavour e non respinte dall'Antonelli. Il sig. Benedetti che veggo ogni giorno e che è quello che di fatto rimpiazza il Ministro Thouvenel, mi diceva essere importante che si continuino a Roma le pratiche. Queste a parer suo non avranno buon esito, ma facendosi strada fra i Cardinali che potranno conoscere i vantaggi delle proposizioni nostre preparano il terreno, occorrendo un Conclave durante il quale sarà indispensabile che la Francia permetta la votazione' degli Stati Pontifici a suffragio universale. Quest'idea che io vo spargendo fra le persone del Governo, guadagna ogni dì terreno né dispero che l'abilità del Ministro Nigra saprà farla affatto trionfare, se altro mezzo non potrà trovarsi prima

che ci permetta di mandare ad effetto il trattato colla Francia di cui V. E. conosce le condizioni.

A parer mio sono questi due i soli mezzi con cui si possa far avanzare la questione romana che è qui più grave che non fra noi ove il potere temporale, che per tanti secoli fece la rovina d'Italia, non trova più guarì difensori.

Gropello mi fece leggere la lettera scritta dal generale Goyon a proposito della violazione del territorio pontificio. I termini di questa lettera furono difesi ufficialmente dal sig. Benedetti, ma, confidenzialmente, egli stesso mi diceva

quella lettera essere degna del suo autore, conosciuto qui come uomo di poca vaglia e le cui parole non hanno autorità alcuna.

Al Ministero degli Esteri si giudica come fatale all'Ungheria la divergenza fra i Croati e gli Ungaresi e l'Imperatore disse a me alcun tempo fa che dal loro accordo dipendeva la rovina assoluta dell'Impero austriaco. A questa eventualità si riferivano certi progetti che l'Imperatore Napoleone avrebbe favoriti qual mezzo per avvicinarlo alle frontiere del Reno da cui il suo pensiero e la sua politica non si staccheranno giammai.

Il Delamarre, proprietario della Patrie, fu assai amaramente rimproverato per quel suo malaugurato articolo sulla Sardegna che acquistò una certa importanza dal precedente dell'essere stato lo stesso giornale che prima predicò la cessione di Nizza e Savoia. Ma allora le cose stavano altrimenti, ed ora è inutile che io assicuri V. E. che di questa nuova cessione non esiste qui neppur l'ombra di pensiero in alcuno.

Il Gen. Fleury debb'essere giunto oggi a Torino. Mi fu impossibile di ritardarne la partenza perché questa ebbe luogo da Vichy e troppo tardi mi giunse il dispaccio in proposito. Quantunque il Gen. Fleury sia stato dall'Imperatore mandato a Verona per trattar della pace combinata a Villafranca egli ci è il più favorevole fra quanti circondano l'Imperatore.

Vorrei che V. E. e tutte le persone che parleranno con lui non dessero troppa importanza ai torbidi delle provincie napoletane. Di queste si mena già qui troppo rumore perché è interesse degli agenti del Borbone a Parigi di esagerarne l'importanza.

Spero che il Gen. Cialdini dirà parole di moderazione e agirà con energia. Sarebbero fatali gli ordini del giorno minacciosi come pure il parlare delle esecuzioni necessarie per reprimere il brigantaggio. Spero che V. E. sarà contenta delle corrispondenze che fo giornalmente inserire nel Débats, nella Patrie, nel Pays e nel Nord, ma per questo avrei bisogno di conoscere un po' bene ciò che succede nel Regno. Dovrebbe V. E. incaricare taluno di scrivermi queste notizie che non essendo cose segrete mi possono giungere per la via ordinaria della posta.

Sarei di parere, se V. E. lo crede opportuno, di far pervenire all'Imperatore copia della lettera del gen. Goyon. Ciò avrà per effetto di fargli sentire una volta di più gli inconvenienti dell'occupazione francese negli stati del Papa. Il Prefetto di Polizia, sig. Boittelle, che vidi ieri, mi dice che Mazzini ha spedito vari messi a Garibaldi ed altri viaggiano continuamente da Milano a Londra.

Sebbene l'Imperatore abbia risposto che nulla per ora può farsi circa la questione romana, ed il sig. Thouvenel l'abbia, rispondendo a V. E., rimandata per questa questione al contenuto nella nota pel riconoscimento del Regno d'Italia, ho ferma convinzione che l'Imperatore vuole che le sue truppe lascino Roma al più presto.

Tutto sta ora nel trovare un mezzo o preparare un evento che possa servire di causa o di pretesto alla conclusione d'un trattato alle migliori condizioni possibili, ma per giungere a questo risultato è uopo tacer di Roma e del ritiro delle truppe fino a che, ripeto, il destro ci si porga di agire con energia per ottenere il nostro scopo.

L'Imperatore è di carattere assai indeciso ed incerto; per ottenere da lui è uopo spingerlo a tempo evitando ogni inutile insistenza. Il Ministro Nigra saprà

ben cogliere il suo destro e lui solo potrà ottenere dall'Imperatore più che qualunque persona amica cui è più facile il dare un rifiuto. Ho ricevuto il suo dispaccio in cui V. E. mi dice di rimanere; io sto attendendo sue lettere, l'arrivo del Comm. Nigra e gli ordini del Re.

S.A.I. -la Principessa Matilde, che ha comprato una villa sul Lago Maggiore, deve mandare colà varie casse di oggetti di sua spettanza e vi si recherà ella stessa nel prossimo mese. S. A. desidera che sia allargata l'entrata in franchigia di dogana per questi oggetti. È questa una cortesia che già aveva promesso a S.A.I. -il Conte Cavour.

L'Imperatore mi ha fatto riparlare dal sig. Mocquard circa l'affare del Principe di Capua. S. M. spera che quanto fu risposto relativamente agli altri Borboni, non sarà applicato al Capua.

223

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 17 luglio 1861 (1).

Je m'empresse de porter à votre connaissance que S. E. le Général Fleury vient d'arriver à Turin et qu'il m'a remis aujourd'hui la copie de la lettre que

S. M. l'Empereur Napoléon a bien voulu écrire au Roi, notre Auguste Souverain, en réponse à celle qui lui a été remise par le Comte Arese. S. M. le Roi recevra bientot officiellement l'Envoyé extraordinaire de l'Empereur. En attendant je dois vous prier d'exprimer encore une fois à S. E. le Ministre des Affaires Etrangères la vive satisfaction que j'éprouve en voyant les rélations officielles se rétablir entre la France et l'Italie sur le pied le plus amicai.

Veuillez en meme tems communiquer officiellement au Gouvernement de l'Empereur que S. M. a l'intention de nommer le Chevalier Nigra son Envoyé extraordinaire et Ministre plénipotentiaire à Paris. Le Gouvernement du Roi a des raisons pour espérer que ce choix sera agréable à S. M. I. et il ne doute pas que ce diplomate distingué qui a déjà rempli les memes fonctions d'une manière très satisfaisante, continuera à jouir de la confiance et de la bienveillance de l'Empereur. Nous serions cependant doublement reconnaissants à S. E. le Ministre des Affaires Etrangères s'il voulait renouveler officiellement l'assurance que ce

choix convient au Gouvernement Impérial, et vous donner en meme temps communication officielle de la nomination du nouveau Ministre de France à Turin.

Le Comte Arese a acquis, dans les entrevues confidentielles qu'il a eues à Paris, l'espoir qu'un diplomate bien connu à Turin pour la part importante qu'il a eue dans les affaires d'Italie, ainsi que pour ses sympathies pour notre pays, serait désigné à succéder au Baron de Talleyrand (2). Je serais heureux

de recevoir officiellement la confirmation de cette nouvelle, et je n'attends qu'une réponse qui òte tout doute à ce sujet pour munir le Chevalier Nigra des lettres de créance qu'il pourrait présenter à S. M. I. à son retonr de Vichy. De cette manière tous les arrangements seraient pris pour maintenir et resserrer encore l'entente cordiale que des événements glorieux et à jamais ineffaçables du creur des Italiens ont rétablie entre le Gouvernement du Roi et celui de l'Empereur.

Veu'illez me faire connaitre la réponse de S. E. M. Thouvenel.

(l) -Nel registro della corrispondenza confidenziale la minuta di questa lettera reca la data del 16 luglio. (2) -Fin dal 7 luglio, l'Arese aveva comunicato telegraficamente (n. 598) al Ricasoli che .Henedetti sarebbe stato nominato ministro di Francia a Torino: cfr. R. BONFANDINI, op. cit. p. 288.
224

IL MINISTRO DEGLI INTERNI, MINGHETTI, AL CONSOLE A ROMA, TECCIO DI BAYO

T. 417. Torino, 18 luglio 1861, ore 10.

Père Passaglia peut aborder la question dans le sens des instructions Cavour pour en référer sans prendre aucun engagement (1).

225

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY

D. CONFIDENZIALE. Torino, 18 luglio 1861.

Votre rapport n. 346 série politique, contenait une lettre adressée par S. M. le Roi de Bavière à S. M. le Roi de Sardaigne (2). Ayant pris les ordres du Roi, je vous renvoye cette lettre, et je vous prie de la rendre au Ministre de Ba.. vière. En faisant avec les procédés les plus convenables cette restitution, vous aurez soin d'expliquer à votre collègue que le Roi Victor Emmanuel se serait preté sans diffìculté à tous les arrangements nécessaires pour ne pas interrompre avec les Cours qui n'ont pas reconnu le Royaume d'Italie les rapports

Siciles •·

d'usage entre les Familles Souveraines sans le regrettable incident qui est arrivé à Francfort entre la Légation du Roi et celles de Bavière, de Wiirttemberg et du Mecklembourg. D'après la ligne de conduite adoptée par ces Gouvernements vis-à-vis du Royaume d'Italie, le Roi, mon Auguste Maitre, manquerait au respect qu'il doit aux lois votées par le Parlement et au devoir qu'il a de sauvegarder Sa dignité, s'il acceptait des communications portant pour suscription un titre qui a cessé d'exister. Le Ministre de Bavière à Berlin comprendra sans doute que dans cette occasion nous agissons d'après la situation qui nous a été faite par son Gouvernement, et il ne se formalisera pas d'un refus, qui n'a nullement pour but d'affaiblir les sentimens d'amitié qui existent heureusement entre les deux Souverains.

(l) -Il 15 luglio il Teccio di Bayo aveva chiesto al Minghetti, che aveva attivamente collaborato col Cavour nella direzione dei negoziati con la Santa Sede, se fosse il caso di riprendere, tramite il Passaglia, le trattative col Governo Papale. (L. LIPPARINI, Minghetti, II, Bologna 1947, p. 252). Dopo il telegramma del Minghetti, il Passaglia vide il cardinale Antonelli: • Venerdì 19 -riferiva al Minghetti il 23 luglio (L. LIPPARINr, op. cit., Il, pp. 257-258) -fui dal cardinale Antonelli per causa spettante alla Congregazione degli Affari Ecclesiastici straordinari e questa discussa, interrogommi il Cardinale del mio pensiero sul corso dei pubblici affari. Mi strinsi nelle spalle tacendo. Ed egli: Non ci possiamo fidare, chè tutto concorre ad ispirarci diffidenza. Ci ispira diffidenza la Francia, ce la ispira Vittorio Emanuele, ed egualmente, ce la ispirano gli uomini componenti la Camera ed il Ministero. Diedi opera a rassicurarlo, e richiedendorni egli se avessi precise istruzioni e se conoscessi l'ultimo stadio delle cose, lealmente risposi: l) che io non avevo istruzioni diverse dalle ricevute officiosamente dal Conte di Cavour; 2) che mi era stato significato che giusta quelle mi governassi; 3) che non mi addossassi impegni; 4) che mi credessi solo autorizzato a riferire. • Ebbene, replicò il Cardinale, da ciò non si accorge che le cose sono mutate? Imr>erocchè quando non fossero in alcuna guisa mutate, non gli si imporrebbe di non prendere impegni. Significando io di essere di contrario avviso, il Cardinale fini caldamente dicendomi, richiedersi fatti chiari e salde guarentigie •. (2) -Nella lettera il Re di Baviera notificava • à S. M. le Roi de Sardnigne • il matrimonio della Principessa Matilde di Baviera con S. A. R. il Conte di Trani • Prince des Deux
226

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 19 luglio 1861.

Je vous ai dernièrement écrit que le Gouvernement du Roi n'avait jamais insisté et n'insisterait jamais à Berlin pour obtenir la reconnaissance de la Prusse. Cette attitude d'attente nous est conseillée autant par la dignité de notre pays que par le désir de ménager les idées et les convenances politiques du Cabinet de Berlin. Ainsi les rapports mutuels restent toujours dans un provisoire que je pourrais presque appeler bienveillant, et nous ne pensons pas plus aujourd'hui que par le passé à forcer une position qui a sans doute des inconvénients, mais qui nous permet au moins d'éviter une rupture des relations diplomatiques.

Cependant, tout en vous interdisant des démarches directes, nous ne saurions ne pas pous préoccuper de toute circonstance qui pourrait ou hater une décision favorable de la Prusse, ou la retarder et meme la compromettre. Une modification du Ministère Prussien va avoir lieu. A ce qu'on assure Monsieur le Comte de Bernstorff, Ministre de Prusse à I.ondres, remplacera dans quelques semaines Monsieur de Schleinitz au Ministère des Affaires Etrangères.

D'après ce que nous écrit Monsieur de Launay, et ce qui est notoire d'ailleurs, Monsieur de Bernstorff est personnellement mal disposé envers l'Autriche. Sous ce rapport donc sa présence dans le Cabinet de Berlin ne nous causerait aucune inquiétude. Mais bien qu'hostile à l'Autriche, M. Bernstorff passe pour etre très dévoué aux principes légitimistes et pour avoir des tendances réactionnaires assez prononcées. Ce serait en un mot un diplomate de la vieille école. Et comme l'entourage du Roi n'est rien moins que libéral, nous avons des raisons de craindre que M. Bernstorff ne se laisse facilement aller, pour ce qui est de relations extérieures, à une politique peu favorables aux changements intervenues en Italie, et que son avénement au pouvoir, au lieu d'accélérer la reconnaissance du Royaume Italien, ne l'ajourne indéfiniment. Par contre il est possibile que M. de Schleinitz ne serait pas fàché, avant de quitter la direction des affaires étrangères de Prusse, de résoudre une des questions les plus importantes en déterminant le Roi à nous reconnaitre. Mais, je le répète, nous ne voulons pas, et ne pourrions pas agir directement.

Une Puissance qui serait en mesure de aider efficacement à vaincre les hésitations de la Prusse, c'est l'Angleterre. Ses conseils et ses instances ont beaucoup d'autorité à Berlin, et le moment parait se prèter à ses démarches. Faites donc, Monsieur le Marquis, tout ce qui est possible pour engager le Gouvernement Britannique à tenter quelque effort à Berlin. J'espère que ses bons offices seront couronnés de succès.

Le Cabinet Britannique conçoit certainement toute l'importance qu'aurait dans les conjonctures actuelles la reconnaissance de la Prusse. Elle découragerait les intrigues de la réaction fomentée par l'Autriche, et formerait mème un obstacle à ces tentatives d'alliances hostiles au nouvel ordre de choses, qui peuvent fort bien n'avoir aucune chance d'aboutir, mais qui, en suscitant des défiances et en provoquant des susceptibilités, n'en sont pas moins dangereuses pour la tranquillité de l'Europe.

En me faisant connaitre l'accueil que nos désirs auront trouvé de la part du Gouvernement Britannique, je vous prie de m'indiquer aussi votre opinion à l'égard de M. de Bernstorff, de ses vues politiques en général et des sentiments réels qu'il nourrira'it envers l'Italie.

227

IL GENERALE KLAPKA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. D. 2, n. 85, co.)

Ginevra, 20 luglio 1861.

Le Prince (l) est un homme reservé. l) Son rève est le rétablissement de l'ancien Royaume de Servie, se composant de la Servie proprement dite, de la Bosnie, de l'Herzégovine, du Monténégro, ecc. Il est en opposition avec les chefs du parti national croate, qui de leur coté

aspirent à la fondation d'un grand état Slave (Jougoslave) dont feraient partie toutes les provinces autrichiennes et turques, habitées par les Slaves du Sud. Les dissidences entre Croates et Serbes sont augmentées par la différence

de Religion, les premiers appartenant à l'église grecque non unie, les Croates professant la foi catholique. 2) Le Prince compte sur la Hongrie pour l'exécution de ses projets. Il

serait toutefois à lui conseiller de ne rien précipiter et d'attendre (avant de s'engager contre la Turquie) jusqu'au moment où la question austro-hongroise aura trouvé sa solution. C'est nécessaire, pour ne pas avoir l'Angleterre con

tre nous.

3) Etre excessivement prudent et circonspect dans ses rapports avec le Prince et son Gouvernement.

4) Les Serbes en Hongrie habitent les districts limitrophes de la Servie Turque, spécialement, l'Escavonie, le Comitat de Baés et le Banat de Temesvar. Ils ne veuillent [sic] pas se séparer de la Hongrie et par conséquent n'exigent qu'une administration nationale et l'autonomie de leur église. Toutefois il s'y trouvent des meneurs (soit payés, soit exaltés) qui les poussent plus loin contre les Hongrois. Agir sur les personnes les plus influentes de cette nationalit.é, pour leur faire comprendre que leur avenir est étroitement lié à celui de la Hongrie et par conséquent qu'ils marchent d'accord avec ces derniers. Le centre de l'agitation Serbe en Hongrie se trouve à Neusatz et à Carlovitz.

5) Une force très considérable forment les Régiments de frontière de la Croatie, de l'Esclavonie et du Banat au nombre de 14. Dans le Banat et dans l'Esclavonie ces Régiments sont presque exclusivement composés de Serbes. Il serait de toute importance si on en pouvait gagner pour nous projets quelques officiers et sous officiers.

5-bis) Tàcher d'entretenir des rapports continuels entre Belgrade et Pesth.

6) L'homme politique à Belgrade, très populaire et jouissant de la plus grande influence sur le Prince, c'est Garachanine. Il est très favorable à notre cause et mon ami personnel.

M. Duka, un des aides de camp du Prince Milosch, ayant été lié avec

M. Astengo, est l'homme le plus apte pour fournir des renseignements locaux. Demander d'Astengo si ses bonnes dispositions de jadis sont restées les memes. Garacsanin parle un peu le français. Duka parfaitement bien l'italien. Ce dernier est très populaire dans les classes moyennes. Il est bon viveur.

7) Depot d'armes à établir à Madanbeck et à Belgrade ou environs; quant au transport se concerter avec les personnes compétentes et visiter, si possible les localités de Turnu Severin et la quarantaine près de Nikelin. Etudier en outre le projet ci joint (1).

8) Aussitot convaincu par vos rapports des bonnes dispositions du Prince, nous nous empresserons d'envoyer de nouveau un agent actif et intelligent, pour accélérer les préparatifs et l'exécution de nos projets d'un commun accord avec vous.

(l) Il principe Michele di Serbia.

228

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, ALL'INCARICATO DI UNA MISSIONE STRAORDINARIA PRESSO LE CORTI DI SVEZIA E DANIMARCA, TORRE ARSA

T. 420. Torino, 20 luglio 1861, ore 12,20.

Je vous remercie de votre lettre et de vos nouvelles. Général Bildt est arrivé avant hier (2). Je suis véritab1ement content de lui; il m'a dit beaucoup de

bien de vous, sur qui j'ai été bien d'accord. Voilà des liens rafforcés entre deux peuples destinés à s'estimer. Les nouvelles de Naples sont toujours meilleures; de Sicile très bonnes. A Rome on conspire, et on organise brigandage sur une large échelle que nous combattrons à outrance.

(l) -Sono acclusi due progetti per invio d'armi e d'armati e per un piano d'attacco che si ritiene inutile pubblicare. (2) -Il 21 luglio il Generale Diedrich-Gillis de Bildt, Inviato Straordinario di S. M. il Re di Svezia e di Norvegia, era ricevuto in udienza solenne da Vittorio Emanuele II: cfr. Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, 22 luglio 1861, n. 177.
229

IL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. RISERVATO S. n. Costantinopoli, 21 Zuglio 1861.

Ho ricevuto il Dispaccio di V. E. del 9 andante Gabinetto e mentre mi riserbo a rispondervi colla serie di corrispondenza cui appartiene, cioè missione in Persia (1), mi permetto consultare V. E. su d'un progetto che ho da qualche tempo in mente.

Per la sospensione dell'invio della missione a Teheran il signor Conte Alessandro Fé che vi era addetto in qualità di primo Segretario, si troverebbe collocato a disposizione del Ministero ed io che ho da lunghi anni il piacere di conoscerlo, crederei che a nessuno meglio che a lui potrebbe venir affidato un incarico geloso che ben disimpegnato può fornire a V. E. importanti informazioni.

Intendo parlare dello stato attuale dell'Ungheria. Sebbene io mi tenga per quanto è possibile, al corrente di questa materia, mi riesce impossibile, fra tanti diversi rapporti più o meno interessanti, formarmi un giusto criterio delle condizioni interne di quel paese e quindi del concorso che potremmo sperare dagli Ungheresi in una eventualità di guerra coll'Austria. Il signor Conte Fè, educato in Boemia, parla perfettamente il tedesco ed ha molte conoscenze personali sia in Ungheria che in altri punti dell'Impero e potrebbe, rientrando in patria, prendere la via di terra, ormai la più corta e più facile, e traversare quella parte di Banato e d'Ungheria che si trova sulla sua linea. Egli avrebbe così l'occasione di vedere da vicino le cose e di studiare con un'attitudine disinvolta lo stato degli animi. Egli si troverebbe per tal modo in grado di riferire a V. E. quanta confidenza possiamo riporre nelle assicurazioni che ci vengono giornalmente date dal partito che tenta spingerei a risoluzioni ardite o qual calcolo si debba fare delle opinioni del partito opposto.

Il signor Conte Fé estraneo finora ad affari che possano aver connessione coll'Ungheria, avendo passato quasi tutto il tempo della sua carriera nella direzione della R. Legazione al Brasile, non può, a mio credere, destare alcun sospetto presso le autorità austriache e sarebbe poi mia cura dargli delle verbali istruzioni sul modo di condursi onde evitare ogni possibile apparenza del suo vero mandato.

Se V. E. approva questo mio progetto, giudicherà se convenga farmelo sapere col solito e sicuro mezzo delle messaggerie francesi o trasmettermene un cenno in cifra per telegrafo.

(l) Una missione straordinaria in Persia era stata deliberata nel dicembre 1860 c ne era stato affidato l'incarico al Cerruti (dispaccio 20 dicembre 1860), ma -ufficialmente per motivi di salute addotti dal Cerruti, e per difficoltà relative all'onorificenza da conferire allo Scià; in realtà perché il Cerruti continuasse a mantenere i contatti con l'emigrazione ungherese la missione era stata prima sospesa (dispaccio 12 marzo e 13 aprile 1861) e poscia, subentrata 1a stagione sfavorevole, rimandata all'anno successivo (dispaccio 9 luglio 1861): nel frattempo il Cerruti avrebbe dovuto reggere la Legazione a Costantinopoli in luogo del Durando che partiva per regolare congedo (dispaccio 11 luglio 1861).

230

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 630. Parigi, 22 luglio 1861, ore 15,30 (per. ore 17,20).

J'espère que vous aurez reçu ma lettre de samedi. M. Kisch me recommande vivement deux Hongrois qui voudraient aller prendre service dans la Légion Hongroise à Naples, mais n'ont pas d'argent pour le voyage. Voulez vous ordonner au Consul ici de leur payer le voyage jusqu'à Turin. Outre à la dépèche en clair que l'Empereur a envoyé à Fleury ab irato (1), il a ordonné à Benedetti de vous envoyer une note officielle sur l'exécution par les armes de paysans sur le simple prétexte d'avoir porté aux insurgés les morceaux de pain qu'ils avaient dans leur poches. Cette dépèche est connue partout ici et a produit un effet déplorable. Faites démentir par L'Opinione toute exagération à ce sujet. Fusillez, mais point de tapage. Envoyez moi le journal l'Italie pour que je puisse faire des correspondances.

231

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONTE VIMERCATI

T. 423. Torino, 22 luglio 1861, ore 22.

Viendra tems que l'Empereur lui mème déplorera le télégramme en clair adressé par lui au général Fleury (2). J'en souffre pour l'Empereur lui mème, voyant que sans preuve, lui manquant mème le nom de son auteur, affirme un fait grave et qui échappe presque à la vérification, vues les circonstances où se serait consommé. Notre Roi en sera vivement affecté. On ne doit pas humilier ni tète couronnée ni peuples qui se rachètent, si on tient à maintenir l'ordre publique, et tel respect pour le tròne. Je répondrai à la Note dont vous me

menacez. Je regrette que vous ayez fait presque écho aux paroles de l'Empereur. Je vous envoie une lettre par le courrier de ce soir. Il me sera facile de démentir un fait qui n'a aucune preuve ni caractère de· véridicité. Les atrocités se commettent par les brigands qui nous viennent de Rome, protégés par les armes

M. -DEGLI ALBERTI, Napoleone III e B. Ricaso!i in • Risorgimento Italiano •, 1908, pp. 429-430.

françaises, et pour lesquels il parait que l'Empereur ne sache trouver mot ni d'indignation, ni pour en finir. Qu'on nous laisse aller à Naples par Rome et tout rentrera dans l'ordre. Voyez la Sicile comme elle est pacifiée; à Naples arrivera de meme.

(l) -Napoleone III aveva telegrafato al generale Fleury da Vichy 11 21 luglio: • J'ai fait écrire à Rome pour faire remontrances. Les nouvelles qui viennent sont de nature à aliéner de la cause italienne tous les creurs honnetes. Non seulement la misère et l'anarchie sont à leur comble, mais les plus indignes culpabilités sont à l'ordre du jour. Un Général, dont j'aioublié le nom, ayant défendu qu'on allàt travailler dans les champs avec des vivres a fait fusiller des paysans sur lesquels ont a trouvé des morceaux de pain. Les Bourbons n'en ont jamais fait autant ». (2) -Cfr. anche lettera della stessa data inviata dal Ricasoli al Fleury e pubblicata da
232

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONTE VIMERCATI (A C R, Carte Vimercati)

L. P. CONFIDENZIALE. Torino, 21-22 luglio 1861.

Le unisco un articolo che bramerei vedere inserito nel giornale Des Débats. Spero di essere giunto a organizzare un gabinetto destinato appunto a comporre articoli da servire per la stampa francese, e il cui scopo sia di chiarire alcuni dei più importanti soggetti che restano ancora a risolversi in Italia. Se in questo articolo alcuna cosa vi fosse che si volesse modificare io ne lascio a lei l'arbitraggio. Spero che ella non sarà per concedere veruna modificazione sostanziale. Per aiutare a questo lavoro io sarò ben lieto di essere aiutato da qualche sua informazione intorno certe opinioni che venissero all'ordine del giorno di codesta singolare città.

Le nuove di Napoli sono migliori; ma le concludentissime non le potremo avere se non in seguito, cioè tra tre settimane circa; cioè quando le saggissl.me provvidenze prese da Cialdini avranno il loro principio di effetto.

Oggi sono in grado di dirle che anche in ciò io vedo la mano della provvidenza. Le luogotenenze di Napoli ci hanno condotto all'orlo dell'abisso; vi cadevamo dentro senza l'inspirata risoluzione dell'invio di Cialdini. A me non fa meraviglia questo, perchè fino dal primo giorno, facendo parte della commissione destinata ad esaminare il sistema regionale nel governo, dissi che era la distruzione d'ogni governo. Ma, lo confesso non credevo come in certe date circostanze potesse quel sistema minacciare la solidità stessa dello Stato; siccome ne abbiamo esempio oggi in Napoli. All'arrivo del Cialdini tutto era scompiglio, scoraggiamento, anarchia, terrore. L'autorità non aveva più confidenza; lo spavento per le atrocità con che i briganti si facevano strada ai loro disegni era generale. L'uso che si era fatto delle truppe aveva avuto effetto di disorganizzarle, e renderle impotenti al fine. L'arrivo del Cialdini ristabilì le confidenze; rialzò l'autorità, produsse uno slancio generale, e tutto induce a ritenere che l'effetto sarà pienissimo. Ma Roma ci scarica addosso orde numerose di assassini! ecco le restaurazioni di vecchia data che certa parte d'Europa ancora vagheggia! Sì, caro Conte, egli è così. Le truppe francesi in permanenza a Roma, che invero si diportano in modo da giustificare le asserzioni del Cardinale Antonelli, che, cioè, ànno ordine di non impedire in nulla quanto si fa dal governo romano qualunque sia lo scopo, e le dichiarazioni pubbliche dello stesso Antonelli che il Governo francese non vede punto di mal'occhio che l'Italia sia conturbata e lacerata dalle turbolenze che a suo danno si creano a Roma, fanno avvertiti che noi dobbiamo

apparecchiarci ad estreme misure per contrapporre all'audacia, e ai mezzi infernali che si fabbricano contro di noi in quella moderna babilonia. Io dirò una sola

cosa: ci pensi il governo francese, e sopratutto ci pensi l'Imperatore. Quanto a me il partito è preso; io combatterò à outrance e il partito nero e il partito rosso; ma cosa mi prepararà l'avvenire, se sotto la protezione francese Roma potrà durare così, io non lo conosco. Si potrebbe forse arrivare a certi estremi che io penso doversi dire «si salvi chi può». Cioé a dire, non potrei essere io stesso forzato quando non avessi dalla Francia, da cui oggi mi viene la protezione ai nemici d'Italia che sono a Roma, il dovuto appoggio a risolvere con saviezza le difficoltà romane, non potrei essere io stesso forzato, per non farmi divanzare dai partiti estremi, a provvedere alla salute nostra, alla nostra conservazione con provvedimenti estremi?

Io lascio che chi ha saviezza consideri con profondità di mente e con cuore questo stato di cose, che i governanti francesi non apprendono con la gravità che debbono.

Crede la Francia d'essere più solida con l'Italia retta da ordinata Monarchia costituzionale, o con l'Italia nell'anarchia, o invasa dallo straniero? Oggi l'Italia è Monarchica; ha fede nella Monarchia; ha ancora amore e fede nell'Imperatore dei francesi; ma non tarderà a perdere amore e fede nell'una e nell'altro.

Se fosse vero quello che si va dicendo per Roma « che il signor Thouvenel ha fatto conoscere avere egli altamente disapprovato il discorso tenuto dal ministro di S. M. il Re d'Italia all'occasione dell'imprestito; che non entrerà in nessuna nuova negoziazione senza la appruovazione del governo romano, e senza che la dignità e gl'interessi del S. Padre sieno tutelati » e (aggiungono) che « in pruova dei poco buoni sentimenti della Francia verso l'Italia, si voglia notare come il Conte Arese non sia stato ricevuto come si costuma in grande cerimonia »; queste parole hanno messo la gioia nel governo papale, e nel suo compagno d'armi e di fini Francesco di Borbone, e nulla più li rattiene dallo andare ad estremità orrende.

Io mi asterrò daÙ'aggiungere alcuna considerazione dopo le citazioni sopra fatte.

A di 22 luglio.

Non potetti ieri chiudere la presente, e questo mi permette accusarle il ricevimento della sua interessantissima del 19 che è concepita con una serie di molte savie riflessioni sulle cose di costà.

Ella mi annunzia che il generale Fleury sia rimasto contento di me, né io sono indifferente a questo annunzio, imperocché sia utile alle nostre relazioni dell'avvenire. Ma perché venire qua con diffidenze per me? Mi si permetta che io lo chiami un errore inqualificabile di giudizio. Ella converrà meco che nulla autorizzava a credere questo. Dunque se il generale Fleury non fosse qua venuto e non avesse avuto occasione di rettificare l'errore, chi sa quali ne sarebbero state le conseguenze! Si pretende da taluno che a mio sfavore siensi dette parole anche da individui, che però non si nominano, appartenenti alla nostra Legazione in Parigi. Per ciò che concerne la persona mia, io perdono di leggeri il peccato a tutti; ma in quanto poi questa Persona riepiloga in Sé di pubblico carattere, è peccato assai grave di mal dire di un Uomo, che non à l'eguale in sentimenti italiani congiunti a principi incrollabili di ordine pubblico. L'Imperatore vorrà bene considerare che tutto ciò che può contraddire all'unità italiana avrà per

conseguenza di dare un'importanza immensa al partito Democratico, che ora è nullo. Costà non si rendono ancora conto che la sola combinazione politica all'Italia è l'unità monarchica Costituzionale; e quando si vuol contrastare a questa Unità, e porre inciampo al conseguimento di questo fine, non si fa altro che accrescere i ranghi dei così detti repubblicani. Ora l'attraversare me, l'attaccarmi, indebolirmi a che altro può portare se non che all'effetto di fiaccare il principale Campione dell'ordine pubblico, e dei principi governativi? L'Imperatore e il suo Governo ha d'uopo che si convincano di ciò, che io sono avanti tutto italiano, e adopererò queste frasi con più ragione e giustezza che non l'abbia adoperate il Generale Goyon. Che l'Italia sta soltanto nell'Unità; che offendere questa Unità è lo stesso che gettare tutto in scompiglio, il cui risultato finale sarebbe il sorgere d'una serie di Governi Democratici, unica possibile Confederazione, che però durerebbe poco; e dopo molti dolori, da turbare anco li Stati limitrofi, si dovrebbe necessariamente tornare alla Unità. Io che mi sono reso conto di questi pericoli fino dal 1859, ho sempre mostrato netta e precisa la mia fede politica unitaria, onde avere sul paese da me amministrato l'autorità che mi era necessaria. Venuto a questo Governo per volontà del Re, e per consenso universale; io vi ho portato me stesso, inflessibile sì, perchè ho la coscienza di me stesso, e del mio paese; e aggiungerò dell'interesse che l'Imperatore e la Francia hanno, che si oggi rappresenti l'Italia e non altri. Perché dovrei piegare quando tengo coscienza d'essere nel giusto e nel Sacro e che io faccio il bene di tutti. Singolare presenza!!! Che colpa ho io se l'amore, la fiducia degli Italiani si va perdendo verso l'Imperatore, a ragione appunto degli indugi e dei contrasti, che dall'Imperatore si riconoscono derivare alla pacificazione dell'interno, e al compimento dei voti della Nazione? A me ne duole molto, ma qual voce può chiamare le moltitudini popolari a fini ragionamenti? Appunto fu questa una considerazione che m'indusse all'occasione dell'imprestito di esprimere nettamente il Programma Governativo. E l'effetto fu pieno. L'opposizione ne rimase sconcertata e la maggiorità si fece compatta. Io avevo tutta la ragione e il diritto di essere approvato dall'Imperatore e dal suo Governo. Se ciò non fosse, dorrebbemi assai ma non potrei cambiar via, perché parrebbemi tradir tutti e me compreso. Non posso credere che all'Imperatore piaccia che il Governo di S. M. il Re d'Italia sia un Governo debole. Aggiungo che io sono nella convinzione che debba chiudersi il tempo dei moti insurrezionali; né io voglio essere trascinato dall'improntitudine delle Piazze e delle Strade; ma per conseguire questo dovevo tenere quel parlare che tenni. Da Roma vengono tutti i mali nostri; e il Ciel non voglia, che da Roma non venga malore all'Imperatore stesso. L'Imperatore conta sopra una prossima morte del Papa. Pel solito questi conti sulla vita altrui falliscono sempre. Se questo pronostico si avverasse tra tre mesi, poco male: ma se tirasse in lungo assai, e passasse l'anno corrente, direi male assai assai! Perché dunque non esaminare fin d'ora un modo onesto di spingere il Papa agli accordi onesti, e tali da porre la Chiesa nella posizione da rigenerare se stessa? Ma finché vi

saranno le baionette francesi che faranno riparo a tutte le furfanterie che si fanno a Roma contro l'Italia, non è possibile neppure di cominciare a trattare. Ciò è chiaro e torna agli occhi di tutti. Che sono io che faccio questo stato di cose, gravissimo per l'Italia, ma anche gravissimo per la Francia? Che mi si dovrà chiamare impaziente se io nell'interesse comune lo rappresenti?

Si persiste a dire, «aspettiamo la morte del Papa». Accetterei se questo fosse un truovato senza pericoli. Oltre l'aspettare troppo ad avere Roma il che non si può, vi sono altri pericoli. Il caso del Papa nuovo che vada sulle pedate del vecchio. Se male fosse saranno le stesse a spingervelo. Chi spinge l'attuale? Anche il nuovo avrà i suoi funesti eccitatori. Anzi li deve avere e saranno i nuovi segretari di Stato, che vorrano avere pure essi un tempo di cuccagna e non essere da menc;> dell'Antonelli. Questo dovrebbe pensare l'Imperatore, e vedere che la triste missione della Francia si fa ogni giorno più inconfortabile dirimpetto e agli italiani e al mondo tutto.

Dissi ad Arese di esporre tutto questo all'Imperatore e gli dicesse che io sono penetrato delle difficoltà in cui si trova oggi; ma più lo sono delle maggiori in cui può trovarsi, anzi si troverà nell'avvenire.

Io ho già preparato un elaborato progetto sul modo di attuare la rinunzia del temporale e la nuova libertà e indipendenza della Chiesa, progetto che in copia insieme alla lettera Goyon con altri appunti ho dato al Generale Fleury.

Mi è riuscito di scrivere più che non volevo.

Credo però che non resterà senza giovamenti per Lei.

Si parla di un Plebiscito nel caso di morte del Papa. Sia pure, sebbene superfluo; ma come debba farlo quel Popolo romano questo plebiscito, affinché risulti serio e legale? Conviene che l'Imperatore si spieghi. Debbono andare i romani incontro a farsi massacrare, e secondo il solito sotto gli occhi dei francesi?

Chieggo se nel toccare di queste cose sarò io tacciato di impaziente o meglio lodato di previdente e di prudente? Io penso che dovrei essere lodato; come pure dovrei essere lodato quando piuttosto che lasciare al caso, all'azzardo la soluzione della Questione Romana, chiedo si cerchi di risolvere oggi senza urti e senza incoraggiare i partiti folli a fare da loro.

Se ella vorrà presentare all'Imperatore la famosa lettera del Generale Goyon, può cavarne copia da codesta Legazione Italiana.

In questo momento il Ministro dell'Interno mi fa conoscere l'unito (l) telegramma. Io ne sono rimasto attonito! un telegramma aperto! di questo tenore!! Preferisco tacere le mie considerazioni; dirò solo che aspettavo altro linguaggio; da quella origine: Ne sono dolente.

233

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 636. Parigi, 23 luglio 1861, ore 17 (per. ore 22).

Je regrette à mon tour que, ne me connaissant pas, vous m'accusiez de m'ètre presque fait écho des colères de l'Empereur au sujet de faits que vous n'aviez pas encore démentis. Loin de là, je me suis rendu hier matin chez Billault et

18 . Documenti diplomatici . Serie I • Vol. I

Benedetti et j'ai protesté contre la dépèche de l'Empereur à Fleury écrite à l'instigation de Walewski. Relisez ma lettre que vous devez avoir reçu hier et croyez que si nous récriminons contre le tort grave que l'Empereur a eu d'écrire sa dépèche, nous donnerons gain de cause à nos ennemis. C'est une conspiration européenne qui tache d'isoler la France; à Pétersbourg on exploite la question Polonaise, à Londres on excite à l'égard de la Sardaigne des soupçons augmentés par la présence des agents envoyés var les légitimistes français dans cette ile; en mème temps le Cabinet anglais insinue au Roi de Naples de ne pas quitter Rome, ce dont on a des preuves ici; finalement on se sert de nos impatiences au sujet de Rome pour nous détacher de la France et nous isoler tous les deux à la fois. Quoique je me sente profondément blessé comme vous par la dépèche de l'Empereur à Fleury, il nous faut montrer plus de sagesse et de clairvoyance que l'Empereur Napoléon lui mème, et ne pas prèter le flanc à nos ennemis. Je viens de chez Billault; je ne lui ai pas communiqué votre dépèche télégraphique, mais je lui ai fait sentir combien le Gouvernement du Roi avait droit d'ètre blessé de la communication faite par le Général Fleury au moment mème ou il était l'objet de démonstrations les plus sympathiques de la part du Roi et du pays. Billault regrette comme nous que l'Empereur ait cédé aux facheuses influences, mais il espère que nous saurons nous montrer à la hauteur de la situation dont S. E. mème reconnait les dangers. Je prends toute la responsabilité de ce que j'ai l'honneur de vous dire et je vous serai reconnaissant de le communiquer au Roi. J'attends avec impatience votre lettre pour en faire mon profit auprès du Ministre de l'Empereur.

(l) Si tratta del telegramma citato in nota al doc. n. 231.

234

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 23 luglio 1861.

Avant mème de recevoir votre dépècbe télégraphique du 19 (1), le Gouvernement du Roi avait senti l'opportunité d'envoyer ses félicitations à S. M. Prussienne pour avoir échappé à l'attentat impie dont l'Europe est si justement émue. Cependant nous hésitions devant la crainte de faire naitre par cette marque mème de courtoisie un incident regrettable, vu que le Cabinet de Berlin n'a pas encore reconnu le Royaume d'Italie, et que le Roi Victor Emmanuel ne pourrait recevoir une communication portant un titre différent de celui du Roi d'Italie. Ayant exposé à S. E. le Comte Brassier de S. Simon notre vif désir de remplir ce devoir de convenance sans exposer les deux Gouvernements à des embarras ultérieures, nous sommes convenus de procéder de la manière suivante. Le Roi Notre Auguste Souverain écrira sa lettre

de félicitations et y apposera de sa main sur l'adresse les mots: A S. M. le Roi Guillaume I; de son coté S. M. Prussienne répondra de la méme manière: A Sa Majesté le Roi Vietar Emmanuel II. S. E. le Ministre de Prusse a diì informer par télégraphe le Roi Guillaume de cette éspèce d'accord par lequel toutes les convenances sont sauvegardées des deux còtés; et comme aucune objection ne m'a été communiquée de la part de S. lVI. Prussienne, je pense que rien ne s'oppose à l'exécution de ce pl'ojet. Je fais donc partir ce soir méme le Comte Puliga pour Berlin. Il vous :remettra la lettre du Roi et vous pouvez vous rendre aussitot, Monsieur le Comte, à Bade ou à Ostende rejoindre S. M. le Roi de Prusse et remplir auprès de lui la mission de courtoisie qui vous est confiée.

Aussitot que vous aurez remis à sa haute destination la lettre de S. M.,

veuillez m'en informer par télégraphe.

P. S. -Le Comte Brassier vient de recevoir un télégramme de Berlin dans lequel il est dit que S. M. Prussienne a agréé la mesure proposée.

(l) Con tale telegramma (n. 621) Launay aveva annunziato che l'Inghilterra, la Turchia, l'Austria, la Francia e la Russia avrebbero, in forme diverse, presentato le felicitazioni al Re di Prussia per essere sfuggito all'attentato commesso contro di lui a Baden il 14 luglio.

235

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONTE VIMERCATI

(A C R, Carte Vimercati)

L. p. Torino, 23 luglio 1861.

Ella si spiegherà di leggeri quale triste impressione debbono avermi causato il telegramma imperiale aperto sopra le pretese atrocità commesse nelle Provincie Napoletane.

Il Re ne è stato molto penetrato.

Io poi sono stato anco dispiacente leggendo il suo telegramma di ieri sera, vedendo com'Ella fosse disposto a lasciarsi impressionare dalle accuse che una Stampa ostile alla nostra causa va costà ripetendo. Del resto il tapage di cui Ella parla nel telegramma di ieri è unicamente cosa, in codesta città che si chiama Parigi.

Me ne duole veramente che l'Imperatore siasi lasciato pigliare al laccio e siasi fatto eco della Gazette de France, e che non siasi ricordato che il fatto attribuibile al Generale, dont il avait oublié le nom, è prec'isamente quello, parola per parola, che il Colletta racconta del Generale Manhès (vedi libro VII, pag. 423 -Edizione di Milano).

Vi è poco talento, invero, di andare spigolando l'empietà dei secoli scorsi e volerle a noi attribuire; diventa poi vera stupidità quando tali calunnie a noi italiani finiscono invece per colpire un proprio concittadino, un generale francese (1).

È egli possibile che la nostra stampa non sia per rilevare questo triste confronto? La stampa e i cittadini di ogni classe ne sono restati profondamente

commossi. Il telegramma imperiale ha ferito nel v1vo il sentimento nazionale, ed è una voce sola di rammarico che esce dagli animi.

Io spero che la stampa francese non escirà dalla giusta misura e si manterrà benevola per una nazione che ha i titoli più forti alla fiducia di tutti. Gli italiani furono fin qui generosi verso i loro nemici, e seguiteranno ad esserlo sebbene eglino non desistano dal dimostrarsi pure sempre perfidissimi. Io ho scritto al Governo di Napoli che mi mandi un'esatta informazione degli eccidi commessi dai briganti, perchè intendo valermene per la Nota di che mi si minaccia, e alla quale dovrò per legittima ragione di difesa rispondere.

Ella vedrà come i nostri giornali abbiano preso con i denti questo incidente. Conviene che l'Imperatore apprezzi più che non fa i suoi veri amici e attutisca i suoi nemici che per nessuna carezza cesseranno di essere implacabili presso di Lui.

Non fa d'uopo che io le dica cosa Ella debba fare, persuaso che Ella si ricorderà di essere italien avant tout. La frase del Generale Goyon comincia a diventare di moda.

Il Generale Fleury anco in questa occasione si è dimostrato molto benevolo per noi.

(l) L'articolo della Gazette è evidentemente diretto a disonorare il primo Impero, e conseguentemente anco il secondo Impero. [Nota di Ricasoli].

236

IL LUOGOTENENTE A NAPOLI, CIALDINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 639. Napoli, 24 luglio 1861, ore 9,50 (per. ore 14,50).

L'Empereur est mal renseigné; Rome est une source de calornnie, c'est de là que l'Union et la Gazette de France tirent leurs articles virulents. Je sais ce qu'on a dit de moi pendan( le siège de Gaeta. Ce qu'on attribue à un de nos Généraux d'avoir fait fusiller des paysans pour un morceau de pain, est impossible et absurde. Voici les ordres que j'ai donné: l. Fusiller les brigands pris les armes à la main; 2. Assurer la vie à tous ceux qui viennent se consigner volontairement; 3. Promettre la plus grande indulgence à ceux qui n'auraient pas commis des crimes.

Je vous enverrai les numéros de trois journaux de différentes nuances depuis le premier juin qui rapportent les atrocités commises par les brigands. Vous verrez qu'ils accusent la faiblesse du Gouvernement du Roi. Tout le monde ici me propose les représailles les plus atroces, ce qui me rendrait bientOt impopulaire.

237

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 640. Parigi, 24 luglio 1861, ore 15 (per. ore 16,45).

J'ai reçu à l'instant votre longue lettre dont je vous remercie; je ne connaissais pas la teneur de la dépèche de l'Empereur à Fleury; elle est de

nature à justifier vos ressentiments, mais, je vous en supplie, faites sacrifice pour arriver à notre but et ne pas donner gain de cause à nos ennemis. Je ne pense pas que vous puissiez seulement douter que ces conseils me soient dictés par un oubli de la dignité de notre pays. Les sentiments très justes de votre lettre sont aussi les miens; seulement connaissant ce pays et la vérité de la situation ici, je crois devoir vous indiquer la route à suivre. ~elon moi, je trouve parfait l'artlicle que vous m'avez envoyé et je ne crois pas que M. Bertin refuse de l'insérer tel qu'il est. J e vous écris par occasion sure.

238

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. RISERVATO S. n. Madrid, 24 luglio 1861.

Col corriere qui giunto avant'ieri da Parigi a questa Legazione Inglese mi pervenne speditami dal Conte Gropello la lettera di cui V. E. mi onorava sin dal 7 del corrente mese.

Per valermi ora io pure del ritorno dello stesso corriere mi fo doverosa premura di sottoporle per quanto la brevità del tempo mal consenta quelle informazioni che meglio mi sembrino soddisfare ai principali quesiti almeno nell'ossequiato di Lei foglio contenuto e che per maggior precisione sembrami potersi ridurre a tre sommi capi 1o cioé sulle cause e circostanze che abbiano potuto influire sull'attuale contegno del Gabinetto Spagnolo nella questione Italiana non che sul vero carattere di tale contegno, 2° se sia probabile od anche prossima una crisi ministeriale da cui possa prevedersi la formazione d'altri Ministeri e segnatamente d'un Ministero Narvaez e se questi potrebbe da noi considerarsi come più favorevole alla nostra causa nazionale, 3° finalmente quale potenza abbia qui una preponderante influenza.

Prescindendo per necessaria brevità d'ogni preambolo m'accingo tosto a rispondere al primo quesito sul quale già d'altronde la perspicace penetrazione di V. E. già prevenne in gran parte la relativa risposta accennando alle viziose inveterate abitudini tanto in questa Reggia quanto nella parte meno colta del popolo spagnuolo non che alle susseguenti tempeste popolari ed insurrezioni alternantisi coi colpi di Stato che permisero a stento al reggimento costituzionale di qui allignare e resero soventi i Ministeri dipendenti da impegni poco costituzionali. Tale è forse stato in parte almeno il caso del Ministero O' Donne! che alla sua prima formazione avrebbesi qualche indizio da supporre che abbia dovuto subire dalla Corte alcune condizioni, fra le quali alcune forse appunto relative all'eventualità che trovavansi complicate nella questione italiana per quanto concerner potesse il Papa ed i Principi Borbonici in Italia. Mi è però d'altra parte quasi provato che gli impegni presi dal Ministero O' Donnel non avrebbero oltrepassato i limiti di una difesa diplomatica della causa tanto dell'uno che degli altri. E la miglior prova appunto di ciò si fu che per quanto poi siasi tentato in seguito dalla Corte istessa a più riprese di spingere il Ministero a dar mano a mezzi materiali non vi si poté riuscire. E fui quindi più volte già in grado di conoscere più o meno le resistenze di questo Ministero in proposito. Ora però onde poter meglio assicurare V. E. su questo punto capitale

oltre i vari mezzi d'informazione a cui ricorsi e che non fecero che confermarmi quanto già mi era noto, ebbi testè un lungo colloquio collo stesso Capo del Gabinetto in cui ebbi tali rivelazioni e dichiarazioni esplicite, che mi faccio la più gradita premura di sottoporre tosto in sunto a V. E., preferentemente ad ogni altra indicazione.

Diedi principio al mio colloquio col Presidente del Consiglio esprimendogli il mio rincrescimento di vedere ormai chiusa la lusinga che la Spagna non avrebbe di troppo tardato a riconoscere la ricostituzione d'una nazione sorella, per la quale d'altronde egli medesimo non aveva mai cessato di esprimermi personalmente le sue simpatie. A ciò rispose il Duca di Tetuan esser egli pure dolente che la posizione speciale del Governo spagnuolo, a me ben nota, non gli permettesse puranco di procedere al formale riconoscimento del Regno Italico. Mi fece però a un tempo osservare, che, riconosciuto ormai da molte primarie Potenze, qualche ritardo da questa Corte alle formalità di tale riconoscimento non potrebbe in ogni modo trarre con sè gravi inconvenienti. Siccome poi da canto mio ebbi occasione di osservare ancora relativamente alle note poste dal Gabinetto spagnuolo a quello di Parigi, che la loro coincidenza con simili offici fatti pure dall'Austria avrebbe potuto dar luogo a sospetti che vi fosse, se non alleanza, qualche concerto almeno con quella Potenza a danno d'Italia, il Generale O' Donne! protestò con molta vivacità contro simili sospetti, rilevando d'altronde la differenza importante delle note spagnole che tutte si limitavano ad un desiderio di trovar modi pacifici per assestare la questione di Roma non meno che del resto d'Italia, mentre negli offici austriaci accennavasi alle armi. Riconoscendo bene volentieri l'indicata differenza, soggiungevo però che la risposta identica data prima dal Gabinetto francese alle due note aveva potuto far nascere supposizioni che godevo sapere essere affatto infondate. In ogni modo poi, proseguì dicendo il Duca di Tetuan, il vostro Governo deve essere persuaso che Spagna né da per sé né in società d'altri non ha mai avuto né ha la menoma intenzione che di mantenere diplomaticamente la posizione che le sue circostanze le fanno astenendosi da ogni e qualunque mezzo materiale che potesse ledere la neutralità che ha sempre costantemente osservata in circostanze gravissime, quando un'altra potenza con una intervenzione marittima davanti a Gaeta vi metteva nei più gravi pericoli. Relativamente poi alla stessa epoca il Generale O' Donne! mi :riferì un fatto di qualche importanza per provare maggiormente la lealtà dell.a condotta del Governo spagnuolo verso di noi, e si fu che Re Francesco l'aveva sollecitato per la compera alle condizioni le più vantaggiose, di alcuni legni che gli rimanevano, e che sul rifiuto che qui si credette dover opporre alla sua sollecitazione, passarono poi a Tolone dove non s'incontrarono gli stessi scrupoli. Finì il duca di Tetuan il suo colloquio con me con una dichiarazione la cui importanza non ho bisogno di rilevare, e si fu a proposito d'una osservazione da me fattagli d'un articolo comparso in un periodico di questa capitale, in cui dicevasi che i Borbonici nelle provincie napoletane speravano di ricever presto soccorsi dalla Spagna quando l'insurrezione vi avesse fatto qualche maggior progresso. Ebbene io vi dichiaro, disse il Duca, che nell'ipotesi pure che Re Francesco venisse a ricuperare Napoli istessa, non potrebbe far conto sul Governo Spagnuolo né per un soldato né per una peseta, (moneta che vale la nostra lira).

Mancandomi ora il tempo di rispondere col conveniente sviluppo ai due ultimi quesiti superiormente indicati, posso però in quanto all'uno assicurare V. E. che per ora secondo i migliori dati non vi ha probabilità di prossima mutazione ministeriale, la completa repressione del movimento di Loja ed il soddisfacentissimo viaggio della regina dalla Capitale a S. Ander, non potendo che fortificare ancora il Ministero. Una crisi ministeriale potrebbe sorgere alla riconvocazione delle Cortes in Ottobre quando la maggioranza ivi un po' minacciata venisse a mancare al Ministero. Ma in tal caso ominoso sarebbe un Ministero Narvaez, qualunque sia l'appoggio che ei possa sperare all'Estero; il suo avvenimento al potere coi precedenti che gli si conoscono, non potrebbe essere sinceramente favorevole alla nostra causa; all'interno poi sarebbe forse tale da far scoppiare una formidabile insurrezione che minaccerebbe la dinastia stessa.

Mi resta a dir poche parole sulla questione d'influenze esterne delle due Potenze che, come V. E. bene osserva, sole potrebbero contendersi un'influenza preponderante; né l'una né l'altra ora la possiede. La Francia ispira qui troppa diffidenza che la diplomazia, per quanto sia accorta, non riescerà a dissipar facilmente. L'Inghilterra poi non ha avuto qui negli ultimi tempi agenti abbastanza abili per guadagnarsi una influenza più proporzionata alla sua importanza. Ciò forse potrà essere ottenuto da questo nuovo Rappresentante Sir Crampton, diplomatico non meno accorto che amabile.

Riservandomi a riedere con prima occasione sui toccati argomenti mi pregio intanto assicurare l'E. V. che nelle mie relazioni qua mi è sommamente grato di confermarmi nel miglior modo che per me si possa allo spirito dei discorsi pronunziati da V. E. nel Parlamento che qui fecero la più felice impressione sui nostri veri amici, mentre si ebbe le controprova del loro valore nell'ira che provocarono presso coloro che sono nemici o sospetti. In quanto a questa stampa liberale, essa non ha bisogno di incoraggiamento per occuparsi continuamente e nel miglior modo delle cose nostre ed in particolare della questione Romana. Essendo abbonato a quasi tutti i periodici più importanti, sono persuaso che non cesseranno di scrivere secondo le suggestioni che io loro darò. Avevo già nel tempo indicato al Governo i meriti di taluni di loro che con qualche decorazione potrebbero venir compensati; non sarebbe ora il caso di tal ricompensa per i redattori dei giornali dell'opposizione, onde non indisporre il governo; v'ha però un giornale oltre l'Epoca, El Constitucional che anche molto più di questa ha costantemente perorato la nostra causa quantunque il suo direttore copra un impiego importante del governo; egli è il dott. De Rascon e che già fu Ministro di Spagna a Firenze. Se V. E. lo credesse nella sua saviezza conveniente una decorazione che gli venisse in queste circostanze conferita produrrebbe ottimo effetto.

239

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. 49, n. 69, orig. autogr.)

L. P. 59. Parigi, 24 luglio 1861.

Ho ricevuto stamane la sua lunga lettera che attendeva con impazienza, e ne la ringrazio.

Mettendomi al corrente del vero stato delle cose e della linea politica da Lei tracciata (la sola possibile a senso mio) mi dà forza ad aggiungere la mia debole cooperazione agli alti concdti espressimi da V. E.

Io mi accordo pienamente nelle viste di V. E. Conosco gli inconvenienti di una Roma fatta sentina di cospirazioni e centro di tutte le mene che portano l'incendio ed il sacco nelle provincie napoletane, e cercano la rovina d'Italia. Mi rendo perfettamente conto delle difficoltà che circondano V. E., ma Ella comprenderà pure che io, di qui, sia più suscettibile a ciò che minaccia la nostra alleanza colla Francia, dirò meglio, coll'Imperatore.

Dalla mia maniera di vedere alla sua non v'ha differenza che di forma, e se Ella fosse qui, questa pure svanirebbe senza fallo. Ella vedrebbe quanto importi per noi il fare abnegazione e passar oltre a certi torti inescusabili che l'Imperatore ha verso di noi per impedire ch'egli rompa affatto con noi e disgiunga la sua politica dai nostri interessi. Persona più capace di me sarà in breve a Parigi e questa, ne ho ferma fede, non giudicherà diversamente da quel che io faccia la situazione di qui. Non è qui questione di capacità ma di semplice conoscenza di uomini e di cose.

Le cospirazioni clericali e legittimiste protette dall'Imperatrice hanno creato, per forza di reazione un partito composto dagli uomini più capaci cui l'Imperatore deve, per necessità, appoggiarsi.

È in questo partito che noi dobbiamo cercar appoggio, è con questo partito che noi dobbiamo accordarci, non coll'Imperatore solo; per quanto potente sia l'appoggio di un uomo solo, questo può mancare in un punto. Solo le alleanze di principii sono durature.

Ora gli uomini di cui parlo deplorano come noi le lacune che sono nella mente dell'Imperatore; al pari di noi comprendono l'unità essere l'unica soluzione possibile in Italia, comprendono tutto ciò che V. E. dice nella sua lettera; ma sentono in pari tempo che una troppo viva e soprattutto una troppo continuata pressione che noi esercitassimo sopra l'Imperatore avrebbe per effetto di gettarlo forse per sempre in braccio :agli avversari nostri e far trionfare la cospirazione che contro noi si trama.

Da questa mia lettera V.. E. vedrà che non merito la taccia di esser troppo ligio alla politica imperiale. Sono italiano e devoto al Re ed è perciò che una frase del suo telegramma del 22 corrente mi fece dolore grandissimo. Comprendo però essere quella spiegata dall'impressione prodotta sull'animo di Lei dall'imperdonabile dispaccio dell'Imperatore a Fleury, dispaccio di cui io non conoscevo ancora il testo.

Comprendo che le sue occupazioni gravissime hanno ritardato la lunga lettera ch'Ella mi scrive. Se questa mi fosse giunta prima, la mia opera qui avrebbe potuto essere più efficace. Ma al passato non è rimedio e, se l'accenno, non è che per scusare la mia inoperosità. Di questa lettera farò un sunto che comunicherò al Signor Billault. Questa comunicazione ufficiosa tornerà, ne son convinto, utilissima, perché farà conoscere a questo Ministro, che si è fatta una posizione potentissima, le giuste idee politiche dell'E. V.

Gioverà assai l'ufficio da Lei organizzato al Ministero per la direzione a darsi alla stampa. Sarà uopo ch'Ella abbia cura che le corrispondenze ed articoli non sieno mai troppo lunghi, ma, per contro, frequentissimi ed inviati a vari giornali.

Alcuni di questi scritti fatti con grande moderazione si potranno anche far inse

rire nel Moniteur, mi studierò di giungere a ciò senza comparire direttamente.

Nella redazione degli articoli e corrispondenze sarà mestieri tener calcolo

del colore del giornale che deve pubblicarli. Quella inviatami per il Débats è

perfetta; solo pecca un po' di lunghezza, ma non dubito che Bertin vorrà inserirla

senza farci cambiamenti.

Non creda che qui, nella guerra che ci fanno, vi sia cosa alcuna di personale a Lei; è naturale che dopo la morte del Conte di Cavour i nostri avversari si prevalgano della formazione di un nuovo Ministero per calunniarne le tendenze. Sventuratamente è altresì negli usi che il Capo di Gabinetto sia sempre, lui solo quasi, fatto bersaglio dell'opposizione.

Ignoro a chi V. E. possa accennare col dire esserci probabilmente alla R. Legazione chi sparli di Lei, ma son convinto sia questa una maligna diceria inventata da alcuni di coloro che col pretesto della politica calunniano per fini loro propri. Sono codesti di quei falsi italiani di cui V. E. faceva cenno con me, quand'ebbi l'onore di vederLa a Torino.

La ringrazio delle poche righe scrittemi il 19 e di quanto, dopo aver conosciuto dal Re lo stato delle cose, Ella conta fare in mio favore. Accetterò con piacere e riconoscenza quando V. E. sia convinta che la mia cooperazione possa tornare utile al paese e al Re.

240

IL CONTE VIMERCATI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 644. Parigi, 25 Luglio 1861, ore 15,25 (per. ore 19,40).

Ce matin seulement Puliga m'a remis votre lettre; je regrette ce retard; je me suis empressé d'en communiquer le contenu à Billault et de lui montrer dans le Colletta le fait attribué à Cialdini. Le Ministre m'a témoigné son vif regret que l'Empereur ait cédé à un mouvement d'impatience provoqué par une pure calomnie. Il me charge de vous témoigner toute sa sympathie pour notre cause et pour vous personnellement. Demain paraitra au Débats l'artide que vous m'avez envoyé avec autre correspondance que je fais insérer pour rétablir les faits. Fleury a encore écrit des dépèches dans un sens très favorable.

241

IL REGGENTE LA LEGAZIONE A PARIGI, GROPELLO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 645. Parigi, 25 Zuglio 1861, ore 16,40 (per. ore 18,30).

M. Billault vient de me dire officieusement que Benedetti sera le Ministre de France à Turin, mais que sa nomination officielle n'aura lieu qu'après que

Thouvenel aura repris la direction du Ministère des Affaires Etrangères, c'est à dire la moitié du mois prochain. Le choix de Nigra est très agréable au Gouvernement Français (1).

242

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 61-69)

L. P. Torino, 25 luglio 1861.

Sono certo che il mio silenzio non è da lei interpretato per poco affetto per lei, e l'animo mio tranquillo per questo lato, ha lasciato scorrere più tempo che non avrei voluto, forzato da altre occupazioni più stringenti. Eccomi ora a lei, e lieto di poterlo fare.

Ella non rimase contento delle mie lettere in ciò che riguardava il quesito suo intorno a sé, e non rimase contento perché non conteneva una risposta diretta. Ora mi accorgo del mio peccato, e me ne duole. Mi occorre spesso di cadere in simili peccati e non me ne correggo! Ora mi spiegherò facilmente con lei. La mia risposta a lei, ella stessa si compiacque riconoscerlo, era franca, e amichevole; era, parmi, come si scriverebbe tra vecchie e fidenti conoscenze. Mi feci a credere che in quella espansione di animo vi stasse la replica al suo quesito, e con quella forma io avessi dato prova a lei, che la nostra comune patria era bene a lei affidata, e bene dalla persona sua rappresentata a Londra; e non corre per la mente del Governo di surrogare a lei alcuno, che non sarebbe da equipararla. Ella adunque, pel lato del Governo, stia in perfetta quiete, perché esso ha nella sua persona fiducia piena, alla quale non meno partecipa la Maestà Sua.

Ella poi sa, e voglia ritenerlo per fermissimo, che io non sono devotissimo che alla causa italiana, che è la causa infine della giustizia, ed amo molto l'Inghilterra, perché vi predominano i generosi e nobili sentimenti, non posso essere disconoscente dei servizi che Napoleone ha reso all'Italia, e neppure posso essere indifferente alla parte più attiva e diretta che egli dovrà pure sempre avere alle cose nostre. Ma ciò, le giuro, non mi farà mai piegare d'un capello su quanto concerne la dignità, il diritto e l'interesse d'Italia. Innanzi tutto sono italiano, poi sono e sarò italiano; e sarò italiano anco nei mezzi e nelle forme, cioè saggio, dignitoso, prudente, cauto; :ma lo sarò per compire la sostanza, e non per comprometterla. Così mi ha alquanto ferito il discorso di Lord Russell a proposito della Sardegna, ove presuppone il caso che io manchi al mio onore; e non rimedia alla supposizione, chiamandola impossibile, 'imperocché mi ha già dato un titolo ingiurioso in quella supposizione. Aveva, per dover parlare più risoluto, con sé la logica e il mio nome. La logica, perché se io avevo detto non posse

dere l'Italia territorio da cedere ma sì da recuperare, era esclusa ogni cessione; e non poteva venire in campo la Sardegna più opportunamente della Sicilia. Il mio nome basta per dire che nessun atto vigliacco sarà mai commesso, e spero

di avere in ciò d'accordo meco il Re e la Nazione. Cosi Lord Russell dovea risparmiarsi ogni altra parola che non fosse la esclusione pura e semplice di qualunque cessione di territorio italiano, finché io sarò al Governo. Vorrei vedere codesto Governo più confidente in noi, e più deciso a porgerei, quando torna opportuno, la sua pur sempre valevole influenza. Egli non può né deve andar diffidente verso noi. Quello che gl'Italiani vogliono è sì chiaro e breve, che non si può ammettere dubbio intorno al volere loro. E su questo che gl'Italiani vogliono neppure si può contrastare che la ragione intera non stia dalla parte loro. Né questo è tutto; v'è di più, che io non temo di errare, sostenendo che la causa d'Italia è la causa della civiltà, è la causa dell'Europa civile. Contentata l'Italia nella giustizia dei suoi reclami, egli è chiaro che l'Inghilterra si troverà in grande parte avere raggiunto il fine cui ella mira di porre la pace in Europa, su basi sì solide, da ritenere che non sarà per essere più mai disturbata. Contentata l'Italia nella giustizia della sua causa, egli è chiaro che Napoleone avrà raggiunto lo scopo di chiudere l'èra delle rivoluzioni, che a lui fanno paura più che agli altri. Contentata l'Italia nella giustizia della sua causa, saranno compiti i destini della Provvidenza assegnati all'Umanità, che si potrà svolgere felicemente sui tre cardini capitali: l'Indipendenza nazionale, la Libertà religiosa, la Libertà civile. Mercé queste tre basi, l'Italia assicurerà in un brevissimo spazio di tempo uno stupendo avvenire, che diventerà la chiave dell'ordine pubblico in Europa, e del consolidamento del principio monarchico. Contrastare all'Italia il compimento della sua indipendenza a Roma e a Venezia, egli è per lo contrario compromettere l'avvenire non pure in Italia, ma eziandio in Europa. Non è possibile, con felice e durevole effetto in Italia, altra forma di governo che l'Unitaria-Monarchica. Se per orribile sventura, gli Italiani irritati dai mal sopportati contrasti che loro si fanno nel compimento dell'Indipendenza Nazionale, si alienassero dal senno e dalla concordia (so che suppongo un fatto molto remoto, per non dire impossibile) fin qui mostrata, e si scomponessero all'interno, il solo risultato che ne verrebbe sarebbe la proclamazione della Repubblica, e non unitaria ma confederativa, che è la sola forma possibile di attuare in Italia una Confederazione. Se chi parla seriamente di Confederazione in Italia, rendesse conto a sé stesso dell'abisso che andrebbe ad aprire, dovrebbe tremare innanzi tutto per sé stesso. Fa d'uopo che sia fatto chiaro a tutti che ove si parla di confederazione in Italia, non è possibile altra confederazione che la democratica. Restaurazione di dinastie, o costituzione di nuove dinastie, è impossibile.

Se questo si tentasse sarebbe un periodo dei più orrendi e sanguinosi. Il giorno che per supposto impossibile il Re nostro mancasse al suo dovere verso la Patria, in quel giorno il partito costituzionale si scinderebbe; una parte resterebbe inerte e l'altra viva di affetti e principii, viva di ardore giovanile, irritata per la defezione della Monarchia si getterebbe dalla parte repubblicana e farebbe causa comune e sarebbe in mezzo a molta strage proclamata la Repubblica. Ora chi in un caso sì estremo si trovasse a Consigliere della Corona dovrebbe necessariamente proporre al Re ogni estremo partito piuttosto che

!asciarlo esautorare per inerzia. E questo è appunto l'estremo caso che mi piace

considerare ove troppo lungamente, di soverchio, le condizioni di Roma si tenes

sero per causa dell'occupazione di Roma nel caso di nuocere alla nostra esi

stenza come ora avviene. Che sarebbe oggi di Roma se non vi fossero i Francesi?

Cosa è oggi Roma con i Francesi? L'interno Iaceramento che l'Italia soffre

per causa del turbamento, che a lei deriva da Roma, moralmente e fisicamente,

non sussisterebbe se le baionette francesi non stessero in Roma protettrici di

quanto si conspira a danno dell'Italia. Egli è chiaro che le armi francesi a

Roma, porgendo un sussidio fittizio alla Curia Romana su cui questa confida, trat

tiene, e quasi impedisce che quella Curia porga orecchie alle proposizioni sag

gissime che il Governo italiano sarebbe per farle onde venire ad una conci

liazione nell'interesse comune, e questo può essere cagione della rovina della

stessa Chiesa Romana, 'imperocché con lo spingere le cose all'estremo ogni giorno

rimuove da sé la possibilità di una feconda e saggia riforma.

Un fatto mi è stato asserito e che mi è parso da non credersi, ed è che a

Parigi si dia e si ritiene in modo positivo che il Governo inglese abbia sommi

nistrato armi a Francesco di Borbone e lo consigli a stare in Roma.

Altro fatto è accaduto .in questi giorni, che mi ha fieramente ferito, e che spero tornerà a nostro prò.. Mentre il generale Fleury era qua, l'Imperatore a lui diresse aperto il telegramma che qui le unisco, e che mi comunicò. Vimercati poco dopo mi soggiunse l'altro. Questo atto, che infine umilia Napoleone, e noi, è per ogni lato inqualificabile, e sopratutto Io diviene tale, quando si pensa che fu generato da un articolo della Gazette de France, che certamente ebbe fine di calunniare tutti, e prima di tutti la dinastia dei Bonaparte. Il Governo dichiarò false quelle asserzioni, e fece sentire il suo rammarico vivamente al Governo francese. Il signor Thouvenel mi fece ieri esprimere il suo rammarico per la precipitazione adoperata dal suo Governo. Non so se ella legga il giornale l'Italia, che qui si pubblica; vi era inserito un estratto delle Storie del Colletta, ove è riferito con le identiche circostanze il fatto rimproverato ad uno dei nostri generali. Infine tutto ciò avviene per la presenza delle truppe francesi in Roma e per la violazione giornaliera del non intervento fatto questo della più grande gravità, e che potrà essere cagione di altri ben gravi inconvenienti. Il Governo sia a Napoli, sia altrove opporrà la più risoluta repressione, raccorrà tutte le forze materiali e morali per opporre rimedio al brigantaggio, che è alimentato dai denari che i Borboni hanno rubato all'Italia e che ora le rendon con molti dolori. Il Governo è deciso di combattere con la più grande energia ogni turbamento all'interno, con qualunque nome si chiami

e che possa minacciare la conquistata Unità. Questo vuole che amici e nemici sappiano che addietro non si torna. L'Unità è il solo Governo possibile in Italia. Per pochi mesi potrebbe in certi casi passarsi ad una Confederazione democratica, ma vuolsi evitare questo caso e il Governo, quando che si potesse temere, che solo sarebbe, ove agli ostacoli che ci vengono dall'estero, il Governo non opponesse energia e dignità, avviserà fin d'ora a tenerne lontano anche l'ombra d'una possibilità.

Ella avrà avuto sentore d'intrighi ministeriali in questo Governo. Ella non creda a nulla. Non sono possibili intrighi ove io sono. Io gli svento con grande facil'ità, perché io non me ne preoccupo; batto la mia strada diritto diritto, e tranquillo tranquillo, sereno nella coscienza, avvisando di continuo a evitare falsa strada e sapendo che nessuno al mondo può rimuovermi nei miei propositi, e convinto di non avere a rendere conto che al Re e alla Nazione. Credo poi che quelle ciarle, nulla avessero di vero, se non che erano frutti di un artifizio che tendeva a mettermi in diffidenza con i miei colleghi.

L'affare del prestito sarà un nuovo fatto che l'Unità d'Italia è qualche cosa ed il nuovo Regno lo è pure.

Ora occorrerebbe muovere nell'animo del Governo inglese un vero desiderio, un affetto per l'Italia, in quanto concerne la soluzione dell'affare Veneto; occorrerebbe invaghirne il Governo e la Nazione inglese, e metterla sulla via di volere il merito di dare all'Italia la Venezia. La sola Potenza che può parlare in questo senso all'Austria è l'Inghilterra; ed è eziandio la sola che può mettere sul tappeto una qualche combinazione, conducente a questo risultato. L'Inghilterra lo deve tanto più volere, ond'essere coerente al suo vivo desiderio di evitare la guerra, che è prima o dopo inevitabile, visto che la Venezia è territorio italiano, e si deve restituire a chi spetta, onde cessi una sì infame offesa al giusto.

In Roma l'Inghilterra non ci può essere gran fatto utile, se non che talvolta e indirettamente, ma nell'affare di Venezia ella può avere molta autorità. Ho ubbidito al suo desiderio e Le unisco qui la lettera diretta a Lord Shaftesbury.

P. S. -Mi è pervenuta la sua lettera del 21, alla quale non mi occorre porgere particolare riscontro; se non che posso dire che al mio ingresso al Ministero, anzi prima di accettare di farne parte, chiesi se vi era alcuna pratica iniziata per cessione di territorio, e mi fu risposto negativamente. Ciò bastava a me per non riconoscere alcun altro impegno di tal genere. Quando il conte di Cavour cadde malato, io avevo già divisato d'interpellarlo pubblicamente intorno le voci di cessione della Sardegna. La sua malattia lasciò in me il pensiero che io avevo, la di lui morte e le conseguenze vollero che a me toccasse il carico di illuminare il paese in proposito.

(l) Con decreto 28 luglio 1861 Nigra ebbe l'incarico di • continuare col nuovo suo grado d'Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario nella missione diplomatica così lodevolmente sostenuta presso il Governo Imperiale di Francia in qualità di Ministro Residente di S. M. •·

243

IL MINISTRO AD ATENE, MAMIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 3. Atene, 25 luglio 1861.

Confermasi l'opinione che il processo che va instituendosi contro gli ultimi incarcerati politici non conduca a niuna importante rivelazione e credono molti il governo esser deliberato a far grazia. Ma gli imputati, dicono altri, non vogliono uscir di prigione se non a giudizio compiuto e in virtù di una assolutoria. Il giudice deputato a compilare il processo è uomo di trista rinnomanza e scelto appostamente, si mormora da parecchi, perchè scopra la colpa o l'inventi. Furono a questi giorni posti in prigione due Clefti delle provincie limitrofe e ancora soggette alla Porta Ottomana; l'uno chiamasi Scalzojanni; l'altro Zicos. Rifuggitisi ambidue nel Regno di Grecia dopo la guerra di Crimea, vi vivevano non pure quieti e sicuri ma provvisionati dal Governo. V'ha chi stima la carcerazione loro essere una soddisfazione data alla Porta pei molti omicidi e rapine commesse dai due Clefti mentre dimoravano nel territorio turco. Altri sospetta sieno stati incarcerati in conseguenza della scoperta macchinazione. L'altro jeri, nel Pireo gli alunni della scuola domandata della Buona Speranza (una spec'ie di scuola militare di cadetti) cantarono più volte l'inno di Garibaldi, e non volendo cessare, il Direttore chiamò qualche soldato e scacciò cinque alunni fra quali il figliuolo di Panas colonnello dei Carabinieri e carcerato insieme con gli altri capi della congiura o vera o supposta. Jeri il comandante della scuola fece leggere un ordine del giorno in cui è intimato che per qualunque nuovo disordine l'istituto militare della Buona Speranza verrebbe chiuso. L'inno di Garibaldi qui non significa idee ultraliberali, ma un profondo sentimento d'indipendenza e di libertà. I Greci cantando quell'inno vogliono dire sol questo, che la patria loro debbe pigliare ad esempio la rivoluzione Italiana.

V. E.-conosce il molto valore che S. M. Ellenica ed i suoi Ministri hanno voluto attribuire alla sollecita ricognizione che questa Corte ha fatto del nuovo titolo assunto da Vittorio Emanuele Re d'Italia. Non è inutile alla nostra Diplomazia di sapere con esattezza come la cosa sia proceduta. In questa Camera di Deputati si cominciò il dieci Aprile a discutere la risposta che conveniva fare al Discorso della Corona; ed era il tempo che in ogni dove parlavasi con diverso affetto ma con grande interesse del titolo nuovo e glorioso del nostro Re. Perciò avendo S. M. Ellenica dichiarato solennemente nel suo discorso di vivere in buona concordia e amicizia con tutti i principi, l'Ammiraglio Canaris preparavasi a interpellare il Ministro degli Esteri circa le relazioni del Governo Greco verso il nuovo Governo Italiano. L'accidente pigliava estrema importanza dall'entusiasmo del popolo per la nostra causa e dal forte e palese bollimento di tutti gli animi. Si ovviò al sinistro caso, facendo spargere in ogni canto la voce che il Governo era risoluto di subito riconoscere il nuovo Regno d'Italia. In quel mezzo tempo, al Console Malavasi giungeva comunicazione della Circolare del Conte di Cavour alla quale per le ragioni anzidette fu fatta accoglienza la più favorevole. La Corte poi ebbe somma premura di persuadere a tutti che l'atto di ricognizione era stato iniziato e voluto dal solo :Monarca, non considerando che nei termini rigorosi d'un governo statutale ciò può essere un merito e un demerito insieme.

Altri poi aggiunge che il Re ed il Ministero volendo venire alla cattura di parecchi ufficiali e altri ragguardevoli cittadini stimasse bene di farla precedere da un atto sommamente gradito alle moltitudini.

Oggi l'Alba (~ rt.ùyf)) .il periodico più diffuso e più popolare del Regno riferisce un articolo tolto al giornale Greco di Trieste dove si vuoi far sentire agli Elleni la somma importanza e l'alta missione della Legazione Italiana in Atene. L'articolo riferito non può mettersi in fascio con altri, perchè il giornale Triestino è organo dei ricchi e numerosi mercatanti e banchieri greci di colà.

A 1 giungere di questo dispaccio è cosa probabile che V. E. abbia di Costantinopoli notizie molto più fresche e recondite. Nullameno, per non mancare da alcuna parte al debito mio, le dirò che le nuove ultime di quella gran capitale sono minacciose in quanto il nuovo Sultano compie atti ispirati dal fanatismo. Egli torna pure alle usate prodigalità e all'usata poligamia.

244

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI,

AL CONTE VIMERCATI

(A C R, Carte Vimercati)

L. P. CONFIDENZIALE. Torino, 26 luglio 1861.

Le cose del nostro imprestito procedono ogni aspettativa la più avanzata. Io spero che pure la soscrizione nazionale corrisponderà all'oggetto supremo che ci siamo imposti; armarci e svolgere la nostra potenza economica col mezzo delle vie ferrate.

Compito l'imprestito ciascun ministro si porrà all'opera di riordinare il proprio Ministero, siccome le nuove condizioni del Regno richiede, cosa che non avea potuto farsi finchè il Parlamento assorbiva la più gran parte del tempo di ogni Ministro. Sopra i lavori che il Parlamento ha compiti diramerò in breve una circolare agli agenti diplomatici italiani.

Il Ministero dell'Interno ha inviato a Parigi persona capace onde studiarvi l'ordinamento del Ministero dell'Interno di Francia, e di tutte le sue diramazioni. Il Ministro delle Finanze non tarderà a fare altrettanto per suo conto. Io spero di vedere attuata nel corrente anno una sapiente organizzazione amministrativa per tutto il Regno; il tempo compirà l'opera. Quanto tempo impiegarono gli altri Stati a bene ordinarsi? La Francia ha già settant'anni di vita. Vorrebbesi che in Italia si facesse i miracoli, e si facessero mentre ci si lascia in seno la infame cangrena di Roma e dei Borboni, e Borbonici ed altri cotali infamità? Pure ho fede che faremo fronte a tutto, perché la natura stess.1 delle cose ci dà la forza a risolvere le difficoltà. Con l'unità potete chiudere la bocca a tutti; perché con l'unità avete il solo assetto che vi porge la forza dell'imparzialità dirimpetto a tutti; vi dà la forza delle comunanze degli interessi; vi dà la forza che viene dall'unità delle forze, dall'unità degli ordini, dall'unità della Nazione. Con l'unità chiudete l'era delle rivoluzioni imperocché non vi è più aggettivo alle rivoluzioni. Con l'unità voi creerete in Italia una Monarchia che sarà la più solida tra le Monarchie; e quindi il principio Monarchico nei fatti italiani riceve un bel rinvigorimento, che non verrà mai meno per secoli. Mercé l'Italia anco la Monarchia in Francia riceve una impronta, un consolidamento nuovo; diventano solidali fra loro. Quindi la Francia dee mostrarsi più apertamente disposta a riconoscere le ragioni sociali che di tanto raccomandano il rivolgimento d'Italia, che è tutto nell'interesse dell'ordine pubblico europeo.

L'Imperatore Napoleone guadagnerà immensamente se procederà più scoperto, più risoluto nella via dei sani ed eterni principi di ragion sociale. I preti non saranno mai i suoi amici; Egli gli deve trovare nelle parti liberali, che abbondano sia in Francia sia in Italia; anzi in Italia sono i 9 decim'i e in Francia cresceranno oltre misura il giorno che l'Imperatore cesserà di essere un arcano.

Le unisco un nuovo articolo, che se Les Débats non fosse contento inserirlo nelle sue colonne, può affidarlo all'Opinion Nationale.

Con telegramma l'ho avvertita delle notizie di Napoli e di Roma.

[P. S.] Mi perviene la gradita Sua del 24. Terrò conto di quanto mi avverte intorno le qualità che dovranno avere gli articoli che si mandano per la stampa francese. Ella avrà la posizione desiderata, e quale il Re me ne indicò, e che in precedenza io ignorava interamente. Quanto Ella mi scrive sulle cose di costà mi fanno ognora più [sic] che sia tempo di una politica più netta per parte dell'Imperatore.

245

VITTORIO EMANUELE II, AL CONTE VIMERCATI

(A C R, Carte Vimercati) Torino, 28 Luglio 1861.

Spero che questa volta sarà contento di me. Tutti i suoi affari sono aggiustati. Ho incaricato Fleury di numero infinito di commission'i per l'Imperatore a cui scrissi lunghissima lettera. Vengo di scriverne un'altra per mezzo di Nigra. Faccia il piacere parlare coll'Imperatore e con Fleury e sapere come l'Imperatore fu contento della lettera la e 2a e sappia dirmi qualche cosa per mia regola, guardi di mettersi subito in buone relazioni con Nigra, ciò pure a lui raccomandai verso di Lei. D'altronde Nigra non è a Parigi che fino che sarà nominato un'Ambasciatore ma ciò non bisogna parlarne con lui. Ciò che le successe col Segretario N. N. non tira a conseguenze quà benché l'amico abbia chiesto la sua dimissione per l'affare Pernati. L'Imperatore mi pare amico in teorica ma non in pratica; gli scrissi oggi affinché mandi via Goyon da Roma. Oltre il male che ci fa, esso è alla testa di un partito orleanista assai forte e fà contro l'Imperatore.

Malgrado le promesse dell'Imperatore vedo che 5 batterie e 30.000 fucili, etc., che ci dovevano essere resi dai Napoletani di Roma furono regalati al Papa per ucciderei a lento fuoco. A Marsiglia si arruola un esercito con nostri disertori che agenti segreti menano via per fare la guerra santa, e la Francia lascia fare, perciò mi sappia dire qualche cosa. Mi parli pure dell'Ungheria.

Guardi di procurarmi degli Antilopi Nilghaut. Se non ne trova a Parigi la prevengo che ve ne sono in varie Menagerie di Francia. Stia ardito e spero di rivederla presto e fare qualche caccia con Lei anche che sia diplomatico.

246

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(A R B, cass. 49, n. 85; sola firma autogr.)

R. CONFIDENZIALE 205. Londra, 28 Zuglio 1861.

Au reçu de la dépèche par laquelle V. E. m'adressait de nouvelles instructions· par rapport à la Prusse, je cherchais à voir Lord John Russell. Mais il venait

de quitter Londres pour la campagne et devait le lendemain assister à un

conseil présédé par la Reine à Osborne. Lui ayant malgré cela fait parvenir le

contenu essentiel de la dépeche de V. E., il me fit répondre immédiatement

quelques mots par son beau-frère, M. Elliot, qui est en meme tems son sécrétaire

particulier. Comme il n'était nullement question d'urgence, j'ai préféré d'at

tendre soit une occasion réservée que m'offre le courrier anglais, soit d'avoir

pu voir S. S., ce que j'ai été à meme de faire aujourd'hui à Richmond.

Lord John est d'avis qu'il n'y aurait aucune utilité à ce qu'il renouvelle ses instances auprès du Gouvernement Prussien pour presser une reconnaissance du Royaume d'Italie..Je dis expressément renouveler parceque le hazard a voulu que ces jours derniers Lord A. Loftus ait parlé à M. Schleitnitz à ce meme sujet, et la réponse a été peu encourageante. C'est au Roi lui-meme que Lord John croit pouvoir en premier lieu attribuer le retard que subit cette reconnaissance et c'est la Russie qu'il accuse en meme tems d'influencer à cet égard les décisions de S. M. C'est à .Pétersbourg d'abord et auprès de la personne meme du Roi de Prusse qu'il faudrait pouvoir agir.

Quant au Comte de Bernstorff les relations suivies et amicales que j'ai entretenues avec lui pendant son séjour à Londres me permettent de reconnaitre une certaine exactitude dans la définition qu'on a donné à V. E. du nouveau Ministre des Affaires Etrangères de S. M. Prussienne.

M. de Bernstorff m'a souvent signalé dans le courant des conversations que j'ai eues avec lui à plusieurs époques que pendant son séjour à Vienne il avait été en butte à beaucoup d'animosité précisément parceque on n'avait jamais pu le gagner à la cause autrichienne. Mais ces assertions étaient déstinées précisement à réfuter mes attaques à la vérité faites en forme de plaisanterie quant à ses tendances conservatrices et son Austrianisme.

M. de Bernstorff est l'ami int'ime de M. Schleinitz et il affirme avoir les memes idées que lui. Mais j'en doute fort, et mon impression est que le choix du Comte indique un pas fait eri arrière. Je ne le crois pas mal disposé pour la cause italienne. Mais beaucoup de considérations l'empechent de prendre un parti décisif. D'abord un long séjour à Naples lui a laissé des tendances un peu vers la Dynastie déchue. Ensuite il se sent nouveau pour la piace qu'il va occuper. N'a aucune espèce de talent oratoire, et au fond on ne saurait le piacer au dessus de la plus complète médiocrité.

Ce sentiment d'insuffisance joint à une grande obséquiosité pour la Cour le rendent très peu indépendant dans ses mouvements et très craintif de la Roche Tarpéienne. En meme tems le Comte est d'une caractère ombrageux au sujet des égards qui sont diìs à sa position, d'une roideur très nationale dans ses rapports avec ses semblables. Il lui arrivera donc facilement de se créer des ennemis et des difficultés.

Il parait meme si persuadé lui-meme des obstacles de ce genre qu'il se propose à affronter, qu'on m'assure que pour le moment la Légation restera vacante à Londres, prete à amortir sa chute. Il est bon de ne pas perdre de vue que sa nomination avait été decidée avant l'attentat Becker et que maintenant il s'en faut de bien peu qu'elle ne prenne l'attitude d'une hravade contre l'opinion libérale allemande. Si cette susceptibilité ombrageuse dont

19 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. I

j'ai parlé plus haut se transforme du privé en un sentiment national et que le Comte de Bernstorff assume vis à vis du Danemark l'attitude d'un pays outragé je ne sais s'il améliorera beaucoup la position actuelle de la Prusse qui parait avoir complètement réussi à s'aliener tous les autres pays de l'Allemagne, qui vont meme jusqu'à tourner en ridicule son incertitude et sa tìmidité.

Je ne vois donc guère de raisons qui me permettent de désigner à V. E. la réalisation de ses désirs quant à la Prusse, car M. de Bernstorff ne s'exposera pas à encourir à ce sujet le déplaisir du Roi, tant qu'il est dans les idées actuelles.

J'ai cru utile en cet état de choses d'aller voir un de mes collègues avec lequel depuis de longues années j'ai traversés de bien différents et difficiles momens sans jamais un instant qu'il ait changé en rien la grande bienveillance qu'il m'a toujours temoignée. Je veux parler de l'Ambassadeur de Russie le Baron Brunnow. Comme :il avait vu Lord John la veille et que celui-ci n'avait pas cru devoir lui cacher la demande que j'avais été chargé de faire auprès de lui, j'aurais eu mauvaise gràce à user à mon tour de beaucoup de mystère. Je crus donc préferable de parler sans déguisement et le Baron me dit qu'il ne lui paraissait pas qu'il y eut pour le moment rien de nouveau à attendre de la Cour de Russie.

Il effieura légérement les liens de sympathie qui unissaient la Cour de Naples et celle de Pétersbourg et appuya beaucoup plus fortement sur l'espérance qu'il aimait à croire fondée que rious évitérions de pousser la Pologne dans la voìe des manifestations insurrectionnelles. Je présume par conséquent que ce qui retient en grande partie la Russie c'est la crainte que nous ne nous trouvions forcés de nous él.ppuyer surtout sur le désordre européen pour en arriver à nos fins.

En meme tems que le Baron n'a pas semblé entrevoir la reprise prochaine des relations officielles il a paru croire que l'état intermédiaire actuel ne subirait aucune détérioration.

Il m'a meme déclaré avoir entièrement approuvé par exemple notre participation aux négociations relatives à l'organisation des Principautés Danubiennes, dont Lord John lui avait parlé, et dans le sens également de notre admission à ce qui se fera:lt.

J'en ai dit un mot aujourd'hui à S. S. qui m'a dit qu'il avait laissé

M. Bulwer l'arbitre de l'arrang·ement à prendre soit comme le veut la France par des protocoles ou une conférence à Paris, so i t comme l'Angleterre le désire par une conférence à Constantinople.

Lord John pourtant m'a dit ce matin que les bases que portaient ses instructions à M. Bulwer étaient les suivantes:

l. Maintien de la sm:eraineté de la Porte;

2. -Exclusion d'un prince étranger; 3. -Rejet de toute nouvelle éléction dans un sens démocratique qui enleverait aux électeurs actuels une partie de leurs droits.

Mais par·l'avénement du nouveau Sultan et le tems d'arret qui en a été la suite, les questions semblent du moins ajournées sans compter l'opposition de l'Autriche à se trouver en contact avec nous.

Lord John dans son divorce d'avec la Chambre des Communes ne parait pas suivre d'autres impressions que celles de ce genre de séparations. Il laisse après lui plus d'un embarras à un chef de file.

L'éléction d'un membre Tory à la City à la piace de Lord John parait fort probable. Ensuite la nomination de M. Layard comme sous-secrétaire d'état aux Affaires Etrangères parait fort approuvée, et nous ne saurions assez nous applaudir de ce choix, car il y a peu d'amis d'Italie qui lui soient aussi devoués que lui.

Nous ne saurions regretter également que Sir Robert Peel soit entré au Ministère. Malgré ses boutades quant à la Savoie et à Nice il est revenu vers nous et nous pourrons le compter parmi nos amis. Il n'en est pas de meme des députés Irlandais qui donnent libre cours à leur colère et à leur indignation. Ils jettent les hauts cris et disent que Lord Palmerston peut s'estimer heureux qu'il est à la fin de la session car sinon on chercherait à le renverser.

Ces sentiments sont partagés quoique dans un autre ordre d'idées par la France qui non seulement a fort blamé le langage de Lord John lors des interpellations rélatives à la Sardaigne, mais celui de ses interpellants entre autres Sir Robert Peel.

Son introduction dans le Ministère aussitòt après fait l'effet d'une récompense et presque d'un défi.

D'après ce que Lord John m'à confié ce matin, M. de Flahault est venu hier se plaindre (non de cette nomination) mais du langage tenu par Lord John lui-meme. Lord John se retrancha dérrière les usages parlamentaires de chaque pays et de meme qu'il n'avait rien dit quant au discours de M. Billault il réclama le privilège de pouvoir parler sans censeurs étrangers. M. de Flahault lui remarqua alors qu'il aurait du se borner à dire simplement qu'ayant intérpellé là dessus le Gouvernement Français, il lui avait été répondu que la chose n'était pas vraie et aucune accession projetée. Et voilà tout. Mais Lord John m'ajouta que s'il avait dit pareille chose on lui aurait ri au nez.

Je me permis cependant de lui faire observer que mes craintes étaient que cette discussion ne tourne à notre désavantage en ce sens que l'Empereur blessé dans son amour propre, ne cherche en retardant la solution à nous prouver que la question est entre ses mains. Mais Lord John me répondit qu'il pourrait arriver que l'Empereur voyant le prix de la solution lui échapper ne se refuse à l'amener.

Mais je me bornais à constater que c'était amener exactement par deux voies les choses au meme résultat.

Lord John m'a confié meme qu'ils avaient suggéré à Paris l'opportunité

d'une réduction soit dans le nombre des troupes à Rome soit dans le cercle

du pays occupé. Mais on lui répond de Paris:

l. Qu'on craint une éxpédition de Garibaldi et qu'on ne peut par conséquent pas diminuer les troupes.

2. Qu'on n'est pas bien persuadé que nous soyons si impatients d'arriver à Rome, un Parlement réuni en cette ville pouvant ne pas etre sans des inconvénients graves. La première objection pourrait etre combattue; des renforts pourraient toujours etre envoyés à tems. La seconde me parait etre un prétexte.

Au reste comme le Gouvernement Anglais sait parfaitement à quoi s'en tenir sur la grande activité que depuis quelques tems l'on donne aux constructions navales en France, et surtout pour les frégates cuirassées, l'on ne peut pas dire que cela soit de nature à opérer beaucoup d'intimité entre les deux pays. Les contribuables tout en comprenant qu'il ne faille pas rester en arrière, payent, mais se demandent où cela s'arretera. On vient de demander ces jours derniers un crédit supplémentaire d'environ 62 million de francs purement pour construction de navires cuirasses pour tenir tete aux progrès de la France. Et des discours peu bienveillants ont été prononcés. Cela préoccupe assez le Ministère qui d'autre part a d'autres sujets d'inquiétude sur un autre point du globe. C'est par rapport à l'Amérique. Les Américains déclarent des blocus et prétendent ensuite qu'on les observe qu'ils aient ou non un nombre suffisant de vaisseaux pour les rendre effectifs. Le Gouvernement Anglais est dans des inquiétudes incessantes qu'il ne surgisse d'un moment à l'autre quelque grave complication du fait de quelques navires anglais se lançant dans quelques entreprises inconsidérées, et les Américains ne se généraient nullement à tirer dessus.

Je regrette de n'avoir pas à tracer un tableau plus riant de la sltuation dans laquelle nous nous trouvons vers le Nord de l'Europe. En attendant le Gouvernement forme les vreux les plus sincères pour que nous parvenions enfin à établir plus d'ordre dans l'Italie méridionale.

Ayant pris fait et cause pour nous contre nos détracteurs on voudrait ne pas s'etre trop avancés. On fonde en tous cas un légitime espoir en votre talent et en votre fermeté non moins que dans l'efficacité de l'armée. Mais on pense qu'il est tems que cet espoir se réalise.

247

IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE S. n. Baden, 28 luglio 1861.

Je suis arrivé hier soir ici, et dès ce matin j'avais l'honneur d'etre reçu par le Ministre des Affaires Etrangères qui m'a fait le plus bienveillant accueil.

M. le Baron de Roggenbach m'a dit tout d'abord que le Gouvernement GrandDuca! ne partageait en aucune façon la manière de voir de la plupart des Etats allemands relativement au nouvel ordre de choses établi en Italie; que bien au contraire, il avait pour le nouveau Royaume les plus grandes sympathies et qu'il se serait depuis longtems empressé de le reconnaìtre si la position du Grand Duché dans la Confédération Germanique ne lui faisait un devoir d'attendre l'initiative de la Prusse. M. de Roggenbach m'a témo'igné la plus entière confiance dans l'avenir unitaire de l'Italie; seulement il m'a exprimé quelques inquiétudes au sujet des mouvements insurrectionnels de certaines provinces napolitaines; mais sur l'observation que je lui ai faite que ce n'étaient là que des actes de brigandages encouragés et soudoyés par une faction aveugle n'ayànt plus aucune racine dans le Pays, il a facilement convenu que l'action régulière du Gouvernement ne tarderait pas à avoir raison de ces dernières convulsions, qui accompagnent toujours la chute d'une dynastie quelque execrée qu'elle soit du reste par les populations.

Mais M. de Roggenbach ne m'a pas seulement parlé de ses sympathies; il m'a dit en outre que l'intéret national de l'Allemagne était d'avoir à còté d'elle une ltalie forte et unie qui en montrant l'exemple à l'Allemagne lui permit également d'avoir une politique à elle, exempte de l'influence française. c Ce n'est pas -a-t-il ajouté -que nous puissons arriver aussi vite que vous ni de la mème manière; nous avons encore bien des difficultés à vaincre, bien des échelles à parcourir; mais l'impulsion est aujourd'hui donnée et la communauté d'intérèts et d'aspirations amenera forcément peu à peu l'unité politique. Quant à la Diète de Francfort et aux idées désormais impossibles qu'elle représente, le mouvement national se fait et se poursuivra en dehors d'elle, et bientOt elle ressemblera à une de ces vieilles ruines qui s'écroulent d'elles mèmes, sans qu'il soit nécessaire de les pousser pour les renverser ».

Je n'ai pas besoin de faire ressortir ce qu'a de remarquable un pareillangage dans la bouche d'un Ministre allemand. Il atteste suffisamment les idées larges et éminemment patriotiques de celui qui l'a tcnu, comme aussi la révolution radicale qui s'est opérée dans les hautes sphères d'un Gouvernement qui, il y a à peine une année, était courbé sous le joug autrichien et ne faisait rien sans en avoir reçu la permission de Vienne.

Venant ensuite tout naturellement à me parler des difficultés que j'avais eues avec certaines Cours allemandes au sujet des nouveaux timbres italiens,

M. de Roggenbach m'a dit que depuis longtems il avait donné l'ordre à l'Envoyé Grand-Ducal à la Diète de les accepter et que de ce còté là je n'avais aucune difficulté à craindre. Il m'a confié, comme le sachant de source certaine, que le Roi de Bavière aussi bien que celui de Wurttemberg n'étaient point personnellement aussi hostiles qu'on le croyait généralement à l'Italie, mais que à Munich comme à Stuttgard le parti de la Cour était plus puissant que le Roi, et que c'était à son influence qu'il fallait uniquement attribuer la décision de renvoyer toute communication portant le timbre italien: qu'en ce qui concernait plus particulièrement le Mecklembourg, c'était la Grande Duchesse qui avait tout fait; que comme toute la famille de Resse, elle portait une haine profonde au nouveau régime italien, et que c'était elle qui la première avait eu l'idée de cette couronne de lauriers en or offerte par les Princesses allemandes à l'épouse de François II.

Abordant enfin la question si importante des conséquences politiques que pourrait avoir sur l'esprit du Roi le récent attentat, M. de Roggenbach m'a dit avec une assurance qui ressemblait à de la conviction que S. M. avait été profondément émue de l'intérèt supreme que dans cette circonstance lui avait témoigné le peuple allemand pour la conservation de ses jours, et que bien loin de vouloir retourner en arrière comme le lui demandait avec instance certain parti bien connu de l'Allemagne, Elle était au contraire décidée à donner à sa politique des allures et une couleur nationales plus prononcées que par le passé.

Cette appréciation parait d'autant plus juste que M. de Roggenbach a pu souvent approcher le Roi, et que mieux que personne il a été à mème de suivre de près le travail qui s'est fait dans son esprit à la suite de l'événement.

Tel est, Monsieur le Ministre, le resumé exact de mon entretien avec l'homme d'état qui aujourd'hui dirige la politique du Grand-Duché de Bade. Je n'ai pas besoin d'ajouter qu'en prenant congé de lui je n'ai pas manqué de lui exprimer mes remerciments pour ses sympath'ies en notre faveur, sympathies, lui ai-je-dit, que je ne manquerai pas de porter à la connaissance du Gouvernement du Roi.

Au moment de fermer cette dépeche j'apprends que le Prince Carini a été envoyé par l'ex Roi de Naples pour complimenter le Roi de Prusse et qu'il a été reçu hier. L'on me dit également que le Prince Lucchesi-Palli arrivé hier de Rome est chargé d'une mission auprès de S. M. Mais dans le corps diplomatique d'ici l'on ne parait pas attacher d'importance à ces démarches posthumes qui provoquent plus de sourires qu'elles ne semblent devoir amener de résultats.

P. S. -J e vais porter cette dépeche à la poste de Biìle et camme de là je ne suis qu'à quelques heures d'une propriété que j'ai encore en France, j'ai pensé que V. E. ne verrait pas d'inconvénient à ce que j'aille y passer trois ou quatre jours. Je serai de retour à mon poste samedi prochain.

248

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 69-73)

L. P. s. n. Torino, 29 Luglio 1861.

Il generale Solaroli si reca per suoi interessi in Inghilterra. Il Re ha creduto di incaricarlo di presc•t.1tarsi a Lord Palmerston, e a Lord Russell, e tenere ragionamento intorno le cose d'Ungheria, perché sia raccomandato all'Austria e agli Ungheresi di procedere per vie più serie, che non sarebbero quelle, cui per avventura si appigliassero o l'uno o gli altri, confidando la propria ragione alla forza. Egli è chiaro che l'Italia è interessata a che non si promuova un conflitto tra gli Ungheresi e il Governo Austriaco nelle presenti condizioni, in cui noi siamo. Quel fatto avrebbe eco profondo nella nostra Italia. Il principio d'indipendenza al dirimpetto dello stesso dominatore selvaggio, è lo stesso per l'Ungheria e per l'Italia, ed è ben naturale che il popolo italiano sarebbe oltremodo commosso ed agitato nel caso da me accennato. Noi non abbiamo ancora l'Esercito nelle condizioni in cui dovrebbe essere per poter usufruire di quel conflitto, come lo potremmo fare nella primavera prossima. Gli Ungheresi stessi sono deboli, perché privi d'armi e di mezzi; quindi ci troverP.ssimo in un orrendo cimento, nel quale staressimo da disperati; ma non dobbiamo avere il rammarico di averlo provocato. Egli è adunque naturale che si sventino le occasioni.

Migliori nuove abbiamo da Napoli: ma non è men vero che oggi quelle Provincie ci danneggiano e c'indeboliscono. Noi vediamo quanto si deve fare per

condurre a migliori termini e in modo efficace quelle provincie, ove regnò secolare e corruttrice tirannide; e sebbene s'ia certo l'esito del Governo, che oggi s'instaura in Italia, non è men vero che gli effetti reali solo con l'andar del tempo si cominceranno a vedere e a godere.

Roma poi, ripeterò pur sempre, tiene vive le speranze, e acceso il fuoco del delitto. Bella dinastia invero, che ha bisogno di esser preceduta dall'eccidio e dalla rapina. E un governo onesto e civile vorrà sostenere ancora le speranze dei Borboni? Vorrà chiamare bandiera politica quella del brigante che saccheggia, uccide e ruba?

Cui bono questo scandalo universale e tristo? Giova egli al Papa e alla Chiesa? Se il principio religioso non fosse una qualità della nostra anima, se gl'Italiani non fossero Popolo di senno e di coscienza, dove saressimo a quest'ora? Felicemente che gl'Italiani seppero senz'altro dividere il capo della Chiesa, dal capo d'una società civile e politica, e per essi l'affare di Roma è già risoluto nella coscienza. Le chiese sono frequentate quanto e più di prima, senza che alcuna pressione vi obblighi i cittadini a concorrervi, come in certi stati faceva la tirannia; e domani che al Papa sia cessata l'occasione di tiranneggiare e imbestialire l'Italia, sarà una festa nei cuori ancora ingenui dei cattolici italiani che sono i più. Il Governo poi del Re, che partecipa e rappresenta questo senno, e questa lealtà italiana, cerca e tasta ogni giorno il terreno per riconoscere se chi rappresenta la Chiesa sia ancora tocco di una felice ispirazione, e voglia accogliere parole di pace, e proposizioni di conciliazione sapiente. Il Governo tiene già pronto il suo programma di separazione delle due podestà, informato al principio della libertà. Questo programma non è una teoria, ma l'applicazione dei principj allo svolgimento d'una grande istituzione, mercé i quali principj in lei applicati potrà rigenerare sé stessa a felicità d'i tutta la società umana. Io sono amante di questo disegno e come uomo cui sono affidate in parte le sorti di una nazione, e come individuo che sente l'opportunità di combattere l'indifferentismo religioso, che invade ogni giorno il corpo sociale, e vede che ciò accadrà quale conseguenza certa di quella libertà che lo Stato concederà alla Chiesa, al seguito della di lei rinunzia al potere temporale. lo penso che quanto incompatibile è al Papa il far da Re, del pari sarebbe al Re il fare da Papa; e il potere civile e politico dovrà essere compiutamente liberato da

ogni miscela col potere ecclesiastico. Il ridurre a pratica ciò, è più facile che non si crede. Al Papa devon concedersi tutte le onorificenze sovrane. Ai Cardinali si conservano titolo e onorificenze di Principi, e la irresponsabilità nelle cose della Chiesa. Al Papa daremo una lista civile. Alla Chiesa rendiamo la libera amministrazione di sé stessa, tanto nel suo temporale, e cioè il suo Patrimonio, quanto nello spirituale. Libertà nei suoi Atti, salvo dove offendessero le leggi. Abrogazione quindi delle costituzioni Leopoldine, Giuseppine, ecc. Però la legge di manomorta dee mantenersi rispetto ai beni stabili; ma questa consiste unicamente nel dover vendere, ma salva la proprietà del ritratto. Al Papa potremo dare palazzi, ville e perfino una porzione di Roma. Osta egli all'unità, all'indipendenza d'Italia il territorio della Repubblica di San Marino? Non guasterebbe neppure il concedere al Papa in assoluta sovranità per lui e suoi successori un Rione di Roma. In breve, facile si è la conciliazione delle difficoltà vere e legittime della Chiesa cattolica romana, il giorno che le baionette

francesi lasciassero Roma, e non volessero più mostrarsi protettrici di una cospirazione indegna contro l'umanità intera. Ecco il vero aspetto delle cose romane. L'Italia non avrà pace nella loro durata. Il Governo e il Paese faranno sforzi erculei, e li faranno. Ah! sì, li faremo, non resteremo al disotto di nessuna difficoltà, ma una vera e propria ricostituzione d'Italia non potremo mai conseguirla. Chiedo se nella civiltà presente sia lecito cooperare a una si miserabile condizione! Ma guardisi ai pericoli; si, ai pericoli, che possono derivarne nel prolungare soverchio l'attuaHtà. Le popolazioni si sdegnano pel male che soffrono, i partiti dinastici si rianimano, il repubblicanismo si rinforza, l'ira contro Roma si accresce. Chi potrebbe assicurare che un tal giorno queste passioni ardenti non potessero scoppiare in gravi fatti? Le restaurazioni sono impossibili. Per tutta Italia sarebbe un mare di sangue fraterno, se quelle restaurazioni s'imponessero. L'esito sarebbe lo scredito della Monarchia, e la bandiera Repubblicana sarebbe inalzata, ma riaccendendosi gli spiriti municipali, si correrebbe ad una confederazione democratica. Ecco il presagio dell'avvenire, ove le armi francesi si tenessero soverchiamente a Roma passive, dirimpetto alle nefandità che ivi si consumano. Un Governo italiano fedele al suo dovere, baderà bene all'avvicinarsi di un tal giorno di Iasciarlo arrivare. A caso estremo risoluzione estrema, ed io fin d'ora piacemi prevederlo e prepararmici, piuttostoché !asciarmi sopraffare; ma innanzi tutto piacemi prevederlo per evitarlo; ed è perciò che non per impazienza del fine, ma per previdenza dei grandi pericoli, che danneggerebbero tutti, piacemi di non desistere dal rappresentare come Roma non può, non deve mantenersi così ai danni nostri. Vorrei avere bene espresso le mie idee; e in ogni caso vi supplirà ella col suo criterio.

* Rammento una circostanza. Immensi sono i tesori dei Borbon'i. Ammontano a 200 o 300 milioni di lire. Questi rappresentano parte delle ruberie da questa infame famiglia commesse. S'intende come egli possa assoldare briganti sopra briganti. Il Governo francese restituendo le armi che furono depositate dal corpo napoletano che si ricoverò nel territorio papale, si è caricato di una responsabilità immensa di rimpetto all'Europa civile, perché queste armi erano italiane ed ora servono ad armare il brigantaggio contro l'Italia. Occorre ben conoscere le nostre miserie e donde vengano per parlarne. *

249

IL CAVALIER UCCELLI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. 49, n. 95, orig. autogr.)

L. P. Parigi, 30 luglio 1861.

Dopo il primo abboccamento col Conte di Persigny, di cui ebbi l'onore di rimetterle esteso ragguaglio, questa mattina stessa ho creduto conveniente di presentarmi di nuovo al Ministero degli Interni, e realmente ho potuto sempre più convincermi dell'affetto e dell'interesse che il Persigny porta alla nostra causa.

Una delle ultime prove di quanto ho l'onore di asserire è stato l'articolo

comparso domenisa scorsa sul Constitutionnel (il solo giornale semi-ufficiale)

dove l'unità d'Italia è riconosciuta in diritto e in fatto fino all'ultime sue

conseguenze.

È la prima volta che il Constitutionnel discute cosi apertamente in faccia

all'Europa la nostra causa, come pure è la prima volta che il Papato è con

siderato esclusivamente sotto l'aspetto di potere spirituale. Questo articolo ha

prodotto in Parigi una grande sensazione, e contribuirà col tempo a renderei

proclive questa timorosa e vacillante borghesia francese.

Lo stesso Conte di Persigny ha fatto dare un avvertimento ad un giornale di provincia, che avea attaccato la persona del Re, ed ha voluto che fosse smentita la notizia della consegna delle armi fatta dal gen. Goyon ai borbonici, come pure l'altra calunniosa ritrovata che accusava uno dei generali della nostra armata di aver commesso atti di non comune barbarie.

Gli emigrati napoletani di Parigi banchettano di tanto in tanto, ed il Canofari prende la parola e fa brindisi per il ritorno di Francesco II. Si dice che 20 o 25 giovinastri francesi vogliono arruolarsi sotto lo stendardo illustre di Chiavone, e rinnovare nell'Abruzzo le gesta di Charette e di Larochejacquelin in Vandea. Non credo nulla di ciò, giacché la lezione di Castelfidardo fu troppo salutare, perché si pensi a domandare un'altra edizione. Ho ricevuto buone notizie da Lisbona ed ho speranza che il nostro inviato avrà cortese accoglienza nella capitale del Re Fedelissimo.

Se non le paresse esagerata ed intempestiva, mi prendo nuovamente la libertà di domandarle l'autorizzazione di accompagnare uno dei nostri ambasciatori straordinari, presso le potenze che saranno per riconoscerei, in qualità di segretario; è un mezzo che può facilitare in seguito la mia candidatura, ponendo in evidenza un nome sventuratamente troppo ignoto.

250

CIRCOLARE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, ALLE LEGAZIONI ALL'ESTERO

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 440-446)

Torino, 31 luglio 1861.

Il Parlamento diede term'ine testé alla prima parte della laboriosa sua sessione, prorogando le sue tornate sino al prossimo autunno. In esso sedettero per la prima volta i rappresentanti di pressoché tutte le popolazioni italiane.

Mercé le sue deliberazioni l'unità d'Italia passò dalla regione delle idee a quella dei fatti, ed incominciò ad esplicarsi nell'ordine politico, economico ed amministrativo. È pertanto mio debito di richiamare sui lavori delle due Camere l'attenzione dei Rappresentanti del Gov·erno presso le Estere Potenze, e di somministrar loro i mezzi di far conoscere all'Europa gli esordii legislativi del nuovo Regno.

E primieramente vorrà la S. V. considerare il significato delle elezioni, le quali in provincie che dianzi erano Stati autonomi e indipendenti, ed entravano appena in una condizione affatto nuova, com'erano nuove agli ordinamenti liberi, si sono compiute colla massima regolarità e coll'ordine più perfetto. Questo significato parrà anche più notevole se si pensa che le Provincie di più recente aggregazione, come le Marche e l'Umbria, erano sotto la minaccia di aggressioni per opera delle truppe pontificie, e che queste aggressioni in fatto ebbero quivi luogo in alcune parti nel tempo appunto delle elezioni; che finalmente le provincie napolitane e siciliane, oltre l'andar soggette alla stessa minaccia, subivano tuttavia gli effetti di una potente agitazione politica, e non vedevano il loro territorio sgombro dai res'idui dell'abbattuta dominazione, poiché in Gaeta durava a resistere con un poderoso nerbo di forze il Re decaduto, e non anco si era tentata la espugnazione di Messina.

Non ostante queste condizioni, le provincie nuove, che oggi formano la più grande parte del Regno, mentre ancora vivevano dubbiose delle loro sorti, liberamente e regolarmente elessero deputati fra i quali neppur uno se ne conta che rappresenti le opinioni o gli interessi dei reggimenti caduti; e la S. V. ha potuto vedere dalle discussioni e dai voti parlamentari che la opposizione tutta intera ha per obietto di spingere il Governo a precipitare il corso degli avvenimenti perché l'indipendenza e l'unità d'Italia si compia, anziché di ritirarlo verso il passato.

Esempio questo forse unico nella storia, e che dimostra quanto sia universale e profondo negli animi di tutti gli Italiani il sentimento della nazionalità; poiché in tutti gli altri paesi dove la rivoluzione portò al trono una nuova dinastia cacciando l'antica, non riuscì però a cancellarne ogni traccia nella rappresentanza nazionale; e in tutti i Parlamenti, fuorché nell'Italiano, si trovano sempre, col nome di legittimisti, i fautori dei principi decaduti.

Né vorrà la S. V. trascurar di notare come i nuovi deputati convenuti per la prima volta dalle varie parti d'Italia, le quali per colpa dei politici ed economici ordinamenti erano sino adesso rimaste straniere fra loro ed ignoranti l'una dell'altra, si siano trovati subito d'accordo nei concetti fondamentali; e non siasi mai verificata che una insignificantissima opposizione tutte le volte che si trattasse di provvedimenti che tendessero ad affermare il diritto della nazione, o giovassero a costituirla e a munirla ed armarla per sostenere il suo diritto. E ancora è da considerarsi che l'opposizione, per quanto piccola, non era intesa ad impedire quei provvedimenti, ma anzi ad esagerarli sin dove la prudenza pofitica non permetteva sotto pena di renderli inefficaci o pericolosi.

La novità della condizione a cui erano venute le provincie d'Italia, la

varietà e la diversità delle condizioni in cui erano vissute fin qui fecero luogo

ad interpellanze ripetute e frequenti, le quali, se ad alcuni parvero soverchie,

giovarono però a meglio conoscersi ed accomunarsi degli uomini fra loro e a

darsi reciproca notizia dei loro paesi. Quelle poi che volgevano intorno all'indi

rizzo della politica diedero campo al Parlamento di affermare in modo solenne

il diritto della nazione, e al Governo del Re l'opportunità di manifestare i suoi

intendimenti circa i modi di compiere l'opera a sì buon punto condotta.

Ella, Signore, conosce già questi intendimenti; ella sa che la mutazione di

persone avvenuta nel Gabinetto per la dolorosa e deplorata perdita del Conte

di Cavour non ha indotto mutazione alcuna nell'indirizzo politico da lui con tanta sua gloria e tanto profitto dell'Italia iniziato e continuato. E che egli fosse vero interprete della coscienza della Nazione, e che l'opera sua fosse fondata saldamente, la morte sua stessa lo ha provato. Il Paese, il Parlamento, il Governo, mentre apprendevano come una grande sventura la perdita dell'illustre uomo di Stato, sentivano insieme il bisogno di stringersi viemaggiormente per non disperdere le forze; e l'Italia, priva, appena nata, di uno dei suoi più validi campioni, dava argomento della sua forte vitalità sostenendo la prova dolorosa senza prostrarsi.

E se la S. V. voglia osservare che la maggior operosità legislativa del Parlamento si è spiegata dopo la mancanza dell'egregio statista, e se voglia guardare all'obietto delle principali leggi votate e all'immensa maggioranza dei suffragi che le approvarono, ella comprenderà facilmente come si possa asseverare che gli intendimenti di lui furono dal concorde volere del Parlamento e del Governo efficacemente riassunti e secondati.

In qualche momento, sin dal principio dei lavori parlamentari, poterono nascere incidenti, che sembravano scostarsi dalla pacata e ponderata discussione dei provvedimenti proposti dal Governo del Re, dai bisogni e dai desideri del paese, dalle ragioni della politica internazionale. Però in tanta e cosl. rapida mutazione di cose e di destini, in tanto concorso di elementi varii a compiere la liberazione della patria, in mezzo ai timori destati dagli intrighi esterni che fomentavano e fomentano ancora in alcune provincie le più brutali e violente passioni; in faccia alla occupazione straniera che ancora si accampa minacciosa sovra di una delle più tormentate e più gloriose provincie della Penisola, non dee recar meraviglia che alcuni spiriti più ardenti e meno assuefatti ai temperamenti della vita politica propendessero talvolta ad eccitazioni ne prudenti né opportune. Questi incidenti però, effetto naturale ma passeggiero di transitorie condizioni, non furono tali mai da turbare né in seno alla Camera né fuori la fiducia dei governati verso il Governo, né ma'i si risolvettero in pericolose deliberazioni.

La prova delle cose sovra esposte sta luminosa nella serie degli Atti parlamentari e nelle ottantatre leggi votate in questo primo periodo della sessione, delle quali non sarà inutile citare le principali.

I deputati della nazione tennero per primo loro debito e primo loro pensiero di confermare solennemente il plebiscito delle popolazioni decretando la Corona d'Italia a quel Principe Augusto, la cui lealtà e il valor militare erano stati precipua cagione che le sorti della patria italiana venissero secondate da così universali simpatie e favorite da tanta prosperità di successi. Votando all'unanimità la legge con cui Vittorio Emanuele assume il titolo glorioso di Re d'Italia il Parlamento diede una guarentigia all'Europa monarchica, pose il Governo in grado di assumere fra le nazioni civili il posto che spetta all'Italia, notificando ai Governi esteri la formazione del nuovo Regno ed ottenendone successivamente il riconoscimento.

Feconde di politici risultati furono del pari le leggi relative all'armamento nazionale. Oltre i provvedimenti riguardanti le leve di terra e di mare, il Parlamento sancì nella legge che estende !"istituzione della Guardia Nazionale mobile,

uno degli argomenti più efficaci alla difesa del paese e alla tutela dell'ordine interno.

Non hanno dimenticato gli italiani le solenni parole che, ponendo il piede nella Lombardia liberata, indirizzava loro il nostro Augusto Generoso Alleato: «Siate oggi tutti soldati per esser domani liberi cittadini di una grande Nazione». Poiché nelle armi si educano i cittadini alla temperanza, alla disciplina, alla coscienza della propria dignità e della propria forza, a tutte le maschie ed austere virtù che sono necessarie ad esercitare ed a mantenere la libertà.

Di più, mentre le buone armi sono indispensabili a difendere i preziosi acquisti fatti dalla nazione, d'altro canto, per la fiducia che un popolo fortemente armato inspira agli amici, per il rispetto che impone ai nemici, sono anche un mezzo potente di conseguire pacifici trionfi; o quando, nostro malgrado, fosse turbata la pace, di renderne men lunga e men grave per gli interessi generali d'Europa la non provocata interruzione.

Alla sfera politica non meno che a quella economica appartengono le leggi relative alla unificazione del debito pubblico. Comporre ad unità le varie maniere di debiti ereditate dai piccoli Stati, nei quali la Penisola fu sinora infaustamente divisa, attrarre nell'orbita della vita nazionale gli interessi dei creditori dello Stato e provvedere all'avvenire della Nazione senza offendere i diritti individuali, tale fu la mèta cui mirò il Parlamento nell'adottare i provvedimenti finanziarii proposti dal Governo del Re.

Che questo scopo sia stato raggiunto lo dimostra la gara con cui i capitalisti italiani ed esteri hanno offerto al Governo i mezzi di compiere il prestito votato dalle Camere. La S. V. sa che pei 714 milioni domandati dal Governo si è presentato al concorso oltre un miliardo, e che si attende ancora il risultato

È questo un fatto sul quale io mi compiaccio di fermare l'attenzione dei della pubblica sottoscrizione. Ministri del Re all'estero. Esso dimostra che il Regno d'Italia seppe procacciarsi credito per l'avvenire rispettando con rigorosa giustizia gli obblighi contratti nel passato. Esso è la più splendida prova che gli avvenimenti compiuti in Italia sono, meglio che una rivoluzione, una ristaurazione dell'ordine regolare e normale.

Il Parlamento provvide finalmente allo sviluppo delle forze economiche del paese, accordando la sua approvazione ai disegni di leggi propostigli dal Ministero dei Lavori pubblici intorno alla pronta esecuzione di una vasta rete di strade ferrate. Promuovere in tutte le classi del popolo, mercé lo stimolo del lavoro, la ricchezza insieme e la pubblica moralità, fomentare l'accrescimento dei capitali nazionali colla potente concorrenza dei capitali esteri, scemare gli ostacoli che la distanza e la configurazione della Penisola oppongono al rapido affratellarsi di tutti gli abitanti di essa, tali sono i risultati che il Governo spera di ottenere fra breve dall'energico impulso dato ai lavori pubblici.

A ben comprendere la rivelanza di questo articolo, basti il dire, che, oltre i lavori all'Arsenale della Spezia, si sono concessi per 2700 chilometri di strade ferrate, alla costruzione delle quali il più breve termine assegnato è di un anno e mezzo, e il più lungo di otto anni, e che l'esecuzione delle linee concesse costerà complessivamente circa 750 milioni, dei quali, oltre le garanzie pattuite, 290 milioni circa dovranno essere somministrati dal Governo.

Questa sommaria e rapida esposiziOne basta a far conoscere che il Parlamento nella prima parte della presente sessione provvide non solo ai più urgenti, ma altresì ai più importanti e permanenti interessi del paese.

Ora se guardiamo al cammino fin qui percorso, e se lo misuriamo alla grandezza degli avvenimenti, ci sembra poterne trarre alcuna legittima compiacenza; se guardiamo a quello che ci resta da fare, sappiamo che è scabroso e arduo e pieno d'insidie e di pericoli; ma non ci sentiamo sgomentati: e osiamo tuttavia ripetere con un giusto orgoglio che l'Italia è fatta. Sì, l'Italia è fatta, della sua quiete e della sua pace nel favorirne la restituzione: perché abbiamo fede che l'Europa, quando ci vedrà ben ordinati e armati e forti, si persuaderà del nostro diritto a possedere intero il nostro territorio, e vedrà una guarentigia della sua quiete e della sua pace nel favorirne la restituzione: perchè abbiamo fede che l'Europa, imparando a meglio conoscerci, si persuaderà che noi, popolo essenzialmente cattolico, meglio di ogni altro popolo comprendiamo i veri interessi della Chiesa quando le dimandiamo di spogliarsi dei diritti feudali, che la barbarie le diede e la civiltà non le consente, offrendole in compenso indipendenza e libertà piena ed intera nell'esercizio del suo Santo Ministero, e la gratitudine e l'ossequio di una nazione rigenerata.

Sappiamo bene che la vecchia Europa ci guarda ancora con occhio diffidente e ci rimprovera i disordini che funestano le provincie meridionali, e l'incertezza dell'interno ordinamento. Ma l'Europa conosce le origini antiche di quei disordini, ella che nel Congresso di Parigi stigmatizzò il reggimento depravato che corrompeva ed avviliva quei popoli. Ora abbiam fede che al sole della libertà riprenderanno vigore i loro istinti generosi, e che l'Italia trarrà i più validi aiuti di là d'onde ora le vengono i maggiori pericoli interni. Noi non vogliamo né dissimularli né attenuarli; ma preghiamo che si consideri alle cause remote che li produssero e agli eccitamenti prossimi che, abusando di una generosa protezione data per più nobili fini, li mantengono; preghiamo che si consideri che mai non si vide una Nazione abbattere, come l'Italia, quattro reggimenti diversi e costituirsi in unità con minori disturbi in sì brevissimo tempo.

Gli esempi però di sapienza civile e di virtù dati dal Parlamento sono pegno della maturità politica della Nazione; di cui esso è la legittima e fedele rappresentanza, e devono inspirare una giusta ed intiera fiducia nell'ordinato procedere delle nazionali istituzioni.

Adesso rimane che le parti congregate in uno si conformino in corpo ben ordinato e costituito, nel quale la vita procedendo da un potente ed unico impulso, si diffonda equabile ed efficace a dare atto e vigore a tutte le membra. A questa opera essenziale si prepara il Governo per invocare sopra di lei nella prossima sessione i consigli e l'autorità del Parlamento. Intanto il credito ha somministrato largo alimento alla vitalità necessaria; occorre ora profittarne per ravvivare le fonti della ricchezza nazionale e stabilire con un equo sistema d'imposte il pareggiamento indispensabile fra le spese e le rendite dello Stato. L'Italia deve compiersi, e nessun sacrificio parrà grave agli Italiani per arrivare alla mèta.

Lo spettacolo della nostra unione, della meravigliosa temperanza di questo popolo sorto appena a vita propria e indipendente, deve far persuaso ogni spirito imparziale che l'Italia, lasciata a sé stessa, libera dagli esterni pericoli che ancora la minacciano, posta in possesso di tutte le condizioni necessarie della sua esistenza, sarà, come ne esprimeva la persuasione l'Augusto nostro Re inaugurando il Primo Parlamento Italiano, una malleveria di ordine e di pace per l'Europa, un potente fattore della civiltà universale.

Autorizzo la S. V. Ill.ma a valersi del contesto di questo dispaccio in quel modo che riputerà più confaciente al bene del nostro paese.

251

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 73-77)

L. P. Torino, 31 luglio 1861.

Il contegno del Governo francese apparisce troppo spesso in contradizione con i suoi propri atti, per non dovermi sentire profondamente impressionato nel compimento del mio dovere verso la patria mia. Io mi sono fatto una legge di procedere per quanto mi sarà lecito con molto riguardo verso il Governo imperiale, perché io non posso attenuare la mia convinzione, che prima o dopo non debba più vivamente comprendere che egli ha tutto da guadagnare assistendo più apertamente e più nettamente, che egli non faccia, la causa italiana, al dirimpetto delle varie fasi in cui ella si trova, o può trovarsi onde ne sia facilitata la finale e prospera esplicazione delle difficoltà che tutt'ora la circondano. Occorre ora un fatto, che ove il Governo di Sua Maestà il Re d'Italia non si fosse prefisso questo longanime procedere, non potrebbe passare senza un'officiale e calorosa rimostranza, cui tanto più chiamerebbe l'ultima pratica fatta dal Governo francese verso il Governo italiano a proposito della intromissione operata dal primo nelle cose nostre, al seguito delle supposte atrocità che la Gazette de France annunziava al credulo pubblico, state commesse dal generale Pinelli. Quello che è veramente emerso, e che è oltre credere grave, e inqualificabile sotto tutti gli aspetti, si è la consegna fattasi dal Governo francese al Governo romano delle armi che furono consegnate al Governo francese dal generale comandante il corpo di 15 mila Napoletani, che si ritirarono sul territorio papale e le quali armi eran restate nelle mani dei Francesi e depositate in Castel Sant'Angelo.

Io non poteva credere prima e mi rifugge l'animo dal credere oggi, che que

sta consegna d'armi siasi fatta sciente l'Imperatore; imperocché è di sua natura

un atto così odioso che neppure oso qualificarlo col suo vero nome, come è

illegale sotto tutti gli aspetti l'operata consegna. Fra nemici potrebbe forse esser

compatita. L'odiosità poi che trovasi disgraziatamente compresa in quest'atto,

viene congiunta ad una circostanza, che io aveva fin qui ignorata, e che concorre

a fare eziandio gravissima, dirimpetto al Paese, la posizione di chi ne sente e

dee rappresentarne gl'interessi e i diritti. Questa nuova circostanza apparirà

tosto anche a lei per gravissima sol che ella getti un occhio su gli uniti due tele

grammi (l) che denotano la corrispondenza, per causa di quest'armi passata tra

il Governo imperiale e il Governo del Re.

Oltre tutte le ragioni di diritto v'era pure quella derivante da una promessa formale del Papa, con la mediazione francese, di dare tali armi a colui che restasse padrone del territorio alla cessazione delle ostilità. Ora egli è chiaro che per diritto e per accordo tali armi dovevano esser rese al Governo italiano. Il Governo imperiale ne assunse formale impegno. Tali armi erano in consegna di fatto della Francia, e il suo onore affidava questo Governo sul modo di compiere all'impegno.

Ella capirà come io sia restato profondamente e dolorosamente impressionato alla lettura di questi due telegrammi. Il primo pensiero si è stato quello di indirizzarle un formale officio ond'ella lo comunicasse a S. E. il Ministro degli esteri, che sono certo lo avrebbe accolto quale io mi riprometterei sempre dai sentimenti di dignità e benevolenza, non che di giustizia, che a lui son propri. Ma io ho pensato che grave ne sarebbe stato l'imbarazzo in cui lo stato delle cose, e il contegno del Governo papale avrebbero posto il Governo francese al dirimpetto dell'opinione pubblica, che si sarebbe profondamente commossa per il triste giudizio che in Europa si sarebbe fatto di questo malaugurato fatto. È evidente che il Governo francese ha consegnato ai nostri nemici, in offesa al diritto, e alla formale promessa, armi confidate al suo onore. Non ce lo dissimuliamo, questo fatto è destinato a recare nell'animo di tutti una molto ingrata sensazione verso l'Imperatore e il suo Governo, ed io che sono in grado di calcolarne tutta la entità, !ungi da profittarne per fare atto officiale e solenne, mi sono appreso piuttosto a dirigere prima questa lettera confidenziale a lei e avvisare poi ai passi ulteriori.

Questa comunicazione anche per il deferente e benigno modo con cui è fatta, !ungi dall'indebolire il giusto e vivo lamento che la Nazione Italiana e il suo Governo avrebbero giusta ragione d'esprimere, lo rafforzerà e quindi do a lei, Commendatore pregiatissimo, titolo pieno di aprire senza esitanza l'animo suo al Governo imperiale, non che a S. M. l'Imperatore stesso.

Le notizie che ho avuto stamani (l) l'occasione di comunicarle intorno il

deposito di armi a Subiaco e a Casamari, impongono al Governo del Re il dovere

di uscire da uno stato di cose che tengon vivo il turbamento interno e man

tengono le nostre popolazioni quasi in uno stato di guerra. Egli è evidente che

le armi francesi stanno a Roma protettrici di ogni cosa che colà si commette

a danno di un'intera nazione con offesa della umanità. Se il generale Goyon

adoperasse una frazione dello zelo che egli pone in tutela di un solo soldato a lui

affidato, anco a difendere e tutelare le frontiere dalla irruzione dei barbari che

da ogni parte d'Europa concorrono a Roma ai soldi di un Papa e di un Borbone,

potrebbesi ancora scusare la Francia, se prolunga un'occupazione militare in vista

di un'incognita providenziale; ma quando i danni di questa occupazione si fanno

tutti i giorni sì numerosi, manifesti e minacciosi, comincia un tale atto a pigliare

aspetto ben triste, e non si sa più a che si debba attribuire; e ci vuole un senti

mento d'affetto per l'Imperatore per non indagare quali ne possono essere le

malaccorte ragioni.

Né qui potrei impedirmi dal richiamare alla memoria di lei le nette dichia

razioni che io le ho fatte sopra questo grave argomento, che inchiude in sé

l'avvenire di due nazioni, che sono destinate a stare alla testa della civiltà moderna. Badiamo adunque che non si disgiungano, ma badi la Francia di non costringer l'Italia a tralasciare quella via di prudenza e di sani principii seguita fin qui, e al che potrebbe essere costretta ove ai suoi giusti reclami, che sono nell'interesse comune, la Francia intromettesse mal volere piuttosto che assennato aiuto.

• Il Conte Vimercati mi ha scritto più volte intorno due Ungheresi che vorrebbero venire a Torino ed arruolarsi in un piccolo corpo di Ungheresi che è qua. Il Governo del Re ha deliberato di non ricevere più di tali Ungheresi, che inducono una fortissima spesa e sono causa per la loro indisciplinatezza di molti lamenti •

(l) I telegrammi, avvertono il Tabarrini e il Gotti in RrcASOLI, op. cit., VI, p. 74, non si sono trovati. Né è stato ora possibile rinvenirli.

(l) Telegramma 31 luglio 1861, ore 10,20, n. 441.

252

IL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Annesso cifrato al) R. 524. Bruxelles, l agosto 1861.

La cause de la reconnaissance du Royaume d'Italie peut ètre considerée comme vaincue auprès des Ministres, il reste à connaitre les intentions du Roi que ces Messieurs assurent ignorer complètement.

253

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE l. Parigi, 1 agosto 1861.

Giunto jer mattina in Parigi mi recai immediatamente alla Legazione e domandai per iscritto al signor Billault, che ha la temporaria direzione del Ministero degli Affari Esteri, l'udienza d'uso per presentargli copia delle mie credenziali e per pregarlo di voler sollecitare dall'Imperatore gli ordini occorrenti per la mia presentazione officiale. Il signor Billault mi ricevette oggi ed ebbe da me comunicazione della copia delle credenziali di S. M. il Re. S. E. mi promise di portarne subito il contenuto a notizia dell'Imperatore e di farmi poi conoscere ufficialmente le disposizioni di S. M. I. intorno al mio ricevimento.

Approfittai di questa occasione per comunicare al signor Billault il contenuto del telegramma mandatomi jeri da V. E. relativamente ai depositi d'armi segnalati sulla frontiera pontificia e destinati ad alimentare il brigantaggio nelle Provincie Napoletane. Dissi che il Governo del Re si credeva in diritto di provvedervi anche passando la frontiera, ma che s'asteneva di farlo per riguardo alla Francia, ed al suo esercito; che però si trovava in obbligo d'insistere presso il Governo Imperiale affinché volesse ordinare al Generale Comandante il Corpo d'occupazione a Roma di far buona guardia sulla frontiera e d'impedire che l'insurrezione trovasse rifugio, armi ed ajuti sul territorio guardato dai soldati di Francia. Il signor Billault pigliò nota di quanto gli esposi, scrisse il nome dei luoghi segnalati come depositi d'armi e munizioni e mi assicurò che farebbe spedire per telegrafo oggi stesso gli ordini convenienti al Generale Goyon perché provvedesse in conformità dei nostri giusti desiderii. Della qual cosa mi affrettai a dar partecipazione telegrafica a V. E.

Feci pure comunicare al Ministero degli Affari Esteri ed ai giornali il tele

gramma di Cialdini che V. E. mi ha spedito in data d'oggi (1).

Quantunque il Signor Billault non sia che l'incaricato provvisorio del Ministero degli Affari Esteri nell'assenza del signor Thouvenel, volli tuttavia intrattenere S. E. della principale questione che interessa ad un tempo Italia e Francia. Io era invitato a farlo e per la posizione di questo Ministro, divenuta più importante dopo la parte da esso presa nelle discussioni del Corpo legislativo, e per le sue opinioni abbastanza liberali e favorevoli all'Italia, e per le ottime relazioni che ebbi sempre personalmente con lui. Gli esposi adunque la condizione del nostro paese che qui, non giova il nasconderlo, si dipinge con foschi colori. Non gli celai le difficoltà di Napoli. Ma sostenni che il Governo del Re era abbastanza forte per superarle, ove sopratutto la Francia ci ajutasse a spegnere in Roma il focolare degl'intrighi che colà si ordiscono contro i due Governi alleati.

Questo discorso ci condusse naturalmente a toccare più da vicino la Questione Romana. Dissi al signor Billault che il Governo del Re non aveva intorno alla soluzione di tale questione l'impazienza di cui fu accusato, ma bensi la preveggenza che è suo obbligo di non trascurare. Soggiunsi che quest'obbligo di preveggenza ci imponeva il dovere di esporre alla Francia la vera condizione delle cose in Italia, quale necessariamente deriva dallo stato in cui si trovano il Papato e la Chiesa di fronte al nuovo Regno italiano; che non bisognava limitarsi ad aspettare il benefizio del tempo e rimettersi al caso quando si tratta d'interessi di cosi enorme importanza; che quindi era politica prudenza il considerare fin d'ora, d'accordo tra i due Governi alleati, i mezzi più acconci a risolvere la questione; che il Governo del Re era disposto a camminare in questa bisogna con piedi di piombo, purché si camminasse, e che 'infine essendo egli convinto che un uguale interesse deve spingere la Francia a desiderare che si risolva senza commovimento questa grande questione, era disposto ad ajutare il Governo Imperiale a togliersi una volta dal grande impaccio dell'occupazione di Roma.

Non volli entrare col signor Billault in altri particolari giacché, fra quattro giorni, egli deve rimettere la direzione degli Affari Esteri al signor Thouvenel, che sarà di ritorno a Parigi giovedi prossimo. Quel tanto che gli dissi, parmi sufficiente per mettere quest'uomo di Stato in caso di conoscere le disposizioni del Governo del Re e di ajutarlo nelle discussioni che potessero aver luogo in proposito nel Consiglio dei Ministri. Mi riservo di tenere un linguaggio più esplicito col Signor Thouvenel.

Il signor Billault mi confermò espressamente i sentimenti dell'Imperatore, benevoli all'Italia, e il desiderio di lui di trovare una conveniente soluzione della Questione Romana. Disse però che l'Imperatore non poteva dissimularsi la grande difficoltà della cosa; che il ritiro del Corpo d'occupazione formava ora più che mai

20 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. I

la preoccupazione costante di S. M. I., che cercava assiduamente il modo d'uscire

convenevolmente dalla posizione in cui trovavasi impegnato a Roma; ma che

dall'un lato il Papa e i suoi consiglieri rigettano ogni progetto di ragionevole

componimento, e d'altro lato il partito che si chiama cattolico in Francia non

cessa dall'opporsi con ogni mezzo al richiamo delle truppe. Egli conchiudeva

invitandoci ad aver fede nei sentimenti dell'Imperatore, il quale non è meno

ansioso di noi nel volere una buona e pronta soluzione, ma la cui indole è di

nulla precipitare, di nulla compromettere.

Questo linguaggio non m'apprese certamente nulla di nuovo. Ma da queste

parole e da quanto mi disse il Generale Fleury, e più ancora dall'articolo inserito

jeri nel Pays intorno ai litigi del Generale Goyon e del signor De Merode, parmi

chiaro essere l'Imperatore in una disposizione d'animo a noi favorevole intorno

alla Questione Romana.

Non ho ancora potuto vedere il signor Benedetti che fu jeri ed oggi assente.

Ma mi si accerta da persona con cui suole aprire l'animo suo, che le sue istru

zioni conterranno un progetto di soluzione. Sarò presto in misura di riferirle

quanto siavi di vero in questa asserzione.

Il Conte Gropello continua ad avere la firma ufficiale fino alla presentazione

delle mie credenziali all'Imperatore. Compiuta questa formalità, esso andrà ai

bagni di Luçon, e poi si recherà a Torino a prendere gli ordini di V. E. L'incidente

a cui diede luogo la presentazione del Conte Pernati fu, a mia cura, interamente

appianato (1). Il Conte di Gropello, in mezzo a difficoltà grandi, e in una posi

zione penosa, adempi in modo conveniente e lodevole l'ufficio affidatogli d'Incari

cato degli Affari di S. M. il Re. Credo che V. E. farebbe cosa giusta proponendo

a S. M. di manifestargli la sua sovrana approvazione promovendolo ad ufficiale

nell'Ordine Mauriziano. Ad ogni modo io mi credo in rigoroso debito di farne la

proposta a V. E.

Il Conte Vimercati sarebbe grato a V. E. s'Ella volesse fargli pervenire

prontamente il documento che contiene la sua nomina ad Applicato Militare alla

Legazione d'Italia.

(l) Riguarda felici operazioni contro gli insorti nel Mezzogiorno.

254

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI

T. 455. Torino, 6 agosto 1861, ore 11,45.

J'approuve destination Comte Fé, selon votre réservée du 21 juillet et je vous invite à hiì.ter exécution.

(l) Allude all'incidente di cui il Gropello si era lamentato col suo telegramma n. 651 del 27 luglio 1861 : < Vimercati ayant pris sur lui et à mon insue de présenter au Comte de Persigny le Comte Pernati, après que, sur la demande de ce dernier et d'après la dépécheofficielle de V. E. du 21 courant, j'avais fait une demande officielle pour ce Monsieur, ma position jusqu'ici très difficile n'est plus tenable depuis la reconnaissance du Royaume d'ltalie. Je supplie donc respectueusement V. E. de vouloir bien me mettre en disponibilité ou me faire accorder ma démission. J'ai toujours servi mon pays avec tout le zèle et toute l'abnégation possible, mais par suite de l'état actuel des choses ma dignité et mon amour proprejustement froissé, ma position vis-à-vis du Corps diplomatique ici et mes collègues italiens m'obligent à soumettre à la bienveillance de V. E. ma demande précitée. Que V. E. daigne me répondre •. Ricasoli gli aveva risposto di pazientare fino alla venuta di Nigra (tel. n. 436, 28 luglio 1861).

255

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI,

AL MINISTRO A FRANCOFORTE, BARRAL

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 6 agosto 1861.

J'ai lu avec un vif intéret votre dépeche confidentielle du 28 du mois dernier. Ma réponse vous arrivera au retour de la petite excursion que vous alliez faire et dont je vous félicite.

Les nouvelles que vous me donnez de vos entretiens avec S. E. le Ministre des Affaires Etrangères de Bade m'ont causé une satisfaction réelle. Veuillez le remercier au nom du Gouvernement du Roi de l'accueil si bienveillant qu'il vous a fait et des dispositions dont il se montre animé envers l'Italie. Des vues aussi justes, aussi exemptes de toute prévention et aussi élevées, ne peuvent que faire concevoir une haute idée de l'intelligence politique et de la droiture de l'éminent homme d'état qui les professe. Il est grandement à désirer que l'influence de ses convictions s'étende bien au delà du cercle de son action offi.cielle et que la politique sagement et franchement libérale inaugurée par le Gouvernement Granduca! de Bade contribue à éclairer et à stimuler l'opinion des pays qui l'entourent.

Ces exemples et ces encouragements qui viennent d'en haut ont l'immense avantage de piacer la direction du mouvement libéral dans les mains les plus capables de le guider, et de rendre sa marche régulière et facile. La manière dont l'Italie est parvenue à se constituer en écartant les périls qui naissent des passions populaires livrées à elles memes, en posant comme base de son organisation des principes rassurants pour la royauté et pour l'ordre social, peut offrir à cet égard d'utiles enseignements. Comme M. de Roggenbach l'a compris, et il importe de bien insister sur cette vérité, de la propager autant que possible, la nationalité italienne et la nationalité allemande ne sauraient trouver aucun motif qui doive les rendre hostiles l'une à l'autre; loin de s'exclure, elles peuvent fort bien coexister ensemble, elles ont memes intéret à ce que leur existence réciproque soit solidement assise et à l'abri de toute atteinte.

La domination autrichienne sur l'Italie n'a jamais étée et ne pourrait jamais etre pour l'Allemagne qu'une source de guerres stériles et une menace pour ses propres libertés. L'Allemagne ne saurait oublier que depuis Charles V et la guerre des trente ans toute fois que l'Autriche a pu disposer des forces de l'Italie, elle s'en est servi pour opprimer les états germaniques, comme elle se servait de régiments allemands pour écraser l'Italie.

L'Allemagne doit encore se souvenir que dans toutes les guerres des siècles passés, comme dans la grande lutte qui a marqué le commencement de ce siècle, l'Autriche a constamment sacrifié les intérets allemands à la conservation et à l'extension de ses possessions italiennes, et que plus d'une fois, lorsque le sang allemand coulait en Italie pour une cause qui lui est étrangère, les armées autrichiennes faisaient défaut à la défense de l'Allemagne. Ce ne serait qu'une vaine et injuste ambition, chèrement payée par des sacrifices funestes à leur indépendance et à leur prospérité, qui pourrait porter les Allemands à soutenir les prétentions de l'Autriche sur un pays qui ne pourra jamais se plier à la domination étrangère. La sécurité au contraire de l'Allemagne trouvera dans l'Italie réunie sous un seui gouvernement national et fortement constitué une véritable garantie.

En 1815 l'Europe avait songé à élever entre les grands états de l'Allemagne et la France des barrières qui pussent empècher sur les points les plus essentiels des contacts immédiats et des collisions faciles. Mais l'une de ces barrières, les Pays Bas, fondée sur l'union de deux pays malheureusement divisés par des différences religieuses et nationales, est tombée. La seconde, la neutralité suisse, tant qu'elle reste isolée entre l'Allemagne et la France, tant qu'il n'y aurait pas d'autre grand état intéressé à son maintien, n'opposerait pas un obstacle assez puissant aux agressions possibles de voisins immensément plus forts.

La troisième enfin, le Piémont agrandi de quelques provinces, n'était pas capable de se soutenir contre l'Autriche qui avait reçu en Italie des agrandissements bien plus considérables, et qui profitant sans cesse de sa position pour étendre son empire dans la péninsule en se rapprochant des frontières de la France, et l'ltalie devenait ainsi un champ clos dans lequel l'Allemagne entrainée par l'Autriche d'une parte, la France de l'autre viendralent engager des luttes dont le seui résultat possible pour l'Allemagne serait de la pr'iver d'une grande partie de ses forces et de ses ressources. Or il est d'une évidence incontestable que la formation du Royaume Italien remédie en grande partie à ces inconvénients, éloigne de l'Allemagne des dangers de conflits qui n'intéressent pas sa puissance réelle, et la rend bien plus libre dans son action intérieure,

Maintenant il dépend de l'Allemagne de compléter ses gages de sécurité en se donnant à son tour une organisation plus compacte et plus forte et l'Italie ne saurait que former les vceux les plus sincères pour le succès d'une cause qui répond à ses principes non moins qu'à ses sympathies et qui est d'ailleurs dans les convenances de l'équilibre européen tel qu'il devrait ètre constitué pour qu'il fut solide et durable. Il est en effet d'un grande intéret pour l'Europe occidentale qu'il y ait au centre de notre continent un peuple bien organisé, fort, et à mème, par le développement de toutes ses ressources, de former <Comme un boulevard contre tout mouvement d'expansion qui de l'Orient et du Nord pourrait mettre en péril l'indépendance des autres nations. On a cru pendant quelque tems que l'Autriche serait capable de remplir cette mission. Mais l'Europe a du revenir de cette idée. D'abord l'importance de l'Autriche a diminué du jour où l'Empire Ottoman a cessé d'ètre un danger et a en lui mème besoin de protection. Dès ce jour d'autres dangers menacent l'Europe du coté de l'Orient. Or l'Autriche non seulement s'est montrée impuissante à conjurer ces dangers, mais en deux occasions que les Puissances occidentales n'ont pu oublier, elle a agi de manière à les accroitre. Et cette impuissance n'est pas accidentelle. Composée d'éléments éthérogènes qui sont pour elle une source permanente de troubles et de faiblesse, l'Autriche n'est pas plus libre de sa politique que de ses forces. L'Allemagne par contre n'ayant ni nationalités rivales dans son sein, ni à ménager au delà de ses limites des intérèts qui paralysent son action, serait bien plus apte, une fois qu'elle serait compacte et fortement constituée, à remplir les desseins de l'Europe civilisée. Ainsi

les intérets bien entendus de l'Europe se trouvent dans un parfait accord avec les aspirations germaniques, et l'Allemagne a tout à gagner à laisser tomber l'Autriche dans le gouffre qu'elle meme a creusé sous ses pieds, et à la dépouiller de la suprématie que cet état, qui peut à peine s'appeler allemand, s'était arrogée sur la noble Allemagne.

Le mouvement national allemand a sans doute lui aussi de grandes difficultés à traverser pour atteindre le but qu'il se propose. Mais ces difficultés seront bien moins graves, elles pourront etre bien plus aisément surmontées, si, comme vient de le faire l'ltalie, l'Allemagne sait diriger son mouvement dans une voie pratique et le défendre de tout errement révolutionnaire, de toute subversion de l'ordre social; si elle sait tirer parti des éléments qui existent, au lieu de les détruire par la violence, ou de les indisposer par des tendances désorganisatrices.

Grace d'ailleurs aux proportions numériques de sa population et à son organisation militaire l'Allemagne n'a peut-etre pas un besoin immédiat d'une unité aussi complète, aussi absolue que l'Italie, et peut trouver, comme transition du moins, une solidité et une force d'enseinble plus que suffisante dans des formes qui n'exigent pas le renversement total de sa constitution actuelle.

L'attitude prise, d'après ce qui vous résulterait, Monsieur le Comte, par le Roi de Prusse après le coupable attentat commis sur sa personne, fait honneur à sa haute perspicacité, tout autant qu'à l'élévation de son caractère, et ne peut que lui captiver en Allemagne comme en dehors l'estime et les sympathies de tous les hommes de sens et de creur. Il est heureux pour l'Allemagne comme pour la traquillité de l'Europe que le Prince le plus influent de la Confédération Germanique soit convaincu que le meilleur moyen d'obvier à ces déplorables délires du fanatisme politique est de donner satisfaction à ce que les aspirations libérales et nationales d'un peuple ont de légitime, de réalisable, et d'irrésistible.

Vous aurez soin; Monsieur le Comte, de faire connaitre hautement et partout l'admiration qu'une aussi noble conduite nous inspire, et les espérances qu'elle nous permet de nourrir pour le maintien de la paix en Europe.

La résolution de S. M. le Roi Guillaume de donner à sa politique des allures nationales plus prononcées que pour le passé, fait naitre en nous la confiance que dans un avenir prochain la Prusse se décidera à reconnaitre en Italie, ce qui est le résultat de ce meme esprit national dont on commence à apprécier les nécessités en Allemagne, et qu'en établissant avec le Royaume d'ltalie des relations officielles et ouvertes, le Cabinet de Berlin contribuera à faire disparaitre ces illusions que l'Autriche et les partis réactionnaires fondent encore sur un concours possible de l'Allemagne.

Je pense que le Cabinet de Bade peut avoir quelque influence à Berlin, et je ne doute pas que vous ne l'engagiez à l'employer dans un sens évidemment utile à la paix de l'Europe et par conséquent au développement national en Allèmagne.

Dans certains cercles à Berlin on prétend que la décision du Roi de Prusse de se rendre au camp de Chalons aurait été encouragée par le parti de la Croix qui semble y rattacher des espérances réactionnaires. La grande loyauté de

S. M. Prussienne me fait regarder ces soupçons non seulement comme futiles mais presque comme injurieux. Cependant il serait utilè de connaitre sur quelles données la réaction base ses calculs, et si vous pouvez nous procurer à cet égard des renseignements sftrs et précis, je vous en serait obligé.

Ne cessez pas en attendant d'agir en faveur de notre cause par tous les moyens possibles. Il faut profiter des bonnes tendances de l'Allemagne et du temps d'arret qui se produit dans la politique générale pour faire prendre à ses tendances une portée pratique.

256

IL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Annesso cifrato a) R. s. n. Bruxelles, 6 agosto 1861.

Comme nous en avions été convenus, étant allé rendre compte au Ministre des Affaires Etrangères de mon audience au Roi, il m'a dit que S. M. lui avait parlé pour la première fois de la reconnaissance en question et qu'Elle lui avait dit qu'Elle ne comprenait pas l'importance que nous attachions à la reconnaissance de la Belgique; et que d'ailleurs la Maison de Savoie ne devait pas oublier qu'Elle lui a fait attendre près de deux ans sa reconnaissance (1). Le Ministère a bonne volonté, mais il se sent trop faible pour brusquer la chose.

257

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 85-88)

R. CONFIDENZIALE 4. Parigi, 7 agosto 1861.

Oggi fui ricevuto dal Signor Thouvenel che riprese in questi giorni la direzione degli Affari Esteri.

Passo a dar conto a V. E. della conversazione ch'ebbi con lui.

Cominciai ad esporre al Ministro degli Affari Esteri, come già avevo fatto col sig. Billault, il vero stato delle cose in Italia, qui generalmente poco conosciuto, valendomi, entro i dovuti limiti, dei dati e dei ragionamenti ch'Ella mi espose a voce e per lettera. Dissi il Governo del Re essere intento all'organizzazione dell'esercito ed a quella dell'amministrazione interna, le difficoltà dell'Italia meridionale essersi rese minori; poter esse scomparire in gran parte coll'aiuto di Francia il di in cui sarà tolto a Roma il principale alimento alle insurrezioni, al disordine ed al brigantaggio. Aggiunsi che questa nostra convinzione aveva spinto il Governo del Re ad interessare il Governo Francese perché si cercasse d'accordo il modo di togliere Italia e Francia da una posizione imbarazzante per tutti; che il Governo italiano non si dissimulava le enormi difficoltà che circondano la questione di Roma, che esso non ignorava la poca probabilità di ottenere un accordo col Papa sulla base della rinunzia al potere temporale; e che si rendeva egualmente capace delle difficoltà che il

Governo imperiale incontra, su questo scabro terreno, in seno ai partiti e in seno al suo Parlamento, ma osservai che d'altra parte la posizione dei Governi d'Italia e Francia relativamente a Roma è tale da non potersi senza gravi inconvenienti tollerare a lungo. Non celai che per parte del Governo Italiano le difficoltà potrebbero essere tali da comprometterlo verso la Nazione e il Parlamento se non si trovasse in tempo più o meno prossimo un rimedio efficace ai mali presenti. Mentovai i pericoli e i danni della presenza di Francesco II a Roma, protetto dalle armi francesi, i tentativi continui che si fanno di là per le vicine provincie di Napoli; accennai ai depositi d'armi segnalati a Subiaco e Casamari e chiamai la speciale attenzione del Sig. Thouvenel sulle mene e sugli arruolamenti che avrebbero luogo in Marsiglia.

Cionondimeno soggiunsi non essere intenzione del Governo italiano di voler precipitare gli eventi con misure inopportune o imprudenti, ma si bene d'avvisare fin d'ora, come è debito di previdente Governo, d'accordo colla Francia, ai mezzi convenienti per risolvere questa grande questione conforme a giustizia e nell'interesse dell'Italia, della Francia e della Chiesa stessa. Conchiusi dicendo che tale e non altra doveva essere l'interpretazione da darsi alle istanze che erano state fatte in proposito dal Governo del Re.

Il Sig. Thouvenel convenne dell'imbarazzo in cui la questione di Roma e l'occupazione francese pongono il Governo Imperiale in Francia e fuori. Disse essere desiderio dell'Imperatore di ritirare le sue truppe da Roma; a ciò aver rivolto da lungo tempo e rivolgere ora più che mai il·suo pensiero. Ma si mostrò molto preoccupato dell'opposizione dei partiti e delle contrarie tendenze manifestatesi con tanto ardore in seno al Corpo Legislativo e più ancora al Senato. Mi consigliò alla prudenza ed alla pazienza, confortandomi tuttavia a ben sperare nelle eccellenti disposizioni dell'Imperatore e promettendomi di tornar meco in breve su questo grave soggetto. Il Sig. Thouvenel riconosce, al pari di noi, i pericoli della presenza di Francesco II a Roma; spera che esso stesso piglierà il partito d'andarsene; disse che il Governo francese aveva vivamente consigliato Francesco II a lasciare Roma, e che aveva fatto passi in proposito presso il Governo Pontificio, ma confessò che finora i suoi consigli e le sue sollecitazioni, in questo come in molte altre cose, erano stati indarno, e non mi celò che non aveva mezzi più efficaci d'ottenere l'intento, salvo quello di richiamar le truppe; il ·che, per ora, non s'era ancora creduto di dover fare. Intorno ai depositi d'armi a Subiaco e Casamari, il Sig. Thouvenel mi confermò che si era scritto in proposito a Roma perché si verificasse se il fatto era vero e perché si raddoppiasse la sorveglianza sulla frontiera.

Parlai dell'interdetto posto dal Governo Pontificio sui telegrammi in cifra spediti dal Governo del Re al Console italiano in Roma, e delle rappresaglie a cui questa misura aveva dato luogo per parte nostra (1). Il Sig. Thouvenel ne parlerà all'Imperatore, al quale ne farò io pure parola, ~erché, se può farlo convenientemente, provveda allo sconcio, facendo cessare questa dimostrazione d'inefficace ostilità per parte di Roma.

Vengo all'affare delle armi. Il Sig. Thouvenel disse che queste armi furono depositate negli arsenali pontifici con riserva fatta dal Governo francese perché si rimettessero, a guerra finita, al Sovrano territoriale; che intanto il Governo Pontificio reclamava il rimborso delle spese fatte pel mantenimento dei trentamila soldati napolitani, che il Governo francese interpellò il Governo del Re se volesse rimborsare queste spese, e che la risposta fu negativa; che quindi le armi rimasero come naturale compenso di queste spese al Governo Pontificio. Soggiunse che dette armi sono tuttavia nel luogo di deposito. Non negò che competesse al Governo del Re il diritto di domandarle al Governo Pontificio contro il pagamento delle spese di cui sopra, appoggiandosi all'esempio di quanto fu fatto, in caso simile, durante la guerra di Lombardia, in !svizzera, ove soldati francesi e austriaci eransi ritirati con armi e bagagli. .Ma consigliò a non sollevare questa questione in questo momento. Rimane ora che V. E. decida se, di fronte a queste dichiarazioni e a questi consigli, sia cosa opportuna ed utile lo insistere per la restituzione delle armi in discorso, e il rivolgersi, a tal fine, direttamente al Governo Pontificio.

Dall'insieme delle cose dettemi dal Sig. Thouvenel parvemi scorgere che si stia in questo momento maturando nel pensiero dell'Imperatore un progetto di soluzione più o meno completa della Questione Romana, ma che questo progetto dipenda ancora da qualche risposta che si aspetta da Roma, o da eventualità che si aspettano d'altronde.

Intavolai col Sig. Thouvenel le prime pratiche relativamente alla negoziazione di un trattato commerciale, ma di ciò Le parlerò poi in dispaccio separato.

Domani a mezzodì presenterò a S. M. l'Imperatore le mie lettere di credito. Il ricevimento avrà luogo alle Tuileries.

Il Sig. Thouvenel non mi confermò che l'Imperatore avesse rivolto al Papa una specie d'ultimatum per ottenere una soddisfazione sull'affare Merode, minac· ciando, in caso di rifiuto, il ritiro delle truppe (1).

(l) Cfr. A. CORBELLI, n Belgio indipendente e te sue prime relazioni col Piemonte nel volume Belgio e Piemonte net Risorgimento, Torino 1930.

(l) La sospensione dei telegrammi in cifra da Roma per Torino si era iniziata il 31 luglio. All'annunzio dategliene dal Teccio di Bayo, Ricasoli aveva risposto l'l agosto d'aver dato ordini agli uffici telegrafici del Regno di non dar corso ai telegrammi in cifra provenienti dal Governo Papale.

258

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 458. Torino, 8 agosto 1861, ore 11,30.

Général Cialdini m'annonce l'approche d'une grande explosion dans la ville de Naples, mais il est sur ses gardes et pret. Le Gouvernement regarde avec calme la probabilité de déblayer les rues par la mitraille; ce sera la fin de la fin et le commencement de l'avenir. Si nous n'arrivons là, nous nous logorons inutilement sans assurer l'avenir et sans en finir avec les conspirateurs et les camoristes. Je vous tiendrais informé si les prévoyances se vérifient.

(l) ·Di ciò il Nigra aveva informato il Ricasoli col telegramma n. 682, 5 agosto 1861 (ore 14,30, per. ore 15,30).

259

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 88-89)

L. P. 2. Parigi, 8 agosto 1861.

Pregiomi d'accusar ricevuta a V. E. delle lettere particolari ch'Ella mi diresse in data del 3, del 5 e del 6 agosto (l) corrente, e la ringrazio della confidenza ch'ella mi mostra, e che io tenterò di meritare.

Fui ricevuto oggi dall'Imperatore. L'udienza fu pubblica e quindi inconcludente, tranne che S. M. fu molto cortese e molto amabile. Aspetto l'occasione di un'udienza privata. Ma non ho guari fiducia che si presenti per ora. L'Imperatore parte per Chalons e poi per Biarritz e poi per Compiègne. Eccomi quindi per due mesi nella quasi assoluta impossibilità d'avvicinarlo. D'altra parte Thouvenel va spesso alla campagna, ed è molto difficile il coglierlo. Ad ogni modo farò il possibile per sapere le intenzioni del Governo imperiale sulla que~ stione di Roma, prima che Benedetti giunga in Torino. Da quanto quest'ultimo mi disse, parrebbe che qui non si sia alieni dal rimettere sul tappeto la questione del trattato. Ma un'idea ben netta e ben positiva parmi che ora no?-ci sia. Il Sig. Thouvenel mi dichiarò esplicitamente essere senza fodamento la notizia corsa d'una specie d'ultimatum spedito a Roma dall'Imperatore, con minaccia di ritirar la guarnigione francese, ove non gli si desse soddisfazione sull'incidente Merode.

La nostra posizione si va qui migliorando. Comincio a riconoscere una maggior fiducia nel Governo italiano e nelle cose nostre. Evidentemente la soluzione della questione romana sta altrettanto almeno nelle mani nostre, quanto in quelle dell'Imperatore. Armiamo, e tranquillizziamo Napoli. Sono questi i due mezzi più sicuri per arrivare al Campidoglio. Certo l'impresa nostra sarebbe più facile e più spedita senza la presenza del Borbone in Roma e senza la protezione francese, cosi abusata dal Papa. Ma bisogna ad ogni costo mettersi in misura di vincere gli ostacoli, senza contare su certe eventualità. Spero che il Governo francese sta mettendosi sulla buona via. Ma lo fa lentamente ed è tuttavia peritoso. Noi possiamo spingerlo più coll'opera che colla persuasione delle parole e dei ragionamenti.

Il buon andamento della Sicilia val più che tutti i protocolli; e dobbiamo in gran parte ad esso ed ai primi felici esperimenti di Cialdini, se qui si comincia a credere davvero all'unità italiana.

Siccome non prevedo d'aver cosa importante a comunicarle per alcuni giorni, Le rimando il Corriere di Gabinetto, a cui confido la presente spedizione.

(l) La lettera del 3 agosto, che si riferisce al Padre Giacomo da Poirino, confessore del \.:onte di Cavour, e alla di lui chiamata a Roma, è in Ricasoti, VI, pp. 77-83; delle altre due lettere non v'è traccia nè all'Archivio di Brolio, nè all'Ar\!hivio Storico del Ministero degliAffari Esteri. Le lettere e i telegrammi, <!he Ricasoli e il Comole a Roma, Teccio di Bayo, si scambiarono sul c caso • del Padre Giacomo da Poirino sono stati pubblicati da M. MAzzioTTI, Il Conte di Cavour e iZ suo confessore, Bologna 1915, pp. 115-125.

260

IL MINISTRO DEGLI INTERNI FRANCESE, PERSIGNY,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 91-92)

L. P. Parigi, 9 agosto 1861.

J'ai reçu la lettre que vous m'avez fait l'honneur de m'écrire par l'intermédiaire de le chevalier Fabio Uccelli, avec lequel j'ai eu le plaisir d'avoir plusieurs conversations. J'ai expliqué longuement à Uccelli la situation du gouvernement de l'Empereur vis-à vis de l'Italie. Pour la question principale, l'indépendance et l'unité de l'Italie, les sentiments de l'Empereur et de la plupart des hommes de son gouvernement, sont franchement décidés et par les raisons que je vous ai exposées déjà. La question religieuse est la seule qui en agitant des consciences autour de l'Empereur et de son Gouvernement, embarrasse encore la politique. C'est une affaire de patience; et s'il est facheux d'ètre encore obligés d'avoir à combattre les petites intrigues cléricales et autres mises en reuvre contre la grande cause de l'Italie, ce ne sont après tout que des intrigues et il n'y a rien de bien sérieux dans tout ceci. Par exemple, quand j'ai vu certaine dépeche télégraphique adressée en clair à mon ami Fleury, je ne m'en suis pas ému. J'ai pensé que la bonne foi de l'Empereur avait été momentanément surprise, et je n'ai pas douté que le destinataire de la dépeche ne saurait y répondre convenablement. A ce sujet j'ai vu avec plaisir le résultat du voyage de Fleury. Les bonnes paroles et son autorité ont effacé promptement les mauvaises impressions reçues précédemment. Le général qui s'est attaché à son retour à confirmer tout ce que la renommée nous a appris de l'élévation de votre caractère et de l'autorité de votre nom sur l'Italie, exerce ici une très bonne influence. Ce pays est d'ailleurs fatigué de tout ce qui nous arrive de Rome. Tout marche, j'en suis convaincu, à une solution. Mais je ne saurais trop le répéter, que V. E. ne paraisse pressée, qu'Elle dise très haut que la question de Rome ne doit pas etre tranchée par la violence. Plus l'Italie paraitra résignée à attendre avec calme la solution de l'avenir, plus l'avenir touchera au présent.

261

IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE. Francoforte, 11 agosto 1861.

Le Ministre de Prusse m'a pris hier soir à part pour me confier que c'était lui que S. M. avait chargé à Bade de rédiger la lettre en réponse à celle que le Roi Notre Auguste Souverain Lui avait adressée pour La féliciter à l'occasion de l'attentat dont Elle a failli etre victime. M. d'Usedom m'a dit que S. M. l'avait copiée sans y changer un mot, et qu'en y exprimant la pensée que «l'ltalie et

la Prusse étaient deux grandes nations bien faites pour s'entendre », le mot de nations employé à dessein au lieu de Gouvernements indiquait suffisamment que

S. M. aussi bien que lui, M. d'Usedom, avaient voulu répondre d'une manière aussi explicite et sympathique que possible pour le moment, aux allusions que renfermait la lettre du Roi relativement à la reconnaissance de l'Italie.

Ainsi que j'ai eu plusieurs fois l'occasion de le constater dans mes correspondances, M. d'Usedom a les plus grandes sympathies pour notre cause, et d'après ce qu'il m'a donné très clairement à entendre, je crois qu'il serait très heureux si je pouvais lui dire que les termes de la lettre de Son Souverain ont pu etre agréables au Roi.

262

IL GENERALE SOLAROLI A VITTORIO EMANUELE II (l)

(Orig. in A C R e co. in A R B, cass. D 2, n. 55-b)

L. p. Londra, 5-11 agosto 1861.

Arrivai a Londra il 2 mattina alle 7 e mezza, ed alle 11 era di già con Lord Palmerston, col quale ebbi più di un'ora di conversazione, discutendo i tre punti che da V. M. io veniva incaricato; il primo su Roma; ei mi disse che il Governo Inglese aveva di già fatto molto, e che temeva coll'aggiungere di p'iù poteva forse più nuocere che giovare, primo perché sono protestanti, e sembrerebbe che essi volessero la distruzione del Papato; secondo perché si sono di già fatte tutte le proposte possibili, ma per una ragione o per un'altra non furono mai accettate; si offerse loro di ritirare le sue truppe, e di lasciar che gli Italiani occupassero il loro posto colle medesime loro condizioni, per la conservazione del Papato, chiedendo a questo, che concedesse solo delle disposizioni più liberali; loro si disse che la forza di 20.000 uomini era più che sufficiente, fu risposto di no, perchè dovevano mantenere l'ordine interno oltre al respingere qualunque aggressione che venisse dal di fuori; si propose loro di ritirare in Roma la forza necessaria per la tranquillità e per la protezione della persona del Santo Padre e lasciar occupar il resto del territorio dalle truppe italiane, non come padroni, ma solo per l'ordine pubblico, non fu accettato; in fine si propose tutto ciò che poteva proporre un governo amico (tali cose V. M. ed il suo Governo conoscono) ma sempre invano, e siccome le intenzioni dell'Imperatore _non si conoscono e nessuna delle proposizioni furono accettate, il Governo della Regina non crede bene di spingere più avanti, affine di non aumentare le difficoltà, invece di diminuirle, convien cosi lasciare che il Governo Papale si demolisca da sé, come è ben incamminato, ed i Francesi per il loro onore stesso siano obbligati di abbandonare il Papa ed il paese al suo destino.

Dopo questo li ho messo sott'occhio l'inconveniente di lasciar Francesco secondo a Roma, ed anche delle armi dei Napolitani che il Generale Goyon ha date al Papa, e che il Papa dà a Francesco II per armare tutta quella massa

di briganti per andare a divastar le provincie Napolitane e mi rispose che questo se è verificato, è un caso grave, e li farebbe maggiormente sospettare le buone intenzioni dell'Imperatore. Li dissi che ciò che veniva di esporli era verissimo, e che il Barone Ricasoli lo scriveva ufficialmente al Marchese d'Azeglio, egli stiede un momento in silenzio, e poi mi disse: «questo è grave, si domanderanno spiegazioni "·

Ultimata questa questione, esposi quella dell'Ongheria, citando le varie identiche cause che hanno colle nostre, li feci vedere che con questa identicità di circostanze, è chiaro che se scoppiasse in Ongheria un movimento insurrezionale, avrebbe una viva corrispondenza con la popolazione italiana, ansiosa di conseguire il fine supremo dei loro desideri, di togliere la popolazione veneta dal più infame e crudele dei governi, e sogiunsi queste circostanze porterebbero in grave posizione il Governo, il quale mentre non potrebbe permettere che intorno a sé s'i costituisse potere agitatore, ed illegale, e che potrebbe forse trovarsi costretto a mettersi col Re alla testa della rivoluzione a favore dell'Ongheria, e trovarsi trascinato ad una guerra contro l'Austria.

A tutto ciò Palmerston mi rispose quasi categoricamente, e incominciò per dirmi che il governo della Regina e ha fatto e farà tutto ciò che potrà per calmare siasi una parte che l'altra, ma che pubblicamente non potrà far nulla, perchè fu attaccato ed accusato dal partito liberale sia desser la causa che l'Ongheria non ha conseguito il suo intento, sia per consigliare l'Austria a fare delle concessioni sia a far dire al partito ongherese di accettarle.

In quanto poi alla sopposizione d'un conflitto egli lo crede impossibile per le ragioni seguenti: gli Ongheresi non sono d'accordo nel modo di volere, poi non possono attaccar l'Austria, perché non hanno le arme, ed hanno di fronte un forte esercito ben disciplinato, ben fornito e ben armato. L'Austria con tutta la sua forza non osa nemmeno per la cattiva impressione che produrrebbe in Europa, se facesse un macello in Ungheria, ed anche per la cattiva conseguenza che le potrebbe portare, onde ben anche anziosa di finirla non muoverà se gli Ongheresi non li forniscono l'occasione, dietro su questo V. M. non puoi avere nessun timore; ma sopponendo poi anche che il conflitto arrivasse, un governo di 22 milioni d'abitanti deve esser forte e tenere in freno qualunque movimento che venga provocato da una minoranza ed impedire che si forma nei suoi Stati un corpo armato per andare in Ongheria. Se poi non potesse impedire che Garibaldi se ne andasse con pochi seguaci, non sarebbe né 20, né 30 uomini più o meno che l'Austria temerebbe, e se costoro li cadessero nelle mani, sarebbe una grande disgrazia solo per loro. Spera che Garibaldi avrà troppo buon senso per volere arrischiarsi a tanto pericolo, ma per la causa italiana sarebbe una fortuna, essa avrebbe il tempo d'organizzarsi, esser forte, e di un sol partito, se vuoi vincere quando l'occasione favorevole le si presenterà (e forse non sarà lontana) onde V. M. metta adunque tutto il suo pensiero a farsi forte e contare solo sui propri mezzi, se vuole una vittoria completa e sicura.

Sulla questione della Sardegna li esposi tutto ciò che V. M. mi disse. Mi

rispose che li faceva ben piacere di sentire a confermare da V. M. ciò che il

Barone Ricasoli li aveva scritto e ne è persuaso della verità; ma che non bisogna

stupirs'i se la Nazione Inglese era diffidente perché tali assicuranze erano pure state fatte da Cavour per la Savoia e Nizza e per le arme che mandava in Ongheria. Li risposi che V. M. su tali questioni non aveva parlato né era stato interpellato, e soggiunsi che il Barone Ricasoli prima di accettare il potere aveva domandato se il Conte di Cavour aveva intelligenza o fatta qualche promessa su ciò, gli fu risposto formalmente di no ed il Barone se lo disse in Parlamento e lo scrisse ai suoi subalterni, non è uomo da dire una cosa per unaltra; mi ripetè di nuovo che era tranquillo e mi invitò ad una soirée per l'indomani e ci lasciammo in buonissimo accordo.

Alle 3 dopo mezzogiorno andai da Lord Russell, ma come egli doveva attendere ad una commissione non potemmo avere un lungo colloquio ma mi disse di andare domenica (che era l'indopodomani) alla sua campagna di Richmond a fare colazione, e colà essendo più in libertà avressimo parlato più a lungo.

Al 3 andai all'invito di Lord Palmerston e fra un discorso e l'altro siamo venuti alla novità della giornata, che era la disputa tra il generale Goyon e Monsignor Merode. Lord Palmerston mi tirò a parte e mi disse: Va a meraviglia e son convinto che per la causa italiana è necessario che gli uomini che vivono ora a Roma, vivano ancora qualche tempo; li domandai il perché, il perché è che Pio IX, il cardinale Antonelli, Merode e tanti altri odiano cordialmente i Francesi e faranno sempre opposizione alle loro viste, al contrario se morisse Pio IX, vi sarebbe subito un Conclave sotto l'influenza Napoleonica, si farebbe un Papa che non sarebbe altro a Roma che un Vescovo Francese, con questi la cosa non potrà più durare a lungo e .Napoleone per la sua dignità e quella della Francia sarà obbligato a richiamare le sue truppe; dunque ci vuole pazienza. Io credo che questo pensiero non sia lontano di esser giusto.

Il 4 andai a Richmond da Lord Russe!, li esposi il meglio possibile i tre punti che era incaricato da V. M., e mi diede più o meno le medesime parole di Lord Palmerston fuorché sulla questione delle armi che il generale Goyon ha rimesso al Papa; dissemi È grave, ma gravissima ed ecco che la sencerità dell'amicizia di Napoleone per Vittorio Emanuele e per la causa italiana si fa sempre più chiara! Ma si scriverà in proposito.

Sulla questione ongherese mi disse di dire a V. M. di ponderar bene prima di fare qualche cosa perché potrebbe portare la rovina d'i tutta l'Italia; in politica più volte bisogna lasciare andare i sentimenti del cuore, per fare il bene della Patria; e dopo un momento di pausa disse: «Vi è un'altra Nazione che avrebbe il vero dovere di correre in loro aiuto, perché il suo capo fu quello che li spinse al movimento ma costui fa il sordo e non si muove perché teme che quella rivoluzione che spinse in casa d'altri, venga a trovarlo in casa sua. Dica a S. M. che gli Ongheresi faranno la guerra all'Austria, sì, ma non colle armi (che non hanno), ma una guerra morale di opposizione, come la fa la Venezia e l'ha fatta la Lombardia; dunque V. M. si faccia forte per i giorni a venire non per il presente ».

Sulla terza questione si mostrò un poco più iritato del suo collega e mi disse che qualche cosa doveva esserci stato; perché anche nella Sardegna, se ben mi ricordo, vi sono state delle interpellanze alla Camera. Li risposi che era vero l'una e l'altra cosa, ma chi erano quelli che ne parlavano? erano francesi industriali che sono nell'Isola; come Milord saprà che in Sardegna quasi tutti i speculatori (con nostra vergogna) sono francesi; essi hanno molte miniere, hanno i legnami, e anche non vorrei dir colonie, ma molta gente per coltivare la quantità di terreni che presero a speculazione, è dunque ben naturale che per costoro se l'Isola fosse ceduta alla Francia, le loro speculazioni avrebbero un valore di più che del presente onde costoro esprimono il loro desiderio e non più. Gli Isolani che non trovano nulla di ben fatto in ciò che fa il Governo, e che vorrebbero che tutte le ricchezze dello Stato si spendessero colà, ne profittarono e gridavano che il Governo non fa mai nulla, e che la popolazione sarebbe stata più contenta sotto il Governo francese. Ma se Milord andasse nell'Isola ed interpellasse coloro stessi che gridavano, li avrebbe trovati Italiani ed attaccatissimi alla comune causa. Mi rispose che era ben contento di sentire delle ragioni che altri non le avevano mai esposte, ma che però non è malcontento che tal questione sia stata sollevata perché così conoscono come la pensa l'Inghilterra siasi sulla Sardegna che sull'isola d'Elba, che su qualunque altra località che potrebbe sconcertare l'equilibrio europeo.

Devo poi aggiungere a V. M. che tosto arrivato costì mi portai dal Ministro di Svezia per sapere se il Re era nei suoi Stati o no mi fu risposto che l'aspettavano ad Havre il giorno 3 e che andava a Parigi per pochi giorni e poi al Campo di Chalons e che era probabilissimo che venisse a fare una visita alla Regina Vittoria; questo mi sconcerta un poco perché mi tocca star fuori più d'i quello che mi era prefisso, fuorché V. M. mi ordinasse di portare il gran Collare in Francia od in Inghilterra (1).

Londra 11.

Come V. M. avrà osservato, questa mia fu scritta il 5 ma fu troppo tardi per partire col Corriere privato che porta i dispacci a Sir James Hudson, onde dovei attendere un'occasione sicura per mandarla, perché mi si dice che a Parigi aprono tutte le lettere, particolarmente quelle dirette a Grandi Personaggi.

S. M. il Re di Svezia sarà a Londra il 14 od il 15 del mese e non si fermerà che tre giorni (almeno così mi disse il Segretario di Ambasciata) e poi anderà direttamente a Stoccolma.

lo partirò da qui un giorno prima di S. M. per essere colà al suo arrivo.

Poiché ho tempo dirò a V. M. con molto piacere, che la Nazione Inglese è intieramente per noi, prende interesse a tutti i nostri movimenti ed una buona notizia che venga da Napoli è un'allegria generale; vi si domanda cgme vanno le cose in Italia, e quando la finiremo con Francesco II ed i suoi briganti, e non finiscono mai senza !asciarci andare una qualche bestemmia.

(l) Di questa missione Solaroli a Londra riferisce anche l'Azeglio in una lettera inedita a Ricasoli del 5 agosto 1861 (A R B, cass. 49, n. 124). Cfr. anche Solaroli a Ricasoli, 11 agosto (ivi, cass. 50, n. 14 orig. autogr.).

263

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO DEGLI INTERNI FRANCESE, PERSIGNY (A R B, cass. 50, n. 30, co.)

L. p. Torino, 14 agosto 1861.

Je vous remercie véritablement de votre seconde lettre amicale et cordiale et des paroles que vous me dites sur la question ardente de Rome. Je tiens

S.S. Annunziata al Re di Svezia.

à me faìre connaitre un peu plus de vous; j'ai l'ame vive et italienne, mais elle est loyale, et je sais me maitriser, je sais que dans toute affaire et spécialment dans les grandes affaires publiques, ce n'est pas l'affaire qui peut se plier en tout à l'individu qui la tiens dans ses mains; mais c'est plutòt l'individu qui doit conformer soi-meme, sa conduite aux conditions de l'affaire; enfin si je suis de la patrie de Pier Capponi, je le suis aussi de celle qui a donné Machiavelli et Guicciardini; je sais enfin que la grande affaire de Rome ne regarde uniquement l'Italie, mais l'humanité et les difficultés qui entourent le gouvernement français ne me sont pas inconnues. Heureusement, j'en suis profondement convaincu, heureusement, il n'y a pas d'antagonisme dans l'affaire de Rome entre l'humanité, l'Italie et la France, la solution ne peut en etre qu'une. Veuillez, Monsieur le Comte, etre persuadé que en tout ce qui regarde mon individu, je ne suis ni pressé, ni impatient; je sais tout sacrifier pour le bien public.

Dans notre cas c'est l'affaire lui meme qui est pressée et impatiente de solution; il y a véritablement dommage dans le retard. Mais cela ne veut pas dire précipiter, brusquer, mais uniquement étudier persévéramment la solution et la hater avec tous les moyens sages; la presse sur tout.

Dans votre bonne première lettre j'y lus ces mots que j'accueillis bien sérieusement, et pour l'objet au quel ils visaient et pour leur source respectable: « ... le seui but au quel nous tendrons avec ardeur, c'est de trouver avec vous des combinaisons qui en assurant l'indépendance spirituelle du S. Père, nous autorisent à quitter Rome». Je tiens à honneur de resoudre le problème et dans quelques semaines, je vous soumettrai le projet; et j'appellerai l'appui de l'Empereur. Je pense que c'est l'Italie qui a le devoir d'ouvrir l'avenir sur ce sujet et de débarrasser la France d'une position qui n',est plus digne de la France. L'Italie le doit meme par reconnaissance aux services immenses qu'elle a reçu de sa soeur, la France; je t'iens que ma Patrie remplisse avec sagesse et grandeur de vue ses engagements moraux. Je me suis voué à ma patrie, à la Monarchie et à la cause de l'ordre et je ne fléchirai pas, soyez en sùr; ainsi confiez vous que je suis décidé à combattre toute violence, quelle que soit sa source, et votre recommandation trouve en moi plus qu'un écho, elle rencontre mes convictions. J'ai une tache à remplir, celle de !aver la nouvelle Monarchie ltalienne de la honte d'avoir fait son entrée à Naples ayant à son flanc une chemise rouge; celui qui montera le Capitole le premier doit etre Victor Emmanuel, et s'il y eut danger qu'il arrivat le contraire, je me mettrais à la tete de nos troupes pour marcher droit à Rome malgré les Français. Je le répète, je me suis voué à la Monarchie, parce qu'en elle uniquement réside le bonheur, la force, le salut d'un peuple. Je ne veux pas d'un nom vain, il doit étre l'expression de la dignité, de la grandeur, de la vertu. Nos misères à Naples sont nourries par les conditions actuelles de la ville de Rome; mais elles ont aussi origine de la Dictature anarchique, garibaldienne. Nous allons avec peine édifiant au milieu de si vastes destructions, il n'arrivera jamais, autant qu'il pourra dépendre de moi, qu'un méme malheur nous attend à Rome.

Ainsi, mon cher Comte, vous pouvez vous reposer en paix sur mes sentiments. Quant à moi, je ne veux rien pour moi, mais je veux servir fidèlement la cause de l'humanité, du vrai progrès, ainsi je compte que la France appuyera le gouvernement du Roi d'Italie.

Je me suis ouvert avec vous avec une franchise et une intimité que votre bienveillance saura m'excuser, en vue du dévouement que je professe à la cause de l'Italie, qui est aussi la cause de la France et de l'humanité.

(l) Oltre la missione segreta a Londra avuta del Re, il Solaroli aveva avuto il 29 luglio 1861 la missione ufficiale straordinaria di portare il Collare dell'Ordine Supremo della

264

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A MADRID, TECCO

T. 468. Torino, 14 agosto 1861, ore 13,45.

Le Comte della Minerva me donne avis que le Gouvernement Espagnol a donné ordre à son représentant à Lisbonne pour que les Consuls et Vice Consuls Espagnols en Portugal retirent les Archives des Consuls Napolitains y compris celui de Lisbonne. Veuillez réclamer auprès du Cabinet de Madrid de retirer un ordre qui ne pourrait étre regardé autrement que comme un acte hostile à la cause d'Italie, et aux citoyens italiens, et que le Gouvernement du Roi d'Italie ne pourrait certainement pas tolérer.

265

IL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

L. RISERVATA. Costantinopoli, 14 agosto 1861.

In seguito all'autorizzazione datami dal di Lei telegramma 6 andante ho fatto partire il Conte Fé a cui ho dato esatte istruzioni sugli argomenti che deve studiare (1).

Coll'ultimo pacchetto francese giunse qui di ritorno da Torino il signor Alessandro Buda, già deputato alla Dieta ungherese del 1848 in Pest. V. E. non ignora probabilmente essere egli l'agente del Comitato Ungarese in Bukarest ove, come transilvano di stirpe rumena, ha per mandato di tener vivo presso i suoi concittadini lo spirito di unione coll'Ungheria. Sotto l'illustre di Lei Predecessore il Signor Buda era sostenuto colà con fondi messi a mia disposizione. Si pubblica nella c"apitale Valacca sotto la direzione del Sig. C. A. Rosetti un giornale chiamato Romanulu, il cui abbonamento costa un ducato d'oro per trimestre, ed ho ragione fondata di credere che mediante la sottoscrizione a duecento copie per lo spazio di sei mesi, noi avremmo a nostra disposizione quel diario, il quale, distribuito fra le popolazioni transilvane di razza rumena, allontanerebbe il pericolo d'una transazione col Governo austriaco. Laonde con un sacrifizio di circa seimila franchi che non si pagherebbero che a sesti mensili, noi potremmo fare una propaganda efficace nel senso ungarese in quelle contrade alpine dei Czeklers, che hanno sempre somministrato i primi soldati alla causa dell'insurrezione. Il

Sig. Buda avrebbe l'incarico della redazione degli articoli politici. Io poi non credo far di troppo nel continuare a fomirgli i mezzi d'una modesta indipendenza a Bukarest, come continuo a farlo per l'agente ungherese a Galatz fino a che arrivi il momento dell'azione o fino a che V. E. mi annunzi che la nostra questione nazionale sia stata sciolta in altro modo.

Procederò in tutto ciò colla massima economia, ma la confidenza illimitata di cui mi onorava il Conte di Cavour, e che sarei fiero di poter giustificare agli occhi di V. E., mi ha fatto più volte sentire il peso morale della responsabilità di decisioni non suggerite e non giudicate che dalla coscienza. Al più presto Le manderò tutti i conti, parte appoggiati a documenti autentici, parte giustificati dai fatti.

(l) La relazione del conte Alessandro Fè d'Ostiani sulla missione segreta in Ungheria si trova in A C S R, Fondo Ricasoli, b. 5, fase. 2, ins. e.

266

IL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 31. Costantinopoli, 14 agosto 1861.

La questione serbiana va prendendo di giorno in giorno un carattere più grave. Il Dragomanno del R. Consolato a Belgrado mi scrive in data 6 andante che pel giorno 18 di questo mese doveva radunarsi a Kragujevatz, cioè al di fuori dell'influenza ottomana di Belgrado, l'assemblea straordinaria «all'oggetto di avere il voto della nazione su misure da prendersi riguardanti il bene della nazione»; e tutto portava a credere che la discussione si aggirerà sull'esito poco

soddisfacente, agli occhi del Principe Milosh, della missione del signor Garachanin.

So poi da altra parte che forse si daranno al Governo ottomano tre mesi di tempo per provvedere definitivamente alle domande fatte dal Governo serbiano, cioè « vendita delle proprietà turche e giurisdizione serba sui turchi che ancora rimanessero in quel Principato».

Sebbene questa vertenza non sia ancora giunta al grado di maturità, da essere un pericolo imminente per la pace di questi paesi, ho creduto bene riferire a

V. E. lo stato delle cose.

267

IL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 707. Bruxelles, 16 agosto 1861, ore 12,30 (per. ore 15,10).

Je viens d'apprendre indirectement mais de bonne source que les Ministres n'ont pas réussi à obtenir le consentement du Roi à la reconnaissançe du Royaume d'Italie excepté avec de très grandes réserves que la dignité de notre Gouvemement ne permettrait probablement pas d'accepter et qu'ils ne croyent pas pouvoir lui forcer la main que par un vote de la Chambre au mois de Novembre. Dois-je insister pour avoir une réponse?

21 ·Documenti diplomatici · Serie I· Vol. I

268

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 97-98)

L. P. 4. Parigi, 16 agosto 1861.

* Accuso all'E. V. ricevuta della lettera particolare che Ella mi diresse il 12 corrente. Fo pubblicare la corrispondenza ivi acchiusa nel giornale litografato dall'Agenzia Havas. Risponderò più tardi sulla lettera del Federici.

Le scrivo d'ufficio sull'apertura da me fatta attorno al trattato di commercio.

Le raccomando di fare d'urgenza gli studi necessari. La Divisione consolare (sezio

ne commerciale) sa a chi scrivere in proposito e come. Più tardi le manderò

qualche osservazione in questa materia intorno alla quale, dal canto mio, ho già

interpellato i consoli italiani residenti a Parigi, in Marsiglia e Nizza. Il generale

Fanti è giunto ieri a Parigi e parte domani per Chiìlons *.

Evidentemente il Governo francese non ha per ora l'intenzione d'affrettare

la soluzione della questione romana. È mio obbligo l'avvertire V. E. per sua

norma.

Parlai in questi giorni con Persigny, con Rouher, col Guardasigilli, col Mini

stro degli Affari Esteri, cioè colla parte del Consiglio ch'è a noi più favorevole.

Tutti dicono, d'accordo, che bisogna lasciare che il frutto * che è quasi * maturo,

cada da per sé. L'Imperatore che vidi ancora, per caso, a San Graziano presso la

Principessa Matilde, evitò per la seconda volta la questione. Non istarò qui a ri

peterle quanto dissi nelle mie conversazioni con quei signori. Mi valsi delle osser

vazioni sue, e ne aggiunsi anche altre. Ma dall'un lato non si vuole risolvere una

questione di tanta importanza pigliando un'occasione così accidentale e così

meschina come quella fornita dagli scandali di Merode. Dall'altro lato, e questa

mi pare la ragione più vera, si vuole aspettare per veder.e quale piega piglian

le cose di Napoli. La sola supposizione che non si riesca nelle cose napoletane,

fa qui un danno gravissimo, e per questo verso la lettera di Massimo d'Azeglio

fu esiziale (1).

Che tale mancanza di fiducia stia nel fondo del pensiero degli uomini politici di qui, lo dimostra pure il fatto della risoluzione presa dalla Società Talabot di rifiutare la concessione delle ferrovie napoletane. È quindi essenziale che il Governo ponga ogni cura perché si riesca a Napoli. È là più che a Parigi, più che a Torino, che si risolverà la questione di Roma.

* Quindi Pers1gny, come le riferirà il conte Pernati, insiste perché si mandino carabinieri, perché ad ogni costo si tranquillizzino quelle disgraziate provincie *.

In tale stato di cose, a parer mio, la condotta da tenersi sarebbe la seguente: Il signor Benedetti parte per Torino fra pochi giorni. Si interpelli francamente intorno al pensiero del suo Governo sulla questione di Roma: io, dal mio lato, rinnoverò le mie interpellanze e le mie osservazioni al signor Thouvenel. Se

N. -BIANCHI, C. Matteucci e !'Italia de! suo tempo, Torino 1874, pp. 313-319.

veramente è intenzione del Governo francese che non si tocchi questa questione per * alcuni mesi *, converrebbe almeno ottenere da esso che faccia il possibile per impedire che eccitamenti, armi e briganti partano dai luoghi dalle armi sue protetti. Se poi Ella crede di dover mettere in salvo la sua responsabilità dinanzi al paese, se avrà la convinzione che sia per noi impossibile affatto lo attendere senza che pericoli la causa dell'unità e quella dell'ordine interno, allora, ma allora solamente, caveat ne quid respublica detrimenti capiat. Finché s'i può pazientare, lo si faccia; tale sarà sempre il mio consiglio.

Giunto il tempo in cui più non si possa, si pigli consiglio dal dovere che incombe a chi è incaricato della salute d'Italia. In questo caso, cioè nel caso della assoluta necessità, esporrei al Governo imperiale, in via ufficiale, i pericoli del ritardo e l'inviterei ad esaminare d'accordo il modo più acconcio onde evitarli.

Il Governo francese risponderebbe sì o no. Anche se rispondesse negativamente, almeno la responsabilità sarebbe salva, e la pubblica opinione saprebbe a chi imputare le conseguenze.

* Ma intanto, mi perdoni la ripetizione, si ordini Napoli. Pigli Lei il Ministero dell'Interno, se occorre. Il suo nome solo farà gran bene in quell'amministrazione. Le dico questo, perchè prevedo il ritiro di Minghetti quando venga in campo la questione dell'ordinamento dell'amministrazione del Regno. Malgrado tutta la buona volontà di Lei e di Minghetti, penso che la crisi non potrà evitarsi, se vien nel tappeto la questione predetta o quella dell'abolizione del governo toscano e delle Luogotenenze. Per ora Garibaldi è tranquillo; Mazzini è malato e pensa a far denari per promuovere nell'anno venturo un'insurrezione nel Cadore e nel Friuli. Nel momento attuale entrambi stan queti. Ma se si svegliano e aggiungono nuove difficoltà alle antiche, non ci vorrà meno della sua mano di ferro per domare tutti questi elementi di disordine.

Ma io mi avveggo che oltrepasso i limiti della mia provincia e mi taccio. Duolmi che la mia opera, qui non valga quanto Ella forse s'aspettava e prevedo che per un paio di mesi non le varrà altro. Ma non c'è colpa per parte mia.

Thouvenel parte ancora per la campagna e non sarà di ritorno che martedì. Tenterò di vederlo e tornerò all'assalto per la Deputazione romana. Ma non riescirò.

P. S. -Vimercati partirà in congedo fra pochi giorni. Dimenticai di dirle che l'ultima volta in cui esso vide l'Imperatore, questi raccomandò che ad ogni costo Cialdini evitasse di passare la frontiera pontificia. Devo soggiungere che se dall'un lato non sono mutate le disposizioni del governo francese, dall'altro Iato la causa nostra va facendo qui un vero progresso nello spirito pubblico, il quale non può che reagire favorevolmente sul Governo stesso.

P. S. -Aggiungo un ufficio direttomi dal generale Mierolawski. Ella vedrà di che si tratta, e le sarò poi grato se vorrà farmi sapere le sue intenzioni in proposito. Ieri giunse a Parigi Monsignor Nardi. Lo si crede portatore d'una lettera del Papa all'Imperatore *

(l) -Si tratta della famosa lettera di Massimo d'Azeglio al Matteucci (5 agosto 1861), nella quale, parlando del Mezzogiorno l'Azeglio scriveva tra l'altro • Ad Italiani che rimanendo Italiani, non volessero unirsi a noi, non abbiamo diritto di dare archibusate • , ~fr. specialmente
269

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 712. Madrid, 17 agosto 1861, ore 12,40 (per. 17,45).

D'après la dépeche chiffrée de V. E. qui m'est parvenue sans graves inexactitudes télégraphiques, je me suis empressé de réclamer auprès du Chef de ce Cabinet contre l'ordre envoyé à Lisbonne pour faire retirer par les Consuls Espagnols en Portugal les archives des Consuls Napolitains. Le Président du Conseil m'a répondu ignorer un pareil ordre. Je lui ai dit alors que j'aime à croire par conséquent que l'ordre en question n'a pu etre qu'une méprise, je le priais pourtant de me mettre à meme d'eu assurer V. E. Là dessus le Président du Conseil, comme admettant ma demande, me répondit alors qu'il devait se rendre dans la journée auprès de la Reine ou l'on éclaircirait en Conseil des Ministres le sujet de ma réclamation pour m'eu informer en conséquence. Aussitòt donc j'aurai reçu cette information, je m'empresserai de la transmettre à

V. E. et je ferai en meme temps les démarches que cette réponse exigera. En attendant j'ai lieu de croire que dans cette affaire il y a quelque intrigue tramé à la Cour par le ci-devant Ministre Espagnol à Naples qui se trouve maintenant auprès de la Reine (1).

270

L'INVIATO STRAORDINARIO A LISBONA, CARACCIOLO DI BELLA (2), AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. s. n. Lisbona, 18 agosto 1861.

Il Re non cessò d'intrattenersi meco molto cortesemente durante tutto il tempo del desinare e molte cose mi disse in cui ben si parve la sua svariata coltura nelle istorie e nelle scienze morali; parlò dell'Italia con affetto e mostrò avere a cuore il felice riuscimento della causa nostra: di Napoli in ispecialità mi disse che fin dall'anno 1857 in cui egli eravi stato, erasi fatto accorto del malcontento e della contenzione degli animi, onde tutto ciò che poi erane seguito, non aveagli recato nessuna maraviglia. Napoli, ei disse, non ha nulla a rimpiangere dell'autonomia perduta e della caduta Monarchia, la quale non ebbe che sotto Carlo III un'era brevissima di effimero splendore, ma divenne [in cifra]: «une vermine de pretres et de soldats ». Toutes les fois que la conversation lui en offrait les moyens il ne manquait pas de renouveler ses protestations d'estime et d'amitié pour le Roi et pour toute la famille Royale, pour la Princesse Clotilde en particulier qu'il a eu l'occasion de connaitre plus intimement le mois passé à Lisbonne, mais il ne savait pas dissimuler un certain sentiment de méfiance

vis-à-vis du Gouvernement Français causé soit par des préventions de famille soit par un mauvais souvenir du différend bien connu du Charles Georges.

Delle cose di Roma il Re don Pedro entrò a parlare largamente, dicendo non comprendere come la Corte di Roma non fosse ormai persuasa della impossibilità in cui si trova di conservare il temporale e della convenienza per lei stessa di trasformare la sua podestà e costituirla sovra altra base. Mi si dimostrò in tutti i suoi ragionamenti Principe di spiriti sinceramente liberali, tendente al dottrinario ed alla minuta osservanza delle forme costituzionali, fornito di bei studi e di mente acuta, circospetto oltracciò e riservato più ancora che nella età sua giovanissima non soglia avverarsi.

Dopo il pranzo il Re mi domandò del giorno della mia partenza : gli risposi che era mio intendimento, prima di partire, di condurmi ad Oporto a visitare il monumento del nostro magnanimo Re Carlo Alberto. Ad Oporto, mi disse, sarebbe andato anche egli chiamatovi dalla Esposizione del Portogallo che ivi ha luogo, in quest'anno, la prima volta nel suo regno; e si compiacque aggiungere che avrebbe gradito vedermi ancora durante la mia dimora in quella città.

Dal Maresciallo Saldanha, col quale mi fermai alquanto a ragionar dopo pranzo, mi fu detto che la Missione Straordinaria di Torino era stata a lui offerta, ma che egli aveva creduto doverne declinare l'onore; che ove il riconoscimento del Regno d'Italia fosse avvenuto più per tempo, come egli avrebbe desiderato che fosse, con piacere avrebbela accettata, ma non l'accettava ora, perché l'indugio frapposto toglieva a quest'atto politico gran parte della sua importanza. Mi soggiunse il Maresciallo (e di ciò credo che all'E. V. abbia già dato informazione il Conte della Minerva) che il Ministro portoghese residente presso la Corte del Belgio pareva nella mente del Re e del Ministro destinato a sostituirlo in questo incarico.

(l) -Cfr. la nota dello stesso giorno diretta dal Tecco al ministro spagnolo, don Saturnino Calderon Collantes, in L. V. 3, V. (2) -Il marchese Camillo Caracciolo di Bella, deputato al Parlamento, era stato nominato il 23 luglio 1861 capo della • missione straordinaria •, per annunziare al re di Portogallo il nuovo titolo di re d'Italia, assunto da Vittorio Emanuele.
271

IL GENERALE KLAPKA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

CA R B, cass. D. 2, n. 87)

L. p. Ginevra, 18 agosto 1861.

Je me permets de rappeler au souvenir de V. E. la conférence que nous avons eue, au Ministère des Affaires Etrangères, peu de temps avant la mort du Comte de Cavour. En cette occasion, j'ai eu l'honneur d'exposer de vive voix, tout ce qui se rapportait au mouvement hongrois (1).

Mes prévisions viennent de se réaliser.

La Diète Hongroise n'a pas manqué à sa grande mission, en répondant, ainsi qu'elle a fait, aux insultes, aux provocations et aux mystifications, contenues dans le dernier rescrit de la Cour de Vienne.

Comme V. E. le sait, la Diète ayant déclaré impossible toute négociation, avant la reconnaissance des lois de 1848, et comme d'ailleurs, d'après tout ce que nous pouvons présumer, on ne voudra jamais reconnaitre ces lois, il s'ensuit que la rupture entre les deux partis est, en ce moment, complète. Quelle en sera la conséquence immédiate?

Le Gouvernement Autrichien osera-t-il faire appel à la violence, alors qu'il a un si grand besoin de tranquillité; ou préférera-t-il ne pas abandonner le terrain des transactions?

Quoique il puisse faire, son but, étant toujours le meme, l'anéantissement de l'existence nationale de la Hongrie, nous avons à redoubler d'activité et de dévouement, car en effet, la situation est devenue critique.

Ce serait meme pour nous l'occasion d'avoir recours aux armes, et d'engager la lutte, cette lutte décisive sans laquelle nous n'arriverons jamais, à la délivrance et (à) la reconstitution de notre Patrie.

Mais les circonstances ne nous sont pas assez favorables pour tenter ce grand coup, et d'ailleurs les conseils que nous venons de recevoir, de Paris et de V. E., nous recommandent davantage encore la prudence.

La malheureuse Hongrie, après avoir perdu plus de cent mille de ses enfants dans les combats de 1848 et 1849, après avoir vu, par centaines, ses villes et villages saccagés et dévastés, après avoir eu à subir le joug le plus ignominieux et le plus affreux qu'il soit possible rl'imaginer, pendant ces douze dernières années, ne doit pas jouer légèrement son avenir; et j'ajouterai, que pour nous, qui avons assumé la responsabilité de ce mouvement, nous devons, avant de donner le signal de la lutte, avoir au moins acquis la certitude de quelques chances sérieuses de réussite.

Le peuple Hongrois est unanime dans ses dispositions, il est pret à se soulever

comme un seui homme et à faire les plus grands sacrifices pour son pays.

Mais ce peuple est entièrement désarmé, et a contre lui un ennemi qui pos

sède toutes les forteresses, et qui dispose (en Hongrie) d'une armée de 120

à 150 mille combattants tirés de ses provinces allemandes et slaves.

Les tentatives que nous avons faites, de faire parvenir des armes en Hongrie,

soit par la Servie et les Principautés-Unies, ont en grande partie jusqu'à présent

échoué, par suite des dispositions peu amicales des agents anglais, et par l'hosti

lité, vraiment à déplorer, des Consuls de France, de Bukarest et de Belgrade.

Il nous manque des débouchés et des communications avec l'étranger, et

nous ne pouvons en établir que par deux seuls et uniques còtés et directions.

D'une part, par la voie du Bas Danube;

D'autre part par le littoral de la Croatie.

Une parole d'encouragement qui serait adressée de Paris au Prince Couza,

par l'intermédiaire du Consul français de Jassy (le seui qui nous a constamment

montré de la sympathie) suffirait pour nous assurer nos communications sur le

Danube.

Quant à Fiume et au littoral de la Croatie, ce seraient les populations

Croates, elles-memes, qui, en se ralliant à nous, nous faciliteraient nos commu

nications.

Cette dernière perspective gagne heureusement chaque j6ur plus de terrain.

Les mesures du Cabinet Autrichien viennent d'augmenter encore l'exaspération

des Croates. Les dissensions qui, jusqu'à ce jour, ont existé entre eux et nous, tendent à disparaitre.

Enfin, symptome important, les Regiments-frontières, qui, eux aussi aspirent à leur affranchissement, donnent des signes non équivoques d'un mécontentement profond, qui, très probablement, éclatera tot ou tard, en une révolte ouverte. Nous n'avons donc qu'à attendre et à patienter un peu, pour voir la Croatie se tourner de notre coté et se déclarer avec et pour nous.

Des instructions données au Consul de France, à Fiume, accéléreraient encore la réconciliation.

Mais la question essentielle sur laquelle nous devons refléchir c'est, à part l'aide que l'Italie pourra nous donner par le débarquement d'un corps auxiliaire sur la cote de la Croatie ou de la Dalmatie, la simuLtanéité de notre action, contre un ennemi qui nous est commun. C'est là le point capitai et décisif et d'où doit surtout dépendre l'issue heureuse de notre lutte.

Or, d'après l'avis de V. E., il paraìtrait qu'il serait difficile à ce que l'Italie pùt engager le combat avant le printcmps prochain.

Nous tacherons donc par tous le moyens dont nous disposons, de modérer le mouvement hongrois, et de le contenir dans les limites de la résistance passive, en profitant toutefois du temps, pour fortifier sous tous les rapports notre position.

Je me permettrai seulement de toucher à une dernière eventualité: celle qui résulterait d'un conflit imprévu en Hongrie.

Il est une vérité que les faits ont suffisamment prouvée, c'est que les révolutions éclatent presque toujours au moment où on s'y attend le moins; et en Hongrie, il faut bien le dire, la moindre cause suffit, pour précipiter les événements. Dans ce cas, tous nos calculs seraient dérangés, et, il ne nous resterait qu'à accepter cette situation.

Nous aurions alors à soutenir età prolonger les combats, jusqu'à ce que vous puissiez venir à notre aide, et l'Italie elle-mème, commencer sa grande lutte sur son propre sol.

En vue de cette éventualité, qu'il importe surtout de prévoir, il serait bon et meme urgent, d'organiser le corps des volontaires, dont les cadres existent déjà, et qui suffirait pour opérer le débarquement sur le littoral croate ou dalmate, réservant par là, toute l'armée régulière pour les opérations principales en Italie.

Cette organisation de volontaires aurait des conséquences utiles à bien des égards: la Hongrie y verrait un signe que la lutte est proche et un encouragement qui soutiendrait fortement l'esprit public; enfin pour l'Italie ce serait une mesure qui donnerait à penser à ses ennemis, satisfaction à l'opinion publique, et de nature à contrecarrer la malveillance des partis.

Le porteur de la présente, le Colone! Zglinicki, est un de mes anciens compagnons d'armes en Hongrie, qui jouit de toute ma confiance. Il était l'hiver dernier avec moi dans les Principautés-Unies, d'où je l'envoyais en Hongrie porter mes avis aux divers chefs du mouvement. Il est à meme de donner à V. E. des renseignements utiles et que pourront l'intéresser. Il restera à Turin à ma disposition pour toutes les communications que j'aurais à faire parvenir à V. E.,

si toutefois elle veut bien en cela m'accorder la mème confiance, à laquelle le Comte de Cavour m'avait habitué.

(l) Il resoconto di questa conferenza, tenuta il 7 aprile 1861, è in Ricaso!i, V. p. 413.

272

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 101-102)

L. CONFIDENZIALE 6. Parigi, 22 agosto 1861.

Devo parlare a V. E. di cosa assai delicata, e in modo affatto confidenziale. Facendo le mie visite ufficiali al Corpo Diplomatico, ebbi occasione d'intrattenermi assai a lungo col Visconte di PaYva, Ministro di Portogallo a Parigi. Questo diplomatico, in una conversazione d'indole affatto confidenziale e privata, m'espose la convenienza che ci sarebbe per le due nazioni e per le due Corone d'Italia e di Portogallo, in un'alleanza tra le due Reali Famiglie col mezzo d'un matrimonio tra il Re suo Sovrano e l'augusta figliola del nostro Re, la Principessa Maria Pia. Risposi, esponendo la mia opinione personale, partecipare nella medesima credenza; che, cioè, una tale alleanza fosse utile ai due Stati e alle due Corone. Ma obiettai la troppa giovinezza della reale fanciulla e la voce corsa di certi impegni presi dal Re di Portogallo verso la sua cognata, Principessa di Hohenzollern. Risposemi il Visconte essere la giovinezza non grave inconveniente, e quanto agli impegni assicurò non esservene di sorta. Vero è, disse egli, che il re Don Pedro, dopo la morte della giovane regina, aveva manifestato l'intenzione di non sposare altra donna, caso mai si rimaritasse, che non fosse la sua cognata, ma non aveva preso nè allora nè poi impegni di nessuna specie. Inoltre la madre della fu Regina di Portogallo aveva manifestato un'invincibile repugnanza a consentire che la sua altra figliuola fosse mandata in quel luogo stesso, ov'era morta la prima. Infine l'opinione pubblica in Portogallo s'era manifestata contraria a una nuova alleanza tedesca, e si era invece pronunziata di già per un'alleanza italiana. La conversazione non procedette oltre. Il Visconte mi pregò di procurargli una fotografia della Principessa; e gliela procurai. Riferii al Re, confidenzialmente, questa conversazione, trattandosi di cosa che tocca, oltre alla politica, gl'interessi della sua augusta Famiglia. Nel medesimo tempo volli avvertirne confidenzialmente

V. E. per sua norma; pregola però a fare il più discreto uso di questa comunicazione, giacché finora non v'è al riguardo una vera apertura, ma sibbene una semplice e privata conversazione. È bene ancora ch'ella sappia come il compianto Conte di Cavour avesse dato verbali istruzioni al Conte della Minerva, perché all'uopo facesse chiara, nelle sue private conversazioni, la convenienza d'una tale alleanza, * e come il medesimo avesse pure interessato, per un messo confidenziale, la regina d'Inghilterra, congiunta, com'Ella sa, colla casa reale di Braganza, affinché appoggiasse questo progetto a Lisbona *.

Le mie nuove istanze presso il signor Thouvenel affinché la deputazione romana fosse ricevuta dall'Imperatore e da esso Thouvenel (1), o almeno per

ché le fosse consentito di mandare, senz'altro, l'indirizzo al suo alto destino, tornarono indarno. Thouvenel mi disse chiaramente che in questo momento un tale passo non avrebbe avuto altro risultato fuor quello di rendere più difficile la posizione dell'Imperatore, e dichiarò che si opporrebbe risolutamente anche al semplice invio; il quale, se avesse luogo, provocherebbe senza fallo il rinvio puro e semplice dell'indirizzo a chi lo mandasse.

(l) Con telegramma del 9 agosto (n. 462) Ricasoli aveva incaricato Nigra di questo nuovo ten\ativo, dopo del quale il principe di Piombino lasciò l'indirizzo in deposito presso la Legazione e tornò in Italia (cfr. Nigra e Ricasoli, 24 agosto 1861 in Ricasoli, VI, pp. 120-121).

273

CIRCOLARE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AGLI AGENTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 107-119)

Torino, 24 agosto 1861.

Nel dispaccio circolare che ebbi l'onore di indirizzare ai Rappresentanti di

S. M. all'Estero, io accennavo ai turbamenti e alle difficoltà che s'incontravano nelle provincie meridionali del Regno; e protestando di non volerli né dissimulare né attenuare, io esprimeva la speranza che quelle provincie scaldate al sol~ della libertà sarebbero tosto sanate dei loro mali, e avrebbero aggiunto forza e decoro all'Italia a cui appartengono.

Nessuna cagione è sorta di nuovo a scemare le speranze che il Governo del Re giustamente ripone nel vigore dei provvedimenti presi all'uopo e nel patriottismo di quelle popolazioni; ma poiché appunto il brigantaggio onde sono desolate quelle provincie, sentendosi stretto piu da vicino, ha raddoppiati i suoi sforzi, e più potente è divenuta la cooperazione del suoi ausiliatori (che ormai nessuno ignora chi e quali si siano) e si sono commessi in questi sforzi, che giova credere estremi, atti di ferocia che dovrebbero essere ignoti al nostro tempo e alla nostra civiltà, ai quali è bisognato opporre per dura e deplorata necessità una repressione proporzionata; quindi i nostri nemici hanno tolto argomento per gridare piu alto contro l'oppressione che il Piemonte, com'essi dicono, fa pesare su quello sfortunato paese, strappato con le insidie, colla forza ai suoi legittimi dominatori ai quali brama tornare anche a prezzo di martirii e di sangue. Alle maligne dei nostri nemici si aggiungono, ne duole il dirlo, le meno caute parole di uomini onorevolissimi e schiettamente per antico effetto e per profonde convinzioni Italiani, che, vedendo protrarsi nelle provincie napolitane una lotta funesta, inclinano a credere che la unione di esse all'Italia sia stata fatta inconsultamente, e che quindi si abbia da ritenere, fino a nuovo e più certo esperimento, come non avvenuta.

Noi non potremmo mai accettare il punto di vista di questi ultimi, dei quali non mettiamo in dubbio né il patriottismo né le rette intenzioni; poiché né possiamo dubitare della legittimità e della efficacia del plebiscito, mediante il quale quelle provincie si dichiararono parte del Regno Italiano; né la Nazione può riconoscere in alcuna parte di sé il diritto di dichiararsi separata dalle altre ed estranea alle loro sorti. La Nazione italiana è costituita, e tutto ciò che è Italia le appartiene.

In questo stato di cose e di opinioni pertanto reputa opportuno il Governo del Re che i suoi rappresentanti all'estero siano messi al fatto delle vere condizioni delle provincie napolitane con quelle considerazioni che loro giovino a rettificare i meno esatti giudizi che i lontani potessero formarsi su quelle.

In ogni luogo dove, per forza di rivoluzione, si venne a cambiare la forma del Governo e la dinastia regnante, sempre rimase superstite per un tempo più

o meno lungo un lievito dell'antico a perturbare gli ordini nuovi, che non si poté eliminare dal corpo della Nazione se non a prezzo di lotte fratricide e di sangue. La Spagna, dopo trent'anni, non ha per anco rimarginate le piaghe delle guerre civili che ogni poco minacciano di riaccendersi. L'Inghilterra, dopoché ebbe ricuperate cogli Orange le sue libertà, dové lottare per quasi cinquant'anni cogli Stuardi che poterono correre talora il territorio dalla Scozia fin presso le porte di Londra; la Francia mentre sacrificava alla paura della federazione i Girondini, devastava Lione, si funestava di stragi, era poi lacerata nella Vandea, che, appena vinta da una guerra guerreggiata e sanguinosa sotto la repubblica, riprendeva le armi nei Cento giorni, le riprendeva contro la Monarchia di Luglio. E non pertanto niuno dubitò mai per queste difficoltà dell'avvenire della Spagna, dell'Inghilterra, della Francia; né osò negare il diritto della repressione nei governi costituiti e consentiti dalla gran maggioranza della Nazione, né considerò la resistenza armata al suo volere se non come una ribellione alla sovranità nazionale, benché questa ribellione avesse eserciti ordinati, generali valorosi ed esperti, possedesse città e territorii dove esercitava dominio, e fossero necessarie a domarla la guerra regolare e gli scontri in giornata campale.

Voi non potete non aver notato, o Signore, l'immensa differenza che passa fra il brigantaggio napolitano e i fatti sovra accennati. Non si può a quello far neppure l'onore di paragonarlo con questi; i partigiani di Don .Carlos, i seguaci degli Stuardi, i Vandeisti, i quali finalmente combattevano per un principio, si terrebbero per ingiuriati se venissero posti in comparazione coi volgari assassini che si gettano su varii luoghi di alcune provincie napolitane per amore unicamente di saccheggio e di rapina. Invano domandereste loro un programma politico; invano cerchereste fra i nomi di coloro che li conducono, quando hanno alcuno che li conduca, un nome che pur lontanamente si potesse paragonare con quelli di Cabrera, o di Larochejacquelein, o anche solamente del curato Merino, di Stofflet e Charrette. Dei generali ed ufficiali superiori rimasti fedeli al Borbone, neppur uno ha osato assumere il comando dei briganti napoletani e la responsabilità dei loro atti. Questa assoluta mancanza di colore politico, la quale risulta dal complesso dei fatti e dei procedimenti dei briganti napoletani, è anche luminosamente attestata dalle corrispondenze ufficiali dei Consoli e Vice Consoli inglesi nelle provincie meridionali testé presentate dal Governo di S. M. Britannica al Parlamento (l); sulle quali mi permetto di richiamare l'attenzione della S. V., specialmente sul Dispaccio 12 Giugno del signor Scaurin della Capitanata e su quello del signor Bouham 8 Giugno che specificatamente

dice: « Le bande dei malfattori non sono numerose a quanto sembra, ma sono diffuse per tutto, e per tutto si parla dei loro atti feroci, spogliando i viaggiatori ·e i casali, tagliando i fili elettrici, e talvolta incendiando i raccolti. L'antica bandiera borbonica è stata in alcuni luoghi rialzata, ma certo è che il movimento non è per nulla politico, ma solo un sistema di vandalismo agrario preso come professione da gran parte delle truppe sbandate che preferiscono il saccheggio

al lavoro».

Il brigantaggio napoletano pertanto può ben essere uno strumento in mano della reazione che lo nutre, lo promuove e lo paga per tener agitato il paese mantener vive folli speranze e ingannare l'opinione pubblica d'Europa; ma quanto sarebbe falso il prenderlo come una protesta armata del paese contro il nuovo ordine di cose, altrettanto sarebbe inesatto il dargli, sulla fede delle relazioni dei giornali, l'importanza e la estensione che gli si attribuisce.

Le provincie che formavano il Regno di Napoli si ripartiscono in quattro grandi naturali divisioni: gli Abbruzzi, le Calabrie, le Puglie e finalmente il territorio verso il Mediterraneo in mezzo a cui siede Napoli. Nelle Calabrie, che comprendono tre Provincie, non vi è vero brigantaggio, ma solo alcuni furti e aggressioni che in niun tempo si poterono da quei luoghi estirpare: in condizioni analoghe è la Basilicata prossima ed in gran parte montuosa. Nelle tre Puglie non avvi brigantaggio organizzato in bande: lo stesso dicasi degli Abbruzzi dove non s'incontrano se non briganti sparpagliati, colà rifugiatisi dalle Provincie di Molise e di Terra di Lavoro. Il vero brigantaggio esiste nelle Provincie che sono intorno a Napoli; ha per base la linea del confine pontificio, tiene le sue forze principali sulla catena del Matese che divide Terra di Lavoro dal Molise e di là poi si getta su quelle due provincie e in quelle di Avellino, di Benevento e di Napoli, distendendosi lungo l'Appennino fino a Salerno e perdendo sempre più d'intensità quanto più si discosta dalla Frontiera Romana dove si appoggia e dove si rinforza d'armi, d'uomini e di danari. Cinque sole pertanto delle quindici provincie onde si componeva il Regno di Napoli, sono infestate dai briganti. Né già costoro occupano quelle provincie, né hanno sede in alcuna città o in alcuna borgata, ma vivono in drappelli sulle montagne, di là piombano alla preda sui luoghi indifesi, mai non osarono attaccare nemmeno una città di terz'ordine, mai non osarono attaccare un luogo custodito da truppa per quanto scarsa si fosse: dove arrivano, se non incontrano resistenza, liberano malfattori dalle carceri, e ingrossati di questi e dei villani per antica abitudine usi a queste fazioni, rubano, saccheggiano e si rinselvano.

Il brigantaggio quale oggi è esercitato nel napoletano, non è pertanto una reazione politica né è cosa nuova. Esso è il frutto delle guerre frequenti e continue colaggiù combattute, delle frequentissime commozioni politiche, delle rapide mutazioni di signorie, del malgoverno continuo. Il brigantaggio desolò quelle Provincie durante il Vice-Regno Spagnuolo ed Austriaco fino al 1734, nè cessò regnando i Borboni e poi Giuseppe Napoleone e Murat. La S. V. non ignora quale celebrità infame acquistassero nel breve periodo repubblicano del 1799 i nomi di Pronio e di Rodio negli Abbruzzi, contro il primo dei quali fu mandato con un esercito il generale Dumesme (l): il nome di Michele Pezza soprannominato Fra

Diavolo nella Terra di Lavoro; il nome di Gaetano Mammone nella provincia di Sora. Durante il Regno di Giuseppe Napoleone e di Gioachino Murat fino al 1815 il brigantaggio mostrossi tanto audace e tE-rribile che si reputò necessario mandare a sperperarlo nelle Calabrie il Generale Manhes con poteri illimitati. Non ignora la S. V. come largamente ne usasse il Generale, poiché non è molto che i provvedimenti e gli atti suoi, più che severi, furono, con quella buona fede che sogliono i partiti vinti allorché hanno una cattiva causa a difendere, attribuiti e imputati a biasimo al Governo del Re. I Borboni restaurati presero altra via per distruggere il brigantaggio di cui si eran valsi e che ora si riconoscevano impotenti a reprimere. Il Generale Amato venne a composizione colla banda Vardarelli che infestava le Puglie, e pattuì con essa non solamente perdono ed oblio, ma che fosse tramutata con larghi stipendi in una squadra di armigeri al servizio del Re, al quale presterebbe giuramento. Fermati questi patti, la banda venne in Foggia, per rassegnarsi e quivi dal Generale fatta circondare, fu a fucilate distrutta. Il brigante Tallarico ebbe da Ferdinando II, perché cessasse le aggressioni e si ritirasse in Ischia dove ancora vive, non solo grazia piena ed intera, ma più 18 ducati al mese di pensione.

Il brigantaggio dunque trae nelle Provincie Napoletane la sua ragione d'essere dai precedenti storici e dalle abitudini del paese, senza contare il fomite dei rivolgimenti politici, ai quali si aggiungono nel nostro caso particolari cagioni. Io non insisterò sul malgoverno che i Borboni fecero delle provincie meridionali, non sarò più severo dei Rappresentanti delle Potenze Europee al Congresso di Parigi del 1856, che lo citarono in giudizio come barbaro e selvaggio h'inanzi all'Europa civile, né dell'onorevole Gladstone, che al cospetto del Parlamento Britannico lo chiamò negazione di Dio; io dirò solo che il Governo Borbonico aveva per principio la corruzione di tutto e di tutti, così universalmente, così insistentemente esercitata, che riesce maraviglioso come quelle nobili popolazioni abbiano un giorno trovato in sé stesse la forza di l'iberarsene. Tutto ciò che nei governi mediocremente ordinati è argomento a rinvigorire, disciplinare, moralizzare, in quello era argomento d'infiacchire e depravare. La Polizia era il privilegio concesso ad una congrega di malfattori di versare e taglieggiare il popolo a loro arbitrio, purché esercitassero lo spionaggio per conto del governo; tale era la camorra. L'esercito, salvo eccezioni, si componeva di elementi scelti con ogni cura, scrupolosamente educato da gesuiti e da cappellani nella più abietta e servile idolatria del Re e nella più cieca superstizione: nessuna idea dei doveri verso la patria: unico dovere difendere il Re contro i cittadini considerati potenzialmente come nemici di lui ed in continuo stato di almen pensata ribellione.

Che se questo venisse all'atto, l'esercito sapeva che la vita e le sostanze dei cittadini gli appartenevano, e che avrebbe agio di sfogare gli istinti feroci e brutali, e tutte le cupidigie che si coltivavano nell'animo suo. Del resto nessuno di quegli ordini che mantengono la disciplina e danno al soldato lo spirito di corpo e il sentimento del suo nobile ufficio, della sua importanza, della sua dignità: non si affezionava al paese: bastava fosse ligio al Re, che per guadagnarselo non risparmiava le più ignobili piaggerie.

Erano centomila, ben forniti d'armi, di danaro, possessori di fortezze formi

dabili ed infiniti mezzi di guerra: eppure non combatterono e cedettero sempre

innanzi a un pugno di eroi, che ebbe l'audacia di andarli ad affrontare: reggimenti, corpi interi d'armata si lasciarono prender prigionieri. Si credè che gente che non combatte, non farebbe mai dei soldati nel vero senso della parola, e dei soldati d'Italia specialmente: ebbero facoltà di tornare alle case loro e si sbandarono: ma avvezzi agli ozii e alle depravazioni delle caserme, disusati dal lavoro, ripresero con egual ferocia ma con più viltà le tradizioni di Mammone e di Morra, e si fecero briganti. Se nelle loro atroci imprese portano talora la bandiera borbonica, egli è per un resto di abitudine, non per affetto. Si disonorarono non la difendendo, ora la disonorano facendone un segnacolo agli assassinii ed alle rapine.

Per tal modo si è formato il brigantaggio napoletano e di tali elementi si recluta; a questi si aggiungono i facinorosi, i fuggiti dalle galere di tutto il mondo, gli apostoli e i soldati della reazione europea convenuti tutti allo stesso punto perché sentono che ora si gioca l'ultima loro posta e si combatte l'ultima loro battaglia. E qui mi duole, o Signore, che la necessità di far compiuta questa esposizione, mi costringa a ricordare persone il cui nome, come cattolico e come italiano, non vorrei aver mai da pronunziare se non per cagione di riverenza e di ossequio. Ma non posso né debbo tacere che il brigantaggio napoletano è la speranza della reazione europea, e che la reazione europea ha posta la sua cittadella in Roma. Oggi il Re spodestato di Napoli ne è il campione ostensibile e Napoli l'obbiettivo apparente. Il Re spodestato abita in Roma il Quirinale e vi batte moneta falsa, di cui si trovano forniti a dovizia i briganti napolitani: l'obolo carpito ai credenti delle diverse parti d'Europa in nome di S. Pietro serve ad assoldarli in tutte le parti d'Europa: a Roma vengono a inscriversi pubblicamente: a prender la parola d'ordine e le benedizioni con cui quegli animi ignoranti e superstiziosi corrono più alacremente al saccheggio e alle stragi: da Roma traggono munizioni ed armi quanti ne abbisognano: sui confini romani col Napoletano sono i depositi e i luoghi di ritrovo e di rifugio per riannodarsi e tornare rinfrescati alla preda. La perquisizione e gli arresti fatti in questi giorni dalle forze francesi non ne lascian più dubbio: l'attitudine ostile, le parole dette anche in occasioni solenni da una parte del clero, le armi, le polveri, i proclami scoperti in alcuni conventi; i preti e i frati sorpresi tra le file dei briganti nell'atto di compiere le loro imprese, fanno chiaro ed aperto d'onde vengano ed in qual nome gli eccitamenti. E poichè qui non vi hanno interessi religiosi da difendere, e quando pur vi fossero, né con tali armi, né da tali campioni, con questi modi si potrebbe tollerare che fossero difesi, è manifesto che la connivenza e la complicità della Curia Romana col brigantaggio napoletano deriva da solidarietà d'interessi temporali, e che si cerca di tener sollevate le Provincie meridionali ed impedire che vi si stabilisca un governo regolare riparatore di tanti mali antichi e nuovi, perché non manchi in Italia l'ultimo sostegno del Principato del Papa. N o i abbiamo fiducia che di qui debba trarsi un nuovo ed efficace argomento per dimostrare all'evidenza che il potere temporale non solamente è condannato dalla logica irresistibile del principio di unità nazionale, ma si è reso incompatibile colla civiltà e colla umanità.

Ma quand'anche si volesse concedere che il brigantaggio napoletano fosse d'indole essenzialmente politica, dovrebbero pur sempre trarsene conseguenze opposte a quelle che vorrebbero i nostri nemici. Primieramente non si può dedurre argomento alcuno dalla sua durata. Non si dee perder di vista che alle

nostre forze è negato di poter circondare da ogni lato i briganti, come sarebbe necessario per distruggerli compiutamente, poiché battuti e dispersi sul suolo napoletano hanno comodo rifugio nel prossimo e contermine Stato Romano, dove con tutta sicurezza rifanno nodo, e ristorati di nuovi aiuti di là ripiombano alle usate devastazioni. Si dee pur considerare che la natura del suolo per lo più montuoso e non intersecato da strade praticabili, mentre favorisce gli improvvisi assalti, porge facilità agli assalitori di sparpagliarsi prestamente e nascondersi. Né per ultimo si dee dimenticare che, nonostante le condizioni eccezionali di Napoli, vi sono rimaste in vigore le franchigie costituzionali, e che quindi il rispetto alla libertà della stampa, all'inviolabilità del domicilio, alla libertà individuale, al diritto di associazione impedisce che si proceda a repressioni sommarie e subitanee. Il che fornisce in secondo luogo un argomento a favor nostro, poiché quelle guarentigie potrebbero essere in mano dei nostri nemici strumento ad alienare e sollevare contro il Governo Italiano le popolazioni, se veramente le popolazioni meridionali fossero avverse all'unità d'Italia. Eppure quali sono le provincie, quali le città, quali i villaggi che si sollevino all'appressarsi di questi nuovi liberatori? Vive forse il Governo in diffidenza delle popolazioni e comprime i loro sentimenti col terrore? Si vegga la stampa napoletana: si potrà accusarla che volga piuttosto alla licenza di quello che si astenga dal trattare come le piace della cosa pubblica. Il Governo ha armato il paese nella guardia nazionale, il Governo ha fatto appello per volontarii arruolamenti, e il paese ha larghissimamente risposto all'appello, sicché parecchi battaglioni si sono già potuti ordinare e mobilizzare. E guardie nazionali, e guardie mobili e volontarii e borghesi e villici, corrono ad affrontare briganti, e non di rado vi mettono la vita, e in quei frangenti le differenze di opinioni spariscono, e le diverse frazioni del partito liberale si stringono al Governo, sicché le forze regolari e le cittadine non hanno da contare una sconfitta. E in più di un anno, fra tante incertezze, fra tante ansie, fra tanti mutamenti, nel pieno esercizio di una libertà nuova e larghissima, Napoli, questa immensa città di 500 mila abitanti, non ha sollevato mai un grido di disunione, non ha lasciato estendersi né compiersi neppur una delle cento cospirazioni borboniche, che vi sono a brevi intervalli nate e morte.

Io penso che dal complesso di questi fatti possa la S. V. farsi chiaro il concetto che il brigantaggio napoletano non ha indole politica: che la reazione europea annidata e favorita in Roma lo fomenta e lo nutre in nome degli interessi dinastici del Diritto Divino, in nome del potere temporale del Papa, abusando della presenza e della tutela delle armi francesi colà poste a guarentigia di interessi piu alti e piu spirituali; che le popolazioni napoletane non sono avverse all'unità nazionale né indegne della libertà, come si vorrebbero far credere. Vittime di un reggimento corruttore, non dobbiamo dimenticare che esse diedero gli eroi ed i martiri del 1799 e che si trovarono pronte nell'ora della nuova rigenerazione a prender posto accanto agli altri loro fratelli d'Italia.

Ciò che la civiltà e l'umanità del secolo non posson tollerare si è che queste

opere di sangue si preparino nella sede e nel centro della Cattolicità, colla

connivenza non solo, ma col favore dei Ministri di chi rappresenta in terra il

Dio della mansuetudine e della pace. Le coscienze veramente religiose sono

indignate dell'abuso che per fini meramente temporali si fa delle cose sacre:

le coscienze timorose sono gravemente perturbate vedendo crescere la discordanza fra i precetti dell'Evangelo e gli atti di chi deve interpretarlo e insegnarlo. Roma, procedendo nella via sulla quale si è messa, pone a repentaglio gli interessi religiosi e non salva i mondani. Tutti gli animi onesti ne sono ormai profondamente convinti, e questa universale convinzione faciliterà molto il compito indeclinabile del Governo Italiano, che è quello di restituire all'Italia ciò che appartiene all'Italia, restituendo in pari tempo la Chiesa nella sua libertà e nella sua dignità.

(l) Papers respecting the afjaires of Southern Italy, London 1861. Il rapporto 12 giugno 1861 del Saurin (non Scaurin) a Sir James Hudson reca il n. 26; l'altro del Console a Napoli, Bonham (non Bouham), a Lord John Russell reca il n. 29 ed è del 28 (non 8) giugno.

(l) Recte: Duhesme.

274

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 482. Torino, 25 agosto 1861, ore 14.

Hier au soir j'ai expédié une dépeche circulaire sur la véritable situation de Naples. Je vous prie de la communiquer au Gouvernement Impérial et si vous le croyez utile donnez-en copie. Je vous préviens que cette circulaire sera bientot publ'iée dans un journal italien par le fait d'une indiscrétion (1).J'ai ouvert un crédit de 10 mille francs en faveur de Tibaldi auquel j'ai fait écrire mes instructions par Bianchi aujourd'hui.

275

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 730. Madrid, 25 agosto 1861, ore 9,40 (per. ore 13).

La réponse à ma Note du 17 aout, qu'on m'a fait d'abord espérer promptement, est en retard; la cause de ce retard est l'attitude que ce Gouvernement garde envers nous et dans sa persuasion que Naples ne nous reste pas; persuasion que la diplomatie française travaille sans cesse à entretenir.

276

L'INVIATO STRAORDINARIO A LISBONA, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 731. Lisbona, 25 agosto 1861, ore 19 (per. ore 2 del 26).

Le Ministre des Affaires Etrangères croit que l'Envoyé Extraordinaire sera à Turin avant le 15 Septembre. Il a agrée les assurances invariables de nos sentiments envers l'Eglise et le Pape et m'a dit de vous notifìer la résolution prise ces jours derniers en Conseil des Ministres de se maintenir dans une politique de sympathie pour l'Italie en conséquence de l'acte de reconnaissance et au refus de s'associer à l'Espagne dans une démonstration favorable au pouvoir temporel.

(l) Fu pubblicata il 31 agosto 1861 dalla Perseveranza e dall'Opinione.

277

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE S. n. Parigi, 25 agosto 1861.

Domani parte per Torino il signor Benedetti, Ministro di Francia presso la Corte Italiana. Egli conta di fermarvisi per ora solo il tempo necessario a presentare le sue credenziali ed a cercarsi un alloggio conveniente; poi tornerà in Francia per un mese o due, trascorso il qual termine si recherà definitivamente al suo posto in un colla famiglia.

Mi risulta per varie vie che le istruzioni dategli dall'Imperatore Napoleone si riducono alle seguenti cose :

« Il Governo Italiano deve essere persuaso che l'Imperatore fu sempre ed è rimasto il suo migliore amico. Si abbia dunque fiducia in lui. Non si tenti di forzargli la mano. S'è detto che Cialdini inseguirebbe i briganti anche sul territorio pontificio. Si guardi di non farlo. L'Imperatore non permetterà mai che si offenda la bandiera francese. Egli sarebbe costretto a far passare i suoi soldati sul territorio napoletano e non esiterebbe un istante a farli marciare sulla città stessa di Napoli. Si rispetti adunque anche l'ombra della bandiera francese. L'Imperatore fece la spedizione di Roma. Non discute se abbia fatto bene o male. È pronto ad ammettere d'aver fatto male. Ma le milizie francesi ora ci stanno e l'Imperatore ha preso l'impegno di tutelare la sicurezza del Papa.

«È molto difficile che possa sciogliersi dall'impegno col Papa attuale. Alla morte del I'apa, o sotto l'impero di circostanze anche piu vicine ma non previste, evidente:r:nente si offrirà un'occasione buona che permetterà alla Francia di richiamare le sue truppe. In questo momento non si prevede una simile occasione. Che fare intanto? L'Imperatore propone; l. che si continui a negoziare

o a fingere di negoziare con Roma, per intrattenere il pubblico e mettere il Papa dal lato del torto (l); 2. che si agisca sull'opinione pubblica colla stampa e con altri mezzi idonei; 3. che ad ogni costo si quieti Napoli.

Per ottenere quest'ultimo e principal risultato insiste perché si mandino a Napoli quanti più soldati si possa, lasciando anche all'uopo scoperta la frontiera lombarda che ora l'Austria non pensa punto a minacciare. Si copra di milizia e di carabinieri il territorio napoletano tutto quanto, se occorre, purché si pervenga a quietare il paese.

Lo stato di Napoli preoccupa l'Imperatore al più alto grado. Il nuovo Ministro di Francia chiamerà tutta l'attenzione del Governo del Re sul cattivo senso che fanno in Europa le nuove che il telegrafo manda ogni dì da quelle disgraziate contrade.

-o ripresi: esser questo l'unico modo di poter sperare una qualche soluzione alla quistione romana •· Nella stessa conversazione l'incaricato d'affari italiano veniva a conoscere che il Papa aveva dichiarato che se le truppe francesi in quel momento abbandonassero Roma, egli sarebbe partito da quella città, sicché in tale stato di cose riusciva impossibile all'Imperatore Napoleone di richiamare le sue truppe dallo Stato Pontificio.

c Il Governo Italiano pensi ad ordinare l'esercito e l'amministrazione ed a ricondurre la tranquillità nelle provincie. L'Imperatore non cesserà di preoccuparsi della questione di Roma. Non sa ancora come ella potrà risolversi. Dovrà tener conto delle serie difficoltà che trova a questo proposito anche in Francia. Ma non si può dubitare dei sentimenti benevoli all'Italia che esso porterà nelle sue risoluzioni su questa grave complicazione.

c Il Parlamento francese nella passata sessione non si mostrò molto favorevole a noi. Nella nuova sessione l'Imperatore conta sopra sentimenti più equi e a noi più benigni. D'altronde già la stampa si pronunzia in miglior senso. Si continui questa buona tendenza.

c: L'Imperatore crede che l'Italia avrebbe meglio provveduto ai propri interessi se avesse dato ascolto pel passato ai consigli suoi. Lo si ascolti di più per l'avvenire. >

Tale è il linguaggio che l'Imperatore avrebbe tenuto al Sig. Benedetti.

L'E. V. sarà tosto in grado di avere dalla bocca stessa di Benedetti la conferma di questi sentimenti.

Ho creduto conveniente di esporle quanto seppi prima che il nuovo Ministro di Francia arrivi in Torino, affinché Ella abbia agio d'applicare tutta la sua attenzione su questa grave condizione di cose.

Chiamo sovratutto la di lei attenzione sull'eventualità d'un intervento francese a Napoli chiaramente accennata nel discorso dell'Imperatore al Sig. Benedetti. È bensi vero che questa eventualità sarebbe subordinata a quella del passaggio di soldati italiani sul territorio pontificio. Ma per essere condizionale, non mi pare perciò men grave. È la prima volta che si accenna in modo manifesto ad un'occupazione francese del territorio napoletano.

In tale stato di cose parmi sia cosa prudente il togliere ogni pretesto ad un fatto di tanta gravità che metterebbe a repentaglio l'unità e l'indipendenza d'Italia, dando ordini prec'isi perché si rispetti il terreno protetto dalla bandiera francese.

Gli indugi dell'Imperatore, conformi del resto all'indole sua, devono attribuirsi a più cause, cioè: in primo luogo alle vere e reali difficoltà che l'Imperatore trova in Francia per parte di chi piu lo avvicina, per parte della classe più ricca e piu elevata della società; alla morte del Conte di Cavour, il quale avvenimento diminui, all'estero, la fiducia nei successi nostri; alla malattia del Papa che rese prevedibile un prossimo Conclave, ed infine agli avvenimenti di Napoli, i quali, già gravi in sé, esagerati poi da fallaci corrispondenze, van recando grandissimo nocumento alle cose nostre.

Però questi indugi non paionmi di natura tale da diminuire la nostra fiducia

nelle intenzioni dell'Imperatore, il quale, a mio giudizio, non brama di meglio

che le circostanze e le condizioni dello spirito pubblico e degli eventi gli permettano di levar l'esercito da Roma e di aiutarci a risolvere senza pericolo la difficile questione romana. Una prova di queste intenzioni Ella può vedere nell'articolo del Siècle d'oggi, che io so in modo positivo essere stato suggerì-o dal Gabinetto particolare dell'Imperatore.

Conoscendo io a pieno l'animo di V. E. non ho bisogno di raccomandarle di fare lieta accoglienza al Sig. Benedetti e di procurargli pronta udienza da S. M.

22 · Documenti diplomatici . Serie I . Vol. I

Ho portato a notizia del Sig. Thouvenel il contenuto del telegramma che ieri mi spedì l'E. V. per notificarmi l'avviso avuto che da Roma si tenta in questo stesso momento un movimento contro le provincie napoletane per opera del Borbone e della Corte Pontificia.

P. S. -Ricevo in questo istante il telegramma con cui V. E. mi annunzia una circolare sugli affari di Napoli. Ne darò, com'Ella preferisce, comunicazione al governo imperiale. Quanto al Tibaldi, la ringrazio di avermi avvertito della sua missione e del credito apertogli. Lascerò a lui la cura d'agire sulla stampa, !imitandomi a secondario quando la mia opera sia stimata utile.

(l) -Fin dal 14 luglio 1861, con la confidenziale n. 46, il Gropello, a tale proposito, aveva comunicato al Ricasoli che Benedetti, allora Direttore degli Affari Politici al Quai d'Orsay,si era espresso con lui in questi termini : c esser cosa conveniente che i segreti e confidenziali negoziati intavolati al tempo del Conte di Cavour con Roma venissero o continuati
278

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A MADRID, TECCO

T. 484. Torino, 26 agosto 1861, ore 9,30.

Faites instances pour réponse catégorique. On se trompe bien sur Naples et plus encore on se trompe en pensant qu'on pourrait défaire l'unité d'Italie sans une conflagration générale, et sans que le principe monarchique coun1t grand danger. Je souhaite que le Gouvernement de Madrid comme tout autre Gouvernement qui pourrait former de vceux si peu sages, reviennent à des plus prévoyants conseils.

279

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 103-107).

L. P. Torino, 26 agosto 1861.

Le cose nostre si aggravano. L'audacia dei preti non ha più limite. Apparisce manifesto che Roma spinge alla resistenza su tutti i punti. Il Governo si trova impedito nei suoi atti. A Orvieto si negò la Messa per il giuramento di una compagnia di bersaglieri, in grande parte napoletani. A Chieti si sospesero a divinis alcuni sacerdoti, che fanno parte di quella scuola magistrale. Si sono sospesi alcuni cappellani militari per avere cantato il Te Deum nell'occasione della festa nazionale. Le ostilità si accrescono ogni giorno più e si cercano con studio tutte le occasioni.

Vi sono poi gli atti diretti che partono da Roma: sia di uomini che si spediscono nelle nostre provincie, sia di eccitamenti, sia di denaro. La presenza passiva dei Francesi a Roma accresce la temerità frenetica da una parte, e dall'altra rende incerta l'azione del Governo del Re, perché, ovunque voglia procedere, s'incontra con l'autorità francese. Le popolazioni che sono tuttora sotto il dominio di Roma, si dibattono nell'irritazione e vorrebbero prorompere in un

movimento che io m'affatico a contenere. Le moltitudini tutte conscie di questo male che ci aggrava, che ci logora, non sono inclinate ad accettarne con animo tranquillo quella che per esse è la prima cagione, Roma. Al contrario si fa più forte in esse 'il desiderio di aver Roma non tanto perché cessi di essere centro nemico, ma invece doventi occasione di fusione viva e più forte tra il Mezzogiorno e il Settentrione d'Italia. Le moltitudini pure che frequentano le chiese, e pregano come prima, non sanno vedere che un bene per la Chiesa che il Papa sia sbrogliato da un impaccio che lo forza a farsi nemico d'Italia. In questi sentimenti, che partono da una logica schietta e naturale quale muove le moltitudini, sorge una voce di lamento contro la Francia, perché si faccia impeditrice al libero svolgimento della nostra Nazione, e ci obblighi a consumare le nostre migliori forze nel ribattere contrarietà che sono il frutto di uno stato di cose, che si sostiene in onta alle ragioni e ai nostri nazionali diritti. I partiti profittano delle circostanze per inasprire il lamento e creare divisioni. L'autorità del Governo, non potendo spiegare pienamente sé stessa, davanti la pubblica coscienza si sminuisce in questi faticosi contrasti. I segni di uno scisma politico si fanno ovunque manifesti. Io, quindi, sento di dovere porre il Governo italiano, che è il vero interessato, in una posizione netta sia al di fuori, sia al di dentro. Pensando lungamente al modo pratico, visto l'ostinato rifiuto del Governo imperiale di accudire a veruna proposta, non mi resta che ripigliare un mio concetto, il quale, se altro vantaggio non avrà, avrà pur quello di provare a tutti la sincerità dell'intenzione del Governo italiano, la perfida cecità della Corte Romana, e ne darà libertà all'avvenire a tutti di procedere secondo le circostanze; accrescerà al Governo francese la libertà

di ritirare le sue truppe da Roma, chiamerà giudice l'Europa civile del contrasto fra Roma e l'Italia, e il Governo del Re giustificherà sè davanti gli Italiani, e al cospetto d'Europa.

Eccone le parti. Il Governo d'Italia scriverà lettera al Papa, nella quale protestando della sua devozione alla Chiesa, gli significherà il desiderio del Governo di venire ad una finale composizione nell'interesse della Chiesa e dello Stato e della quiete dei popoli.

Si nomineranno tre persone aventi i requisiti di dottrina e di specchiata pietà, e saranno autorizzati a trattare come negoziatori officiosi. Un progetto di conciliazione sarà proposto in cui sarà fatto chiaro il desiderio sincero del Governo di dare alla Chiesa splendore e indipendenza, e non vi sarà posto limite se non lo chiegga la strettissima ragione di tutela dello Stato.

Prima di muovere questo negozio, se ne darà comunicazione all'Imperatore, e gli si chiederà quello che io espressi più d'una volta al generale Fleury essere pure necessario, e non grave e non compromettente, cioè che voglia significare al Papa di conoscere il trattato proposto dal Governo italiano e di approvarne la sostanza. E meglio sarebbe se l'Imperatore facesse eziandio intravvedere al Papa che in caso di rifiuto, egli, o per questa o per altra ragione, troverebbe motivo di ritirare quanto prima le sue truppe da Roma.

Mi occorre adesso di considerare particolarmente la lettera che dovrà essere indirizzata al Papa. Penso di dirigerne una pure al cardinale Antonelli. Per chi le farò io presentare, onde la presentazione abbia effetto e sia autentica e formale? Un inviato nostro sarebbe probabilmente rifiutato. Credo che ella pure

sarà del mio avviso. In questo caso dovrei chiedere l'intervento del Governo francese, che voglia acconsentire che la presentazione di queste lettere sia fatta per mezzo del suo rappresentante a Roma. Se potessi evitare questo, e conseguire lo stesso intento per altra via, mi atterrei a questa. Ella voglia dirmi su tutto il suo parere. Io le ho confidato il mio disegno, e mi sarà accetto ogni perfezionamento che mi venga da lei.

Io penso che tornerà ad onore del Governo italiano, non che degl'Italiani, di essere andati mansueti, benevoli e rispettosi davanti il capo della Chiesa. Quanto a me compio l'atto di una profonda convinzione. Come uomo che ha in mano le sorti d'Italia cattolica, come cittadino e come cattolico mi credo in debito di dimostrare al mondo come sia sentito sinceramente il desiderio di dare alla Chiesa un posto degno di lei, e dimostrare come si possano conciliare a benefizio comune l'esigenze di due potestà distinte, ma tutt'altro che antagoniste. Reso fallito questo tentativo, attenderemo impassibili e tranquilli l'avvenire. La posizione del Governo italiano in allora sarà netta, e piena di autorità. Io presi il Governo per tutela dell'ordine, della causa italiana e per consolidare il principio monarchico in Italia, e dirò pure in Europa. Queste grandi ragioni di conservazione sociale andrebbero grandemente compromesse, se nella prima metà del settembre prossimo non fosse iniziato quest'affare, da cui può risultarne grande bene all'umanità. Io tenni di ciò aperto ed intimo discorso al generale Fleury, e gli passai perfino un primo progetto di questo affare. Una volta iniziato l'affare, converrà avere l'appoggio di tutta la stampa migliore, e di tutta quella parte di diplomazia che è più illuminata e che ci è più amica. Converrà avere l'appoggio dei Cardinali i più saggi e degli uomini più cospicui in generale.

Converrà che sia una forte e universale pressione della pubblica opinione che venga in aiuto al grande negozio.

* Al Sig. Tibaldi ho aperto un credito di Lire 10 mila presso di Lei. Deve servirsene per alimentare saggiamente una stampa chiamata a delucidare gli interessi italiani, a presentare le nostre cose sotto il loro punto vero di vista, a spianare le contrarietà mercé manifestazioni solenni e favorevoli alla pubblica opinione in Francia. Il campo è largo ed è di urgenza il raccogliere frutti. Le raccomando molto anche questo negozio *

280

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A MADRID, TECCO

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 26 agosto 1861.

Gli ultimi suoi rapporti mi annunziano qualche leggiero miglioramento nelle disposizioni del Gabinetto di Madrid rispetto alle mutazioni compiutesi in Italia, ed al riconoscimento del nuovo Regno. Per quanto si mostri ancora debole ed incerto questo avviamento a più sani giudizi intorno alle cose Italiane, io non posso a meno di rallegrarmene e di ringraziare la S. V. Ill.ma della parte che vi ha preso colle savie sue osservazioni e colle sue pratiche presso il Governo di S. M. Cattolica. Agli interessi d'Italia, e lo dirò francamente, agli interessi benintesi del Governo Spagnuolo io credo però non basti l'avere con qualche temperamento di forme eliminate quelle asprezze che potevano turbare le mutue amichevoli relazioni. Agli uni come agli altri conviene che queste relazioni siano poste al sicuro da ogni pericolo, e l'unico modo, ben deve aversene a Madrid il sentimento, si è che il riconoscimento del Regno d'Italia tolga infine di mezzo ogni motivo di dubitazioni e di diffidenze.

lo reputerei far torto gratuito alla intelligenza ed alla lealtà degli uomini distintissimi che reggono i destini della Spagna, se li supponessi pensatamente e realmente avversi alla formazione della nazionalità Italiana e propensi ai nemici d'Italia. Io non parlerò dei motivi di simpatia che una nazione grande e generosa la quale ha comuni con noi le origini, per cui l'indipendenza e l'onore naz'ionale son come un culto, e che due volte riconquistò con eroiche gesta la propria autonomia dovrebbe trovare verso un popolo affine, che in sostanza altro non ha operato sinora, ad altro non aspira che ad assicurare la sua nazionale esistenza.

Ma ciò che al Governo Spagnuolo suggerir dovrebbero naturali simpatie, non gli è meno raccomandato da politiche convenienze. Io non credo che il Gabinetto di Madrid possa vedere una fonte di forza, un mezzo di utili combinazioni nelle antiche divisioni d'Italia. Egli rammenterà all'incontro di quanti mali e di quanti rovesci siano state cagione alla Spagna quelle lotte di dominazione e d'influenza in cui essa venne molte volte trascinata in Italia, e come nei giorni suoi di pericolo non abbia poi trovato mai un valido sostegno in quelle dinastiche creazioni per fondare le quali aveva profuso tanto sangue e tanti tesori.

D'altronde il Governo di S. M. Cattolica troppo conosce per gloriosa esperienza del proprio paese, quanto sia vigoroso in un popolo il sentimento nazionale per poter pensare che moti reazionari interni, benché fomentati nel centro stesso d'Italia ed ajutati forse da intrighi stranieri, possano distruggere l'opera dei passati avvenimenti e trattenere un movimento che è nello spirito della nazione e voluto con forte ed irremovibile proposito dalla immensa maggioranza degli Italiani. Ormai le illusioni a questo riguardo debbono apparir impossibili. Le reazioni interne possono prolungare ancora di qualche settimana, di qualche mese i patimenti e gli sforzi d'Italia, possono cagionare ancora in qualche luogo un inutile e doloroso spargimento di sangue, ma non possono ricondurre un ordine di cose cui ripugnano in generale le popolazioni anche nelle classi men colte d'Italia, un ordine di cose che fu condannato dalla coscienza d'Europa come disonorevole per la Monarchia, funesto per la civiltà, e che va distruggendo in ogni animo onesto qualsiasi propensione che pur potesse ancora nudrirsi dai non molti suoi partigiani scatenando sul paese e sui sudditi che vorrebbe riconquistare tutti i flagelli di un barbaro e sanguinoso brigandaggio.

L'intervento straniero, un intervento aperto e fatto con mezzi superiori alle forze italiane potrebbe solo far pericolare il presente assetto d'Italia. Ma il Gabinetto di Madrid abbastanza conosce le odierne condizioni della politica europea per non essere convinto che un intervento qualunque sarebbe il segnale di una guerra generale in Europa, ed una guerra dove la Spagna stesse coi nemici d'Italia ben potrebbe avere per la monarchia Spagnuola immensi pericoli, ma non procurarle certamente alcun vantaggio, qualunque fosse poi l'esito della lotta.

N o n vi è forse paese al mondo per cui la pace sia così necessaria e così benefica quanto la Spagna, e niun errore potrebbe riescirle più fatale e per l'interno suo sviluppo, e per l'esterna sua potenza che l'associarsi ad una politica di reazione promossa dall'Austria col disegno ben evidente di crearsi aiuti a meditate aggressioni.

Queste considerazioni sorgono così spontanee, così naturali dalia semplice osservazione delle cose presenti, ch'io mal potrei immaginarmi non si affaccino al pensiero de' Ministri Spagnoli, e loro non facciano concepire gravi e serii timori sulla condotta a cui li si vorrebbe trascinare con queste loro opposizioni più o meno aperte al ristabilimento della nazionalità Italiana.

Ma disgraziatamente sembra che il timore di venir sopraffatti da un partito più avanzato, ciò che sarebbe forse una disgrazia per la Spagna che uscita da tante convulsioni ha d'uopo di un governo forte e moderatore, tragga il Gabinetto di Madrid a scostarsi da quella via che gli sarebbe additata dalle sue origini e dai suoi principii. Invece di cercare di rafforzarsi in una politica francamente liberale all'interno ed all'estero che sarebbe certamente più conforme ai sentimenti generosi del popolo spagnuolo, il Ministero O' Donnel crede forse trovare un appoggio in quelle tendenze reazionarie che da qualche tempo circondano una Regina a cui è pur dovuta altissima stima per le qualità sue personali, e che abusando della sua sincera pietà tentano guadagnarla a consigli non meno funesti per la sua casa che per il suo paese.

È lecito sperare, Sig. Barone, che la ragione e la pratica saviezza dei Ministri finirà per vincere queste influenze, e dimostrare al Gabinetto come alla Corte di Madrid che meglio s'addice ai veri e permanenti suoi interessi lo stringere franca amicizia con governi e con popoli della sua stirpe, retti a principii di nazionalità e di libertà, e dai quali può ripromettersi costante ed attiva benevolenza, che il porsi, non volendolo forse, dal lato della politica austriaca, ed essere fatalmente condotti ad alleanze il cui effetto necessario è di spingere il Governo Spagnuolo a reazioni e turbamenti interni, e di esporlo ad esterne eventualità sommamente pericolose.

Sembrami però nello stesso tempo che il Governo Spagnuolo potrebbe più facilmente essere tratto a risoluzioni per noi e per lui vantaggiose, se le influenze di Corte venissero efficacemente bilanciate da più aperta e più decisa attitudine della pubblica opinione, e se gli venisse non dirò forzata la mano, ma dato potente stimolo dalla parte liberale.

Io riputerei quindi conveniente che la S. V. Ill.ma continuando a persuadere il Ministero, e ad impiegare con esso ogni mezzo di rendercelo propenso, procurasse pure di far sì che la questione italiana trovasse largo posto nella stampa e ricevesse l'appoggio aperto e continuo del partito liberale. I liberali spagnuoli debbono comprendere che la causa nostra è causa di libertà per tutti i paesi, che se mai una violenta reazione si operasse in Italia, le potenze che l'avrebbero condotta forti della vittoria e studiose di assicurarla non tollererebbero che fiorisse in alcun luogo la libertà, e la Spagna come già altra volta le avvenne, vedrebbe forse distrutte o ridotte a vano simulacro quelle istituzioni che ha conquistate con tanti sacrificii. Io non le suggerirò, Signor Barone, gli argomenti ch'Ella dovrà procurare di far valere, nella quistione di cui servesi principalmente nella stampa il partito della reazione per guadagnare a sè un popolo profondamente religioso, la quistione di Roma.

Io credo che in Spagna, come nell'Europa intiera, non solo i liberali, ma quanti vi sono uomini illuminati e sinceramente cristiani, ormai son pienamente capaci dell'assoluta incompatibilità del potere temporale coll'autorità spirituale del Papa.

Dovunque si riconosce che un potere il cui Governo è da moltissimi anni il peggiore che esista in Europa, un potere che assolutamente odioso ai sudditi non può sostenersi che con armi straniere, e che in questi stessi momenti dà al mondo lo scandalo di una mostruosa alleanza col brigantaggio che infierisce cogli eccidii, colle rapine e con ogni maniera di nefandità nelle nostre provincie meridionali, non è né onorevole ed utile pel principio monarchico, né di sostegno al prestigio della religione e della Chiesa, né di edificazione per i popoli. Ella potrà inoltre dimostrare colla storia, ed a questo fine crederei bene si valesse delle migliori pubblicazioni recentemente venute a luce in Italia, e cercasse farne ragionare dai giornali, come mano a mano che il potere temporale dei Papi andò estendendosi con mezzi sovente disformi non solo dai cristiani precetti, ma dalla morale puramente umana, la Santa Sede si trovò impigliata in mille complicazioni che la distolsero dai suoi principii e dai suoi officii, la costrinsero molte volte anzi continuamente ad aver soggezione dei Principi eziandio con danno della religione, e come !ungi dal crescere in autorità ed indipendenza spirituale, venne perdendo successivamente di quel rispetto e di quella obbedienza che le prestavano spontaneamente i fedeli. La S. V. farà poi osservare che se il Popolo Italiano non può certamente consentire che la sola città la quale riunisca tutte le condizioni per essere la Capitale d'Italia, sia considerata quale una proprietà altrui, come non ammetterebbesi certamente dalla Spagna né da verun'altra nazione che per un motivo qualunque le venisse contrastata dagli stranieri una sua Città od una sua provincia, è però più d'ogni altro interessato a far sì che il Capo della Chiesa sia sicuro nella Sede del Cattolicismo, ed abbia perfetta indipendenza nell'esercizio dell'augusto suo ministero spirituale.

Insomma Ella dovrà e saprà valersi presso il partito e la stampa liberale di tutte le ragioni atte a far penetrare nelle moltitudini una verità a cui solo può opporsi l'ignoranza o la passione, che il potere temporale del Pontificato è dannoso alla fede cristiana, e che l'autorità spirituale della Chiesa troverà molto più sicure guarentigie nella libertà che nelle vane e scandalose apparenze di una sovranità contraria alle massime del vangelo, e fonte di tanti mali per l'Italia, di tanti pericoli per la pace d'Europa.

Non ho bisogno di accertarla, Signor Barone, quanto assegnamento io faccia sovra la sua saviezza ed il suo impegno nel seguire la via che le ho suggerita per conseguire lo scopo a cui deve mirare in questi momenti l'azione nostra presso il Governo Spagnuolo. Ella sente di quale importanza sarebbe l'ottenere senza troppo indugio il riconoscimento della Spagna. L'esempio di un paese cattolico presso cui il sentimento religioso è così potente avrebbe grandissimo effetto nell'opinione d'Europa, e renderebbe molto più facile, allontanando il pericolo di non naturali alleanze, lo scioglimento pacifico e soddisfacente di quelle difficoltà che ancora rimangono a superare perché la patria nostra compia e rassodi la sua indipendenza. Se per impiegare i mezzi che le ho accennati la

S. V. Ill.ma reputasse necessaria qualche somma la prego ad indicarmelo.

Ricevo in questo punto il suo dispaccio n. 182 della serie politica e pienamente approvo sia le interpellanze verbali da Lei fatte a S. E. il Duca di Tetuan, sia l'officio scritto ch'Ella ebbe cura di indirizzare a S. E. il Ministro degli Affari Esteri intorno agli ordini che da quanto venneci supposto la Legazione di S. M. Cattolica in Lisbona avrebbe ricevuti di ritirare gli archivi delle antiche Agenzie Consolari delle Due Sicilie in Portogallo. Voglio sperare che la risposta del Ministro degli Affari Esteri confermerà totalmente le assicuranze già datele dal Capo del Gabinetto. Siccome però dagli avvisi ricevuti potrebbesi sospettare di qualche maneggio estraneo al Ministero, io mi lusingo che il Gabinetto di Madrid reputerà opportuno d'investigare più addentro la cosa, e che frattanto vorrà impartire istruzioni precise perché non venga compiuto né tollerato un fatto che, siccome la S. V. Ill.ma giustamente osserva nella sua nota, violerebbe le ragioni del diritto internazionale e verso di noi e verso il Portogallo.

E posto che siamo sulla materia di rapporti consolari le accennerò che il Console di S. M. all'Avana mi richiese testé d'istruzioni per sapere se potesse sullo stemma affisso alla porta della residenza consolare far uso della quàlificazione di «Consolato df S. M. il Re d'Italia». Non parendomi che questo punto fosse stato con tutta chiarezza definito nel compromesso intesosi fra Lei ed il Gabinetto di Madrid, e bramando evitare ogni pretesto di dissapori con un Governo di cui ci è grata l'amicizia, ho scritto al Console all'Avana che per ora si limitasse ad inalberare il solo stemma di Savoia senza iscrizione veruna. Parrebbemi però bene che per provvedere alla dignità nostra e per antivenire inconvenienti facili a succedere massime nelle colonie lontane si pigliassero precise intelligenze a questo riguardo. Io sono persuaso che il Governo Spagnuolo sente troppo altamente per volerei opporre difficoltà in cosa che sostanzialmente è di poco momento, niegarci una facoltà che fu conceduta a varii nostri Consolati anche in altri paesi i cui Governi non hanno riconosciuto il Regno d'Italia. Lascio però alla prudenza sua il condursi a questo riguardo come le parrà meglio consigliato dalle circostanze.

Voglia, Signor Barone, tenermi esattamente informato di quanto riflette la situazione nostra presso il Governo e presso l'opinione pubblica in Spagna.

P. S. -Ricevo da Lisbona e comunico qui unita a V. E. la traduzione di un officio del Console di Spagna in Faro, al Vice Console di quella potenza in Zavira da cui si scorge che la Legazione di S. M. Cattolica in Portogallo ebbe ordine dal suo Governo d'incaricarsi dell'archivio ed effetti del Consolato Generale delle Due Sicilie in Lisbona, e di diramare come diramò effettivamente simile ordine ai Consoli e Vice Consoli Spagnuoli in Portogallo.

Questo documento servirà alla S. V. Ill.ma per chiarire donde effettivamente provenga il fatto che ci fu denunziato ed ottenere che qualunque ne sia l'origine vengano rivocati gli ordini a cui si accenna.

281

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 27 agosto 1861.

Ho ricevuto il suo dispaccio riservato ed i due dispacci n. 30 e n. 31 della serie politica tutti e tre in data del 14 corrente.

Il Governo del Re nulla ha mutato ne' suoi sentimenti di simpatia verso la nazione Ungherese; continua a seguirne con vivo interessamento la causa, e non recede dall'intenzione sua di darvi favore in quei modi che possano essere consigliati dalle circostanze e dal vero bene dell'Ungheria e dell'Italia.

Quindi approvo che la S. V. Ill.ma effettui la proposta sottoscrizione per un semestre al giornale chiamato Romanulu che si pubblica nella Capitale Valaca e continui a fornir mezzi di modesta indipendenza sia al Signor Buda, come pure all'Agente Ungherese a Galatz.

La S. V. Ill.ma dovrà però ben avvertire che tanto nell'indirizzo del giornale, come nell'azione personale degli Agenti Ungheresi, si cerchi bensì a tener vivo il consenso e l'accordo fra le popolazioni Rumene e l'Ungheria, ma nello stesso tempo s'inspiri e si raccomandi una condotta moderata e prudente; che si procuri insomma di trattenere gli animi e dall'una parte e dall'altra da provocazioni e da movimenti i quali venendo fuori tempo rovinerebbero la causa nazionale ungherese, e cagionerebbero pure grave nocumento all'Italia.

Per quanto riguarda il contegno della S. V. Ill.ma e la delicatezza sua nell'impiego dei fondi messi a sua disposizione, io ho ereditata tutta quanta la fiducia che in Lei meritamente riponeva l'illustre mio predecessore, e mi è ben grato il fargliene precisa conferma.

Ho letto il breve cenno da Lei datomi intorno ai disegni del Principe Milosch e principalmente intorno ai fini cui sembrava mirare l'adunanza della Assemblea straordinaria Serbiana a Kragujevatz.

Non ho duopo dirle, Signor Commendatore, di quanta gravità sia agli occhi del Governo del Re, la quistione Serbiana per gli stretti rapporti di essa colle altre questioni che si agitano in Europa. Le sarò per conseguenza tenuto se favorirà procurarmi sullo stato presente delle cose di Serbia come sull'andamento loro successivo, compiute relazioni che mì permettano di ben giudicare la situazione da quelle parti. Frattanto parmi che anche colà, se i nostri consigli possano avervi qualche peso, debbasi piuttosto moderare, senza raffreddarlo però, che spingere il movimento acciò non succedano prematuramente incidenti che porgano desiderata occasione d'interventi alla Porta ed all'Austria. Vedo con soddisfazione dal suo dispaccio N. 30 non muoversi nessun dubbio intorno al nostro intervento nelle conferenze che da quanto ella crede stanno per radunarsi a Costantinopoli affine di regolare con definitivo assesto le condizioni dei Principati Danubiani. Spero non sorgerà difficoltà perchè la S. V. Ill.ma vi figuri come rappresentante del Regno d'Italia. Pel caso però si presentassero serii ostacoli che potessero impedirci l'intervenire alle conferenze autorizzo la S. V. Ill.ma ad accettare riguardo al titolo qualche temperamento che senza pregiudicare in v,erun modo né il diritto nostro né il nostro onore, vinca la suscettività e le opposizioni che si manifestassero per parte delle potenze che ancora non ci hanno riconosciuti. Vuoi essere ben inteso tuttavia che se potrà combinarsi qualche forma per cui non sia designato il titolo presente dell'Augusto nostro Sovrano, od ammettersi qualche riserva per parte delle potenze da cui non siamo riconosciuti, la S. V. Ill.ma non potrà però concedere che figuri l'antico titolo di Re di Sardegna.

Quanto poi alle direzioni da osservarsi nelle questioni cui dà luogo l'assestamento dei Principati, mi riferisco pienamente alle istruzioni indirizzatele dal mio predecessore e di cui riconosco l'opportunità e la saviezza.

Ciò che essenzialmente importa è che per riguardo all'unione siano il più che si possa assecondati i voti dei Principati Danubiani, e che per quanto riflette la legge elettorale si abbia in mira di costituire un buon partito liberale ma composto di elementi sodi, capaci di ben condurre il paese, e che non si lascino trascinare a sterili e pericolose agitazioni.

Qui acchiuse la S. V. Ill.ma troverà i voluminosi rapporti della Commissione internazionale di cui mi ha fatto richiesta e che la prego a poi rimandarmi indietro non possedendosene dal Ministero altro esemplare.

Sono lieto che le pratiche per la convenzione telegrafica procedano alacremente e ringrazio in particolare modo la S. V. Ill.ma delle sue premure in queste trattative. Il Governo del Re ripone nel loro successo e nel consecutivo esercizio della linea somma importanza per i rapporti politici e commerciali d'Italia coll'Oriente. Divido la speranza sua che la conclusione sarà prossima, ed a questo fine le trasmetto sin d'ora i necessari pieni poteri.

Riguardo agli apparecchi della stazione di Vallona assicuro la S. V. Ill.ma non esservi stata malintesa opinando effettivamente il Ministro dei Lavori Pubblici si possa farne la vendita al Governo Ottomano.

Ho letto la nota da Lei comunicatami del Governo Ottomano circa alle proposte a farsi dalla Commissione mista per la nazionalità degli stranieri residenti nel Libano e nella Siria. Non ignoro che nei tempi addietro i Consoli europei si facevano lecito talvolta per vana ostentazione di autorità, di mettere innanzi e sostenere pretese ingiuste ed incompatibili coi diritti della Porta, e credo sia ad un passato già alquanto remoto che voglia alludere l'officio del Governo Turco. Per quanto in particolare concerne l'attuale Console Generale di S. M. in Beyrouth non credo possa esservi pericolo di esorbitanze risultandomi essere esso persona assennata ed usa a modi temperati e convenienti. Del resto la S. V. Ill.ma dovrà ben far sentire a tutti gli Ufficiali Consolari di

S. M. negli scali dipendenti dalla Porta, essere intendimento del Governo del Re che gli Agenti d'Italia siano in ogni luogo esempio di giustizia, di moderazione e di civiltà, e che nel sostenere con fermezza i veri diritti ed i giusti interessi dei nazionali e del Regno, si astengano scrupolosamente da qualsiasi esagerata pretesa, da qualsiasi prepotenza.

282

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(A R B, cass. 50, n. 118, orig. autog.)

L. P. 8. Parigi, 29 agosto 1861.

Ricevo le sue lettere particolari del 26 e 27 agosto.

Il concetto che Ella mi espone mi par buono e tale da potersi utilmente tentare. Non si farà nulla col Papa; ma il tentativo nostro eserciterà un'azione benefica sulla pubblica opinione.

La lettera al Papa, se scritta dal Re, potrebbe essere mandata per mezzo di un aiutante di S. M. ufficialmente annunziato nella Gazzetta del Regno. Parmi poco credibile che il Papa non lasci penetrare sul territorio romano un tal messaggere. Se lo farà, ne avrà colpa e danno e da noi si otterrà pur sempre, anche così, una parte di quel che si vuole, di mostrare cioè al mondo, come gli ostacoli ad un accordo non vengan da noi.

Se questo modo di procedere non Le par buono, si può ricorrere al Governo francese pregandolo che voglia servire di mediatore e d'appoggio. In tal caso V. E. può aprirsi, parmi, con tutta sicurezza col Sig. Benedetti, il quale porta seco il pensiero imperiale.

Io son qui in qualche relazione con Mgr. Meglia, Uditore della Nunz!a

tura e incaricato di affari di Roma durante l'assenza del Nunzio Apostolico.

Se crede Ella che convenga il passare per questo canale, me lo dica e avviserò.

Le sarò grato s'Ella vorrà dirmi qualche cosa intorno alla proposta ch'ebbi l'onore di farle di accordare al conte Gropello le decorazioni d'ufficiale di S. Maurizio e intorno alla proposta che riflette il giovane principe di Essling Massena, in ordine alla quale ultima ho pregato V. E. di interpellare il mio onorevole predecessore S. E. il Cav. Des Ambrois.

283

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 31 agosto 1861.

Ho ricevuto l'istanza che il Sig. Generale Mieroslawsky consegnò alla

S. V. Ill.ma per ottenere dal Governo del Re alcune disposizioni in favore dei suoi connazionali residenti attualmente a Genova.

Io non ignoro le simpatie che l'illustre mio predecessore nutriva per i nobili figli della Polonia, e queste anzi con lui divido. Siccome però conosco egualmente quali fossero le sue intenzioni, e so come egli abbia sempre accuratamente evitato di prendere impegno alcuno riguardo ai medesimi onde non

creare eventuali difficoltà al Governo del Re, così io, che intendo di osservare

le stesse norme di politica prudenza, mi trovo in obbligo di mantenere verso

gli emigrati polacchi la stessa sua riserva.

Prego pertanto la S. V. Ill.ma di voler far conoscere al Sig. Generale

Mieroslawsky che il Governo del Re è dolente di non poter aderire alla domanda

espressa nella succitata sua istanza.

284

IL MINISTRO RESIDENTE A FRANCOFORTE, BARRAL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE S. n. Francoforte, 2 settembre 1861.

Dans ma dépèche du 22 aoiìt dernier (l) j'ai eu l'honneur d'informer V. E. que sur l'ordre qu'il en avait reçu de son Gouvernement l'Envoyé de Hollande à la Diète avait adressé une communication officielle à toutes les Cours secondaires auprès desquelles il est accrédité pour leur annoncer que la Hollande avait reconnu le titre de Roi d'Italie nouvellement pris par S. M. le Roi Victor Emmanuel. Je viens aujourd'hui compléter cette dépèche en faisant connaitre sommairement à V. E. les termes dans lesquels l'Envoyé Hollandais a formulé sa communication.

Après avoir longuement établi en principe, que la Hollande n'avait point à se faire juge des événements qui venaient de se passer en Italie, pas plus que des droits qui pourraient avoir eu à en souffrir, la note se termine en disant que le Gouvernement Hollandais n'avait du se préoccuper que des conséquences que les faits accomplis pouvaient avoir pour les intérèts matériels du pays, et qu'à ce point de vue, les relations commerciales de la Hollande avec l'Italie, ne lui avaient pas permis de différer plus longtemps la reconnaissance d'un nouvel ordre de choses, que du reste l'Angleterre et la France avaient déjà accepté.

Au premier abord les · termes de cette communication, dont une rapide lecture ne m'a permis que de saisir le sens général, ne sembleraient pas très sympathiques à la cause italienne; mais il ne faut pas oublier qu'elle s'adresse à des Cours systématiquement hostiles à l'Italie, avec lesquelles le Gouvernement Néerlandais a des ménagements à garder et qu'en définitive le fait de la reconnaissance du nouveau Royaume domine entièrement les considérations qu'à pu faire valoir la Hollande vis-à-vis des confédérés, dans un document probablement à rester secret.

Jusqu'à présent il n'y a que la Ville Libre de Francfort et le Gouvernement de la Resse Electorale qui aient répondu à la communication en question: tous deux se sont bornés à un simple accusé de réception.

(l) Il dispaccio 22 agosto non si è trovato. Ma fin dal 2 agosto Taliacarne telegrafavadall'Aja (n. 675) che c la reconnaissance est un fait accompli •. E Nigra da Parigi il 16 agostotelegrafava (n. 706) che il Ministro d'Olanda lo aveva incaricato di annunziare a Ricasoli che il suo Governo aveva riconosciuto il Regno d'Italia.

285

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI,

AL MINISTRO AD ATENE, MAMIANI

D. s. n. Torino, 4 settembre 1861.

Ho ricevuto regolarmente i suoi rapporti della Serie Politica e vi ho trovato con molta mia soddisfazione gran copia di preziose cognizioni intorno alla situazione politica e materiale della Grecia. Sapendo quanta solerzia la S. V. Ill.ma unisca a capacità e perspicacia distintissima non mi reca maraviglia il vedere come in così ristretto tempo Ella abbia potuto addentrarsi in tutte le maggiori questioni che interessano codesto Regno e ricavare fondati argomenti a giudicare delle interne ed esterne sue condizioni. Debbo però fargliene, signor Conte, i più sentiti ringraziamenti ed accertarLa, che i Suoi rapporti riescono veramente istruttivi.

A proposito di una delle questioni più importanti da Lei accuratamente esaminate e svolte, quella della successione, pretendesi da taluni, e già corse voce in qualche giornale, che il Re Ottone, il quale avrebbe perciò intrapreso il suo viaggio in Germania, si trovi in termini di poca intimità colla Corte di Monaco ed anzi sia nato fra lui ed il Re di Baviera qualche screzio per la sollecita ricognizione da esso fatta del Regno d'Italia. Accenno a Lei questi rumori, perché veda di chiarire la verità e conoscere i veri motivi del supposto dissenso.

Ciò che la S. V. Ill.ma mi riferisce riguardo alla legislazione doganale vigente in Grecia, sembrami spiegare in qualche parte la cagione perché in tanta vicinanza e con non pochi elementi di vicendevoli cambi siano fin ora rimaste così scarse le relazioni commerciali fra l'Italia ed il Regno ellenico. Punto non dubito, signor Conte, che Ella saprà giovarsi di ogni occasione per far penetrare nel Governo e negli uomini politici di Grecia massime più conformi ai sani principii economici e renderli capaci dei vantaggi che una legislazione più liberale in materia di commercio recherebbe alla industria ed alla agricoltura di quel paese e per conseguenza eziandio ai proventi finanziarii del Regno.

Riconoscendo giustissimi i riflessi da Lei fatti riguardo alla stretta attinenza in cui le cose di Grecia stanno cogli affari generali d'Oriente, scrivo con questo stesso corriere alla Legazione del Re in Costantinopoli di mettersi in corrispondenza colla S. V. Ill.ma per comunicarLe quelle notizie della Turchia, che possano concorrere ad illuminarLa sullo stato delle cose.

286

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A MADRID, TECCO

D. 84. Torino, 4 settembre 1861.

Sto sempre aspettando, con quella premura che la S. V. Ill.ma ben sente meritarsi l'importanza dell'oggetto, la risposta del Governo di S. M. Cattolica all'offìcio da lei indirizzatogli intorno agli Archivi degli ex-Consolati delle Due Sicilie in Portogallo. Io voglio sperare che il Gabinetto di Madrid non frapporrà ulteriore indugio a darci in questo proposito quelle assicuranze che dobbiamo aspettarci dalla sua lealtà e dai sentimenti suoi amichevoli.

Se però al giungere di questo mio officio la S. V. Ill.ma non avesse ancora ricevuta l'attesa risposta, La invito a sollecitarla, giacché la dignità del Governo del Re non ci consentirebbe di rimanere indefinitamente in questa condizione d'incertezza sovra una questione di tanto momento, e ci è necessario ad ogni evento il poter provvedere in quel modo che sarà consigliato dalle circostanze.

287

IL MINISTRO AD ATENE, MAMIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 12. Atene, 6 settembre 1861.

L'ultima parte della mia breve relazione a V. E. sarebbe il dedurre così dagli studj fatti intorno alla Grecia come dall'azione dei diplomatici sopra di Lei, quale debba riuscire e in qual via porsi la nostra propria diplomazia. Ma le chiare, fondate e saviissime istruzioni dell'E. V. mi sollevano quasi in tutto da questa fatica e solo mi bisogna aggiungere qualche po' di commento, suggeritomi da ciò che vedo e imparo allato a me ogni giorno.

Io stimo pertanto, che lasciando stare il debito evidente degli Italiani di soccorrere e faVlorire quanto possono le nazioni conculcate dai forestieri, giova agl'Italiani medesimi non meno che al miglior equilibrio europeo e giova poi estremamente alla civiltà intera del mondo, che la Turchia d'Europa sia posseduta e d'ifesa non dalla Russia né da verun'altra soverchiante Potenza, ma da una stretta confederazione di genti cristiane indigene, fra le quali il Regno greco molto aggrandito sarebbe lo Stato naturalmente e giustamente egemonico.

L'Italia sua vicina e con lui omogenea d'indole e in parte ancora di schiatta, diverrà fra non molti anni ordinata e forte abbastanza da potergli prestare valido ajuto nelle occasioni e piglierà il destro di acquistare influenza legittima nelle sorti del Levante, crescere e avvantaggiare il commercio, esercitare con dignità e non senza gloria le nostre forze terrestri e marittime.

Io sento, eziandio, di poter accertare V. E. che, aggiustate le faccende di

Roma, una gran causa di divisioni e sospetto verrebbe rimossa, od almeno

diminuità, fra noi e la nazione gr.eca. Perocché io debbo informare V. E. che qui,

conversando con più specie di uomini e con le persone medesime del Mini

stero, ho udito dichiarare con qualche mia meraviglia che le due Chiese orto

dossa e cattolica potrebbero tornare unite con poca difficoltà, qualora il potere

temporale e le altre prepotenze della Curia Romana avessero termine.

Mi sembra, pertanto. che il tenore della nostra diplomazia in Grecia debba essere tutto e sempre informato da questo principio, che, salvo il rispetto e la doverosa osservanza dei trattati, noi desideriamo sinceramente e ajuteremo comechessia il riscatto compiuto della nobile stirpe ellenica e il suo prossimo ingrandimento. Del pari, è nostro speciale ufficio di professare apertamente i gran dogmi della libertà religiosa, civile e politica, e le massime rigorose del Governo parlamentare schietto e leale, e ciò fare senza incertezze ed ambagi con ferma coerenza e con viste larghe e disinteressate. Dico essere nostro ufficio particolare, segnatamente in Grecia, dove l'Autorità inglese da questo lato non ha più efficacia, perché la sua politica esterna e il suo ingerimento e le pretensioni sono qui giudicate severissimamente; e la politica francese non ha potuto sempre serbarsi coerente pel mutare de' suoi governi; né ora ella si sbraccia a predicare la libertà e le massime costituzionali. Onde solo la Legazione Italiana rappresenta qui con credito e con certo naturale orgoglio le opinioni più liberali e più progressive.

I Greci per istinto indovinano la nostra sincerità e la generosità dei nostri pensieri, e, in generale, ci hanno per ottimi maestri di libertà moderata e pratica; quindi, non so della Corte, ma le moltitudini ci sono tutte propense. E se noi vi aggiungeremo alcun poco di industria, oso promettere a V. E. che in questa regione il nome italiano e la sua influenza, come altra volta Le scriveva, è per prevalere a quella di più altre nazioni, sebbene potentissime e pi~ che mai intromettenti. Della quale industria, per non tenerla unicamente sui generali, accennerò alcuni capi:

l. Comparsa frequente della nostra bandiera fra la Grecia e Costantinopoli. Ho già ricordato a V. E. come Russia, Francia e Inghilterra provvedono di maniera che sempre un qualche loro legno da guerra stanzia nel Pireo.

2. -Un nuovo trattato di commercio che moltiplichi le relazioni, moltiplicando lo scambio d'ogni prodotto. 3. -Alla recente convenzione postale far seguitare, dove sia possibile, una istituzione di corse periodiche di battelli a vapore italiani al servizio sì del commercio e sì delle poste, moventi da Ancona per Alessandria od altra parte notabile dell' Oriente, ma toccando sempre alcun punto di Grecia. Al che dovrebbesi aggiungere un canapo elettrico sottomarino fra l'estrema Calabria e il lembo settentrionale del Regno ellenico. In tal guisa la Grecia, il Levante e l'Italia e mediante quest'ultima l'Europa tutta occidentale e mezzana avrebbero e darebbero nuove corrispondenze alla Grecia e al Levante una volta di più ogni settimana; i viaggiatori raddoppierebbensi, e il telegrafo sarebbe ad ogni ora al servizio eziandio del popolo a cagione del ribasso estremo del prezzo; oltre il lucro assai valutabile che farebbero le casse pubbliche di Grecia e d'Italia; 4. -Ogni due anni l'invio in Atene di almeno tre giovani scelti fra i migliori allievi di scultura, architettura e filologia classica. Intorno alla quale proposta occorrendo parecchi ragguagli, chiedo dalla E. V. l'arbitrio di esporli con qualche chiarezza nel venturo dispaccio.
288

IL MINISTRO AD ATENE, MAMIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 13. Atene, 6 settembre 1861.

Ho creduto bene di dar lettura della circolare confidenziale di V. E. a questo ministro di Francia signor Bourée sì per dimostrargli la fede, l'amicizia e l'intrinsichezza che pone l'Italia nel suo Governo, e sì per fargli notare le frasi ultime del documento e pregarlo a rimanerne assai persuaso, scrivendo in modo conforme al signor de Thouvenel col quale è molto legato.

In due giornali tedeschi parlasi che le Potenze sarebbero venute in accordo di porre sul trono di Grecia, caso che rimanga vacante, il secondo figlio di Vittor'io Emanuele. Ne avverto V. E., perché stimo essere questo un tranello Vuolsi vedere ciò che ne dirà il popolo greco e se la Legazione Italiana d'Atene .se ne mostra consapevole. Spero che V. E. confidi abbastanza in me per credere che io non mi dilungherò punto dalle Sue istruzioni e dai termini della più guardinga prudenza. Il Ministro di Francia tornato appena di Parigi mi disse: «Per aggiustare le cose di Oriente converrebbe far Monarca di parecchie di quelle provincie un Principe italiano». Confesso che la proposta mi fu sospetta e subito risposi: « Ciò poteva pensarsi dieci anni fa, quando l'Italia non era nulla; oggi comincia ad essere qualche cosa e potrebbe dare gelosia: oltreché l'Italia ha troppo da fare in casa e non à idee ambiziose. Scelgasi un principino povero e onesto e il quale non appartenga a nessuna potenza né grande né mediocre». Il Ministro non replicò e passò ad altro soggetto.

289

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 138-139)

L. P. Torino, 10 settembre 1861.

Ho trovato il signor Benedetti molto saggio e molto propenso per il bene comune della Francia e d'Italia. Egli mi si è mostrato confidente e molto penetrato delle nostre cose. Io sono stato verso di lui recisamente fiducioso, e spero che non avrò a dolermene. Gli ho tutto confidato del progetto d'indirizzarci a Roma, schiettamente, apertamente. Le cose sono gravissime, il clero si è posto in aperta ribellione e giuoca di tutto, e il Governo non può più tollerare questa resistenza che contrasta palesemente l'autorità sua. Ora è chiaro che prima di venire a provvidenze severe, sia saggio tentare di aprire gli occhi al Papa, e con questo una via che ci conduca a tale conciliazione, che salvi da più grandi disturbi.

Io ho posto nelle mani del signor Benedetti tutto il progetto, ossia la copia di ogni parte, che consta di questo:

l. Indirizzo a Sua Santità; 2. Capitolato di massime; 3. Lettera al Cardinale Antonelli; 4. Lettera al Ministro d'Italia a Parigi.

Senza avviso in contrario, io manderò a Lei officialmente tutto il progetto . alla fine della corrente settimana.

P. S. Molta agitazione regna adesso nella provincia viterbese. Io mi sono adoperato molto sulle persone le più influenti e più accessibili a parole di persuasione, per dissuaderle da qualunque dimostrazione violenta, e soprattutto dal provocare alcuna collisione con le truppe francesi. Ho fatto loro sentire che qualunque atto che escisse dai limiti di una dimostrazione pacifica e civile, sarebbe stata una grande offesa agli interessi loro, non che a quelli dell'intera nazione. Ordine abbiamo dato a tutte le autorità civili e militari nostre onde agiscano e operino nel senso di prevenire e impedire qualunque movimento, che tendesse a fare invasioni e promuovere insurrezione nel territorio papalino, ove sono avvisato che si vuoi tentare uno sbarco sul litorale di Ostia. Voglia prevenire subito il Governo francese, onde la nostra azione coincida allo stesso scopo; lo sbarco, dicesi, dovrebbe avere effetto il 15 corrente. Io sono risoluto a non farmi levare la mano da chi si sia, ma occorre che il Governo francese dia ordini precisi in proposito. Rammenti infine, che se tutto quanto dico è atto di gente più impaziente e più risoluta, non è minore però la volontà di tutta la nazione di finirla presto con Roma, che logora le nostre forze, che trattiene la nostra ricostituzione, che alimenta i nostri turbamenti interiori, che impedisce ogni consolidamento della governativa autorità.

290

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(Ed. in L. V., 2, pp. 8-11)

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 10 settembre 1861.

Dalle ultime comunicazioni che ho avuto l'onore di cambiare colla S. V.

Ill.ma Ella avrà potuto rilevare come siano incessanti e ognora più gravi le

preoccupazioni del Governo del Re intorno la questione romana.

Mentre il Governo non si dissimula le molte difficoltà che si oppongono ad una soluzione, quale i diritti e le necessità italiane la vogliono, per la moltiplicità e la grandezza degli interessi che vi sono implicati, non può d'altro canto dissimularsi i pericoli di una troppo lunga dilazione, i quali per varie cause si vanno facendo di giorno in giorno più urgenti. Non vi è quasi difficoltà interna di cui l'opinione pubblica fra gli Italiani non riferisca l'origine alla mancanza della capitale, Roma. Nessuno è persuaso che possa stabilirsi un assetto soddisfacente dell'amministrazione dello Stato finché il centro dell'amministrazione non sia traslocato a Roma, punto egualmente distante dàgli estremi della Penisola. La logica dell'unità nazionale, sentimento che oggi prevale fra gli Italiani, non comporta che l'unità sia spezzata dall'inframmettersi nel cuore del Regno di uno Stato eterogeneo e, per di più, ostile. Poiché bisogna pur dire che le impazienze legittime della nazione pel possesso della sua capitale sono attizzate dal contegno della Curia Romana nelle cose di Napoli. Non insisterò su questo punto, sul quale la S. V. ebbe le più ampie informazioni nel mio dispaccio-circolare del 24 agosto decorso, ma richiamerò la sua attenzione sugli argomenti che ne emergono in favore di una pronta risoluzione sugli affari di Roma.

Il Governo del Re per altro, se da un lato sente questa urgenza, non ha dimenticato dall'altro gli impegni presi con sé stesso e in faccia all'Europa colle sue solenni dichiarazioni. E se anche queste non fossero, egli già sarebbe per proprio sentimento persuaso del dovere di procedere con ogni rispetto verso

23 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. I

il Pontefice in cui venera il Capo della cattolicità, e con ogni riguardo verso

S. M. l'Imperatore dei Francesi, nostro glorioso alleato, il quale colla presenza delle sue truppe intende guarentire che la sicurezza personale del Papa e gli interessi cattolici non soffrano nocumento.

Ritenuto pertanto negli Italiani l'incontestabile diritto di aver Roma che appartiene alla nazione, e per conseguenza nel Governo Italiano l'imprescindibile dovere di condurre le cose a questo termine, dirimpetto all'attitudine della unanime pubblica opinione, per evitare gravi disturbi ed impeti inconsiderati, sempre deplorabili, anco se prevenuti o repressi, il Governo ha stimato di fare un ultimo appello alla rettitudine della mente ed alla bontà del cuore del Pontefice per venire ad un accordo sulle basi della piena libertà della Chiesa da una parte, abbandonando il Governo Italiano qualsivoglia immistione nelle materie religiose, e della rinuncia dall'altra del poter temporale.

La S. V. troverà allegata in copia la lettera che, per ordine espresso di S. M., ho avuto l'onore d'indirizzare su questo proposito alla Santità del Papa Pio IX.

La S. V. si compiacerà comunicare questo documento al Governo di S. M. l'Imperatore dei Francesi presso il quale Ella è accreditata, pregandolo innanzi tutto che voglia commettere al rappresentante del Governo Imperiale a Roma di far pervenire alle mani di Sua Santità l'indirizzo qui acchiuso e il capitolato annesso.

La mancanza di ogni rapporto diplomatico fra il Governo Italiano e la Santa Sede non ci permette di far pervenire al Santo Padre in modo diretto questi due documenti; né la irritazione degli animi, che disgraziatamente esiste a Roma verso di noi, permette nemmeno d'inviare colà a questo fine una missione straordinaria, con la quale la Corte Romana ricuserebbe probabilmente ogni specie di rapporto.

La benevola mediazione della Francia è adunque 'indispensabile affinché i due documenti sopraccennati possano giungere fino alle mani di Sua Santità, e possa in tal guisa sperimentarsi anche questo modo d'intelligenza e di accordo.

I benefizi di una conciliazione sono tanto grandi ed evidenti per tutti, che io nutro fiducia che, in contemplazione della possibilità dei medesimi, il Governo di S. M. l'Imperatore si compiacerà di aderire al desiderio del Governo Italiano.

Ella vorrà inoltre ricordare che nella mia nota del 21 giugno al Conte di Gropello io dichiarava che, lasciando all'alto senno dell'Imperatore di stabilire il momento opportuno in cui Roma, senza pericolo, potesse lasciarsi a sé stessa, noi ci saremmo fatti un dovere di facilitare la soluzione di quella questione colla speranza che il Governo francese non ci avrebbe rifiutati i suoi buoni uffici per condurre la Corte di Roma ad accettare un accordo che sarebbe fecondo di fauste conseguenze alla religione ed all'Italia.

Ella è incaricata pertanto di invocare i buoni uffici cui qui si accenna, non solo perché la nostra preghiera pervenga al Santo Padre, ma eziandio perché sia presso di lui efficacemente patrocinata. Nessuna voce può essere più autorevole a Roma, né con più condiscend.enza ascoltata di quella della Francia, che veglia colà da dodici anni colla sua possente e rispettata tutela.

Mentre la S. V. avrà cura di esprimere al Governo di S. M. I. quanto sia piena la nostra fiducia nelle sue benevole disposiz'ioni e nell'efficacia della sua intromissione in questo rilevantissimo affare, Ella vorrà ancora far sentire che il Governo del Re, se quest'ultimo tentativo per disavventura venisse a fallire, si troverebbe avvolto in gravissime difficoltà, e che malgrado tutto il suo buon volere per temperare le dolorose conseguenze che potessero emergere da un rifiuto della Curia Romana, sia nell'ordine religioso sia nell'ordine politico, non potrebbe impedire però che lo spirito pubblico degli Italiani non venisse vivamente e profondamente a commuoversi.

Gli effetti di una ripulsa si possono più facilmente prevedere che calcolare; ma è certo che il sentimento religioso negli Italiani ne riceverebbe una grandissima scossa, e che le impazienze della nazione, che finora sono contenute dalla speranza di una risoluzione più o meno prossima, diverrebbero molto difficilmente frenabili.

Innanzi di por fine al presente dispaccio, io credo non inutile prevenire un obbietto che forse potrebbe venirLe fatto riguardo alla forma seguita in questa grave occorrenza.

Può sembrare a taluno non conforme agli usi, alle tradizioni e forse anche alla riverenza, che l'indirizzo rivolto al Sommo Pontefice sia firmato da me, anziché da S. M. il Re nostro. Questa deviazione dalle pratiche generalmente accettate riconosce due cause. Prima di tutto è da sapersi, e V. S. Illustrissima non lo ignora per certo, che in altre occasioni analoghe a quella in cui ci troviamo,

S. M. si è personalmente indirizzata al Papa e, o non ne ha ricevuto risposta,

o ne ha ricevuto di tal genere da recare offesa alla dignità Regia. Non era dunque possibile, dopo tali precedenti, esporre a nuovo pericolo di offesa il decoro del nostro Sovrano. È sembrato di più al Governo del Re che, in una occasione in cui rispettosamente si rivolge la parola al Sommo Pontefice a nome della nazione italiana, l'interprete consueto delle deliberazioni del potere esecutivo, che, sopratutto in assenza del Parlamento Italiano si è quello che rappresenta la nazione medesima, dovesse pure esser quello che si faceva fnterprete dei suoi voti e dei suoi sentimenti.

Autorizzo la S. V. a dar lettura e rilasciare copia del presente e della lettera per Sua Santità a S. E. il Ministro degli Affari Esteri.

291

INDIRIZZO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL SANTO PADRE

(Ed. in L. V., 2, pp. 1-6)

Torino, 10 settembre 1861.

Compiono ormai dodici anni dacché l'Italia, commossa dalle parole di mansuetudine e di perdono uscite dalla vostra bocca, sperò chiusa la serie delle sue secolari sciagure e aperta l'èra della sua rigenerazione. Ma poiché i potenti della terra l'avevano divisa fra signori diversi, e vi si erano serbato patrocinio ed imperio, quindi l'opera della rigenerazione non si poté svolgere pacificamente dentro i nostri confini, e fu necessità ricorrere alle armi per emanciparsi dalla signoria straniera accampata fra noi, perché le riforme civili non fossero impedite, o sino dai loro esordi soffocate e distrutte.

Allora Voi, Beatissimo Padre, memore di essere in terra il rappresentante di un Dio di pace e di misericordia, e Padre di tutti i fedeli, disdiceste la Vostra cooperazione agli Italiani nella guerra, che era sacra per essi, della loro indipendenza; ma poiché Voi eravate pure Principe in Italia, così questo atto arrecò loro una grande amarezza. Se ne irritarono gli animi, e fu spezzato quel vincolo di concordia che rendeva lieto ed efficace il procedere del nostro Risorgimento. I disastri nazionali che quasi immediatamente susseguirono infiammarono vieppiù l'ardore delle passioni, e attraverso un funesto alternarsi di avvc;nimenti deplora,bili, che tutti vorremmo dimenticati, s'impegnò fin d'allora fra la nazione italiana e la Sede Apostolica un conflitto fatale, che dura pur troppo ancora, e che certo riesce ad ambedue del pari pregiudicievole.

Una battaglia si finisce sempre o colla disfatta e la morte di uno dei combattenti o colla loro riconciliazione. I diritti della nazionalità sono imperituri, come imperitura per promessa div'ina è la sede di San Pietro. Poiché pertanto niuno degli avversari può mancare sul campo, è necessario riconciliarli per non gettare il mondo in una perpetua ed orribile perturbazione. Come cattolico ed italiano, riputai doveroso, Beatissimo Padre, di meditare lungamente e profondamente l'arduo problema che il nostro tempo ci propone a risolvere; come ministro del Regno italiano, reputo doveroso sottomettere alla Santità Vostra le considerazioni per le quali la conciliazione fra la Santa Sede e la nazione italiana deve essere non pure possibile, ma utilissima, mentre apparisce più che mai necessaria. Così operando, non solo io seguo l'impulso del mio intimo sentimento e degli obblighi del mio ufficio quanto i convincimenti dei miei colleghi, ma ubbidisco ancora alla espressa volontà di S. M. il Re, che, fedele alle gloriose e pie tradizioni della sua Casa, ama con pari ardore la grandezza d'Italia e la grandezza della Chiesa cattolica.

Questa conciliazione pertanto sarebbe impossibile, né gli Italiani eminen

temente cattolici oserebbero desiderarla, non che dimandarla, se per ciò fosse

d'uopo che la Chiesa rinunziasse ad alcuno di quei principii o di quei diritti

che appartengono al deposito della fede ed alla istituzione immortale del

l'Uomo-Dio. Noi chiediamo che la Chiesa, la quale, come interprete e custode

del Vangelo, portò nell'umana società un principio di legislazione soprannatu

rale, e per quello si fece iniziatrice del progresso sociale, segua la sua divina

missione, e mostri sempre più la necessità di sé stessa nella inesauribile fecon

dità dei suoi rapporti con ciò che ella ha una volta iniziato ed informato. Se

ad ogni passo della società procedente ella non fosse atta a creare nuove forme

sulle quali far consistere i termini successivi dell'azione sociale, la Chiesa non

sarebbe un'istituzione universale e sempiterna, ma un fatto temporale e caduco.

Dio è immutabile nella sua essenza, eppure è infinitamente fecondo in creare

nuove sostanze ed in produrre nuove forme.

Di questa sua inesauribile fecondità diede fin qui la Chiesa splendidissime

testimonianze, trasformandosi sapientemente nelle sue attinenze col mondo

civile ad ogni nuova evoluzione sociale. Quelli che oggi pretendono che ella

rimanga immobile oserebbero essi affermare che non ha mai cambiato nella

sua parte esterna, relativa e formale? Oserebbero dire che la parte formale

della Chiesa sia da Leone X a noi quale fu da Gregorio VII a Leone X e che questa già non fosse mutata da quella che durò da San Pietro a Gregorio VII? Sul principio fu bello alla Chiesa raccogliersi nelle catacombe alla contemplazione delle verità eterne, povera ed ignorata dal mondo; ma quando i fedeli per la conseguita libertà uscirono all'aperto e strinsero nuovo vincolo fra loro, allora l'altare si trasportò dalla nudità delle catacombe allo splendore delle basiliche, e il culto e i ministri del culto parteciparono a quello splendore; e all'ascosa preghiera aggiunse la Chiesa il pubblico e solenne eloquio del magistero che già cominciava ad esercitare splendidamente sulle genti.

Nella confusione e nel cozzo dei varii e spesso contrari elementi, coi quali si preparava nel medio evo l'èra moderna, mercé alla Chiesa il concetto cristiano si realizzò nelle relazioni di famiglia, di città, di Stato; creò nella coscienza il dogma di un diritto pubblico, e nella sua legislazione ne chiarì l'uso e fé sentirne i vantaggi; e allora la Chiesa divenne anco potere civile e si fé giudice dei principi e dei popoli. Ma quando la società si fu educata ed ebbe ammaestrata ed illuminata la sua ragione, cessò il bisogno e col bisogno si sciolse il vincolo della tutela clericale; si ricercarono e si ripresero le tradizioni della civiltà antica, ed un Pontefice meritò per quell'opera di dare il suo nome al suo secolo.

Se dunque la Chiesa imitando Dio suo archetipo, il quale, benché onnipotente ed infallibile, pure modera con sapienza infinita l'esercizio della sua potenza, in guisa che non ne soffra scapito la libertà umana, seppe finora contemperarsi, conservando intemerata la purità del dogma, alle necessità derivate dalle varie trasformazioni sociali, coloro che la vorrebbero immobile ed isolata dalla società civile, inimicandola allo spirito dei tempi nuovi, non sono essi che le recano ingiuria, non sono essi che la danneggiano anzi che noi i quali solo le domandiamo che ella conservi l'alto suo magistero spirituale, e sia moderatrice nell'ordine morale di quella libertà, per cui i popoli ormai giunti alla maturità della ragione hanno diritto di non ubbidire né a leggi, né a Governi, se non consentiti da loro nei modi legittimi?

Come la Chiesa non può per suo istituto avversare le oneste civili libertà,

così non può non essere amica dello svolgimento delle nazionalità. Fu provvi

denziale consiglio che la gente umana venisse così a ripartirsi in gruppi di

stinti secondo la stirpe e la lingua, con certa sede, dove posassero e dove quasi

ad un modo contemperati in una certa concordanza di affetti e di istituzioni,

né disturbassero le sedi altrui, né patissero di essere disturbati nelle loro pro

prie. Quale sia il pregio in che debba aversi la nazionalità l'ha detto Iddio

quando, volendo punire il popolo ebreo ribelle alle ammonizioni e ai castighi,

metteva mano al castigo piu terribile di tutti, dando quel popolo in balìa di

gente straniera. Voi stesso l'avete mostrato, Beatissimo Padre, quando all'Im

peratore d'Austria scrivevate nel 1848 esortandolo «a cessare una guerra che

non avrebbe riconquistato all'Impero gli animi dei Lombardi e dei Veneti one

stamente alteri della propria nazionalità.»

Il concetto cristiano del potere sociale siccomé non comporta la oppressione

d'individuo a individuo, così non la comporta da nazione a nazione. Né la

conquista può mai legittimare la signoria di una nazione sovra un'altra, perché

la forza bruta non è capace a creare il diritto. Non voglio in appoggio di questo vero autorità migliore, Beatissimo Padre, delle parole solenni del Vostro predecessore nella cattedra di San Pietro, Gregorio XVI: «Un ingiusto conquistatore con tutta la sua potenza non può mai spogliare la nazione ingiustamente conquistata dei suoi diritti. Potrà con la forza ridurla schiava, rovesciare i suoi tribunali, uccidere i suoi rappresentanti, ma non potrà giammai indipendentemente dal suo consenso tacito o espresso privarla dei suoi originali diritti relativamente a quei magistrati, a quei tribunali, a quella forma cioè che la costituivano imperante» (1).

Gli Italiani pertanto, rivendicando i loro diritti di nazione e costituendosi in regno con 'liberi ordinamenti, non hanno contravvenuto ad alcun principio religioso o civile; nella loro fede di cristiani e di cattolici non hanno trovato alcun precetto che condannasse il loro operato. Che essi, mettendosi sulla via che la Provvidenza loro schiudeva davanti, non avessero in animo di far ingiuria alla rEligione, né danno alla Chiesa, lo prova l'esultanza e la ve~erazione di cui Vi circondarono nei primordi del Vostro Pontificato; lo prova il dolore profondo e lo sgomento col quale accolsero la Enciclica del 29 aprile. Essi ebbero a deplorare che nell'animo Vostro, anzi che consentire, miseramente fra loro si combattessero i doveri di pontefice con quelli di principe; essi desideravano che una conciliazione si potesse ottenere tra le due eminenti qualità che si riuniscono nella sacra vostra persona.

Ma sventuratamente, per proteste ripetute e per fatti non oscuri, essi ebbero a persuadersi che questa conciliazione non era possibile, e non potendo rinunciare all'esser loro ed ai diritti imprescrittibili della nazione, come non avrebbero mai rinunziato alla fede dei padri loro, crederono necessario che il Principe cedesse al Pontefice.

Non poterono gli Italiani non tener conto delle contraddizioni nelle quali, a causa della riunione di queste due qualità nella stessa persona, frequentemente incorreva la Sede Apostolica.

Queste contraddizioni, mentre irritavano gli animi contro il Principe, certo non giovavano a crescere riverenza al Pontefice. Si veniva allora ad esaminare le origini di questo potere, i suoi procedimenti e l'uso; e bisogna pur confessare che questo esame non gli tornava sotto più riguardi favorevole. Si considerava la necessità, la sua utilità nelle relazioni colla Chiesa. L'opinione pubblica non rispondeva favorevolmente neppure sotto quest'aspetto.

Porgendo il Vangelo molti detti e fatti di spregio e di condanna dei beni terrestri, né meno porgendo Cristo molti avvertimenti ai discepoli, che non si abbiano da dar pensiero né di possesso, né d'imperio, non riuscirebbe agevole trovare anche un solo dei dottori e dei teologi della Chiesa il quale affermasse necessario all'esercizio del suo santo ministero il principato.

Fu tempo forse, quando tutti i diritti erano incerti ed in balia della forza,

che all'indipendenza della Chiesa giovò il prestigio di una sovranità tempo

rale. Ma poiché dal caos del medio evo uscirono gli Stati moderni, e si furono

consolidati colle successive aggregazioni dei loro elementi naturali, e il diritto

pubblico europeo si fondò sopra basi ragionevoli e giuste, che giovò alla Chiesa

il possedere piccolo regno, se non agitarla fra le contraddizioni e le ambagi

della politica, distrarla colla cura degli interessi mondani dalla cura dei beni

celesti, farla serva alle gelosie, alle cupidigie, alle insidie dei potenti della

terra?

Io vorrei, Santo Padre, che la rettitudine del Vostro intelletto e della Vostra

coscienza, e la bontà del Vostro cuore, giudicassero soli se ciò sia giusto ed utile

e decoroso alla Santa Sede ed alla Chiesa.

Intanto questo deplorabile conflitto arreca le più tristi conseguenze non meno per l'Italia che per la Chiesa. Il clero già Si divide tra sé, già si divide il gregge dai suoi pastori. Vi hanno prelati, vescovi, sacerdoti che apertamente ricusano associarsi alla guerra che si fa da Roma al Regno italiano; molti più vi ripugnano nel loro segreto. Le moltitudini veggono con indignazione ministri del santuario mescolarsi in cospirazioni contro lo Stato e negare al voto pubblico la preghiera dimandata dalle autorià; e fremono impazienti quando odono dal pergamo abusata la divina parola per farne strumento di biasimo e di maledizione contro tutto ciò che gli Italiani appresero ad ammirare e benedire. Le moltitudini, non use a distinguere troppo sottilmente le cose, potrebbero alla fine essere indotte ad attribuire il fatto degli uomini alla religione di ~ui sono ministri, ed alienarsi da quella communione alla quale da diciotto secoli gli Italiani hanno la gloria e la fortuna di appartenere.

Non vogliate, Santo Padre, non vogliate sospendere sull'abisso del dubbio un popolo intero che sinceramente desidera potervi credere e venerarvi. La Chiesa ha bisogno di essere libera e noi le renderemo intera la sua libertà. Noi, più di tutti, vogliamo che la Chiesa sia libera, perché la sua ribertà è garanzia della nostra; ma, per essere libera, è necessario che ella si sciolga dai lacci della politica, pei quali finora ella fu strumento contro di noi in mano or dell'uno, or dell'altro dei potentati.

La Chiesa ha da insegnare le verità eterne coll'autorità divina del suo celeste Fondatore, che mai non le manca di sua assistenza; ella deve essere la mediatrice fra i combattenti, la tutrice dei deboli e degli oppressi; ma quanto più docili orecchi troverà la sua voce, se non si potrà sospettare che interessi mondani la ispirino!

Voi potete, Santo Padre, innovare anco una volta la faccia del mondo; Voi potete condurre la Sede Apostolica ad una altezza ignorata per molti secoli dalla Chiesa. Se volete essere maggiore dei re della terra, spogliatevi delle miserie del Regno che vi agguaglia a loro. L'Italia vi darà sede sicura, libertà intera, grandezza nuova. Ella venera il Pontefice, ma non potrebbe arrestarsi innanzi al Principe; ella vuoi rimanere cattolica, ma vuoi essere libera ed indipendente nazione.

Che se Voi vorrete ascoltare la preghiera di questa figlia prediletta, guadagnerete sugli animi l'impero che avrete rinunziato come Principe, e dall'alto del Vaticano, quando Voi leverete la mano per benedire Roma e il mondo, vedrete le nazioni, restituite ai loro diritti, curvarsi riverenti innanzi a Voi, loro vindice e patrono.

(l) Mauro Cappellari (poi Gregorio XVI), H trionfo della Santa Sede. Discorso preliminare, edizione del 1799.

292

CAPITOLATO DI MASSIME

(Ed. in L. V., 2, pp. 6-7)

Articolo 1.

Il Sommo Pontefice conserva la dignità, la inviolabilità e tutte le altre pre

rogative della sovranità, ed inoltre quelle preminenze rispetto al Re ed agli

altri Sovrani che sono stabilite dalle consuetudini.

I Cardinali di Santa Madre Chiesa conservano il titolo di Principe e le ono

rificenze relative.

Articolo 2.

Il Governo di S. M. il Re d'Italia assume l'impegno di non frapporre ostacolo in veruna occasione agli atti che il Sommo Pontefice esercita per diritto divino come Capo della Chiesa e per diritto canonico come Patriarca di Occidente e Primate d'Italia.

Articolo 3.

Lo stesso Governo riconosce nel Sommo Pontefice il diritto d'inviare i suoi Nunzi all'estero e s'impegna a proteggerli finché saranno sul territorio dello Stato.

Articolo 4.

Il Sommo Pontefice avrà libera communicazione con tutti i Vescovi ed i fedeli e reciprocamente, senza ingerenza governativa. Potrà parimenti convocare nei luoghi e nei modi che crederà opportuni i concilii ed i sinodi ecclesiastici.

Articolo 5.

I Vescovi nelle loro diocesi ed i parrochi nelle loro parrocchie saranno indipendenti da ogni ingerenza governativa nell'esercizio del loro ministero.

Articolo 6.

Essi però rimangono soggetti al diritto comune quando si tratti di reati puniti dalle leggi del Regno.

Articolo 7.

S. M. rinuncia ad ogni patronato su benefizi ecclesiastici.

Articolo 8.

Il Governo Italiano rinuncia a qualunque ingerenza nella nomina dei Vescovi.

Articolo 9.

Il Governo medesimo si obbliga di fornire alla Santa Sede una dotazione fissa ed intangibile in quella somma che sarà concordata.

Articolo 10.

Il Governo di S. M. il Re d'Italia, all'oggetto che tutte le Potenze e tutti i popoli cattolici possano concorrere al mantenimento della Santa Sede, aprirà colle Potenze istesse i negoziati opportuni per determinare la quota per la quale ciascheduna di esse concorre nella dotazione di cui è parola nell'articolo precedente.

Articolo 11.

Le trattative avranno altresì per oggetto di ottenere le guarentigie di quanto è stabilito negli articoli antecedenti.

Articolo 12.

Mediante queste condizioni il Sommo Pontefice verrà col Governo di S. M. il Re d'Italia ad un accordo per mezzo di commissari che saranno a tale effetto delegati.

293

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CARDINALE SEGRETARIO DI STATO, ANTONELLI

(Ed. in L. V., 2, pp. 7-8)

Torino, l O settembre 1861.

Il Governo di S. M. il Re Vittorio Emanuele, gravemente preoccupato delle funeste conseguenze che tanto nell'ordine religioso quanto nell'ordine politico potrebbero derivare dal contegno assunto dalla Corte di Roma verso la nazione italiana e il suo Governo, ha voluto fare appello ancora una volta alla mente ed al cuore del Santo Padre, perché nella sua sapienza e nella sua bontà consenta ad un accordo che, lasciando intatti i diritti della nazione, provvederebbe efficacemente alla dignità ed alla grandezza della Chiesa.

Ho l'onore di trasmettere all'Eminenza Vostra la lettera che, per ordine espresso di S. M. il Re, ho umiliata alla Santità del Pontefice.

Per l'eminente sua dignità nella Chiesa, pel luogo cospicuo che ha nell'am· ministrazione dello Stato, non meno che per la fiducia che Sua Santità in Lei ripone, Ella meglio di ogni altro potrebbe porgere in questa occasione utili ed ascoltati consigli.

Al sentimento dei veri interessi della Chiesa non può non accoppiarsi nel· l'animo dell'E. V. il sentimento della prosperità di una nazione cui Ella appar· tiene per nascita, e quindi spero che si studierà di riuscire in un'opera che la farà benemerita della Santa Sede non solo e dell'Italia, ma di tutto il mondo cattolico.

294

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 134-138)

L. P. Londra, 10 settembre 1861.

Tornato da ieri in Londra dal congedo di un mese, che devo alla cortesia dell'E. V., credo mio primo dovere di offrirgliene i sinceri miei ringraziamenti. Trovai al mio arrivo una lettera diretta da Copenaghen dal Generale Solaroli alla Legazione, nella quale esprimeva il desiderio d'abboccarsi, al suo passaggio a Londra, quest'oggi con Lord Palmerston e Lord Russell. Quest'ultimo essendo per qualche settimana in Scozia, andai poche ore dopo il mio arrivo da Lord Palmerston, per caso di passaggio in Londra, e concertai secolui un abbocca· mento pel Generale per questa mattina; il quale difatti ebbe luogo stamane.

Ho preso occasione della mia visita d'ieri per discorrere con Lord Palmerston delle vertenze attuali. Questo Ministro non è precisamente d'indole espansiva. Ma lo trovai ieri disposto a parlar piuttosto esplicitamente. Egli non può a meno di ridere quando gli si assicura esser intenzione anche remota dell'Imperatore Napoleone di ritirare le truppe francesi da Roma. Lord Palmerston è sempre più persuaso che il vero scopo dell'Imperatore è di mantenervi una posizione militare, che lo metta in grado di operare in qualunque emergenza, sia che si trattasse d'appoggiare una dinastia francese in Napoli, ove le circostanze la favorissero, sia anche che si dovesse agir militarmente contro l'Austria, se questa Potenza volesse intromettersi ove non le spetta. L'Imperatore (disse Lord Palmerston) non ha mai visto di buon occhio l'unità d'Italia. L'ha combattuta di mano in mano che si faceva, a principiar dai Ducati, dalla Toscana, fino all'Umbria e soprattutto al Reame di Napoli e Sicilia. L'essenziale per lui era rimpiazzare coll'influenza francese quella esercitata dall'Austria. Ma il Gigante suscitato involontar'iamente da lui s'è nonostante andato ingrandendo, e per ora l'Impera· tore vuole, almeno per quanto dipende da lui, non aver da muovere a sé stesso rimproveri ulteriori. Però, non volendo mettersi male sia col Governo Italiano sia con noi, egli cerca di persuadersi esser vero e fermo suo proposito ritirarsi quanto prima potrà. Anzi esser questo il più sincero suo desiderio. Il suo poter persuasivo a questo riguardo è stato tale, mi disse Lord Palmerston, da riescire a persuaderne persino Lord Cowley, il quale scrive in conseguenza.

Siccome due giorni prima il Cav. Nigra, in Parigi, m'era parso non alieno dal credere l'Imperatore disposto a tentar ancora una volta la via de' negoziati, ma palesi ed aperti, e quindi in caso di non successo si penserebbe ad evacuar Roma, Lord Palmerston, non solo si mostrò incredulo, ma disse che ad ogni modo ci si domanderebbe l'impossibile, cioè che lasciassimo al Papa in tutta sovranità il suo territorio attuale. Gli dissi allora esser idea mia che l'Imperatore, da molti creduto profondo pensatore e politico a viste lontane, forse era più giustamente creduto da chi l'avvicinava indolente e disposto a differire, finchè qualche trambusto precipiti una soluzione. Ma Lord Palmerston si rifiutò risolutamente d'ammettere quest'indolenza, come uno dei componenti essenziali del carattere imperiale. Il mio giudizio sull'Imperatore, mi disse Lord Palmerston, è che invece d'indolenza egli ha una prodigiosa attività di mente, che lo porta non solo ad abbraciare una molteplicità di soggetti, ma persino ad occuparsene in dettaglio. Quell'uomo il quale è riescito a farsi centro di tutta la politica europea, il quale all'interno rinnuova ed attiva tutta l'amministrazione, ricostruisce Parigi, e trova modo inoltre, come se non bastasse, di scriver la vita di Giulio Cesare. Lo vidi anni sono a Windsor, continuò Lord Palmerston. Assieme a Fould presero l'inventario della più infima mobilia, quasi camera per camera, onde copiarla a Compiègne.

Risposi che forse era precisamente mentre si scriveva l'istoria di Giulio Cesare, che l'affare di Roma non camminava, e la riputazione d'indolenza essermi stata asserita da Persigny stesso. Ma egli disse che era un'astuzia del suo entourage, di colorir la cosa cosi. Ma che il distintivo essenziale di Napoleone era d'avvedersi di quando trovavasi in faccia d'una difficoltà essenziale. Ed allora

o si fermava ed aspettava l'azion del tempo, o cercava di tourner la diffìculté con diplomazia, e qualche volta finiva per tagliar il nodo con la spada. Ma, ripetè Lord Palmerston, la gran destrezza dell'Imperatore sta nell'accorgersi ove esistano vere difficoltà, e in tal caso nel fermarsi a tempo prima di passar oltre.

Gli espressi il mio stupore, che dopo fatto tanto l'Imperatore non temesse di perder il frutto in Italia delle sue vittorie, e pensavo che alla fin fine questo timore, com'anche gli eccitamenti dell'opinione pubblica, lo porterebbero a decidersi. Lord Palmerston indicò la tema del partito clericale come oprante in senso opposto. Ed io gli domandai se quest'apprensione avesse giovato a nulla all'Imperatore, per attaccarsi questo partito. Un altro motivo per l'Imperatore di star attento a non perder ogni simpatia italiana, dissi a Lord Palmerston, sarebbe precisamente il veder accrescersi quella per l'Inghilterra, che si mostra così simpatica agli interessi nostri come l'intendiamo noi. Ed in prova citai quei pochi movimenti della flotta Inglese a Napoli i quali erano favorevolmente stati interpretati dall'opinione italiana. Battendo una tal via dunque gioverebbero a sé medesimi ed anche a noi. Domandai se il Governo Francese avesse fatto qualche rappresentanza a questo riguardo. Ma mi rispose di non averne avuto contezza.

Non credetti di commettere indiscrezione dicendo al primo Ministro, che al mio passar per Parigi, tre giorni sono, avevo sentito che all'E. V. dalla Corte Imperiale si facesse qualche rimprovero; quello d'esser portato per l'Inghilterra. Soggiunsi esser questo difetto comune a tutti i miei connazionali, i quali evidentemente amano chi li ama, ma nello stesso tempo Lord Palmerston disse che V. E., prima di tutto era buon Italiano, siccome conveniva. Aggradiva però, detto questo, che i nostri principali uomini si capacitassero delle buone intenzioni che in Inghilterra esistevano a loro riguardo e della comune patria.

Parlando poi dell'affare della Sardegna, gli feci osservare che questo spauracchio era ugualmente exploité dai Mazziniani per agir su Garibaldi, e dagli Austriaci per indispettir sempre più il Governo Inglese contro noi e la Francia. E infatti mentre Kinglake avea confessato d'aver avuto varie informazioni per le sue interpellanze da Apponyi, così Roebuck ultimamente per esser vissuto 48 ore a Southampton coll'Arciduca Massimiliano aveva rinnovata questa fandonia. Lord Palmerston mi disse esser questo chiaro e patente. Non credo vi sia pericolo che questi signori sottoscrivano segreto patto coll'Austria. Non è nell'indole nè dei Ministri nè del paese.

Lord Palmerston m'ha poi detto d'aver letto con grande interesse il rapporto da noi statogli comunicato sui rapporti del Padre Giacomo colla Corte di Roma. Sembrò desiderare che questa comunicazione potesse pubblicarsi fra i documenti del prossimo blue book al Parlamento.

Del resto il malumore francese contro questo Ministero non si è naturalmente calmato dopo il discorso di Douvres. Ed una risposta indiretta gli si è data aumentando il numero degli ufficiali della Marineria francese. Intanto nel suo recente soggiorno a Douvres, Lord Palmerston si è occupato attivamente d'estendere le fortificazioni di quell'antica fortezza. E coi suoi di casa egli esprime una sempre crescente diffidenza sul carattere imperiale. Ogni volta che parliamo delle faccende italiane, egli non preterisce mai di deplorare la condizione del Veneto. E gli raccontai ieri aver io incontrato a caso la vigilia l'ex-segretario particolare di Lord Malmesbury, testimonio certo scevro di parzialità per noi, il quale tornato adesso da Venezia, ne parla colle lacrime agli occhi, e deplorando l'acciecamento austriaco di rifiutare quel buon prezzo che saressimo pronti a darne.

Mi par d'aver reso un conto esatto a V. E. del mio colloquio con Milord. Benché non presenti gran novità di concetti, però darà un'idea dello stato attuale de' giudizi del Governo Inglese sulle vertenze nostre. Profitto per trasmetterle la presente l'occasione del Generale Solaroli. * Mi è stato detto da qualcuno, che è intimo di casa Rothschild, che il Papa ha fatto dire ai conventi che se alienavano oggetti d'arte, chiuderebbe gli occhi *.

295

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 13 settembre 1861.

Nei primi giorni dello scaduto mese di agosto ebbi qualche avviso che, in eseguimento di ordini del suo Governo, la Legazione di S. M. Cattolica in Lisbona aveva ritirato sul finire di luglio gli Archivi del già Consolato Generale delle Due Sicilie in quella città, e prescritto ai Consolati di Spagna in Portogallo di ricevere parimenti gli Archivi degli offici o delegazioni Consolari delle Due Sicilie nella rispettiva loro residenza.

Poco tempo dappoi pervenne al Governo del Re per mezzo della R. Legazione in Lisbona copia autentica di un dispaccio del Console Spagnuolo in Faro, da cui risultava in modo non dubbio il provvedimento ordinato dal Governo di Spagna. Pr'ima però che mi pervenisse tal documento di cui unisco qui un esemplare, supponendo vi fosse stato qualche malinteso, e ripugnandomi credere che il Governo Spagnuolo avesse voluto mancare cosi apertamente a quel contegno di neutralità che esso ripetutamente dichiarava voler osservare, io incaricava il Ministro del Re in Madrid di chiedere sp'iegazioni del fatto.

Interpellato dal Barone Tecco, il Presidente del Consiglio Duca di Tetuan, po'iché era assente da Madrid il Ministro degli Affari Esteri, verbalmente protestava non aver esso niuna cognizione di ordini di tal natura e credere che effettivamente non se ne fossero dati.

Ma l'inviato di S. M. avendo contemporaneamente scritto al Ministro degli Affari Esteri, questi con un lungo officio confessava in parte il seguito provvedimento, e cercava con molti argomenti giustificarlo come conforme al diritto ed agli usi.

Riassumerò qui brevemente le circostanze e le ragioni allegate dal signor Collantes.

Afferma egli non essersi provveduto in modo generale per tutti gli ex Consolati delle Due Sicilie in Portogallo, ma limitatame:nte per quello di Lisbona, e riservarsi il Governo di S; M. Cattolica di decidere intorno agli altri secondo l'evenienza dei casi. Avere prescritto alla Legazione di ritirarli prima che giungesse l'estremo momento della ricognizione del Regno d'Italia per parte di S. M. Fedelissima, e ciò aver fatto per salvarli. Essere persuaso il Gabinetto di Madrid di non aver con ciò per nulla violato il gius delle genti né rispetto all'Italia ed al suo Governo, né rispetto al Portogallo. Essere cosa consacrata dalla consuetudine che, quando due Potenze o per differenze o per guerra sono costrette a richiamare i loro Rappresentanti, questi affidino agli Agenti di Potenze amiche o neutre la protezione di sudditi del loro paese e gli Archivi delle loro Legazioni o dei loro Consolati. Del resto essere di poco momento quel fatto e non poter avere conseguenze di rilievo pel Governo del Re, giacché ad ogni modo gli sarebbe stato effettivamente impossibile d'i ottenere gli Archivi dei Consolati delle Due Sicilie contro la volontà dei loro detentori, quando volessero questi rimaner fedeli a Francesco II.

Ho appena d'uopo notare in quale contraddizione le asserzioni del Governo

Spagnuolo siano coi fatti, e quanto appajano futili le ragioni con cui tenta

coonestare un procedere apertamente lesivo del pubblico diritto e che male si

potrebbe conciliare con una leale ed aperta politica. Quanto a' fatti, il documento

che ci venne alle mani prova in modo non dubbio che l'ordine di ricevere gli

Archivi dei Consolati Siciliani fu dalla Legazione di Spagna eseguito e dira

mato molti giorni dopo che il Portogallo aveva officialmente riconosciuto il

Regno d'Italia, e che non al solo Consolato di Lisbona si provvide, ma a tutti

i Consolati delle Due Sicilie in Portogallo. Anzi ci consta che n· Governo

Spagnuolo ha del pari fatto ritirare dai suoi Agenti gli Archivi dei Consolati

delle Due Sicilie in Algeria, per il che già il Governo Francese ha fatto perve

nire a Madrid le sue osservazioni, e che probabilmente ha operato nello stesso

modo in altri paesi.

La scusa di tempo che il Gabinetto di Madrid adduce non varrebbe adun

que che a provar maggiormente il suo torto, poiché con essa viene implicita

mente ad ammettere che la presa di possesso di Archivi Italiani dopo seguita

la ricognizione del Regno d'Italia è un atto ingiusto e condannato dal diritto

internazionale. Né miglior fondamento hanno gli argomenti di diritto allegati

nella nota del signor Collantes.

È verissimo che quando fra due Potenze havvi interruzione di rapporti,

esse usano rimettere ad un'altra la protezione dei loro sudditi e la cura degli

Archivi delle loro Agenzie. Ma come il buon senso lo indica, ciò non succede

e non può ragionevolmente succedere che di Potenze le quali conservino i loro

Stati ed i loro sudditi. I precedenti invocati non hanno dunque rassomiglianza

alcuna col caso presente. Pretendere di personificare le Due Sicilie in Fran

cesco II e considerarlo come se effettivamente egli le governasse ed avesse

sudditi da proteggere, diventa nella realtà dei fatti, e prescindendo da ogni

questione di principio, una finzione cosi ripugnante a ragione che non abbisogna

di venir confutata.

Il Governo attuale delle Due Sicilie riconosciuto da gran parte delle Potenze ed effettivamente esercitato, è il Governo del Re d'Italia. Questo solo è realmente capace di proteggere i sudditi che gli sono donati, ed il Governo del Re non ha chiesto alla Spagna s'incaricasse di verun offi.cio di protezibne.

Dal canto suo la Spagna non può ammettere simile domanda da verun'altra persona, senza uscire da quella condizione di neutralità che ha dichiarato voler osservare rispetto agli eventi d'Italia, senza offendere gravemente i diritti e la dignità del Governo del Re.

Né la privazione degli Archivi dei Consolati Siciliani è cosa indifferente per la protezione degli interessi dei sudditi di S. M. e per l'esercizio delle funzioni consolari. In quegli Archivi, come ben s'intende, sono i registri di iscrizione dei connazionali di quelle Provincie, molti atti del loro stato civile, gran copia di contratti, di sentenze arbitrali, ecc., infine anche somme di danaro tenutevi in deposito sino a decisione di vertenze pendenti. È chiaro pertanto che senza tali documenti i nostri Agenti Consolari mal possono aver cognizione dei nazionali di quelle Provincie e molto meno ancora far valere i loro diritti e tutelarne gl'i interessi. Né il Governo di S. M. potrebbe con efficacia invocare, per farsi restituire quegli Archivi, l'azione dei tribunali in Portogallo, poiché essendo gli Archivi medesimi passati alla Legazione ed ai Consolati di Spagna sono sottratti dalla immunità internazionale alla giurisdizione del paese. Insomma in qualsivoglia maniera lo si consideri, il procedere del Gabinetto di Madrid è uno sfregio ed atto ostile contro il Governo del Re, a cui esso niega un diritto e menoma i mezzi di esercitarlo.

Il Ministro di S. M. presso la Corte di Spagna, appena ricevuta la risposta .del signor Collantes, si fece carico di protestare. Se queste proteste però, come è probabile, non sortissero effetto, i diritti e l'onore del Governo del Re non consentirebbero a mio giudizio che ci astenessimo dal fare più premurosi e diretti richiami al Governo di S. M. Cattolica, e che rimaness'imo quasi indifferenti alla offesa ed al pregiudizio che ci vengono recati.

Tuttavia, prima di adottare una risoluzione a tal proposito, io bramerei conoscere il parere del Gabinetto di S. M. Britannica, e quando avesse, come non potrei dubitarne, opinione conforme alla nostra, io confiderei che si compiacerebbe d'interporre qualche buon ufficio presso il Governo Spagnuolo per indurlo a revocare un provvedimento incompatibile col pubblico diritto e col mantenimento di buoni rapporti fra di esso ed il Regno d'Italia.

Invito perciò la S. V. Ill.ma ad informare di quanto ho esposto sovra questo incidente S. E. il Ministro degli Affari Esteri di S. M. Britannica, ed in caso di favorevoli disposizioni, di esprimergli il desiderio del Gabinetto Italiano.

Noterò qui per maggiore informazione della S. V. che secondo ragguagli avuti dal Barone Tecco, la parte politica degli Archivi Consolari Napoletani di Lisbona sarebbe stata trasmessa a Madrid al Conte di San Martino, Rappresentante di Francesco II presso le Corti di Spagna e di Portogallo, e che istigatore dei provvedimenti sovra riferiti sarebbe l'antico Ambasciatore Spagnuolo presso l'ex-Re di Napoli.

Raccomando alla S. V. Ill.ma di farmi conoscere il più prestamente che sarà possibile l'esito delle Sue pratiche.

296

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 160-163)

L. P. 11. Parigi, 13 settembre 1861.

Giunse qui ieri il signor Benedetti, con tutte le carte che l'E. V. gli ha confidato. Ebbi nel tempo stesso la lettera Sua particolare, in cui mi annunzia l'invio del progetto. Mi recai subito al Ministero degli Affari Esteri, ove scrissi al signor Thouvenel, essendo egli in Consiglio, che desideravo avere l'avviso del Governo Imperiale sul progetto stesso, e ciò con qualche sollecitudine, giacché era intenzione del Governo del Re di dar corso alla pratica prima che spirasse la settimana, a meno d'avvertimento in contrario. Il signor Thouvenel, tornato di consiglio, mi fece pervenire nella serata, qualche istante prima che partisse per la campagna, la lettera che mi pregio di mandar qui unita all'E. V. (1).

Secondo il contenuto di questa lettera, il signor Thouvenel si propone di esaminar la cosa nei giorni che passa alla campagna, e di sottoporla all'Imperatore con un suo rapporto. Il rapporto e le carte annesse saranno spedite martedì prossimo, cioè il 17 corrente, all'Imperatore a Biarritz; bisognerà quindi

c M. Benedetti m'a en effet remis ce matin plusieurs pièces importantes qui exigent un examen approfondi. Je pars demain pour la campagne et c'est à l'ombre de mes arbres que je préparerai mon rapport à l'Empereur. Je ne pourrai probablement l'expédier que mardi prochain ed il faudra à S. M. le temps de me répondre, si méme Elle ne m'appelle pas à Biarritz. Les choses, vous le comprenez, ne sauraient donc aller aussi vite que M. le Baron Ricasoli le suppose, et si une négociation doit s'ouvrir, point sur lequel je ne suis pas encore en mesure d'avoir un avis, il me semblerait en tout cas indispensabled'attendre que M. de Lavalette fiìt à son poste.

c Mille pardons de l'erreur commise dans mes bureaux. Je ne puis tout relire •.

lasciare all'Imperatore il tempo di esaminare e di rispondere al signor Thouvenel,

il quale forse sarà chiamato apposta a Biarritz. Secondo il signor Thouvenel,

sarebbe quindi impossibile che l'E. V. potesse avere una risposta prima di una

quindicina di giorni. Ciò quanto al tempo. Quanto alla quest'ione in sé, io

spero che l'Imperatore approverà il progetto con qualche modificazione di forma.

Il signor Thouvenel non volle esprimere finora un avviso. Io penso che esso proporrà all'Imperatore quanto segue, cioè: di mandare anzitutto il signor Lavalette a Roma; di dare a questi l'istruzione d'indagare le disposizioni della Corte di Roma, e di agire nel senso di renderla più pieghevole. Quando il Governo Francese abbia così assaggiato il terreno, e siasi accertato che la Corte di Roma riceverà almeno le comunicazioni nostre pel mezzo dell'Ambasciata Imperiale e vi risponderà, allora il signor Thouvenel s'incaricherà della commissione, e l'appoggerà. Ad ogni modo è evidente che l'Imperatore vorrà, prima di pronunciarsi, consultare Lavalette e tastare anche il terreno a Roma. Quando il Governo Francese potesse pensare che le comunicazioni da lui fatte non fossero ricevute o rimanessero senza risposta, difficilmente il signor Thouvenel consentirebbe ad incaricarsene. Questa però non è che una mia induzione, fondata sui discorsi a me tenuti negli ultimi giorni da questi signori su tale materia.

Ma potrà Ella attendere un mese, che tanto ci vuole? Se si può senza gravi inconvenienti, io La consiglio a farlo; essendo importantissimo l'impegnare l'azione della Francia in questo negoziato. E per me evidente che il Papa o non risponderà o risponderà negativamente. L'associare la Francia al ricevimento di questa negativa parmi atto sommamente politico. Ci pensi Ella, e giudichi. Io eseguirò in ogni caso puntualmente le Sue istruzioni. Devo però premunire l'E. V. contro il pericolo d'indiscrezioni per parte della stampa. Se si vuole che il negoziato segua il suo corso, conviene che rimanga segreto per ora. Verrà tempo in cui gioverà anzi che gli si dia una grande pubblicità. Ma finché le proposte non sono in mano del Papa, giova serbare il segreto.

Non Le ho accennato in questi giorni le mutazioni di linguaggio avvenute a proposito della Circolare nei giornali semiufficiali. Nol feci perché non voglio dare soverchia importanza a cosa che non lo merita. Quando feci stampare la circolare sui giornali francesi, avevo fatto qualche passo per disporre favorevolmente la stampa stessa. E difatti nei primi giorni la circolare fu accolta con plauso, anche dal Constitutionnel, che la pubblicò pel primo. Poi vennero istruzioni da Biarritz per calmare il plauso. Io mi spiego il fatto collo stato d'animo un po' morboso dell'Imperatore in questo momento. È circondato a Biarritz da nemici nostri; non vuole che si abbia neanco la più lontana apparenza di forzargli la mano nella questione di Roma. Ogni cosa che gli ricorda questa questione, gli produce cattiva impressione, come se gli si toccasse una piaga aperta, o gli si rammentasse una colpa che attende da un pezzo riparazione. Tale è, o parmi, in questo momento il suo stato d'animo. Non mi fa quindi meraviglia la grande freddezza del suo Governo per rapporto a tale questione. Ma ciò non deve farci perdere d'animo.

La soluzione della Questione di Roma è più nelle mani nostre che in quelle dell'Imperatore, se sapremo domare i partiti estremi, quietar Napoli, organizzare il Regno, e armare per terra e per mare. Ma ciò esige un certo tempo. E capisco che sia difficile il frenare legittime impazienze. Lei è ora appunto collocato tra queste impazienze e fra le peritazioni e i ritardi del Gabinetto Francese. Calmare le prime e sollecitare abilmente la Francia, senza irritarla, parmi sia il solo ragionevole partito. Ora per ottenere questo secondo resultato, assai più che le parole, sembrami che dovrebbero giovare i fatti, come sono appunto le nuove pratiche da intavolarsi con Roma, l'ordinamento che Ella va preparando dell'amministrazione del Regno, il migliorato governo di Napoli, ecc. Se vi si potesse aggiungere qualche fatto che partisse dall'iniziativa del popolo romano, come sarebbe a mo' di esempio il rifiuto di pagar le imposte, o altro simile, sarebbe ottima cosa; giacché nulla più agisce sull'animo dell'Imperatore che l'espressione della ·volontà popolare apertamente manifestata.

* Passo ad altro soggetto. Il Re m'incaricò d'indagare se l'Imperatore approverebbe eventualmente il progetto di matrimonio tra la Principessa Maria Pia e il Re di Portogallo, di cui Le parlai in una mia lettera particolare. Da quando Le scrissi in proposito nessun fatto nuovo avvenne, che io conosca, ed ignoro se il Visconte di Seisal abbia fatto cenno o parola a questo riguardo. Però volli adempiere la commissione del Re e lo feci a questo modo. Non ho creduto utile di domandare un'udienza, dubitando che la mia presenza possa imbarazzare l'Imperatore, il quale teme di esser messo in dimora di pronunciarsi categoricamente sulla Questione Romana. Ricorsi perciò al dott. Conneau, del quale ci siamo valsi in molte simili circostanze. Il dott. Conneau interpellò l'Imperatore, presentando però il caso non già come probabile, ma solo come possibile. L'Imperatore incaricò il Dottore di farmi sapere com'egli approvi pienamente un tal progetto, e desidera che questa sua opinione sia portata a notizia del Re. Io scrivo oggi stesso a S. M. per riferirle questa cosa, ed unisco la lettera che prego V. E. di far pervenire in modo sicuro alla sua alta destinazione.

Non volendo consegnare alla posta la presente lettera e quella diretta al Re, spedisco in corriere il Cav. De Donato, già mio segretario particolare ed ora destinato a Lione in qualità di Vice-Console. Il Signor Donato è disposto, come ebbe ordine di fare, a recarsi al suo posto nel termine fissatogli. Ma desidererebbe, se possibile, passare nella carriera interna del Ministero o in quella delle Legazioni. Io lo raccomando a V. E. come giovane distinto, discreto ed istruito. Penso che può diventare un buon redattore in francese, e che, nella penuria in cui è il Ministero di tali redattori, potrebbe rendere buoni servizi, e migliori che non a Lione. Io non oso ridomandarlo; ma se, mutando carriera, la sua residenza a Parigi potesse conciliarsi coi regolamenti, lo riceverei qui con gratitudine. Ne scrivo anche al Cav. Carutti.

Chiamo ancora la di Lei attenzione su quel Ricci, toscano, che è andato a Napoli e che è un agente borbonico in stretta relazione con Canofari e soci. Ha circa anni 34, di color biondo chiaro i capelli, avente un movimento convulso nella bocca. Fu ufficiale dei volontari toscani nel 1848, ed ora si trova in Napoli, ove giunse, or fa un mese forse, sul Bellerofonte e di dove informa costantemente il Comitato borbonico di Parigi. Lo segnali a Cialdini.

Sarebbe forse utile ch'Ella mi mandasse qui alla Legazione qualche Addetto Napolitano o Siciliano. Il Duca di Noja farebbe meglio qui, credo, che a Londra,

24 . Dowmenti diplomatici -Serie I -Vol. r

e Le dirò il perché. Ella non ignora la grande quantità d'emigranti nobili napolitani che stanno in Parigi, ove in verità non fan molto, ma sparlano assai. Un Napolitano, stimato e ricco come il Noja, che è inoltre parente di molti di loro, sarebbe per essi uno stecco negli occhi e renderebbe non mediocre servizio alla Legazione. Espongo la cosa a V. E. senz'altro. Ella vedrà se può lasciare qui il Noja e mandare un Siciliano a Londra, o se si debba lasciare quello a Londra, e mandar qui un altro. Fra i giovani Siciliani più distinti e più attaccati alla causa nazionale, voglio mentovarle qui il signor Paternò dei Duchi di Furnari, di recente sposato a giovane damigella russa, parente dell'Ambasciatore di Russia a Parigi, il quale accetterebbe, credo, con piacere il posto d'Addetto alla Legazione, e lo coprirebbe con onore. Mi riservo d'accennarle più tardi un altro distinto giovane Siciliano, il cui nome ora mi sfugge, ma che diede prova nella passata rivoluzione d'animo elevato e di nobilissimo carattere. Ritenga però ad ogni modo che la presenza d'un Napolitano a Parigi, addetto alla Legazione, sarebbe ottima cosa. E g'iacché parlo del personale diplomatico, voglio ch'Ella sappia ch'io son molto soddisfatto dell'intelligenza e della assiduità di cui dà prova il Marchese Incontri, che or fa le veci di primo segretario durante il congedo di Gropello.

P. S. -Ho visto ieri il Tibaldi, a cui darò L. 10.000 per cui è accreditato. Prego V. E. di volermi far spedire una cambiale su Parigi per egual somma *

(l) Ecco il testo della lettera in data 12 settembre 1861. c Je vous remercie de l'avais relatif au débarquement projété sur le littoral d'Ostie.

297

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, A VITTORIO EMANUELE II

(A. c. R.)

L. P. Parigi, 13 settembre 1861.

Je remercie V. M. de la lettre qu'Elle a bien voulu m'écrire et des commissions dont Elle m'a chargé pour l'Empereur. Malheureusement S.

M. I. est à Biarritz et je n'ai pas voulu lui demander une audience de peur de lui fare l'effet du spectre de Banque. L'Empereur est maintenant dans l'un de ces moments de défaillance qui lui sont habituels. Il ne veut pas entendre parler de la question de Rome, comme s'il s'agissait de lui toucher une plaie ouverte. Tout ce qui peut avoir l'air de le pousser malgré lui et de lui forcer la main, l'irrite beacoup, et c'est justement pour cette raison qu'il a envoyé de Biarritz l'ordre à ses journaux de changer de langage au sujet de notre dernière circulaire. Sur cet état d'àme de l'Empereur j'ai écrit longuement au Baron, et j'ai aussi parlé au Général Solaroli, qui le répétera à V. M. Aussi je n'ennuiera.i plus longtemps V. M. sur ce chapitre; d'autant plus que je m'attends à un changement peut etre dans quinze jours, peut etre dans un mois pour peu que les chasses de Compiègne promettent d'etre amusantes. Je n'ai donc pas demandé d'audience et je crois d'avoir bien fait. Cependant comme je voulais m'acquitter des commissions de V. M. j'ai prié le docteur Conneau de vouloir bien s'en charger, ce qu'il a fait avec sa bonne gràce habituelle. Le bon docteur a donc expliqué à l'Empereur l'affaire du Comte de Capoue dans les termes que V. M. m'a mandés; et l'Empereur a paru satisfait d'entendre ces explications. Ensuite il lui a demandé son avis de la part de

V. M. sur le projet éventuel de mariage portugais. L'Empereur lui a répondu dans ces termes précis: «dites à Nigra de faire savoir au roi que j'approuve fort ce projet dont je désirerais la réalisation ». Je suis heureux de pouvoir porter cette réponse à la connaissance de V. M.

M. Benedetti est arrivé ici avec le projet et les papiers que le Baron lui a confiés concernant de nouvelles négociations à examiner avec Rome. Il a donné le tout à M. Thouvenel qui s'est réservé d'examinér les papiers à la campagne et de les transmettre mardi à l'Empereur avec un rapport. D'après nous ne pourrons avoir là dessus une réponse de l'Empereur avant trois semaines.

Du reste, la politique chòme. Il n'y a personne à Paris. Tous les Ministres

se sauvent; et au lieu d'écrire des notes on va à la chasse. Les couvées ont été

très heureuses, il y a énormément de perdreaux, de faisans et de lièvres.

Pour en donner une preuve à V. M. je lui dirai que dimanche dernier à la

Ferrière, j'ai tué à moi seul soixante pièces de gibier, ce qui est énorme pour

un chasseur de ma trempe.

Si à Paris on chasse, en Turquie on s'amuse d'une autre manière. J'ai

reçu une lettre fort curieuse de Constantinople qui contient des détails effroya

bles sur les orgies sardanapalesques du nouveau Sultan. Il y est dit que Son

Hautesse passe les nuits avec une vingtaine de mignons, et qu'Elle a donné

le Medjidié de lère classe à un jeune tapissier qui a fixé son attention. Tout

Constantinople est indigné.

L'amélioration de l'état des choses à Naples produit ici le meilleur effet,

et l'Empereur s'en montre satisfait. Pour ma part j'en offre tous mes compli

ments à V. M. et j'ai la ferme confiance qu'Elle reussira à retablir le calme

dans ces pauvres pays et d'autre part à organiser l'administration du royaume

d'une manière uniforme.

La nomination de La Rovere a aussi produit une bonne impression, car on est persuadé ici avec raison qu'une bonne et forte armée comme celle que

V. M. est en train d'organiser, est le meilleur moyen d''avoir toujours raison soit à l'intérieur soit à l'étranger. L'armée a fait, en grande partie, l'Italie, sous les ordres de V. M. Elle est destinée à consolider ce qui a été fait et à assurer le reste.

298

IL GENERALE SOLAROLI A VITTORIO EMANUELE II CA. C. R.)

L. P. Torino, 14 settembre 1861.

Giunto stamane a Torino poche ore dopo che V. M. partiva per Firenze, mi reco a doverosa premura di ragguagliarla immediatamente dell'interessante colloquio avuto con Lord Palmerston al mio ritorno da Copenaghen a Londra.

Appena arrivato il 9 corrente a Londra, e mentre mi disponevo a visitare Lord Palmerston, esso mi preveniva con un cortese invito di passare da lui all'una pomeridiana di detto giorno.

Trovatomi esatto al convegno, mi discorse a lungo sulle varie importantissime questioni che mi onoro di brevemente riassumere alla M. V.

Sulla questione di Roma, Palmerston mi disse che Napoleone non vole assolutamente richiamare le truppe da Roma, perché egli non crede che noi siamo capaci di ben governare quella città e difendere il Papa, allegando per prova il modo con cui e al presente è governato l'exreame di Napoli; In secondo luogo perché l'Imperatore è personalmente impegnato col Papa a non ritirargli sinché vive la sua protezione, e d'altronde convinto che conservando le truppe a Roma, garantisce ad un tempo la sicurezza del Papa e dell'Italia; E qui aggiungeva Palmerston che gli italiani devono quindi fare da loro, ma procedere colla maggiore prudenza, e con tutti i riguardi verso l'Imperatore: che V. M. ed il suo Governo dovrebbero fare al Papa le più larghe concessioni, se non altro alla persona del Papa, a sua vita natura! durante.

Con molta compiacenza il Ministro inglese credeva potermi assicurare che nel Sacro Collegio alcuni Cardinali cominciano a parteggiare per l'Italia, e taluni altri si potrebbero guadagnare con favore alla nostra causa Italiana. Insisteva quindi sulla necessità di incontrare sacrifici anche gravi per riuscire a far ritirare i francesi da Roma. In tuono poi di amichevole facezia soggiungevami Palmerston, perché non va ella caro Generale a Roma? La sua famiglia e lei hanno fondate chiese e Seminari nelle Indie, ella stessa ha portato 500/m frs. al Papa per legato di sua suocera, regina Sombre. Suo cognato ha spese somme ingenti per far cantare messe in Vaticano, ed altronde ella è Cavaliere Romano, vi sarebbe da tutti ben accolto. Interrompendolo gll osservai che io non ero tal diplomatico da battermi con quei Signori, e che d'altronde non mancano al Governo uomini e mezzi appropriati allo scopo.

Passando a discorrere delle cose di Venezia. Palmerston mi disse essere

a sua cognizione che nel Gabinetto imperiale, qualche Ministri cominciano a

capire che sarebbe ottimo consiglio cedere la Venezia. In vista di ciò egli fece

sentire all'Austria che se non si decidono prontamente a tal cessione, non sareb

bero più tardi a tempo, dovendo di necessità gli Italiani fare qualunque sacri

ficio per avere la Venezia.

Palmerston poi consiglia tale sacrificio per evitare quelli molto maggiori

che trarebbe seco una guerra inevitabilmente micidiale.

A proposito dell'Ungheria, Palmerston mi esternò la maggiore sicurezza che non vi sarà in quest'anno alcun movimento, in pari tempo però raccomanda che ci facciamo forti, e ci teniamo pronti per quanto potesse succedere nell'anno prossimo.

Ritornò lo stesso Ministro sul discorso della Sardegna, sostenendomi che

Pietri va una volta alla settimana sopra un vapore avanti Porto Torres, e là

riceve i suoi emissari, e quelle altre persone che sostengono la sua causa.

Per giustificare poi questo procedere si va spargendo che a sua volta l'Inghil

terra fa intrighi d'ogni maniera per procacciarsi la Sicilia. Il Ministro però

mi incaricò formalmente di assicurare la M. V. che questa è una solenne falsità

eguale a quella che si va pure spargendo che l'Inghilterra abbia fatto un trat

tato d'alleanza coll'Austria. Il governo inglese non farà trattati con l'Austria

se non quando questa si trovi in una posizione normale, e solida, e tale posizione

(secondo Lord Palmerston) non avrà mai sinché l'Austria non abbia fatto un

trattato coll'Italia.

Si parlò anche della Spagna, e secondo lui, la Regina merita compassione, per le note ragioni, e d'altronde a suo credere l'attuale Ministero non durerà molto.

Finalmente nel prender congedo lord Palmerston stringendomi cordialmente la mano, mi disse, metta ai piedi di S. M. i miei omaggi, ed i miei voti e voglia assicurarla che sia nel Governo che presso il popolo 'inglese Ella ha sempre numerosissimi amici.

Prima di chiudere questa mia, mi permetterò di aggiungere che l'ultima circolare diplomatica del Ministro Ricasoli, produsse grandissimo effetto in Svezia, in Danimarca, i~ Inghilterra, come in Francia, e se ora i giornali ufficiosi di questa nazione cangiarono opinione sul merito di quella nota, ciò avvenne per ordine formale venuto da Biarritz, e ad insaputa dello stesso Thouvenel.

A Parigi mi vene confermato quanto, sugli affari d'Italia che avevo inteso a Londra, se non che venni accertato che l'Imperatore conserva sempre le stesse benevoli intenzioni verso l'Italia, anche perché non può avere simpatia ne pel Papa ne pel Clero di Roma, meno ancora poi pei Borboni ed Orleanisti, ma vuoi restare il padrone della situazione cogliendo il pomo quando sarà maturo senza essere forzato da alcuno.

Con mio rincrescimento non debbo tacere a V. M. che tanto in Inghilterra che a Parigi, si disapprova assai il sistema di governo adottato dal Generale Cialdini, coll'essersi cioè posto nelle mani del partito rivoluzionario, e mazzlniano, e tanto più che questa condotta si crede in disaccordo colle idee di V. M. e del Governo, idee riconosciute d'ordine, ed altamente conservatrici, e perciò diametralmente opposte alle viste del partito radicale, pregiudizievolissime al bene ed al credito d'Italia (1).

Nella speranza che questi esatti raguagli possono tornare graditi alla M. V. la cui alta saviezza giudicherà se quantunque confidenzialissimi non possono essere comunicati al sig. Ministro Ricasoli, io avrò l'onore di venirla fra pochi giorni ossequiare a Firenze, rassegnandole di persona il mio rapporto su la missione di Svezia e Danimarca.

299

IL GENERALE SOLAROLI A VITTORIO EMANUELE II (A C S R, Carte Ricasoli b. 5, fase. IV, co.)

Torino, 14 settembre 1861.

Di ritorno a Torino dopo aver compiuto l'alto incarico dalla degnazione di V. M. affidatogli di presentare le Insegne dell'Ordine Supremo della S. S. Annunziata ai due Sovrani di Svezia-Norvegia e di Danimarca, il sottoscritto

(n. 647) -J'ai provoqué l'alliance des fractions du parti libéral contre un ennemi et devant un danger commun, mais il s'agit d'une alliance pure et simple sans concessions et sans engagements et à la seule condition de frapper le parti Bourbonien •· Allarmava l'opinione conservatrice che il Cialdini si servisse di mazziniani della vigilia come Nicola Fabrizi: • Je vous préviens -il Cialdini telegrafava al Ricasoli l'l agosto (n. 671) -que Nicola Fabrizi connu comme républicain est ici et que je me sers de lui. Il est de mon pays, mon parent éloignè. trés dévoué à moi particulièrement, il m'est très utile et je suis siir de lui. Je vous en préviens dans la prévision que son mom puisse vous effaroucher •·

si ascrive a pregio e a dovere ad un tempo di ragguagliare la M. V. del suo operato, chiedendone venia, se per renderne quanto saprà meglio al vero gli interessanti particolari, sarà involontariamente tratto a parlare di soverchio della sua persona, dappoiché fregiato dell'orrevole distintivo di rappresentante di V. M. fu fatto segno ad ogni maniera di onoranze e cortesie.

Accompagnato da suo figlio capitano in Genova Cavalleria, dalla Grazia Vostra, o Sire, assegnatogli qual'ufficiale d'ordinanza, il riferente partiva da Londra (ove trovavasi per altre ufficiali incombenze note a V. l'vi.) il 19 agosto scorso, e la sera del 21 sbarcava a Stoccolma, ove era ricevuto dall'Incaricato d'affari e dal R. Console Italiano.

Il giorno della sua partenza da Londra era stato determinato da informazione avuta che il Re Carlo di ritorno dal suo viaggio in Francia ed Inghilterra doveva in quel tempo restituirsi a Stoccolma, ciò che però avveniva più tardi, per essersi il Re arrestato in alcune provincie de' suoi Stati.

Il 22 mattina lo scrivente presentava le sue credenziali al Ministro di Stato, e degli Affari Esteri Conte Manderstrom, da cui veniva accolto colla massima cortesia, e fra varii discorsi tenuti, era sin da quella prima visita interpellato, se tenesse pure incarico di recare il Collare dell'Ordine al Re di Danimarca; (dimanda questa statagli dappoi diretta da varii altri ministri e distinti personaggi). Poco dopo lo stesso Ministro comunicava allo scrivente l'ordine di

S. M. che fosse posta a di lui disposizione una carrozza di Corte, ed un ufficiale d'ordinanza del Re, che egli non accettava che pelle visite a Corte.

Visitava quindi i Ministri di Francia ed Inghilterra, scambiando carte cti visita con tutti i Ministri delle Potenze che avevano già riconosciuto il Regno d'Italia, non che ai Ministri e Principali Dignitarii dello Stato Svedese.

Facevasi intanto premura il riferente di annunciare per telegrafo a S. E. il Barone Ricasoli il suo arrivo a Stoccolma, la prossima venuta del Re di Svezia, ed il desiderio generale statogli espresso di veder conferita al Re di Danimarca un'eguale distinzione. Questo dispaccio era seguito da una nota spiegativa dello stesso giorno 22 agosto allo stesso Signor Barone.

Riceveva il sottoscritto colla visita del Ministro degli Esteri, invito a pranzo pella successiva domenica, ed era pur visitato da molti personaggi, fra cui dai Ministri d'Inghilterra e Francia con invito a pranzo per parte di quest'ultimo per il lunedì 26.

In attesa dell'arrivo del Re a Stoccolma, lo scrivente visitava le principali curiosità della città quali i monumenti, stabilimenti pubblici (1), e riceveva nella giornata (24 agosto) il telegramma del Barone Ricasoli che gli annunciava la missione affidatagli pel Re di Danimarca; passava quindi la serata di quel giorno dalla Signora Contessa Manderstrom nel cui salone incontrava il Conte Piper giunto allora da Torino.

Gli ufficiali che sortono dalla scuola devono andare al reggimento, e fare il semplicesoldato durante un mese, il caporale durante altro mese, il sergente egualmente, e così sino al suo grado: però l'anzianità di ufficiale gli corre dal giorno che sorti dalla Scuola. Con questo sistema l'ufficiale impara i doveri, i bisogni e la disciplina del soldato e tutti i dettagli del militare servizio.

11 locale della scuola è magnifico e nulla lascia a desiderare sotto qualsiasi rapporto. [Nota del Solaroli].

Proseguiva nel giorno successivo la sua perlustrazione del Museo, Sala

d'Armi, Parco Reale, ed assisteva la sera al pranzo dato in onor suo dal sullodato

Ministro degli Esteri, ed a cui erano presenti tutti i Ministri delle Potenze che

riconobbero il Regno d'Italia, e molti Dignitarii dello Stato. Pervenivagli nella

giornata (25 agosto) un secondo telegramma del signor Barone Ricasoli che

lo informava dell'invio a Copenaghen di un corriere di Gabinetto colle creden

ziali, ed il Collare dell'Ordine pel Re di Danimarca.

Il 26 alle ore 10 112 di mattina giunto il Re di Svezia a Stoccolma, mandava

subito un suo ufficiale d'ordinanza a complimentare lo scrivente, e porsi a suoi

ordini.

Al ritorno dal pranzo offertogli dal Ministro di Francia, riceveva avviso del

Ministro degli Esteri che S. M. l'avrebbe ricevuto l'indomani 27 alle 2 1/2 pom.

Diffatti in detto giorno previo avviso datogliene del Gran Mastro di Cere

monie, due carrozze di Corte a quattro cavalli venivano all'Albergo, ed il

riferente vi prendeva posto col funzionario suddetto e seguito dagli ufficiali

d'ordinanza nell'altro legno s'avviava al Palazzo Reale, ove ricevuto con grande

apparato dai Dignitarii di Corte, era tosto introdotto da S. M. a cui aveva l'onore

d'indirizzare le seguenti parole nell'atto che gli presentava la lettera autografa

della M. V.:

« Sire,

S. M. le Roi V. E. mon Auguste Souverain m'a fait l'honneur de me charger de venir offrir à V. M. ses hommages et ses remerciements les plus sincères pour toutes les marques d'amitié et de sympatie que vous avez bien voulu donner soit à lui qu'à la Nation Italienne.

Comme témoignage de ses sentiments bien vifs d'affection envers Votre Auguste personne, S. M. vous prie d'agréer le Grand Collier de l'Ordre Supreme de la Très-Sainte Annonçade que j'ai l'honneur de Vous présenter de Sa part.

Daignez, Sire, recevoir en meme temps l'hommage de mon plus profonrl respect ».

Il Re visibilmente commosso preso il Collare, onorò lo scrivente di una cordiale stretta di mano, e quindi con molto interessamento si fece a chiedergli notizie della M. V. e della Sua Reale famiglia e data una parola d'encomio alla memoria del Conte di Cavour, entrava in discorso sulle cose di Roma, e sulla nostra vertenza col Papa, la quale esternava desiderio di veder terminata con reciproca soddisfazione.

Facendosi quindi a discorrere del Signor Barone Ricasoli encomiava la sua condotta politica, e specialmente l'ultima sua circolare diplomatica, e dall'ottimo senso che dessa aveva fatto in Europa, diceva ritrarne i più lusinghieri augurii a favore della pronta risoluzione della vertenza che tanto interessa l'Italia, pella cui unificazione il Re e la Nazione Svedese facevano i più caldi voti.

Replicava il riferente che gelosi gli italiani della loro Nazionalità desideravano vivamente la riunione delle popolazioni Scandinave, e fanno voti pella prosperità del degno loro Sovrano Carlo XV.

Compiacevasi il Re di queste parole, e ripetevagli una stretta di mano, dicendogli che si riprometteva la realizzazione di questi voti con tanto maggior fiducia perché gli ven'ivano espressi da un veterano della libertà dei popoli e

della causa italiana: « Ella sofferse, o generale, un lungo esilio, ma almeno gode ora la soddisfazione della vittoria»· Replicò lo scrivente che tutto egli doveva alla magnanimità degli Augusti Sovrani Carlo Alberto, e Vittorio Emanuele.

Fatto entrare il figlio del riferente, il Re accoglievalo con molta bontà, e strettagli la mano interrogavalo se avesse fatto qualcuna delle campagne d'Italia, e sentendo che aveva preso parte alla guerra del '59: «Bravo, -gli disse, Ella è giovane e può ancora assistere ad altre battaglie, e distinguervisi ». « Spero di essergli compagno anche io, -disse il riferente, -benchè inoltrato d'età».

«Ha ragione», -disse S. M. -e strettagli la destra lo congedò avvertendolo che l'avrebbe presentato alla Regina che doveva giungere il domani dalla Germania.

Il giorno successivo (28) riceveva invito a pranzo colle loro Maestà il Re e la Regina pel venerdi alle ore 4 1/2 pom.

Il 29, dopo aver visitato palazzi e Ville Reali, non che l'ospedale militare (l) assisteva ad un pranzo di società, nel quale dopo i brindisi a Vittorio Emanuele, a Cavour, si portava un toast a Garibaldi intitolandolo il primo liberale e primo soldato d'Italia.

Levatosi il riferente, ed ottenuto silenzio, diceva unirsi di tutto cuore ai due primi brindisi, ma quanto al terzo dover avvertire che in Italia non si riconosceva altro primo liberale, altro primo soldato che Vittorio Emanuele augusto reggitore delle sue sorti come quello che dopo aver dato a' suoi popoli le maggiori libertà, aveva fatto sacrificio di sé sui campi di battaglia col più eroico coraggio.

Premessa questa dichiarazione, amico al Garibaldi ed ammiratore delle

sue gesta, di buon grado si associava al brindisi in suo onore. Queste parole furono

accolte col più vivo entusiasmo. Sul volger della giornata lo scrivente notificava

al Ministro di Danimarca il suo arrivo pel giorno 3 settembre a Copenaghen.

Alle 3 p. m. del giorno successivo recavasi al Castello Reale di Ulriksdal

distante un'ora da Stoccolma, ed introdotto dalla Regina regnante, e successiva

mente dalla Regina madre, veniva da questa presentato ai due principi fratelli

del Re Oscar, ed Augusto, Duchi di Ostrogozia e Dalecarlia, da tutti accolto coi

modi i più squisiti. Passando quindi nella gran sala dove stavano raccolti i Digni

tarii dello Stato, dal Ministro degli Esteri era condotto nel Gabinetto del Re, che

presolo per mano gli disse: « Generale, dica a S. M. il Re d'Italia che la sua

cortesia a mio riguardo mi rimarrà eternamente scolpita in cuore, e che l'Ordine

della S. S. Annunziata da Lui favoritomi, è il più prezioso di quanti io mi abbia;

devo pure a Lei sentiti ringraziamenti pei modi compitissimi con cui adempi

alla sua missione, e pelle prove di simpatia da Lei date agli Scandinavi »: quindi

soggiunse: « Gradisca, Generale, per un mio ricordo il Gran Cordone dell'Or

dine della Spada >> (Ordine questo dei più antichi e pregiati di Svezia, talché

per essere insignito della Croce di semplice Cavaliere è d'uopo aver servito

venti anni, e aver grado di ufficial superiore).

Dopo avergli appeso al petto il crachat, il Re fatto chiamare il Capitano Solaroli lo presentò della Croce di Cavaliere dello stesso Ordine, dicendogli: « Prenda, Capitano, questo pegno della mia stima, e procuri d'imitare in tutto suo padre ». Condotto quindi dal Re nella sala ove trovavansi le Regine coi principi Reali e grandi funzionarii, lo scrivente riceveva da tutti le più cordiali felilitazioni, e poscia dato braccio alla grande maitresse della Regina, passava nella Camera da pranzo, ove era collocato alla destra del principe Oscar.

Levate le mense S. M. degnava di far osservare al riferente i preziosi capi lavori, e rari oggetti artistici che adornano il palazzo Reale, e dei quali il Re mostravasi geloso possessore e giudice intelligentissimo.

Durante la serata che si potrasse fino alle dieci vespertine, il Re parlò molto di Vittorio Emanuele, delle cose d'Italia, e per ultimo di Garibaldi, e mostrandosi jnformato dell'episodio del brindisi sovra narrato, degnossi approvare la condotta del riferente.

E quì è da notare che tanto il Re come la Nazione Svedese sono caldi ammiratori di Garibaldi, anzi S. M. ne tiene il ritratto nella sua Camera da letto, ove non si veggono che quelli di Vittorio Emanuele e di Carlo XII.

Però dopo il discorso fatto da Garibaldi agli operai che gli portarono una bandiera a Caprera, discorso questo letto dal Re nel giornale francese il Débats, sembra che la sua ammirazione per il Generale sia scemata alquanto, biasimando egli assai severamente quello scritto, ed in ispecie le ultime parole che ne formano la chiusa.

Ragionando delle cose di Roma e di Napoli il Re assicurava lo scrivente che l'imperatore Napoleone era ben intenzionato riguardo al Governo Italiano; ciò che porgevagli destro di far avvertire alla M. S. esser di ciò persuasi anche gli Italiani, ma veder Essi con rincrescimento che sotto la protezione delle bandiere francesi a Roma, e sotto gli occhi de' generali di Napoleone si organizzino dalla reazione, e si mandino dal Borbone agenti provocatori e briganti nel Napoletano per commettervi ogni maniera di barbarie. Il Re rispose esser ciò veramente deplorabile, ma nutrire lusinga che il Governo Italiano non tarderà a rendersi padrone della situazione, ed a fare l'Italia unita, libera e tranquilla.

La Regina madre, donna di eletto ingegno, come è noto a V. M., entrando a conversare essa pure dell'Italia col riferente, gli domandò cosa si volesse fare del Papa, che vecchio e cagionevole di salute, meritava di finire tranquillo i suoi giorni: rispondevale che gli Italiani nulla tanto desiderano che di vedere il Pontefice a Capo Spirituale della Chiesa, benedetto e rispettato nella città di Roma, ma che appunto perché nessun popolo è più cattolico degli ltalian'i, né più ossequiente al Papa, vorrebbero vederlo rinunciare di buon grado al potere temporale da tutti riconosciuto incompatibile colla missione tutta spirituale del Sommo Pontefice, contrario alla civiltà dei tempi, causa e fomite incessante dei disordini d'Italia.

« Bene, Generale, replicò la Regina, nata in Italia ove mio Padre era cotanto amato, voglio anch'io il bene di quel paese, e confido coll'aiuto di Dio di vederlo prospero e felice», in ciò dire porgevali la sua destra.

La Regina madre, figlia del Principe Eugenio Beauharnais Vicerè di Milano, è altamente cattolica, per cui i suoi cortigiani meravigliarono nel sentire che si fosse degnata intavolare discorso collo scrivente delle cose di Roma.

La Regina regnante, gentildonna di modi più graziosi s'intrattenne essa pure di Vittorio Emanuele onorando lo scrivente dell'incarico di porgere a V. M. i di lei omaggi e le sue felicitazioni.

Il principe Oscar, il più svegliato dei tre fratelli, mostravasi pieno d'entusiasmo per gli Italiani da lui considerati come difensori dell'istessa causa degli Scandinavi, e qualificandosi capo del partito liberale del suo paese: « Io lavoro, disse, pei miei figli, giacché Ella saprà, Generale, che erede al trono di Svezia, io tengo stretto dovere di cercare il bene della mia patria ad esempio del Re Vittorio Emanuele a cui rassegnerà i miei omaggi, chiedendogli se mi permetterebbe di venirlo ad ossequiare in persona nel gennaio venturo in occasione che andrò a svernare colla consorte a Nizza». Accertavalo il riferente che non avrebbe mancato di far conoscere a V. M. i suoi desiderii.

Finalmente il principe Augusto incombensava egli pure lo scrivente di felicitare V. M. Ad esempio dei Reali Principi furono tutti gli invitati larghi d'ogni maniera di cortesie verso il riferente, che nel prender congedo dal Re, ne ebbe l'alto incarico di ripetere a V. M. queste precise parole: « Dica a mio fratello il Re Vittorio Emanuele, che l'Ordine di cui mi onoro esser fregiato mi è tanto più caro perchè confertomi da un Amico, da un Sovrano che io amo ed apprezzo al più alto grado, e che vorrei poter conoscere ed abbracciare».

« Maestà, risposegli il riferente, Ella può facilmente compiere il suo desiderio venendo in Italia, ove il mio Augusto Signore sarebbe lietissimo di abbracciare e festeggiare la M. V.». «Andare in Italia, o Generale, mi è assai difficile, però se scoppiasse di nuovo la guerra, verrei senz'altro per imparare dal Re Vittorio Emanuele come si fa a vincere». Commosso lo scrivente rispose che i Sovrani di Svezia sono da lunga mano maestri nell'arte di vincere, ma che se si rinnovasse la guerra in Italia, S. M. poteva star certa che il Re Vittorio Emanuele sarebbe orgoglioso d'avere a' suoi fianchi sul campo di battaglia Carlo XV, duce dei guerrieri svedesi, e che la Corte militare del Re, e non ultimo certo lo scrivente, andrebbe superba di farli scudo dei loro corpi contro le palle nemiche in qualsiasi cimento: « Oh! esclamò il Re, sò per fama che gli ufficiali che avvicinano Vittorio Emanuele sono pieni di coraggio e fermi al fuoco... ». «E come potrebbe esser altrimenti, o Maestà, quando si ha l'ambita gloria di esser al seguito di un Eroe, sempre il primo là dove più micidiale è la pugna, là dove più forte tuona il cannone... ». Tocco il Re di queste parole, dato uno sguardo ai personaggi che gli stavano d'attorno, strinse con atto cordialissimo la mano dello scrivente licenziandolo colle parole « Adieu, mon Général ».

Nei varj colloquii avuto con S. M. e ripetute fiate il Re incombenzò il riferente di pregare V. M. a voler destinare alla Legazione Italiana in Stoccolma un Attaché militare. Perché avvezzo a trattar sempre con ufficiali, egli potrebbe a suo bell'agio intrattenersi coll'Attaché Italiano senza dar ombra né destar gelos'ia nel corpo diplomatico. Tale incarico facevagli il Re confermare dal Conte Piper mandatogli espressamente a complimentarlo prima della sua partenza da Stoccolma.

Il giorno 31 agosto fatte le visite di congedo lo scrivente nel prender commiato dal Conte Manderstrom ne veniva informato che fra pochi giorni sarebbe partito da Stoccolma per l'Italia un alto personaggio colla missione di presentare a V. M. l'Ordine dei Serafini. Il Conte Manderstrom che da taluni si vorrebbe

far supporre retrogrado e meno favorevole all'Italia sarebbe invece, come ebbe agio di accertarsene il riferente, uomo di liberali principi, apertamente da lui professati alle Diete, e come uno dei Capi del partito della Nazionalità Scandinava bene affetto alla causa italiana. Anzi lo scrivente sarebbe d'avviso, che tornerebbe utilissimo al nostro paese l'assicurarsi le simpatie ed il concorso di un funzionario così distinto per talento come influente per posizione, fregiandolo di una decorazione che gli fosse contrassegno dell'alto concetto in cui dalla M. V. e dal Governo Italiano è tenuto il Ministro del Gabinetto Svedese.

Il lo settembre, alle 6 del mattino, imbarcavasi lo scrivente per Copenaghen (1), e dopo una traversata felice sbarcava il giorno 4 alle nove del mattino a Copenaghen, ove l'attendevano il Console Italiano, il Corriere di Gabinetto mandatogli da Torino, ed un ufficiale d'ordinanza che il Re di Danimarca metteva a di lui disposizione. Alle 11 lo scrivente rimetteva al Signor Hall, Ministro degli Affari Esteri, la copia della lettera di V. M. al Re di Danimarca, e le sue credenziali, ringraziandolo della cortese sua premura nell'avergli ottenuta una pronta udienza dal suo Sovrano.

Accolto col più squisito garbo da quel Funzionario, ne riceveva le più lusinghiere assicurazioni di simpatia per la nostra causa, e pel nuovo Regno d'Italia.

Di ritorno all'Albergo Reale trovava il riferente l'ufficiale avviso del Maresciallo di Palazzo che il Re Federico VII gli accordava udienza il 4 al Castello di Christiansbourg, ove veniva in pari tempi invitato a pranzo col personale addetto alla sua missione.

Il giorno 4 l'equipaggio Reale conduceva al suddetto Castello il riferente che aveva l'onore di essere subito introdotto da S. M. a cui ripetendo in termini pressoché identici il discorso fatto al Re di Svezia, rimetteva le insegne dell'Ordine della S. S. Annunziata, e la lettera autografa di V. M.

Legando quindi conversazioni collo scrivente, Federico VII s'informava con molto interesse della M. V. della sua famiglia, presso cui lo faceva interprete de' suoi omaggi e de' suoi più sentiti ringraziamenti.

Discorrendo quindi di varj soggetti, il Re lodava il nostro organamento militare, e mostravasi a giorno delle più vitali questioni della politica italiana, esprimendo più volte il desiderio che venisse da noi istituita in Danimarca una Legazione che lo ponesse in grado di meglio conoscere, e di sovente intrattenersi con persone bene informate delle cose nostre.

Sembrando soddisfatta dal nostro colloquio S. M. si degnava presentare il riferente delle insegne dell'Ordine del Danebrog, ed il Capitano Solaroli della Croce di Cavaliere dell'Ordine medesimo in attestato, come volle esprimersi, della vivissima sua soddisfazione della missione che si aveva l'onore di compiere presso di lui. Presentato quindi da S. M. alla Contessa Danner, sua consorte, lo scrivente ebbe la ventura d'incontrare in Lei un'amabilissima gentildonna.

A questa interessante udienza faceva seguito un pranzo di Corte splendidissimo, a cui assistevano i grandi Dignitarii, specialmente militari dello Stato.

S. M., che vestiva l'uniforme degli Ussari Svedesi ed era fregiato del Collare dell'Ordine facevalo rimarcare allo scrivente, col quale tenne a lungo discorso specialmente d'affari di guerra.

Nel prender commiato da S. M. il riferente ne riceveva li più lusinghieri attestati di benevolenza e simpatia, con ripetuto invito di rassegnare alla M. V. gli omaggi ed i voti del Re e della Nazione Danese pella sua prosperità, e pel felice esito della gran causa d'Italia di cui il Re Vittorio Emanuele è il prode campione.

Avendo così dato termine all'onorevolissima incumbenza dalla M. V. commessagli, lo scrivente scambiate le visite d'uso, partiva il giorno 6 da Copenaghen alla volta di Londra, per quindi restituirsi in Patria.

Invocando tutta l'indulgenza della M. V. sull'informe ma esatto rendiconto che il riferente si onora di rassegnarle, Egli si chiamerà avventurato, se il modo con cui cercò di disimpegnare l'alto incarico affidatogli avrà incontrato l'ambito gradimento della M. V. a cui si gloria di tributare il rispettoso omaggio della sua profonda reverenza ed inalterabile devozione (1).

(l) c Ne vous alarmez pas -aveva telegrafato il Cialdini al Ricasoli il 26 luglio 1861

(l) Rimarchevole fra i pubblici stabilimenti è la Scuola Militare di Stoccolma che contiene 200 allievi di tutte le armi, compresa la Marina. Però gli allievi di Marina fanno studi distinti e navigano due mesi dell'anno. La legge svedese non ammette che uno copra il posto d'ufficiale senza esser passato per tutti i gradi antecedenti.

(l) L'Ospedale Militare di Stoccolma è un bellissimo fabbricato molto bene tenuto. Sopra una guarnigione di 2000 uomini, il numero medio dei malati è di 165 al giorno fra cui 61 si trovano affetti di sifilide, cioè più del terzo del totale, e questo perché le leggi del paese vietano l'esistenza di pubblici stabilimenti, ove la pulizia possa esercitare con frutto la sua sorveglianza. [Nota del Solaroli].

(l) Nel viaggio da Stoccolma a Copenaghen il riferente si arrestò a Carlshona, città di 15 mila abitanti, situata in una baia sicurissima di molto difficile ingresso a motivo delle varie isole e dei molti scogli che vi si trovano, munita di un forte assai notevole armato di 100 cannoni. In questa baia sta la flotta svedese disarmata. Essa si componedi 20 vascelli, 6 fregate, 4 corvette, 4 brick, 9 corvette a vapore, 20 shooner, 200 barche cannoniere grandi, e circa 600 piccole, formanti il totale di 900 legni circa, con 24 mila marinai, di cui solo 8.000 sono in attività, il rimanente è conservato nei quadri di riserva come per la truppa di terra. [Nota del Solaroli].

300

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 799. Madrid, 15 settembre 1861, ore 14 (per. ore 17,20).

J'ai reçu la réponse à ma dernière note; elle soutient la conduite du Gouvernement Espagnol dans la question des Archives avec les memes arguments précédemment produits (2). J'en fais tirer copie pour la transmettre à V. E.

• (4) La maggioranza della nazione svedese è bene affetta alla nostra causa, ma, sgraziatamente, non è bene informata delle cose nostre. Si crede che in tutta la Svezia non si trova un giornale italiano, motivo per cui le notizie che ci riguardano sono tutte nei giornali tedeschi più o meno interessati a travisarle. Sarebbe al certo utilissimo che per cura del nostro Governo si mandassero a Stoccolma in qualche Gabinetto di lettura, biblioteca pubblica, od alla Direzione del giornale più influente di Stoccolma periodici italiani, e meglio se redatti in lingua francese come per esempio l'Ita!ie od altro. (5) Il commercio di Svezia e Norvegia coll'Italia non è di molto rilievo: il ramo principale di esportazione è il ferro, vengono poi legnami, pesci, rame, pece, catrame. Fra i generi d'importazione figurano i cotoni, le pelli, i coloniali, vino, sale, seta, olio, zolfo e spiriti in quantità. L'agricoltura è molto più perfezionata che da noi: vi sono in uso le migliori macchine agrarie, motivo per cui non vi si importa più che poca quantità di grano, e cereali ed assai meno di quelli che per l'addietro s'importava e ciò malgrado la popolazione sia di molto aumentata in questi ultimi anni. Cosl pureaumentò gradatamente il bestiame, il quale mentre costa poca fatica, dà profitti assai rilevanti: per esempio, i cavalli senza esser belli, sono robusti, buonissimi per la cavalleria, ed in gran quantità; gli animali a corna rassomigliano assai a quelli della Svizzera e d'Inghilterra per bontà e bellezza. (6) L'armata in Svezia è composta di tre classi; cioè di volontarii, di Indelta, e di milizia propriamente detta: i primi danno una forza di circa 8000 uomini di cui due terzi fanno parte del corpo d'artiglieria, il rimanente di cavalleria. Gli Indelta sono 33 mila, di cui 7 mila circa appartengono alla cavalleria. Finalmente la milizia di una forza di circa 90 mila uomini. I primi sono soldati regolari quasi sempre sotto le armi: gli Indelta servono 5 anni e rimangono per 3 anni nella riserva, questi soldati sono forniti dai proprietari; per ultimo i coscritti servono tre mesi per imparare gli esercizi militari e poi vanno alle case loro per riunirsi poi soltanto tre settimane ogni anno.

Le Chargé d'Affaires de France vient de me faire connaitre un ordre qui lui enjoint de conseiller officieusement au Gouvernement Espagnol de remettre les Archives napol'itaines en dépot à la France. Il m'a confirmé aussi que l'alliance entre l'Espagne et la France contre le Mexique est un fait positif.

(l) La relazione termina con le seguenti tre annotazioni del Solaroli contrassegnate sul documento con i numeri 4, 5 e 6 perchè seguono le noie a piè di pagina del testo numerate dallo stesso Solaroli coi numeri da l a 3 ed edite nelle pagine precedenti:

(2) Alla nota del 17 agosto del Tecco, Saturnino Calderon Collantes aveva risposto il 28 agosto (L. V., 3, n. VI) e alla replica del Tecco dell'l settembre (ivi, n. VII)', aveva controreplicato il 15 settembre (ivi, n. VIII).

301

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 536. Torino, 17 settembre 1861, ore 16.

Reçu votre lettre par Donato. Je comprends délai de quinze jours et je l'accepte. Je pense qu'un délai plus long serait nuisible aux intérets des deux nations. Benedetti a confié mon projet à Vimercati, ainsi je vois disparaitre la garantie sur laquelle je comptais le plus. Dois-je souffrir d'une indiscrétion des autres? Je vais vous écrire là-dessus.

302

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 165-166)

L. P. Parigi, 17 settembre 1861.

Oggi, al suo ritorno dalla campagna, vidi il signor Thouvenel, e ad esso domandai che cosa era stato deciso intorno al progetto dall'E. V. confidato al signor Benedetti. Il signor Thouvenel mi rispose, che aveva esaminato le carte, che le idee in esse contenute gli parevano da approvarsi in principio; che non avrebbe nulla a dire se quelle idee fossero destinate ad essere manifestate in un discorso al Parlamento o sui giornali, ma che in una comunicazione al Papa dovevano necessariamente modificarsi, secondo il suo avviso, e nella sostanza e nella forma. Disse che non credeva utile d'entrare in particolari prima d'aver visto l'Imperatore. Soggiunse che esso aveva proposto all'Imperatore di mandare a Roma il signor Lavalette per tastare il terreno, e d! riservarsi di agire secondo quello che Lavalette avrebbe portato di là. L'Imperatore risposegli approvando l'invio di Lavalette pel più presto possibile, cioè pei primi del vegnente ottobre, e riservandosi conferire con esso Thouvenel al suo ritorno da Biarritz che avrà luogo il 25 corrente. Ecco adunque il processo che si seguirà in quest'affare. Al ritorno dell'Imperatore, cioè dopo il 25, si conferirà tra l'Imperatore e Thouvenel; poi si manderà Lavalette a Roma in principio d'ottobre; Lavalette si fermerà a Roma poco tempo, cioè quel tanto che gli basti per conoscere le intenzioni della Corte Pontificia; quindi tornerà a Parigi; secondo quello che esso riferirà si prenderà una determinazione.

Èsposi al signor Thouvenel gl'inconvenienti gravi che da tale ritardo potrebbero nascere in Italia, e gli dissi che non sapeva se V. E., convinta com'era del pericolo a cui il Gabinetto andava incontro con tali indugi, avrebbe potuto aderirvi. Ma il signor Thouvenel mi fece osservare che bisognava tener conto non solo delle esigenze d'Italia, ma anche di quelle della Francia e dell'Imperatore, e che ad ogni modo non conveniva né a noi, né all'Imperatore di esporci, precipitando, ad un reciso rifiuto, che equivarrebbe ad una nuova rottura. Insistette quindi perché si lasciasse il tempo all'esame ed alla riflessione, e perché si desse al Governo Francese l'agio di procurarsi le notizie necessarie e di preparare il terreno per mezzo d'un agente così esperto, così intelligente e così affezionato all'Italia ed alla sua causa, come è il marchese di Lavalette.

Del resto il signor Thouvenel si rallegrò meco del migliore andamento che piglian le cose in Italia e massime a Napoli. *Mi mostrò poi un dispaccio telegrafico proveniente da Roma, dal quale risulterebbe che il documento trasmessomi con dispaccio di Gabinetto (circolare) del 5 settembre corrente, e da me comunicatogl'i sarebbe onninamente apocrifo. * (1).

303

IL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE S. n. Costantinopoli, 18 settembre 1861.

Il 15 andante feci una visita all'Ambasciatore d'Inghilterra, Sir H. Bulwer, nella sua campagna di Scutari, avendomi egli scritto precedentemente di fissargli un'ora in casa mia, ove non potè poi venire per indisposizione.

Egli mi entrò tosto nel discorso delle armi, dicendomi che non vede il motivo per cui non si terminerebbe questo affare e premise che la nostra conversazione era destinata a rimanere cosa privata di cui non si prenderebbe nota né da una parte né dall'altra. Mi disse che otterrebbe presso i Turchi il permesso di ritirare queste armi e me le consegnerebbe o studierebbe anche i mezzi di farle trasportare a Genova, se la Legazione Italiana garantisce che non saranno deviate dal loro cammino.

Lo lasciai svolgere a lungo il suo discorso di apparenza piuttosto conciliante e quindi gli dissi che ben volentieri mi sarei prestato a terminare questo affare, ma che l'esordio stesso della sua conversazione mi suggeriva una riserva di massima, che cioè non poteva ammettere che si chiedesse il permesso all'autorità turca, perché la facoltà di permettere suppone quella di non permettere, ed io non vedeva cosa avessero a fare i Turchi in questa pendenza e come potessero arrogarsi un diritto di sequestro. Egli riprese che non s'incaricava di ciò che per il nostro vantaggio, che il suo mandato era già compito e che ne aveva ricevuto ampia approvazione da Londra; che, quanto ai Turchi, essi, non mettevano in dubbio il diritto di sequestro. Io qui avrei avuto campo a rispondere vittoriosamente col dire che, anche astrazione fatta da molte illegalità precedenti, mi sorprendeva che per operare questo sequestro i Turchi

si fossero serviti di un bastimento inglese; ma compresi tosto che, con una persona suscettibile come Sir Henry, ciò avrebbe bastato per rendere difficili nostri ulteriori rapporti. Mi limitai dunque a riserve generali ed a chiedergli otto giorni di tempo per leggere le corrispondenze anteriori, che non ebbi di fatto il tempo di percorrere, dacché presi le redini della Legazione.

Questa questione, signor Ministro, è delicata assai e dovremo sortirne il meglio che potremo. Mi permetta di esprimerLe la mia opinione, che può non coincidere con quella di altri, ma che mi è dettata dalle circostanze attuali.

Se noi riusciamo ad indurre senza alcuna nostra garanzia per iscritto l'Ambasciatore Inglese a far imbarcare per Genova queste armi per essere consegnate a Casa Balduino, dobbiamo tenercene soddisfatti, anche sopportando la spesa da Galatz a Costantinopoli e da Costantinopoli a Genova.

Comprendo che la via la più regolare sarebbe quella d'indurre questo Agente dei Principati Uniti, signor Costantino Negri, a chiedere di ritirare queste armi dalle mani di Sir H. Bulwer, ed a portarle in Genova senza risarcimento alcuno, perché difatti la colpa principale appartiene al Governo Rumeno. Ma non tutto quello che si ha diritto di fare, può sempre farsi, ed, oltre che il signor Negri è attualmente 'in Jassy ed i suoi Segretarii non hanno alcuna facoltà, il Principe Couza deve aver presi impegni tali con Sir H. Bulwer da rendere impossibile questa combinazione~

A V. E. rimarrebbe sempre, egli è vero, il diritto di reclamare a Londra ed a Bucarest, m.a in tal caso la questione prenderebbe quel carattere serio che il di Lei predecessore voleva prevenire, e per il che raccomandava con suoi dispacci 9 e 23 Aprile, n. 137 e 138, di terminare la pendenza in Costantinopoli con Sir H. Bulwer. Io non so se il Foreign Office non abbia avuto, in seguito a qualche rapporto di Sir James Hudson, una qualche idea di questo desiderio dell'illustre di Lei predecessore, ma, a giudicarne dalla fermezza con cui Sir Henry sostiene il suo assunto, sarei tentato di credere che almeno egli lo presume.

Gl'interessi d'ordine ben più elevato che ci legano attualmente col Gabinetto Inglese non dovrebbero, a parer mio, essere compromessi da una questione divenuta ormai d'ordine secondario. A Lei poi non isfugge, signor Ministro, tutta l'importanza di non indisporre il Principe Couza alla vigilia del giorno in cui forse avremo bisogno della sua cooperazione in favore dei nostri amici od indurlo almeno a non esser loro ostile.

Il signor Generale Durando si trovava in altre condizioni e l'energia da lui mostrata verso un collega di tuono imperioso e di carattere angolare gli ha fatto molto onore in faccia a tutti; ma io non potrei tenere verso di lui la stessa condotta, senza compromettere le buone relazioni personali con questo decano del Corpo Diplomatico, cui le circostanze politiche e l'avvenimento del nuovo Sultano hanno dato un grado speciale d'influenza; ma non avrò difficoltà a farlo se

V. E., ben ponderate le circostanze, me ne darà l'ordine.

Le compiego qui unito un progetto di nota da scambiarsi coll'Agente dei Principati, da me redatto, quando credeva che il Principe Couza avrebbe avuto energia bastante per salvare la propria dignità, trasmettendo ordini precisi al suo Rappresentante di chiedere a Sir H. Bulwer ~a consegna delle armi per

essere trasportate in Genova. Il signor Negri trovò da principio che questo scambio di note era regolare e voluto dalle circostanze; ma alla vigilia della sua partenza per Bucarest, esplorate le intenzioni dell'Ambasciatore Inglese sulla consegna delle armi, ricevette risposta poco gradita e si sentì dire che per questa restituzione i Turchi esigevano una garanzia e che non ammetterebbero mai quella del Governo Moldo-Valacco.

Se V. E. rimette la cosa nelle mani mie nei limiti da me sovraindicati, telegrafandomi all'occasione un Sì, procurerò di terminarla; se no, avrò ricorso a mezzi dilatorii sino a che mi giungano esatte istruzioni da servire di norma alla mia condotta.

ALLEGATO.

Déclaration échangée entre M. Cerruti, Ministre Résident d'Italie, et M. Negri, Agent des Principautés Unies de Moldavie et Valachie.

M. Negri en exécution des désirs de S. A. le Prince Couza .ayant manifesté à lVI. Cerruti son intention de se faire consigner par l'autorité Turque les deux cargaisons d'armes qui se trouvent maintenant en dépòt à Constantinople pour les faire transporter aux frais du Gouvernement Roumain à Naples ou à Genes, M. Cerruti a demandé et obtenu des négociants, leurs légitimes propriétaires, l'autorisation de

consentir à ce transport.

Toutefois comme l'envoi précédent de ces armes à Galatz, leur débarquement dans le dit port opéré en plein jour d'après présentation de manifeste, leur renvoi à Constantinople sur un batiment de guerre étranger et leur dépòt à Constantinople ont donné lieu à des questions de droit qui laissées sans une solution de la part du Gouvernement Italien et du Gouvernement Roumain pourraient établir des précé·dents facheux et peu conformes à la dignité des deux Pays, les deux Représentants susindiqués sentent la nécessité d'échanger la déclaration suivante.

Tout ce qui peut avoir été fait et écrit au sujet de cet envoi d'armes de Genes à Galatz et de son retour à Constantinople ne saurait avoir pour résultat d'affaiblir le droit qu'avait le commerce italien de faire des envois d'armes et de munitions dans les Principautés Unies et celui qu'avait le Gouvernement Roumain de les recevoir dans ses ports d'en laisser opérer la vente, le transit ou le dépòt sans reconnaìtre à une Puissance tierce quelconque une faculté de contròle ou de surveillance. Ce droit découle de deux sources à savoir:

A. Du Traité de commerce et de navigation conclu en 1854 entre la Sardaigne et la Sublime Porte Ottomane qui règle à l'article 6 les conditions de surveillance et de contròle auxquelles sont assujettis les commerçants qui apportent de la poudre, des munitions et des canons dans un port Ottoman. Les fusils n'y étant pas mentionnés comme soumis à ces restrictions demeurent articles de libre commerce.

B. Du Traité de Paris de 1856 qui reconnait aux Principautés Unies de la MoldoValachie et à la Serbie le droit de maintenir une armée permanente et par conséquent la faculté à leurs Gouvernemens de se pourvoir du matériel nécessaire, ce qui amène nécessairement à admettre le droit de tout spéculateur commerciai d'importer ces objets et d'y attendre les acheteurs.

Par suite de ces prémisses, M. Negri reconnait la légalité et la validité des protestations faites à Galatz par le négociant consignataire de ces armes à l'époque de leur renvoi du dit port.

M. Cerruti prenant acte de cette déclaration s'engage d'amener les négociants propriétaires à renoncer aux suites des dites protestations.

(l) Si tratta di un documento firmato dal gen. Clary e sequestrato dall'autorità ·giudiziaria in seguito ai fatti di Gioia, che avrebbe comprovato l'esistenza in Roma di un Comitato che, sotto la maschera di Associazione c Religiosa •, era diretto a fomentare il brigantaggio.

304

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI,

AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (Ed. in Ricasoli, VI, pp. 167-168)

L. P. Torino, 21 settembre 1861.

Ella non potrà più dubitare dei miei veri intendimenti. Per profonda convinzione io adottai il pensiero che riposi in mano del Benedetti, e fu da questi approvato; anzi dietro i suoi suggerimenti io modificai in tre punti il progetto stesso. Credetti di compire ad un dovere e verso il Governo e la nazione italiana e verso il Governo Francese; credetti mostrare a questo come io fossi penetrato dalle parole dettemi e dal Generale Fleury, e dal signor Thouvenel e dal signor Persigny, per le quali si dichiarava che lo scioglimento della Questione Romana doveva essere opera dei due Governi, ma piuttosto del Governo Italiano che del Francese. Imperocché egli è ben chiaro che il Governo Italiano debba conoscere ed apprezzare la sua particolare posizione, e da lui escire quei pensieri migliori per regolare l'avvenire. Egli è poi non men vero che il Governo Italiano è sotto la necessità più premente, e agli occhi di tutti appariscente. Credetti poi che ogni atto tendente ad una savia conciliazione dovesse innanzi tutto esperimentarsi con intervento del Governo Francese. In questo stava il compimento di un dovere affettuoso inverso la Francia, e un concorso che porgeva più efficacia all'esito desiderato. D'altronde il concorso della Francia, a mio avviso, tornerebbe ad onore di questa nobile Nazione. Al dirimpetto di queste considerazioni, io sono disposto ad accettare la proposta di qualche modificazione nella forma del progetto. Io non ho che rette intenzioni, e profonde convinzioni, frutto di un lungo pensamento sulla materia. Sebbene la forma che io ho dato al progetto io l'abbia lungamente meditata, e non possa accettare le osservazioni espresse dal signor Thouvenel, pure al dirimpetto delle fatte considerazioni, ripeto, io sono disposto ad accettare quelle modificazioni di forma che mi venissero proposte, persuaso come io sono che mi saranno proposte con fondamento di saviezza e di utilità. Quando poi, ciò nonostante, fossi abbandonato dalla Francia e fossi lasciato a me stesso, cosa che deplorerei, io non mi lascierò consigliare che dalle ragioni moventi dall'interesse e dall'unità d'Italia.

Ella, Commendatore pregiatissimo, assista col Suo sapere e col Suo patriottico zelo questo grave negozio, e si adoperi onde n'esca dal Gabinetto Imperiale una risoluzione che sia conforme al bene dell'umanità, che per me vale il dire conforme al bene d'Italia e della Francia.

*P. S.-Ella ha dato a Tibaldi tutta quanta la somma di franchi 10 mila? Credevo che egli l'avrebbe presa man mano secondo le occorrenze. Benedetti comunicò il progetto a Vimercati e questi ne chiacchierò già con alcuno. Non è cosi che si trattano le cose serie, e non mi aspettavo da Benedetti simili leggerezze. Se verificherò qualcuno dei soliti intrighi per attraversami in un fine santissimo pel quale sono certo avere meco tutta la Nazione, butterò giù la visiera. Non tollererò che cose sì gravi e serie debbano trattarsi con miserabili mezzi. Delle lettere che qui trovansi unite, Ella farà l'uso che stimerà migliore nel suo senno. *

25 • Documenti diplomatici • Serie I • Vol. I

305

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI, p. 169)

L. P. 12. Parigi, 21 settembre 1861.

Il signor Donato mi ha rimesso oggi le carte dell'E. V. a lui consegnate. Esporrò gli argomenti in esse contenuti al signor Thouvenel nell'udienza di martedì, giacchè ora è in campagna. Quando io Le scrissi sul progetto ch'Ella confidò a Benedetti, non è che il risultato della conversazione che ebbi col signor Thouvenel.

Finora l'Imperatore non ha ancora preso altra determinazione fuori quella di mandar Lavalette a Roma nei primi d'ottobre. L'Imperatore rispose alla relativa comunicazione del signor Thouvenel null'altro che questo, cioè: che approvava la proposta di mandar Lavalette a Roma, e che si riservava di conferire col signor Thouvenel sulla questione stessa. Adunque io non dispero ancora che l'Imperatore voglia aderire al progetto, benché sia persuaso che il Ministro degli Affari Esteri si opporrà a che si faccia un passo qualunque, prima che Lavalette abbia assaggiato il terreno. Avrò cura di scriverLe martedì e dopo, se occorrerà.

*Devo poi trattenere l'E.V. d'una altra cosa. Ella sa che l'Imperatore desidera molto che si risolva la questione concernente il Conte di Capua; che il Re per soddisfare a questo desiderio dell'Imperatore ed anche per compiere un atto di equità, mentre nominò una Commissione, sulla proposta di V. E. per esaminare e liquidare i conti, offerse la somma di Lire 40.000 e 50.000, a titolo di anticipazione, al Conte di Capua; che questi aveva rifiutato una tale anticipazione; e che infine lo stato della pratica fu comunicato, per norma sua, all'Imperatore. Ora il Conte di Capua venne espressamente da Spa per sapere il risultato della negoziazione e si recò da me pregandomi di notificare al Governo del Re che era disposto ad accettare l'anticipazione, colla riserva che ciò non ledesse i suoi diritti, che desiderava che non si desse cattiva interpretazione alla risposta privatamente da lui fatta in proposito; che la sua posizione era veramente difficilissima trovandosi egli e la sua famiglia nelle più dure angustie (il che è verissimo); che infine esso, disgraziato rampollo d'illustre famiglia sovrana, parente del Re, esiliato da lunghi anni dalla sua patria, perseguitato e derubato dei suoi averi dalla propria famiglia, sperava ed aveva fiducia nella giustizia del Governo del Re, del quale esso riconosce la legittimità per ottenere che gli si renda quel che gli si deve, della qual cosa non dubita, ma sopratutto che lo si faccia presto, perché le sue critiche circostanze non gli permettono d'aspettare.

Ho promesso al Principe di scrivere subito a V. E. e lo faccio, convinto di far bene, perché credo che l'affare di Capua è per noi non solo una quest'ione di equità ma di politica convenienza. So d'altronde che renderemo servizio all'Imperatore dando una pronta soluzione alla cosa. Laonde mi fo ardito di pregarla di voler sollecitare il giudizio della Commissione. Del resto le dirò sinceramente che lo spettacolo di questo povero principe che venne qui a vedermi in quel luogo stesso ove, or volge l'anno, venne il Conte di Siracusa con cui ha grande somiglianza nell'aspetto; che, Borbone egli stesso, ha molto sofferto dai Borboni; che ha famiglia e si trova in tali angustie, mi ha commosso profondamente. Confortai il Principe a confidare nella giustizia inalterabile del Governo del Re; solo gli feci notare che in un paese costituzionale gli affari di danaro dovevano essere trattati colle debite cautele, e che da ciò, non certo da cattiva volontà, dovevasi ripetere l'indugio. Sarò poi grato a V. E. se vorrà tenermi a giorno delle operazioni di questa Commissione, la quale eccitata dall'E. V. non mancherà a condurre sollecitamentè i lavori. Confido la presente all'Avv. Brenna che parte oggi per Torino.*

306

IL CONSOLE A ROMA, TECCIO DI BAYO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE S. n. Roma, 21 settembre 1861.

Sembra che le intenzioni del Vaticano non siano favorevoli al ritorno in Roma del Padre Passaglia. Da persona ordinariamente ben informata venni assicurato che S. S. siasi anzi espresso chiaramente in questo senso. Ho creduto a proposito di avvertirne il Chiar.mo signor Professore in Livorno, dove è attualmente, e che so trovarsi sulle mosse per Roma, onde avvisi al modo di accertarsene prima di esporvisi. (l) Tale disposizione della Corte di Roma non mi sorprenderebbe punto, giacché oltre al manifestare la sua poca s'impatia ai talenti ed al carattere di questo degnissimo Sacerdote, sarebbe consentanea allo spirito che la predomina di togliere persino la possibilità della discussione sui punti della gran Questione Romana.

Le vie di conciliazione io non le credo più possibili, malgrado che una parte del Sacro Collegio non fosse aliena dall'entrarvi, poiché il partito della resistenza ad ogni costo sembra trionfare ognor più, né varrà certamente a scemarne la forza l'aggregazione di nuovi Porporati che saranno a giorni preconizzati.

Non per questo il partito liberale ed anche il moderato accusano d'inutilità i mezzi che il R. Governo crede dover adoperare per condurre la Corte di Roma a più provvidi consigli, ché anzi opinano saggiamente che il dar motivo al Governo Pontificio di respingere qualsiasi trattativa promuova di un passo di più lo scioglimento della questione, mentre d'altronde rimarrà pur sempre a giustificazione del R. Governo di nulla aver trascurato per attivarle e secondarie a dignità ed a vantaggio della S. Sede.

Lo spirito della popolazione, se si è un momento rialzato per le non lontane speranze, che la Circolare di V. E. ed i favorevoli commenti di gran parte della

stampa le hanno fatto concepire, dura pur tuttavia in uno stato di prostrazione. Il sistema di oppressione esercitato sovr'essa mai sempre dal Governo ha avvilito questi animi, nei quali manca generalmente il coraggio delle grandi cose. Di tutte le Provincie dello Stato Pontificio, la Comarca e Roma in specie hanno subìto più delle altre la malefica influenza del potere clericale, e frequentando questa gioventù convien pure confessare, che se ha sentimenti nobili e generosi, non ha sufficiente potenza di tradurli in atto, né sa mostrarsi tenace in quei saldi propositi, che sono cospicua dote delle centrali Provincie sorelle.

Nella classe del popolo vi è forse, se non più retto, almeno più forte sentire, benché duri nell'ignoranza, ma avrebbe d'uopo di eccitamenti per dimostrarsi. In questa l'avversione al Governo Papale è forse più pronunziata, né si può ora più accampare la proverb'iale fedeltà dei Trasteverini in di lui favore, ché anzi il Rione Trastevere unitamente al così detto dei Monti, già così ligii alla

S. Sede, se ne mostrano ora acerrimi nemici. Ma non conviene però illudersi sul vero spirito di tale avversione, la quale, se in molti è realmente sincera, e generata da simpatia per il Nostro Augusto Sovrano, ed il R. Governo, nasce in altri dal desiderio di veder mutate le sorti che corrono ora così tristi per essi, senza troppo curarsi qual nuovo Signore li abbia a comandare.

Mi venne consegnata la qui unita lettera pel Sig. Conte Borromeo, dal fratello della nota persona, che ora trovasi nei RR. Stati e che prego V. E. a volergli far recapitare.

Mi prevalgo pure della somma di Lei compiacenze onde interessarla a voler far rimettere a S. E. il Sig. Comm. Farini un'altra mia, che mi prendo la libertà di qui compiegare.

P. S. Questa mattina è stato giustiziato il Lucatelli, l'uccisore del Gendarme Pontificio la sera del 29 giugno u. s. Nell'annunzio in scritto a mano, che suole affiggersi alle cantonate, nel giorno precedente al supplizio, per le consuete preghiere pel condannato, tale uccisione è stata qualificata per spirito di parte.

(l) • Frattanto -scriveva al Minghetti padre Passaglia il 20 settembre 1661 (B. A. B .• Arch. Minghetti, cart. IX) -io mi parto il 21 corrente da Livorno per Roma senza particolari istruzioni, e senza scrittura alcuna, che comunque mi autorizzi. Solo mi si è detto, scritto e ripetuto che mi adoperi per quanto è in mio potere, fintantoché il Governo tenendo dietro ai passi della Francia non istimi di impormi più determinate e più attive incombenze. Le notizie che per più lati mi vengon da Roma sono torbide, e potrebbe avvenire che o me ne fosse chiuso l'adito o impedita la dimora. Son disposto a tutto, tranne a patire che mi si usino faziose ingiustizie». Il 22 settembre padre Passaglia era a Roma (Teccio di Bayo a Ricasoli, 24 settembre 1861, n. 112).

307

L'INCARICATO. DI AFFARI A LISBONA, LA MINERVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 23. Lisbona, 23 settembre 1861.

In conformità al mio telegramma di ieri ho l'onore di qui compiegare l'articolo del Giornale do Comme1·cio di Lisbona che ne forma l'oggetto (1).

Nei giorni in cui ebbe luogo il matrimonio dell'Infanta Donna Antonia col Principe di Hohenzollern-Sigmaringen, un telegramma datato da Torino e riportato nei giornali esteri dava la notizia di pratiche in corso per combinare il matrimonio della Principessa di Savoia con un Infante di Portogallo. A queste

voci più o meno uniformi fra di loro aggiunse peso il modo gentile e distinto con cui il nostro Inviato fu ricevuto dal Re Don Fedro e l'Inviato del Portogallo venne accolto dal nostro Sovrano.

L'effetto e l'impressione prodotta da questa voce fu nel pubblico tanto più grande in quanto che fu generalmente poco beneviso il matrimonio dell'Infanta Donna Antonia.

L'insistenza poi di alcuni giornali esteri diede luogo a che i giornali principali della capitale e di Oporto cominciassero a ragionare di questa eventualità in modo serio, facendone vedere l'utilità politica, e rendendosi interpreti della simpatia universale con cui sarebbe accolta l'alleanza fra le due Case di Savoia e di Braganza.

Queste voci vennero talmente diffuse e ripetute che qualche Capo di Missione ne parlò col Ministro degli Affari Esteri, il quale rispose non poter dare alcuna risposta sopra affari che erano di competenza personale del Re.

L'articolo qui annesso non mancherà certo di dar forza alle voci ed alle supposizioni in corso, poiché fu pubblicato nel giornale che è il più accreditato, sebbene non sia troppo ministeriale. Oltre alle varie considerazioni d'i politica e di amor proprio nazionale, l'articolo tesse la storia delle varie alleanze che nei secoli passati ebbero luogo fra le due Case di Savoia e di Portogallo.

(l) Ecco il testo del telegramma da Lisbona, 22 settembre (n. 817), che dà il contenuto dell'articolo: • Un journal de commerce de Lisbonne a aujourd'hui un long article sur la convenance du mariage du Roi de Portugal avec la Princesse de Savoie; il dit que ce serait un acte très politique et e très populaire et conclut disant qu'il croit d'ètre l'interprète des vreux de la nation •.

308

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE S. n. Coblenza, 23 settembre 186.l.

Je repars demain pour Berlin (1). Durant mon séjour ici, j'ai fait la connaissance de M. le Comte de Bernstorff. Camme il ne prendra le portefeuille des Affaires Etrangères qu'au commencement du mois prochain, il n'a pas voulu empiéter sur les attributions de M. le Baron de Schleinitz en abordant avec moi les questions politiques.

C'est donc avec ce dernier que j'ai dù continuer mes rapports. Tout en donnant l'assurance que notre Ambassadeur à Ktinigsberg ne prononcerait pas le mot reconnaissance, je n'ai pas moins sondé le terrain pour me renseigner sur les dispositions du Cabinet de Berlin. Il me résulte qu'elles sont les mémes qu'il y a deux mois. Attitude bienveillante, mais expectante. La reconnaissance du Royaume d'Italie n'est pas encore dans le programme du Comte de Bernstorff; mais il ne l'exclue pas.

J'ai fait comprendre que nous étions fermement résolus à persister dans une politique très italienne sans nous départir .cependant, dans tout ce qui était juste et convenable, des ménagements dùs aux Puissances amies; que nous étions et

resterions les jaloux défenseurs de notre indépendance nationale -le nom seul de V. E. en était le meilleur garant-que ce serait une faute immense que de ne pas nous soutenir dans une reuvre aussi méritoire pour les intérèts bien entendus de l'équilibre européen. J'ai fait ressortir également que dans chaque circonstance nous tendions amicalement la main au Gouvernement Prussien, en ne prenant conseil que de nos sympathies à son égard. J'ai émis l'espoir qu'il saurait nous tenir compte de ces excellents procédés, car mème en ne consultant que ses propres convenances, il devrait se convaincre qu'en nous fortifiant en Italie, il s'affranchit vers le Rhin.

Ces considérations je les ai développées adroitement non seulement à M. de Schleinitz, mais encore à d'autres membres du Ministère réuni ici pour prendre les ordres du Roi avant son départ pour Bade et Compiègne. Chacun semble converti à mes argumens, mais laisse deviner que la décision ne dépend que de Sa Majesté, dont il convient de respecter les scrupules de légitimité!

Le Roi sera à Compiègne le 6 Octobre. Si M. Thouvenel doit s'y trouver, dans ce cas M. de Bernstorff accompagnera son Souverain. On espère ici que l'entrevue n'aura aucun caractère politique. Cependant M. de Bernstorff s'attend à ce que l'Empereur Napoléon mette sur le tapis la question de la reconnaissance du Roi d'Italie par la Prusse. Il sera curieux de vérifier si cette prévision se réalise. Nous aurons là une pierre de touche.

(l) Il Launay era partito il 15 settembre da Torino per· Coblenza, dove aveva potutoconferire col barone Schleinitz e concordare con lui le modalità dell'ambasceria straordinaria, che il Re aveva deliberato d'inviare per l'incoronazione del nuovo Re di Prussia. Sugli accordi presi, esiste altro rapporto del 23 settembre, che non si ritiene necessario pubblicare.

309

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 558. Torino, 24 settembre 1861, ore 11,30.

Le Baron Tecco mande que le Chargé d'Affaires de France à Madrid a reçu ordre de conseiller officieusement au Gouvernement Espagnol de remettre les Archives Napolitaines en dépòt à la France. N'ayant reçu aucune autre communication au sujet de cette obligeante démarche, je vous prie d'en entretenir

M. Thouvenel et de me faire connaitre sa manière d'envisager la question, car nous n'accepterions ce biais que dans le cas où la France nous restituerait les Archives.

310

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T.827. Parigi, 24 settembre 1861, ore 20,55 (per. ore 23,30).

Thouvenel avait en effet invité le Chargé d'Affaires français à proposer officieusement au Ministre des Affaires Etrangères d'Espagne d'autoriser les Consuls Espagnols à remettre les Archives Napolitaines aux autorités françaises, qui naturellement devaient les remettre ensuite aux agents italiens. Le Ministre des Affaires Etrangères d'Espagne étant absent, cette proposition n'a pu etre faite qu'au Sous-Secrétaire d'Etat et on ignore ici la suite qu'on lui a donnée. Je vous ai envoyé aujourd'hui le règlement des préséances.

311

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 171-174)

L. P. Torino, 24 settembre 1861.

Il vivo desiderio che io provo e che meco prova tutta la Nazione italiana, di vedere sollecitamente risoluta la Questione Romana, non è, come a taluno piace di credere o di dire, una impazienza che quasi dtrei fanciullesca; è il sentimento di una grande ed irresistibile necessità. Lo stato dell'opinione, le condizioni delle provincie meridionali del Regno, gli intrighi dei partiti estremi dimostrano a sufficienza come questo sentimento nulla abbia d'irriflessivo, o di troppo precipitoso, ma trovi la sua piena e compiuta ragione nella realtà dei fatti. Però, e malgrado tutto questo, io sono bene alieno dal volere precipitare le cose; i documenti dei quali il signor Ministro Benedetti è stato latore a Parigi, dimostrano invece ad evidenza come il Governo Italiano sia desideroso di procedere per la via della conciliazione, di nulla lasciare intentato per ottenerla e di risolvere sì grave problema mercé amichevoli accordi, non solo con la Corte di Roma, ma eziandio e sopratutto col Governo di S. M. l'Imperatore. Ella mi dice essere Sua opinione che il Governo Francese innanzi di accettare di farsi organo delle nostre comunicazioni al Papa, voglia tastare il terreno, per assicurarsi se la Corte Romana acconsenta a riceverle col mezzo dell'Ambasciata Imperiale. Io desidero che ciò non accada, e Le confesso che non veggo serie ragioni di questa preventiva interpellanza. Teme forse il Governo Imperiale un rifiuto, e vede egli in questo rifiuto uno scorno o una mortificazione? Se la Corte di Roma ricusasse di ricevere dal Rappresentante Imperiale le comunicazioni in discorso, essa darebbe una prova di più del suo malvolere, della sua pertinacia, della sua ingratitudine verso la Francia, ma il Governo Francese, lungi dal riceverne scorno, ne trarrebbe il profitto di aver dato una gran soddisfazione all'opinione dei cattolici sinceri e timorosi, di aver dimostrato la sua sincerità di giungere ad un ac-cordo amichevole, e di rendere più netta e più semplice la sua posizione verso il Governo Pontificio. Procedendo invece col sistema che Ella m'accenna, il Governo Imperiale corre verisimilmente il rischio di fare abortire nel suo nascere questo supremo tentativo e di insinuare in chi non gli è amico il sospetto che a lui rincresce di veder sorgere l'occasione di ritirare le sue truppe

da Roma; che quindi egli intende rimanere colà indefinitamente e forse per secondi fini. E che avverrebbe poi dopo un rifiuto dato a queste preliminari aperture dalla Corte di Roma? Il Governo Italiano nella sua prudenza e nella sua deferenza verso la Francia, è dispostissimo a tenere tutte queste pratiche nel più gran segreto, fintantoché vi sia possibilità della loro riuscita; ma, fallita questa speranza, egli non può fare a meno di dare alla opinione nazionale la soddisfazione di mostrarle come egli non sia stato né negligente, né inoperoso in questa ardente questione, ed abbia avuto ricorso a tutti i mezzi sensati e ragionevoli di risolverla.

Perciò, egli non potrà astenersi dal dare piena pubblicità alle pratiche da esso tentate, ed alle ragioni per cui esse sono venute a mancare.

Nell'udire il linguaggio di taluno ed anche quello di una parte della stampa francese, sembrerebbe che il Governo Italiano volesse esercitare una pressione, o, come dicono, forzare la mano al Governo Francese. Nulla è più lontano dalle nostre intenzioni di una così strana pretensione.

Noi sappiamo troppo i riguardi che si debbono per ogni titolo alla Francia, per nutrire delle idee tanto poco conformi ai nostri veri sentimenti. Ma però siamo costretti ad agire e ad agire senza posa. Se l'Italia consente di buon grado a collocarsi in questa vertenza al punto di vista della Francia, è pur di mestieri che la Francia consenta a collocarsi, fino ad un certo grado almeno, al punto di vista dell'Italia. È non solo una legge di equità, ma non temo di dire, essere al tempo stesso un interesse comune. La tranquillità dell'Italia, il credito e l'autorità del Governo del Re, il fare in guisa che i partiti estremi, e sopratutto che il partito delle agitazioni violente, non acquisti mezzi di influenza o ascendente sulle moltitudini, è un interesse che, sebbene in grado minore, il Governo Imperiale ha comune con noi. Ora la sospensione indefinita, anche troppo prolungata della Questione Romana, compromette manifestamente un tale interesse. Gli avversari del Governo Italiano ne approfittano per attaccarlo e per indebolirlo, la opinione pubblica si commuove ogni giorno di più, e i più gravi disordini che si manifestano nella penisola, hanno tutti i loro punti di partenza nelle mene tenebrose e negli intrighi che si ordiscono a Roma. La Corte Romana ha un bel negare la sua partecipazione, il fatto è positivo e di pubblica notorietà; la coscienza pubblica non si fa a questo riguardo veruna illusione, ma è facile comprendere che, quando pure si volesse ammettere per un momento questa negativa agli effetti materiali, non sarebbe possibile metterla nemmeno in dubbio agli effetti morali. Tutto questo dimostra abbastanza come sia pel Governo Italiano una inesorabile necessità il travagliarsi incessantemente per arrivare a capo della Questione di Roma. Conseguire questo intento d'accordo colla Francia, farvela anzi attivamente concorrere, è uno degli scopi che io mi sono proposto con l'Indirizzo al Santo Padre, e con la domanda al Governo Francese di volersi fare organo della sua trasmissione. Ma interpellanze preliminari fatte alla Corte Romana sarebbero molto probabilmente cagione che i negoziati non potessero neppure aver principio. Ecco quanto mi è sembrato in proposito conveniente di osservare in replica alla Sua lettera particolare del 13 di questo mese.

* P. S. -Terrò in mente per una matura considerazione gli altri oggetti dell'ultima sua lettera. Ho pensato rinviarle la presente per il Sig. Donato, che per ora riterrà costà. "'

312

IL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 836. Costantinopoli, 26 settembre 1861, ore 9,30, (per. ore 17,45 del 27).

Lundi 23 on a tenu la première réunion sur les Principautés Danubiennes; je n'ai pas été invité en partie à cause de malentendus, en partie pour l'opposition des Ministres d'Autriche, de Prusse et de Russie. Je me suis plaint à la Porte et aux Représentants d'Angleterre et de France, qui conviennent qu'on ne peut pas nous exclure. Je m'occupe de cette affaire; détails par courrier.

J'ai reçu du Ministre des Affaires Etrangères la réponse désirée par votre dépeche d'hier (1). Elle est ainsi conçue: «Le Traité de Paris ne permet pas à une frégate l'entrée du détroit. Le Gouvernement Ottoman offre d'envoyer un bateau à vapeur prendre le Général Morozzo aux Dardanelles, comme on a fait dans le cas d'une Mission extraordinaire de France». Pour le cas que le Gouvernement du Roi voudrait destiner un batiment plus petit, je vous cornmuniquerai demain les dimensions permises. Veuillez me communiquer votre décision, car si on maintient l'envoi d'une frégate, la Porte désire connaitre le jour de sa probable arrivée aux Dardanelles.

313

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 832. Parigi, 27 settembre 1861, ore 1,05 (per. ore 8).

Thouvenel m'annonce que sa proposition de faire remettre les Archives Napolitaines de Marseille et d'Alger aux Autorités françaises pour etre ensuite remises aux Consuls Italiens, a quelque chance d'etre acceptée par la Cour de Madrid et probablement d'etre généralisée et appliquée aux autres pays. Thouvenel désire savoir si ce mezzo termine serait agrée par V. E. Dans ce cas il serait utile d'envoyer par le télégraphe des instructions convenables au Baron Tecco. Je vous prie de me répondre avant midi.

314

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 567. Torino, 27 settembre 1861, ore 9,45.

J'accepte la proposition de Thouvenel et je vous prie de le remercier. Je demande qu'elle soit appliquée surtout aux Archives du Portugal, car sans cela rien ne serait fini. Il est bien entendu que la France en retirant ces Archives en fera purement et simplement la remise aux Consuls Italiens. Il faut en consé

quence écarter toute formalité qui pourrait blesser la dignité du Gouvernement du Roi. J'écris dans ce sens à Tecco, qui attendra les ouvertures du Chargé d'Affaires de France. Veuillez me tenir au courant de l'affaire.

(l) Si riferisce alla missione del Generai Federico Morozzo della Rocca, incaricato di complimentare il nuovo Sultano e di recargli l'Ordine dell'Annunziata. Dovevasi ottenere il firmano d'entrata negli Stretti per la nave da guerra Duca di Genova.

315

IL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 834. Costantinopoli, 27 settemb1·e 1861, ore 11,40, (per. ore 14,30).

J'ai reçu votre dépèche d'hier (1). Hier on a tenu une seconde conférence. J'ai été prévenu qu'on ne m'aurait pas invité, car mon intervention aurait motivé la sortie des Représentants d'Autriche, de Prusse et de Russie qui n'ont d'instructions pour ce cas. Nos droits sont intacts ayant le 24 adressé une Note officielle, en déclarant toute décision frappée de nullité par mon exclusion. Si je ne reçois d'invitation pour la 3ème séance, j'ai l'intention de protester formellement et de renouveler ma déclaration de nullité. J'attends l'autorisation de V. E. Dites-moi aussi au plus tòt si intervenant à une autre séance je dois prendre en considération et signer les protocoles des séances précédentes.

316

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, E AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO

T. 569. Torino, 27 settembre 1861, ore 16.

Cerruti n'a pas été invité aux Conférences pour les Principautés Danubiennes parce que, dit-on, les Représentants d'Autriche, de Prusse et de Russie en seraient sortis. Cette nouvelle a du nous causer la surprise la plus désagréable. Nos droits à intervenir aux Conférences sont clairs et positifs, fondés sur un Traité européen. Les Cabinets de Paris et de Londres interpellés d'avance à ce sujet, nous avaient donné l'assurance qu'aucune atteinte ne serait portée à ces droits. Veuillez entretenir [Thouvenel, Lord Russe!] sur cette exclusion que nous ne pourrions to

lérer en silence.

317

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 180-181)

L. P. 13. Parigi, 27 settembre 1861.

Ebbi le Sue particolari una senza data, ed altra del 21 corrente. Nessuno più di me è penetrato delle di Lei convinzioni intorno alla Questione Romana. Ho fatto presso il signor Thouvenel ogni sforzo perchè senz'altro indugio si desse corso al progetto. Ho ripetuto a lui, frase per frase, quanto l'E. V. mi scrisse.

Ma ho il dolore d'annunziarLe che gli argomenti esposti non valsero a far mutar opinione al Ministro degli Affari Esteri, il quale continua nella convinzione che non si possa nulla deliberare se prima il marchese di Lavalette non avrà mandato o portato da Roma le informazioni sicure ed esatte, che è incaricato di procurare all'Imperatore. L'Imperatore verrà solamente il 30 e conferirà col signor Thouvenel sulla cosa. Sventuratamente in questo momento io non ho nessun mezzo d'azione sull'Imperatore. Il Principe Napoleone che potrebbe aiutarmi, non tornerà che dopo la metà del mese. In tale stato di cose, il mio dovere principale è quello di esporLe fedelmente e francamente quello che qui si pensa, e di eseguire con tutto zelo le di Lei istruzioni, senza celare le difficoltà e gli ostacoli. A Lei, responsabile in faccia alla Nazione ed al Re dei destini d'Italia, toccherà il ponderare queste difficoltà, questi ostacoli, queste opposizioni, e provvedere come esige l'interesse della nazione e la propria coscienza. lo Le dirò francamente che, se è possibile il guadagnar tempo, avremo maggior probabilità di aver Roma, e d'averla senza condizioni e senza impegni. Rimane a sapere se a fronte delle vive aspettazioni della nazione, questa condotta sia possibile. lo di qui non posso saperlo.

Le scrivo di ufficio pel trattato di commercio. Farmi che il tempo sia giunto di aprire negoziati regolari. Ottenni non senza difficoltà, che la sede delle trattative sia Parigi. La prego di mandarmi Carutti, se può, come compagno nei pieni poteri, ed un impiegato delle dogane che sappia a mente le tariffe, giacché devo confessarLe che dal tempo in cui lasciai la sezione commerciale, or son parecchi anni, non ho avuto guari tempo ed agio a mantenermi al corrente delle mutazioni avvenute nella nostra legislazione doganale. Ricordo i principii, ma le applicazioni fatte di poi sfuggirono spesso alla mia attenzione.

* P. S. -Non è assolutamente necessario che l'impiegato delle dogane sia ministro plenipotenziario. Basterebbe che fosse posto all'immediazione della Legazione pel tempo che dureranno le pratiche. *

(l) Col telegramma da Costantinopoli del 26, s'era incrociato questo telegramma di Ricasoli a Cerruti dello stesso giorno: • Le Moniteur annonce conférence pour Principautés Danubiennes, sa.ns faire mention du Représentant de l'Italie. N'etes-vous pas intervenu? •

318

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 571. Torino, 28 settembre 1861, ore 16,15. Le Ministre du Roi à Madrid mande que le Ministre des Affaires Etrangères Espagnol a répondu au Chargé d'Affaires de France que l'ex-Roi de Naples doit pouvoir disposer exclusivement des Archives. S'il n'y a pas quelque malen

tendu, le mauvais vouloir de l'Espagne serait évident et tout arrangement impossible.

319

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

L. P. Londra, 28 settembre 1861.

Mi pervenne ieri sera come stavo per uscir pel pranzo alle 7 Yz il telegramma in cui rendevasi conto dell'incidente che ebbe luogo a Costantinopoli circa la Conferenza Danubiana. Come partiva stamane Lord Palmerston per Broadlands, scrissi immediatamente onde informarlo dell'avvenuto e domandargli qualche minuto di colloquio prima partisse. Mi rispose [sic] immantinente l'autografo che interesserà V. E. come caratteristico e perciò glielo mando (1).

Andatolo a trovare alle dieci, venne tosto a ragg'iungermi da Milady e mentre si prendeva il thè, mi parlò dell'affare. Gli dissi temevo che nel caso nostro non fosse possibile lasciar trascorrere le cose senz'attaccarvi molta importanza. Eravamo una Monarchia o giovane o rinascente e molto dipendeva dalla posizione che avessimo presa da principio. Era come un giovane che entrasse in un reggimento. Se da principio non dabava a farsi rispettare, presto ognuno si crederebbe lecito di prenderlo a calci posteriori. Mylord mi disse che precisamente il motivo che gli faceva consigliar la mansuetudine era che non trovava si trattasse di cose recanti insulto al Governo Italiano.

Era un punto di etichetta diplomatica, questi Governi non potendo opporsi alla presenza di quel Governo (Sardo) che sottoscritto avendo il trattato di Parigi, in virtù di esso era chiamato alla conferenza. Ma non avendo conoscenza officiale del Regno d'Italia, s'opponevano a scambiar con esso atti diplomatici, tanto più che questi implicherebbero fino a un certo segno una ricognizione.

Non mi celò Sua Signoria che trovava che questo lor punto di vista non era

del tutto falso. Potenze di prim'ordine non potendo proceder a ricognizioni tali

se non apertamente e direttamente. Ma dove Lord Palmerston non trova che sia

un disonore è che la non ricognizione non si fonda sull'esser noi divenuti esseri

di poca importanza. Ma al contrario perché ne abbiamo acquistato troppa. Citò

per esempio gli Stati Uniti e disse che per loro sarebbe umiliazione se i Gabinetti

non volessero più trattar con loro, perché caduti al rango di Potenze minuscole.

Del resto Lord Palmerston non aveva conoscenza né di conferenze né di

difficoltà riguardo ai loro componenti. E giudicando dal telegramma fece la

supposizione che al momento che decidevasi tener seduta, le Potenze avverse

avevano dichiarato che lascierebbero la sala ove Durando comparisse. E Lord

Palmerston rimarcò in che posizione difficile sarebbersi trovati gli altri non

potendoli obbligare a rimaner per forza. Al che risposi che non solo parea V. E.

far doleanze di quanto avessero fatto gli avversari nostri, come di quanto non

avessero fatto gli amici nostri. Cioè d'icendo che poiché, uscirebbero gli

altri, nel caso opposto essi non entrerebbero. Scusò Sua Signoria l'occorso

allegando una probabilità d'urgenza. Ma non potei a meno d'osservare che

se s'era trovato buono un alleato in guerra, non dovevasi metter da banda

in pace. Davasi il caso singolare che la conferenza avendo votato tre contro

tre, nulla erasi deciso. Si cogliesse dunque quest'occasione o pretesto per

adottare un sistema che permettesse anche a noi di comparire. Lord Palmerston

non lo trovò cosa facile. Anche in uno scambio di note, se l'Italia dava la vittoria

da un lato, gli altri direbbero non saper chi fosse.

Dissi a Lord Palmerston di non dimenticare che per carattere e per la stessa

posizione, trovandosi da non molto chiamato a regger la politica di una gran

nazione, doveva l'E. V. star tanto più attenta a nulla conceder che gli si potesse

rimproverare. E siccome veramente vedeva Mylord pieno di buona volontà ma

imbarazzato, propos1 10 stesso che si mostrasse la buona intenzione d'assisterci e scrissi sul tavolo il testo all'incirca del telegramma che mandai e che Mylord trovò rendea esattissimamente il pensier suo.

L'indomani vidi il Sottosegretario di Stato Hammond al quale raccontai la faccenda e la mia conversazione con Lord Palmerston. Aggiunsi che colla miglior volontà di moderazione non potevamo trattar leggermente l'accaduto, per la ragione che intendeasi positivamente un insulto per parte di chi lo fece. E che perciò quanto da amici avrebbe potuto esser veniale qui doveasi risentire.

Il signor Hammond parve colpito sopratutto dalla necessità di cercar un espediente non pel solo caso attuale. Ma che potesse adattarsi a sciogliere altri casi consimili. Poiché la necessità di una Conferenza diventa ovvia né si potrà pretermettere a lungo. Consigliò dunque di far ricerche per quei paesi che eransi trovati per un dato tempo sconosciuti dai Governi del Nord, come la Spagna se erasi fatta qualcosa e cosa erasi fatto. Lo pregai confidenzialmente di scrivere a Sir H. Bulwer a Costantinopoli in modo da fargli ben capire quali fossero le ottime disposizioni riguardo a questa questione, ed in generale all'Italia, del Governo attuale. Andai quindi dal signor Layard, l'altro Sotto Segretario di Stato, il quale, zelantissimo amico nostro, prese caldamente le nostre parti, dicendo che se in una conferenza venuta in seguito ad un trattato di cui eravamo parte, trasgredivansi le clausole di questo trattato, a noi pure si rinfaccerebbe. Dunque dovevamo prendere parte a quanto si farebbe. Promisero concertarsi insieme e scriver per istruzioni a Lord Russell. Al quale fu inteso scriverei particolarmente. Siccome feci.

Il modo un po' non curante in cui dagli Inglesi fannosi gli affari, colpisce sempre chi non vi è avvezzo. Lord Russell e Lord Palmerston se ne stanno in pace lontani da Londra ed affari d'urgenza aspettan i loro comodi.

Lunedì o martedì prossimo, 7 o 8 ottobre, andrò a passar qualche giorno con Lord e Lady Palmerston a Broadlands e lì almeno qualche comunicazione potrò farla se occorre. Se non, spero si capirà a Torino d'onde vengano i r'itardi.

Altra singolarità si è il vedere il Foreign Office tanto in ritardo per saper quanto era accaduto a Costantinopoli.

Del resto Layard suggerì ch'io domandassi che scusa avesse dato Aalì Pacha per convocarci una prima volta. Ma non quando realmente la riunione ebbe luogo. Riservandomi di darLe ulteriormente il risultato del mio colloquio ulteriore al Foreign Office, La prego di credermi.

(l) L'autografo di Lord Palmerston manca.

320

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI

T. 574. Torino, 29 settembre 1861, ore 12.

Les explications de la Porte atténuent la portée de l'incident, mais ne sont pas complètement satisfaisantes (1). Vous ne pouvez avoir des conférences

offìcieuses séparées; ce serait établir une différence humiliante entre nous et les autres Puissances. Veuillez soigneusement veiller à ce qu'aucune atteinte ne soi t portée à notre dignité. L'Angleterre est très disposée à trouver un expédient pour résoudre la diffìculté. Je vous enverrai des instructions à son temps.

(l) Cerruti, con un telegramma del 28 settembre (n. 843), ore 16,42 (per. alle ore 3,30 del 29), aveva cosi riassunta la risposta di Mehmed Djeml Bey: « Il a écrit que quant aux Principautés les réunions passées ne furent que des conversations officieuses et qu'il n'y a pas eu de conférence. Il est pret à en avoir pareillement avec moi. La Porte reconnait nos droits de partecipation aux négociations officielles. On me transmet la mémoire rémise aux autres répresentants, que je vous enverrai par courrier. Bien que non tout à fait satisfaisant à mes yeux ce procedé m'interdit la protestation... •.

321

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO

T. 576. Torino, 29 settembre 1861, ore 12,45.

Dans les anciens traités lorsqu'il y avait contestation au sujet des titres d'une des Puissances contractantes, on insérait un article additionnel par lequel il était déclaré que l'usage de certains titres par quelques Puissances, n'impliquait pas leur reconnaissance de la part des autres. Dites-moi si vous croyez qu'une déclaration de ce genre soit convenable. Dans le cas affirmatif vous pouvez en parler au Foreign Offìce. Il s'agit seulement de rédiger la déclaration d'une manière correcte pour tout le monde et surtout pour nous.

322

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

L. P. Londra, 30 settembre 1861.

La dichiarazione di cui trattasi nel telegramma che l'E. V. ha avuto la bontà di mandarmi ieri domenica, mi par sia la soluzione la più semplice della difficoltà che trattasi di risolvere.

Ne ho parlato quest'oggi col signor Hammond, al quale piacque il mezzo termine, e naturalmente gli spiegai che in caso s'accetti s'intenderebbe che le Potenze amiche nostre cercassero d'intendersela con le avverse acciò fosse prestabilito ad ogni conferenza che così si farebbe.

Hammond ne scrive oggi in Scozia.

Intanto m'ha ripetuto non solo che il Foreign Office ignorava ed ignora l'esclusione del Generale Durando, ma che anzi da qualcuno dei suoi Agenti alle Corti del Nord eraglisi scritto essersi aggiustata la difficoltà. Al che risposi che stava a vedersi la natura dell'aggiustamento.

323

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, A VITTORIO EMANUELE II

T. 584. Torino, 2 ottobre 1861, ore 12,30.

On me suppose que l'ex-Roi de Naples sera représenté offìciellement soit à Berlin soit à Konigsberg. Si le fait était vrai, je crois que la dignité de V. M.

et l'honneur d'ltalie ne permettraient pas l'envoi d'un Ambassadeur ltalien pour le couronnement. J'écris en conséquence à Berlin que s'il y aura un Représentant quelconque de François II reçu officiellement celui de V. M. ne partirait pas. J'ose espérer que V. M. daignera approuver cette mesure (l).

324

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO (2)

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 2 ottobre 1861.

Crèdo mio debito di darLe qualche schiarimento sull'incidente avvenuto a Costantinopoli a proposito della Conferenza pei Principati Danubiani, incidente che eccitò a buon diritto lo stupore di Lord John Russell.

Il telegrafo avendo annunciato la riunione della Conferenza in modo da far credere che il Ministro di S. M. non era intervenuto ad essa, io mi affrettai ad interrogare per telegrafo il commendatore Cerruti, attuale Ministro interino a Costantinopoli, sulla causa di questo spiacevole fatto. Il commendatore Cerruti rispose parimenti per telegrafo che i Ministri d'Austria, di Prussia e di Russia si erano opposti ad ammettere l'intervento alla conferenza del Rappresentante del Regno d'Italia. Soggiunse ch'egli aveva fatto per iscritto rimostranze al Ministro degli Esteri, dichiarando che avrebbe protestato a nome del Governo del Re. Il Ministro Ottomano, con una nota ufficiale, gli rispose che le riunioni tenute sinora avevano soltanto il carattere di colloquii officiosi e non erano vere conferenze officiali; dichiarò inoltre essere pronto ad avere egualmente col Ministro Italiano colloquii di eguale natura sullo stesso argomento.

Come Le sarà facile d'immaginare, io mi affrettai a rifiutare una proposta, che, ponendoci in condizione affatto eccezionale e diversa da quella delle altre sei Potenze, avrebbe lesi implicitamente i nostri diritti. Certo che l'Inghilterra e la Francia non avrebbero mai permesso una violazione così manifesta ed ingiusta d'un trattato pubblico e solenne, io mi rivolsi per telegrafo alla S. V. Ill.ma ed al cavalier Nigra per chiedere l'appoggio dei due Governi suddetti. Io proposi poscia l'espediente di cui Le diedi comunicazione per telegrafo, e c'he, come me ne informa il di Lei telegramma di ieri, fu approvato da codesto Ministero degli Esteri.

Io spero che sarà facile al Ministro di S. M. Britannica di persuadere ai Ministri di Austria, di Prussia e di Russia che il modo da me proposto deve essere accettato, siccome quello che è più coerente alle consuetudini diplomatiche. Esso riserva infatti a quelle tre Potenze la più ampia libertà di giudizio circa la

convenienza di riconoscere il Regno d'Italia, e distrug~e così ogni motivo che potesse mettersi innanzi per opporsi a che il Ministro di S. M. a Costantinopoli prenda la parte che gli spetta ai lavori della Conferenza. Non può per vero cader In mente ad alcuno che Re Vittorio Emanuele abbia potuto, ampliando i suoi Stati, rinunziare a quei diritti che gli sono conferiti dal Trattato del 1856. Il che è tanto più evidente trattandosi di un Governo già riconosciuto non solo àall'Inghilterra e dalla Francia, ma altresì dallo Stato nel cui territorio hanno !uogo le Conferenze.

Io reputo superfluo di fermarmi a svolgere alla S. V. Ill.ma queste od altre analoghe considerazioni. Mi limito perciò a pregarLa di volermi tenere ragguagliato dell'esito degli uffici che Lord John Russell sembra disposto a fare a nostro favore.

(l) -Tre quarti d'ora prima Ricasoli aveva telegrafato (n. 582) al Launay: « On nous suppose que l'ex-Roi de Naples sera représenté officiellement soit à Berlin soit à Kiinigsberg.Je désire savoir si le fait est vrai, et si son Envoyé prendra le titre de Représentant du Roi François II ou bien de Roi des Deux Siciles. J'attends prompte réponse en vous prévenant que s'il y aura un Représentant quelconque de François II reçu officiellement le , notre ne partira pas pour Berlin •. Con telegramma del 3 ottobre (n. 587) Ricasoli insisteva ancora per avere immediatamente informazioni esatte. (2) -Lo stesso dispaccio, con qualche variante di forma, al cav. Nigra a Parigi, in data 3 ottobre 1861.
325

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE 20. Parigi, 2 ottobre 1861.

Il signor Thouvenel al quale comunicai il telegramma che V. E. mi mandò intorno all'esclusione del Ministro del Re a Costantinopoli dalle conferenze che ivi si tengono sui Principati Danubiani, mi disse oggi che il nostro diritto di prender parte alle conferenze stesse è considerato come incontestabile dalla Francia e che egli difatti diede istruzione all'Incaricato d'Affari dell'Imperatore a Costantinopoli di dichiararsi per la nostra ammissione. Il signor Thouvenel aveva anzi proposto, per evitare ogni inconveniente, che non vi fosse riunione dei Rappresentanti delle Potenze, ma che invece la cosa si trattasse per corrispondenza tra la Porta da un lato, e i singoli Rappresentanti esteri dall'altro. Questa proposta fu rigettata, per opera massimamente della Russia. Il Ministro degli Affari Esteri soggiunse che le attuali Conferenze di Costantinopoli sono semplici riunioni, le cui deliberazioni non sono consegnate in nessun atto diplomatico e neanco in protocollo. Egli pensa che se un protocollo o un atto qualunque avesse luogo, occorrerebbe per la sua validità che alla firma degli altri Rappresentanti si aggiungesse quella del Ministro del Re. Egli consiglierebbe in conseguenza il Governo del Re a non insistere per farsi rappresentare nelle semplici riunioni che hanno luogo in questo momento, ma di porre in pari tempo al sicuro i proprii diritti con una dichiarazione diretta alla Porta per la quale si domandi la comunicazione del firmano e d'ogni atto relativo alla vertenza che ora si tratta, non che la partecipazione al risultato finale dell'accordo nel caso in cui quest'accordo si consegni in un atto diplomatico firmato dagli altri Rappresentanti.

Ieri vi fu consiglio dei Ministri a St. Cloud presso l'Imperatore, ma non vi fu trattata la questione romana.

Il signor Thouvenel mi espresse il desiderio che il signor De Christen sia prontamente giudicato, e per debito di giustizia, e per evitare le accuse che 1 nostri nemici in Francia non mancheranno di lanciare in questa occasione contro il governo del Re, come già han fatto e fanno pel ritardato giudizio di Cajaniello.

Il Ministro degli Affari Esteri mi disse a questo proposito che il governo

imperiale era ben lungi dal voler incagliare in qualsiasi modo il corso della giu

stizia regolare, ma soggiunse che si credeva in diritto, trattandosi di un suddito

francese, di domandare un pronto giudizio o la liberazione.

Mi limitai ad osservare al signor Thouvenel che il processo di Christen era

di già incominciato e non gli lasciai ignorare i passi già fatti dai di lui parenti

per ricorrere, all'uopo, alla grazia sovrana.

326

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 856. Berlino, 3 ottobre 1861, ore 2,30 (per. ore 8,40).

Le Prince Carini accrédité près du Roi de Prusse à son avènement comme Ministre du Roi des Deux Siciles assistera à ce titre implicite au couronnement, invité comme tous les autres Plénipotentiaires résidents à Berlin. Au reste selon la forme usitée ici les invitations ne portent que le nom et non la qualité officielle de l'invité. Jusqu'ici il ne me résulte nullement qu'il doive lui etre adjoint un autre Envoyé, il figurera comme mes collègues sans mandat spécial et en quelque sorte comme simple témoin. Quoiqu'il en soit, je persiste à penser qu'il est de notre intéret, surtout l'ayant annoncé, d'etre représentés par une Mission Extraordinaire, de ne pas donner à l'Autriche le plaisir de notre abstention et qu'il est de notre dignité paraitre ignorer la présence d'un Ministre de fantaisie, en laissant à ceux qui ne nous reconnaissent pas encore le ridicule et l'embarras de la situation qu'ils se sont faite. Avant de prendre aucun arrangement, je sollicite les ordres de V. E. par télégraphe dans le plus bref délai (1).

327

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (Ed. in Ricasoli, VI, pp. 187-188)

L. P. Torino, 3 ottobre 1861.

Senza libertà non si fonda la libertà! Questo è il mio principio, e non me ne dipartirò. La legge da noi non proibisce certe associazioni, e il diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi è scritto nello Statuto (2).

Se nelle nuove condizioni del Regno convenga regolare altrimenti che ora non è, questo diritto, l'esperienza lo dirà, e non sfuggirà al Governo l'oppor

26 · Documenti diplomatici • Serie I ·Vol. I

tunità. Fin qui nor.. ne veggo ragione. L'esito che ebbe in Firenze la riunione delle società, anzi dei delegati delle società operaie, ha confermato i miei giudizi, ha dato ragione all'attitudine del Governo; fin qui io mi sento forte, e spero che lo debba essere il Governo anco di più nel seguito, tostoché riesca stabilire un Governo in cui l'atto esecutivo si compia con uniformità di concetto, di volere, di mezzi. Intanto che mi perverrà il rapporto ufficiale, le rimetto copia di una lettera confidenziale del Prefetto di Firenze.

Se il Governo vi si fosse mescolato direttamente, avrebbe guastato tutto; così per lo contrario si sono giudicati da loro stessi, e l'opinione pubblica ha compito. Voglia leggere la Nazione di Firenze. Anzi conviene che le nostre Legazioni all'estero ricevano i principali giornali italiani. La Nazione è tra i buoni. La pregai ieri di porgere l'espressione del mio grato animo al signor Thouvenel, che ci dimostra tanta benevolenza all'occasione che scioglieremo la Luogotenenza di Napoli e il Governo di Toscana. Il Governo del Re ha la coscienza di ciò che fa, e, mentre studia il fine, non trascura nemmeno i mezzi e li preordina al fine.

Fa d'uopo che Italia si dia un vero Governo normale, nel quale, il Governo

centrale sia il vero Governo della Nazione, e non il Governo di Piemonte e di

Lombardia; e poi si dica il Governo di Toscana e di Napoli. Ma ripeterò sempre

che la nostra questione non è qui: Ella è a Roma *soltanto, a Roma* ove

s'organizza di continuo tutto quello che può disturbare il nostro lavoro, tutto

preordinato al nostro consolidamento interno.

*Farò quanto potrò per compiacere al desiderio del signor De Quélen e

quanto al signor De Christen non solo approvo quanto Ella ha detto, ma lo

faccio mio, cioè dico tutto quanto Ella ha risposto in proposito.*

Credo che il signor Rattazzi si disponga a fare un viaggio in Francia.

(l) -Lo stesso giorno il Launay telegrafava ancora (n. 858): • Le Ministre des Affaires Etrangères n'a reçu jusqu'à ce soir aucun avis concernant l'arrivée d'un Envoyé quelconque outre Carini; celui-ci ne le prévoit pas, aussi n'a-t-il retenu appartement que pour lui seui à Konigsberg. L'envoi d'un Plénipotentiaire spécial n'est donc pas à présumer. Carini jusqu'à présent n'a pas reçu non plus une Iettre de créance pour la circostance et il ne s'yattend pas • . La missione straordinaria del Generale della Rocca per assistere alla cerimonia dell'incoronazione del Re di Prussia partiva da Torino il 5 ottobre, com'era lo stesso giorno telegrafato dal Ricasoli al Launay. (2) -II 29 settembre 1861 Nigra aveva telegrafato a Ricasoli (n. 845): c La votation des Sociétés ouvrières a produit ici une mauvaise sensation. Leur dissolution si la loi le permet serait hantement approuvée •.
328

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (Ed. in Ricasoli, VI, pp. 188-190)

L. P. 16. Parigi, 5 ottobre 1861.

Fiume di Nisi mi ha rimesso oggi la sua lettera del 3 corrente. Tolga Dio che, soldato della libertà, quale io mi considero e quale voglio mantenermi, Le mandi illiberali consigli. Ho creduto non doverle tacere la cattiva impressione qui prodotta dalle votazioni delle società operaie; soggiunsi che la loro dissoluzione, se permessa dalla legge, sarebbe stata altamente commendabile. Tanto meglio se il buon senso della popolazione evitò al Governo di dover ricorrere a misure severe. Non v'ha dubbio che Io spirito delle società operaie di Napoli e d'altre provincie d'Italia è pessimo; ma invece è ottimo nelle società di Piemonte, e discreto, in generale, nell'Italia superiore. A poco a poco si andrà migliorando infallibilmente. Io mi ricordo che nel 1849 e nel 1850 la società operaia di Torino aveva, relativamente, le stesse tendenze di quelle dell'Italia meridionale d'oggidì. L'esercizio della libertà la corresse e la migliorò in guisa da maturarne radicalmente lo spirito. Del resto io Le mando le impressioni di qui, e non posso sempre tener conto delle difficoltà nostre interne, perchè certe cose non si apprezzano giustamente che sul luogo. Tocca all'E. V. che sta in mezzo alle difficoltà interne ed alle estere il giudicare saviamente del peso che esse debbono avere nell'uno e nell'altro piattello della bilancia. Ciò vuoi dire che le mie considerazioni non devono avere che un valore relativo ai suoi occhi.

D'altra parte, le dirò pure il vero, forse esagero i pericoli che possono venirci dal partito radicale, ma penso che in questo momento, se havvi pericolo per la libertà, è appunto da questo partito che si deve temere. La nostra rivoluzione, con esempio unico nella storia, ha proceduto finora regolarmente in mezzo alla reazione dall'un lato e alla demagogia dall'altro. Bisegna che continui nella via medesima. Il di Lei nome, la di Lei condotta, i suoi precedenti devono essere all'Italia e all'Europa un'arra sicura che questa via sarà seguita, e che si continuerà a camminare con la bandiera dell'ordine dall'una mano e con quella della libertà dall'altra. La dinastia e l'armata sono altri due elementi sicurissimi che continueranno a condur l'Italia non solo in salvamento, ma all'ottenimento dei suoi grandi destini futuri. Sventuratamente dall'un lato non si può sciogliere cosi prontamente, come sarebbe desiderabile, la questione di Roma, e d'altra parte, mezza Italia sente il bisogno potente d'una trasformazione completa. Il soffio della rivoluzione del secolo scorso non passò ancora per colà. S'aggiunge l'influenza esercitata dal prestigio del nome di Garibaldi. Queste cose danno naturalmente spinta e pretesti al partito avanzato. Qui sta il pericolo. Ad ogni costo non bisogna che altri ci strappi di mano la direzione del movimento nazionale. E se, quandochè sia, si dovrà andare in Campidoglio, il Re, non altri, per Dio! deve salirvi pel primo. Vi fu tempo in cui la reazione minacciava pericoli all'Italia; ora questi possono venirci dal partito radicale. Il Governo del Re, collocato al perno della bilancia, quando s'accorge che l'un piattello si alza soverchio, deve porre il conveniente contrappeso nell'altro, senza valicar mai, in nessun caso, i limiti della legge e della

lib~rtà.

Questo è il pensiero che mi dettò il telegramma dell'altro di. Desideravo esporglielo tutto intero, perchè non mi creda un codino. Ormai, dopo i miracoli operanti in Italia dall'esercizio della libertà, bisognerebbe esser ciechi o peggio, per invocare altri sistemi più o meno restrittivi. Ma nello stesso esercizio della libertà ci dev'essere, parmi, quel certo prudente arbitrio che è lasciato ai magistrati nell'applicazione del diritto comune, e che fu tanta sorgente di civile sapienza nel pretorio romano.

Le scriverò appena saprò che cosa l'Imperatore avrà deliberato in ordine al progetto di proposta a Roma.

329

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A MADRID, TECCO (Ed. in L V, 3, X)

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 6 ottobre 1861.

Ho ricevuto le varie comunicazioni che sia per telegrafo, sia per la posta, la S. V. Ill.ma si è compiaciuta indirizzarmi intorno alla spinosa questione della consegna degli Archivi Consolari delle Due Sicilie. Ho preso accurata conoscenza delle note a questo proposito scambiate fra la S. V. Ill.ma ed il Ministro degli Affari Esteri di S. M. Cattolica, e pur troppo ho dovuto da queste ultime desumere la conseguenza, come sia per parte del Governo Spagnuolo un partito presso che irrevocabile di rifiutarsi ad un atto reclamato non solo dalla giustizia, ma dai principii meno contestabili del diritto internazionale.

Non tornerò a tessere la storia dei fatti che hanno dato origine a tale vertenza; né tornerò nemmeno a sviluppare i pr'incipii di gius pubblico che debbono indubitatamente regolarla; V. S. Ill.ma nelle sue note, di cui mi ha trasmesso copia, ha già adempiuto a questo ufficio con una evidenza ed una forza di ragioni che renderebbero inutile d'insistere più a lungo sopra considerazioni di questo genere. Anche pei meno benevoli verso il Governo Italiano e verso i cambiamenti in Italia verificatisi in questi ultimi tempi, la distinzione tra il Governo di diritto ed il Governo di fatto è nel caso concreto talmente chiara, talmente decisiva che basta essa sola a risolvere la presente controversia.

Può egli materialmente Francesco Il, qualunque siano i diritti che in Lui voglionsi riconoscere, proteggere i suoi antichi sudditi, e provvedere ai loro bisogni e tutelare i loro interessi? La negativa non può essere dubbiosa per alcuno. Il Governo Italiano solo ha incontrastabilmente la possibilità di esercitare un simile patrocinio, come ne ha il dovere e il diritto. Frattanto, a cagione di questo intervento del Governo di S. M. Cattolica nelle cose italiane, dieci milioni dei nostri connazionali veggono compromessi e danneggiata una parte non indifferente dei loro interessi. Né il fatto è cosi leggero, come sembrerebbe di credere il signor Collantes, poiché negli Archiv'i Consolari delle Due Sicilie sono i registri di nazionalità di quella numerosa parte degli abiianti nel Regno d'Italia, gli atti del loro Stato Civile all'estero, i loro contratti, le sentenze arbitrali che li concernono, moltissimi documenti infine senza dei quali riescirebbe difficile, anzi talvolta impossibile al Governo Italiano, al solo, cioè, che possa proteggerli, di far valere i loro interessi; vi si trovano finalmente in deposito somme di danaro che pur debbono rimettersi a coloro cui appartengono.

Di fronte a ragioni di tanta gravità mi sembra evidente che pel Governo di

S. M. Cattolica l'affare si riduce in sostanza ad una questione di preferenza fra il principio del diritto divino e quello della sovranità nazionale. La predilezione spiegata dal Governo Spagnolo a favore del primo di tali principii mi reca non poca meraviglia, allorché considero che Esso, al pari del Governo Italiano, ha nel secondo di essi la sua origine ed il suo fondamento.

Ma checché sia a questo riguardo, mentre il Governo Italiano, animato da spiriti di moderazione e dal suo desiderio di rimanere nei buoni termini con la nobile nazione spagnuola, lascia al tempo e alla riflessione la cura di condurre il Governo di S. M. Cattolica a riconoscere il Regno d'Italia, non può però consentire che si facciano atti, che apertamente impugnino il diritto a Lui conferito dalla Nazione, o che ponendolo in dubbio inceppino l'adempimento dei suoi doveri. Nessuna potenza in caso simile rimarrebbe indifferente ad atti di tal natura, ed il Governo di S. M. Cattolica può, nella recente storia del suo Regno, riscontrare più di una occasione in cui fece severe proteste, ed anche procedè a rappresaglie, per atti che contrastavano al suo diritto nazionale.

Io voglio ancora conservare la speranza che le buone relazioni desiderate da ambedue le parti non saranno per alterarsi, e non abbandono la fiducia che il Governo Spagnuolo sarà per dare ai suoi Agenti quelle istruzioni che sono reclamate dal nostro buon diritto. Quando poi le nostre speranze si trovassero deluse, ci riescirebbe sommamente penoso il dovere dal canto nostro pensare a quelle risoluzioni, che ci fossero dettate dal giusto sentimento della dignità nostra, facendo appello, senza esitanza, alla pubblica opinione dell'Europa illuminata ed imparziale.

Invito la S. V. Ill.ma a dar lettura del presente dispaccio al Ministro degli Affari Esteri di S. M. Cattolica, ed a !asciargliene copia; pregando al tempo stesso la prefata E. S. di un sollecito riscontro per norma del Governo del Re, nostro Signore (1).

330

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONSOLE A ROMA, TECCIO DI BAYO

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 7 ottobre 1861.

(Cifra). Communiquez ce qui suit à Passaglia en réponse à sa lettre à Bianchi:

(In chiaro). Confido che le speranze dei nostri nemici sui torbidi che sperano suscitare, riusciranno vane. Certo è però che il Governo ha proceduto e procede sempre molto riguardosamente verso il Clero, nonostante l'attitudine apertamente ostile da esso presa contro l'Italia.

Si fanno lamenti contro la resurrezione delle leggi tanucciane, non so fino a qual punto fondati; ma dato pure che lo siano, le necessità della difesa contro un Clero fieramente nemico, non danno forse ragione di un simile provvedimento? Lo Stato vuoi bene rendere la libertà alla Chiesa; ma è egli giusto dimandargli che egli disarmi quando la Chiesa gli appunta la spada al petto e lo minaccia di morte? È egli g'iusto chiedere guarentigie allo Stato finché la Chiesa non si mostri disposta a darne dal canto suo? E le improntitudini dei fogli liberali, e lo spargersi di libri irreligiosi, e il proselitismo protestante, non sono forse tante manifestazioni degli Italiani adirati contro le ostilità di Roma, e non dovrebbero rivelare alla Sede Pontificia i pericoli gravi ch'ella fa correre alla religione servendosene come di arma contro gl'interessi nazionali?

Il Governo del Re è pronto alla concordia; ne ha date e ne darà prove luminose. Gli si dimanda che con atti splendidi chiarisca meglio la sua ortodossia. Ma quali potrebbero essere questi atti? S'egli si accosta alla Chiesa per le solennità religiose anco non politiche, il Clero gliene chiude le porte in faccia; e pure la munificenza Regia si è manifestata in non poche occasioni verso la Chiesa, e il Governo procede verso i Clerici ribelli con una mansuetudine che le popolazioni gli rimproverano come soverchia, e di cui Roma non gli dà certamente l'esempio: che cessi dal valersi di uomini di perduta fede religiosa. Ma quali sono questi uomini e in che se ne vale? Egli anzi è-lieto quando uomini inte

merati, e ricchi di sapienza in divinità e di fede non dubbia e non sospetta, come il P. Passaglia, portano l'autorità della dottrina e della parola in una causa nella quale il Governo non può dubitare che la buona ragione non sia dalla sua parte, come è convinto che sia favorevole agli interessi della religione e della Chiesa: che francamente spieghi la formula libera Chiesa in libero Stato? Ma 'il concetto della libertà è egli così complesso e metafisico che non si possa da ognuno farsene subito una idea concreta? E se vorrà la Sede Apostolica spiegazioni amplissime su questa formula, sa la S. V. ch'Ella potrà averle in modo formale. Sul rimanente il Governo provvederà in modo che non abbiano ad essere sgomenti nè rimanere sacrificati coloro che si fanno campioni del giusto e del vero.

(Cifra). Je n'aurai voulu me trouver obligé de répondre comme j'ai dù le faire au Père Passaglia, mais celui-ci a provoqué cette réponse par sa lettre à Bianchi.

Je vous ai déjà chiffré rapport aux choses que vous me dites dans votre confidentielle du premier Octobre. Vous recevrez l'ordre en son temps, si les négociations commenceront, et vous aurez l'argent nécessaire aux premiers frais. En attendant, si Passaglia a personnellement besoin d'argent, vous me le direz, et j'aviserai. S'il perdra sa position à Rome, nous la lui rendrons ici. .J'ai reçu le rapport imprimé sur le procès Locatelli, mais pas la sentence que je vous prie de m'envoyer au plutòt.

(l) Questa nota, intitolata nei registri del Ministero c ultimatum •, fu comunicata il 9 ottobre alla R. Legazione a Parigi, il 10 a quella a Londra, con incarico di darne comunicazione ai Ministri degli Affari Esteri rispettivamente di Francia e d'Inghilterra.

331

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 596. Torino, 8 ottobre 1861, ore 10,30. Tecco mande que le Gouvernement Espagnol semble incliner à accepter l'arrangement portant que les Archives Napolitaines en Portugal seraient remises au Gouvernement Portugais et les Archives Napolitaines en France au Gouver· nement Français. Je n'ai pas de difficulté à accepter cette modification si elle convient à la France; mais dans tous les cas l'arrangement doit etre subordonné à deux conditions. D'abord il doit etre généralisé et appliqué aux autres pays où les Consuls Espagnols se seraient emparés des Archives Napolitaines. Ensuite les Archives doivent etre remises immédiatement aux Consuls Italiens. Je ne

dois pas vous dissimuler que la conduite de l'Espagne a froissé les susceptibilités nationales et je ne serais pas fàché de rompre les rapports diplomatiques (1).

332

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (Ed. in Ricasoli, VI, pp. 190-194)

L. P. Torino, 8 ottobre 1861.

Voglio sperare che si vorrà risarcirmi in parte dell'attacco fattomi di impaziente nei pubblici negozi, e che il tempo che io ho lasciato maturare, ignoro

per ora con qual frutto, dal ritorno costà del signor Benedetti, mi varrà a

qualche indulgenza a mio pro e a pro della causa che io rappresento, e debbo

precisamente sostenere.

Nell'interesse della Chiesa Romana e dello Stato d'Italia, io, incoraggiato dalle parole del signor Benedetti e confortato dal di lui stesso parere, studiai e compietti un progetto onde maturare e consumare il più gran fatto che potesse onorare l'umanità: la conciliazione della Chiesa collo Stato. In quel progetto era posto in chiaro l'ardire e la lealtà del Governo d'Italia, onde si salvasse l'antica Chiesa italiana. Volli assoggettare quel progetto all'esame del Governo Francese, chiesi che questi vi desse un'efficace adesione, facendosene organo di trasmissione al Capo della Chiesa cattolica. Feci pur conoscere che in vista di ciò accetterei per esame quella proposta di modificazione che il Governo Imperiale crederebbe saggio di farmi. In tutto questo parmi aver dato prove di un animo disposto a tutto quello che è saggio e prudente.

Per il Governo e la nazione italiana è un dovere procedere ad un atto serio e decisivo, quale si è quello che si contiene ·nelle carte affidate al signor Benedetti.

Per la Francia l'associarsi in quella misura che le veniva richiesto, a quell'atto, lo reputo atto nobilissimo e di verace affetto all'Italia e alla Chiesa cattolica; la quale posta oggi tutta in mano delle passioni che si agitano in Roma sotto lo scudo delle armi francesi, va ad incontrarsi senz'altro in sorti tremende, se la difesa che ne ha preso la Francia non piglia indirizzo sapiente.

Fin qui io non ho avuto l'onore d'una risposta qualunque dal Governo Imperiale. Me ne duole! Credo che anco personalmente avrei dovuto avere una migliore corrispondenza. Infine io mostravo al Governo Imperiale come io stesso fossi penetrato, quando quegli diceva «dovere il Governo Italiano porger modo per il primo al Governo Francese di ritirare le sue truppe da Roma >. Qual modo più saggio e fecondo di avvenire che quello che io ho avuto l'onore di porgere all'esame del Governo Imperiale? Di più. Stavano a cuore al Governo Imperiale le condizioni del nuovo Regno d'Italia. Chi vorrebbe negare che queste condizioni non siensi notevolmente migliorate, e non siensi date prove che il nuovo Regno possegga già forze reali da poter resistere alle cospirazioni, e agli attacchi d'una reazione iniqua che si accende e si fomenta a Roma, e sulla quale si gettano materie alimentatrici da tutti i paesi cattolici e perfino dalla stessa Francia? Né basta. In Francia si temeva un'insurrezione nel senso nazionale nelle provincie ancor soggette a Roma, e questa fu dall'attività e dall'influenza del Governo del Re e sconsigliata e sventata.

L'Imperatore poi era in grave apprensione che l'onore delle armi francesi potesse essere offeso dai nostri stessi Generali, spinti dall'ardore nell'inseguire i briganti (e pur troppo scusati dall'ira acerba, che tale infame battagliare a ragione accende nel cuore d'un generoso soldato), i quali penetrassero a mano armata sul suolo alla tutela francese affidato. Che rispose il Governo del Re? Rispose: «Meno un equivoco, l'Imperatore dei Francesi stesse tranquillo su di ciò; basterebbe una guarnigione di 15 soldati francesi, per obbligarci a fare rispettare dalle nostre armi quel terreno».

Dirimpetto a tutto questo mi sia permesso chiedere che si tenga conto dal Governo Imperiale delle nostre peculiari circostanze, e non si attraversino quelle proposte che sono destinate a far progredire i nostri più gravi interessi nazionali, e ad aprire la via allo scioglimento, qual possa essere, d'una delle nostre più gravi difficoltà interne. Dar pascolo all'ansietà pubblica, far progredire e chiarire l'intelligenza universale sopra un sì vasto soggetto, quale è quello di Roma, egli è atto di senno politico, che nessuno può trascurare senza meritarsi censura. Pel Governo d'Italia egli è un dovere inevitabile. La dignità del Governo Francese resterebbe pure compromessa, se a lungo protraesse la sua parola decisiva sul nostro progetto. Io non ho potuto modificare in nulla le mie convinzioni. Roma cammina verso la perdizione, e prevedo dolorosamente che la Francia avrà la mortificazione di accompagnarvela. Il Governo Italiano non potrebbe partecipare a quel tristo uffizio, anzi sente il debito di mostrare all'Italia e all'Europa che egli ha avuto pur sempre coscienza di sé, e la Questione Romana non era indigesta né alla sua intelligenza, né a'i sentimenti suoi religiosi. Se la Francia non crederà di secondare il progetto nostro, se non crederà di darci il suo appoggio, dovremo bene avvisare ai modi d'operare da soli; ma siccome io credo che invano potressimo far conto sulla mansuetudine papale, invano domanderessimo accesso alla sua presenza, cosi fin d'ora rilevo che solo al tri

bunale dell'opinione pubblica dovremo appellare dei nostri sentimenti e dei nostri atti; e cosi appunto faremo, procacciando che l'Europa conosca, prima che il mese corrente si compia, o al più tardi nei primi del prossimo novembre, all'aprirsi del Parlamento, quanto volevasi dal Governo nostro operare, e lo conosca con data certa, e con materiali autentici, pubblicando tutto il progetto che abbiamo presentato al Governo Francese.

Innanzi a tutte le cose noi siamo e dobbiamo essere Governo d'Italia, e neppure gioveressimo ai nostri amici, tenendo il nostro posto sia all'interno, sia all'estero, in modo miserabile. A noi tocca mantenere l'istituto nostro, cioè governare e amministrare e occuparci dei sacri interessi d'Italia.

In breve, a giorni, sarà pubblicato il Decreto d'ordinamento del Regno, e lo precederà di poco il Decreto che riordina il Ministero dell'Interno. Cesserà in allora la Luogotenenza di Napoli e il Governo della Toscana.

(l) Nello stesso senso fu telegrafato in pari data al Tecco (n. 597).

333

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 194-196)

L. P. Parigi, 8 ottobre 1861.

Ricevo in questo momento il telegramma che V. E. mi ha spedito oggi per annunziarmi che il Governo Spagnuolo pare inclinato ad accettar la proposizione di rimettere in Portogallo e Francia gli Archivi Napoletani alle Autorità territoriali; che il Governo del Re non ha difficoltà ad accettar questa soluzione purchè sia generalizzata ed applicata agli altri paesi, e purchè gli archivi sieno poi rimessi immediatamente dalle autorità locali ai Consoli Italiani. L'E. V. soggiunge che la condotta della Spagna, avendo urtato le suscettibilità nazionali, ella non sarebbe dispiacente di poter rompere con questo Governo le relazioni diplomatiche. Mi affretto a sottoporre all'E. V. le seguenti considerazioni:

l. Il signor Thouvenel è a Compiègne, e prima di giovedl non sarà a Parigi. Non potrei quindi fargli alcuna comunicazione prima del giorno in cui Ella avrà ricevuto questa mia. Ella potrà in conseguenza, farmi pervenire, ove sia necessario, altre istruzioni per telegrafo.

2. -Credendo, come credo ancora, che fosse conveniente l'evitare una rottura per una questione a mio avviso secondaria, io lavorai coscienziosamente a questo scopo, ed ho insistito presso il signor Thouvenel, perchè facesse adottare la sua proposta a Madrid. 3. -La proposta francese inchiude le due condizioni indicate nel telegramma, cioè : applicazione generale della proposta a tutti i casi simili, e rimessione immediata ai Consoli Italiani per parte delle autorità territoriali degli Archivi Napoletani. È però inteso, secondo la proposta francese, che le carte politiche sarebbero eccettuate. 4. -Se l'E. V. crede utile di rompere i rapporti, pigliando la presente occasione, parmi che senza fare altre comunicazioni Ella potrebbe dar ordine a Tecco di presentare un ultimatum, nel senso della proposta francese, esigendo una risposta in un termine fisso e breve. Ciò sia detto unicamente per stabilire lo stato presente della negoziazione, e la parte che in essa mi tocca.

Quanto alla questione in sé,· parmi che ove la Spagna accetti la proposta francese, la nostra dignità e il nostro diritto sieno posti in salvo. Non parmi utile una rottura quando non sia resa necessaria dalla stretta esigenza di tutelare queste due cose. Una rottura è sempre cosa oltremodo grave; e trovo che se n'è abusato troppo in questi ultimi tempi, non da noi, ma dagli altri. A che ci gioverà? Io la troverei ammissibile nel solo caso in cui una rottura conduca seco la caduta del Gabinetto Spagnuolo. Se nel di Lei animo entra il pensiero di promuovere una modificazione ministeriale in !spagna, di svincolarsi da ogni riguardo con questa Potenza in guisa da permettere forse anche il meditato sbarco di Garibaldi in Catalogna (dico permettere nel senso di non impedire), se crede che tutto o parte di ciò possa essere il risultato di una rottura, allora ci vedo uno scopo pratico, che può essere approvato o non approvato, plausibile

-o no, ma che può aver capo ed esser materia d'esame. Ma se, come penso, non son queste le idee del Governo del Re, se inoltre è probabile che una rottura, invece di far cadere il Gabinetto Spagnuolo, può forse a sua volta irritare la suscettibilità del geloso onore castigliano, non vedo come le cose nostre potrebbero avvantaggiarsene. Adunque, se la dignità e il diritto del Governo rimangono illesi, parmi possiamo contentarci di questa che è pur sempre una vittoria per noi, e uno scacco per il Gabinetto di Madrid (1). Questo è il mio pensiero, che piglio la libertà di esporle liberamente, come soglio e come Lei vuole ch'io faccia. Ciò nond~meno e in ogni caso, dal lato mio, eseguirò fedelmente le istruzioni che Ella volesse mandarm'i in proposito.
(l) -... per i nostri avversari: cosl in Ricasoli, VI, p. 196.
334

IL MINISTRO A LISBONA, LA MINERVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 26. Lisbona, 9 ottobre 1861.

L'articolo del Giornale del Commercio che ho avuto l'onore di trasmettere all'E. V. col mio rapporto del 23 settembre ultimo scorso, fu causa che qualche giornale spagnuolo e sopra tutti la Correspondencia, in seguito a lettere di qualche reazionario di Lisbona, lo commentasse nel senso di far presentire, che il matrimonio del Re con una Principessa di Savoja sarebbe come il segnale di porre in atto le tendenze iberiche che si attribuiscono al Portogallo. Né mancò il corrispondente di Lisbona di attribuire a me l'ispirazione di quell'articolo.

Oggi lo stesso Giornale del Commercio in un secondo e lungo articolo risponde energicamente alla Correspondencia, e di più smentisce assolutamente che il primo articolo fosse ispirato dal Ministro d'Italia che non conosce, ciò che è di fatto, essendomi lo scrittore dell'articolo intieramente sconosciuto. Ripete poi ciò che disse nel primo articolo, vale a dire, che ove quell'alleanza si effettuasse, sarebbe un avvenimento molto popolare nel Portogallo.

335

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 197-199)

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 11 ottobre 1861.

Il partito di sciogliere la Luogotenenza delle Provincie Napoletane non è stato adottato dal Governo del Re senza grave e pacata ponderazione (1). Esso non si è dissimulato le difficoltà e le conseguenze di questo atto importantissimo, ma le ragioni del dubitare hanno dovuto cedere a considerazioni di più alto interesse.

In questo momento, avuto riguardo allo stato delle cose ed alla disposizione degli spiriti in Italia, il supremo e più urgente bisogno è quello di unificare. Unità di direzione e d'impulso in tutte le parti del Regno, ecco ciò che imperiosamente reclamano lo stato degli affari e la pubblica opinione. Fintanto che la piaga del brigantaggio infestava le Provincie Meridionali, la necessità di un'autorità locale fortissima e quasi direi indipendente dal Governo Centrale era incontrastabile per giungere più sicuramente e con prontezza maggiore ad estirpare quel flagello; ma adesso, grazie alla energia ed alle previdenze del Generale Cialdini, al valore dell'Esercito, ed alla bella condotta delle Guardie

nazionali dell'antico Regno di Napoli, la situazione è sostanzialmente cambiata. Adesso, altri bisogni sonosi invece imperiosamente manifestati, ed il Governo del Re non crede di dover più a lungo differire nel soddisfarli.

Il Governo della Luogotenenza delle Provincie Napoletane era per natura propria e, dirò anche, per necessità di cose, talmente costituito e funzionava in guisa che quasi poteva dirsi, come sopra ho avvertito, un Governo indipendente da quello Centrale. Di qui molti affari gravissimi che il Governo Centrale ignorava, e molte risoluzioni date talvolta ai medesimi che non erano del tutto conformi ai suoi intendimenti; di qui non di rado un indirizzo politico dato a quelle Provincie, che il Governo Centrale avrebbe desiderato diverso. Quali siano o quali possano essere gli inconvenienti di queste anche involontarie divergenze, non vi ha chi a prima vista non scorga. Perciò la utilità manifesta e grandissima di farle sparire, sopprimendo la causa dalla quale prendevano origine.

A questi motivi di utilità si aggiunge inoltre la ragione del principio di unità di cui la pubblica opinione in tutta Italia reclamava ardentemente l'applicazione. Il Governo del Re è informato che questo sentimento non è meno vivo nelle Provincie Napoletane di quello che lo sia nelle altre parti del Regno. Un potere centrale fortemente costituito, che spieghi ovunque la propria azione e ovunque imprima alla cosa pubblica un impulso uniforme, tale è il desiderio universale, e, convien dirlo, perfettamente ragionevole della Nazione italiana.

Ed io credo eziandio che le stesse condizioni di Roma consiglino il provve

dimento del quale è parola nel presente dispaccio. Sono tanti gli intrighi che

colà si ordiscono, tante le mene tenebrose dei nostri nemici colà raccolti, che

si rende necessario l'intervento diretto ed immediato, negli affari di Napoli, di

un governo saldamente compatto e naturalmente meglio informato e meglio

provveduto di mezzi di azione, quale è senza dubbio il Governo Centrale, rela

tivamente ad un Governo tutto locale e fornito in fin dei conti di una autorità

limitata.

Nel ringraziare pertanto il signor Thouvenel delle sue amichevoli osserva

zioni e del sentimento di benevolenza che gliele ha suggerite, Ella potrà franca

mente, signor Ministro, palesargli in risposta e sviluppargli le varie considera

zioni in questo dispaccio dedotte.

(l) Si riferisce a comunicazioni fatte, in via strettamente confidenziale, da Benedetti, per incarico di Thouvenel, a Nigra e da questi trasmesse a Ricasoli il 29 settembre, di preoccupazioni espresse dal Console di Francia a Napoli per l'annunziata abolizione di quellaLuogotenenza e per l'allontanamento di Cialdini (Ricasoli, VI, pp. 181-182).

336

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(A. R. B., cass. 52, n. 23, orig. autografo)

L. P. Londra, 12 ottobre 1861.

Lord Russell ha dato ordine al sottosegretario di Stato Hammond di darmi

comunicazione confidenziale di un suo dispaccio idem a Lord Cowley a Parigi.

Questa redazione, essendomi stata comunicata col mandarmela alla Lega

zione e senza riserve, ho creduto interpretare l'intenzione del Conte Russell

facendone prender copia che acchiudo per V. E. Con questo,_ naturalmente,

s'intende, per parte del Ministro degli Esteri, che questa comunicazione non deve

andar oltre a V. E. ed i suoi colleghi e non aver pubblicità di sorta.

Questo dispaccio s'accorda perfettamente con quanto scrissi all' E. V. dopo le conversazioni avute con Lord Palmerston: è dunque con soddisfazione che vediamo questi due uomini di Stato concordi nelle loro viste su Roma.

Anzi pare che Lord Russell siasi anche modificato più nel senso di Lord Palmerston, non parlando egli più, nel dispaccio, né di adito al mare né dell'isola d'Elba a guisa di villeggiatura. Odo Russell parti per Roma pochi giorni sono ed avrà forse visto V. E. La Corte di Roma mandò ultimamente a Londra un Monsignore per cercar di liberarsi di Odo Russell. Egli ne venne avvertito, benc,hé il Monsignore con frequenti visite cercasse addormentare la sua vigilanza. Ma non credo che nemmeno a vari prelati riescirebbe far richiamare il nipote del Ministro.

Devo ringraziarLa pel dispaccio recatomi da Fiume di Nisi sul misterioso affare di Costantinopoli. Dico misterioso perché l'Incaricato d'Affari di Prussia, amico mio, spergiura che il suo Governo protesta non averci voluto escludere. Anzi gli manda in prova i dispacci di Goltz a Costantinopoli nell'istesso senso. Il Conte Brandenburg mi dice inoltre che la Legazione austriaca a Londra pretende che essi pure non hanno mossa nuova difficoltà essendosi intesa l'ammissione dell'inviato italiano. Parrebbe dunque che da una parte e dall'altra esista qualche malinteso ed è quanto sarebbe utile chiarire. Del resto fui a trovare Layard ieri, il quale mi disse quanto avevo del resto già saputo d'altronde, essersi mandato a Bulwer istruzioni che questo Governo non riconoscerebbe conclusioni di sorta, per cui non avesse l'Inviato italiano deliberato con altri. Parlai ieri con Brandenburg del ripiego trovato da V. E. ed egli, per conto suo, parve trovarlo adattatissimo.

Sto a momenti per partire per Broadlands ove passerò qualche giorno, con i Palmerston. Vien con me Layard ed ho anche persuaso a Milady d'invitar il Brandenburg. Costui me ne parve assai riconoscente e sarà forse ben fatto, che cosi questa diplomazia inglese potrà convincerlo esser miglior partito pel Gabinetto di Berlino di mostrarsi più trattabile sulla questione italiana. Par del resto che Lord Russell abbia preso a favor nostro, su questa questione di Costantinopoli un tuono deciso che non è stato interamente del gusto della Legazione di Prussia, la quale, evidentemente, cercherà di dimostrare o che il nostro Ministro ha preso un granchio e vuoi coprirsi buttando la colpa addosso agli altri o che la colpa sta nel Ministro Turco o forse anche in una tal connivenza di Bulwer stesso. In caso del resto che quest'ultima supposizione fosse vera, e non mi stupirebbe tanto, Bulwer, a quest'ora, avrà capito che qua non si scherza.

337

IL CONSOLE A ROMA, TECCIO DI BAYO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 115. Roma, 12 ottobre 1861.

Si attende tuttavia la decisione della Congregazione dei Cardinali, chiamata a sentenziare ~;ul libro (l) del Padre Passaglia, composta dagli E.mi Altieri,

Bofondi, Reisach, D'Andrea, Cagiano, Mar'ini e Villecourt e che si doveva radunare ieri l'altro. Tale ritardo sembra cagionato da un incidente sollevato dallo stesso Chiar.mo Professore, il quale, la sera antecedente alla adunanza, credè doversi presentare al Cardinale Altieri, Prefetto di detta Congregazione, e dichiarandosi autore del libro in questione, chiedere, in virtù del prescritto da una Bolla di Benedetto XIV, la facoltà di venire ascoltato, e difenderlo prima che si condanni. Si dubita però molto, che tale eccezione sia stata appoggiata ed ammessa.

Il degnissimo Professore, quantunque consigliato da quasi tutti i suoi amici a sottrarsi colla fuga alle ire del Vaticano, vuole star fermo al suo posto, dando esempio della fermezza di un vero Sacerdote, difensore di una giusta causa. Io non ho potuto che fargli plauso, e confortarlo in cosi nobile proposito, comecchè un atto di debolezza gli riuscirebbe dannoso. Sono d'altronde persuaso, che tale contegno del Padre Passaglia inquieta assai più la Corte di Roma, che nol farebbe col liberarla dalla sua presenza, e che non spingerà mai le cose tant'oltre da divenirgli di soverchio pregiudicievoli. Davanti alle esigenze ed agli arbitrii di un Governo, che lo vorrebbe perdere, s'alza gigante ed imperiosa la pubblica opinione, che gli è pur forza rispettare.

Ho creduto però di mio stretto dovere di prevenire gli avvenimenti, coi mezzi di cui posso disporre, a senso di quanto V. E. mi prescrive coll'ultimo di Lei dispaccio in cifra, del 3 corrente (1). Ho perciò invocato, in di Lei nome, l'assistenza del Console Inglese, ed abbenchè il Padre Passaglia, siccome Toscano, non sia qui riconosciuto qual R. suddito, sul riflesso che lo è in fatto l'ho persuaso ad accordargli protezione, rimanendo egli altrimenti senza alcun appoggio. Il signor Severn, che, mi è grato il dirlo, trovo sempre pronto ed animatissimo a proteggere gli interessi del R. Governo, ad esso officiosamente affidati, perseverò nel suo compito generoso, e mi promise la più franca cooperazione, cominciando coll'offrirmi l'ospitalità nella sua abitazione consolare, che spera inviolabile, pel Chiar.mo signor Professore, ove per maggior sicurezza lo richiedesse.

Ignoro fino a qual punto queste benevole disposizioni del signor Console possano tradursi efficacemente in atto, ma comunque la di lui mediazione non può a meno di tornar utile, ed attenuarne ogni possibile conseguenza, finchè piaccia a V. E. procurargli più valido appoggio con una protezione officiale.

P. S. -Vengo sul momento informato che il libro in questione è stato condannato dalla Congregazione dei Cardinali, senza dichiarare però che egli ne sia l'autore, essendo stata eliminata la questione pregiudiziale da esso suscitata di venire ammesso alla discussione. Il Decreto di condanna non entra nel merito dello scritto, ma è motivato dall'impressione sfavorevole dal medesimo prodotta, e dallo scandalo che può cagionare.

(l) Si tratta dell'opuscolo Pro caussa italica ad episcopos catholicos, auctore presbyterocatholico, Firenze 1861.

(l) Manca.

338

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONSOLE A ROMA, TECCIO DI BAYO

T. 603. Torino, 13 ottobre 1861, ore 13,55.

Dites au Père Passaglia qu'il maintienne son ame à la hauteur de la position qu'il a pris devant le monde catholique. Je ferai démarche voulue auprès du Gouvernement Anglais (1).

339

L'INVIATO STRAORDINARIO A BERLINO, DELLA ROCCA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in E. DELLA RoccA, Autobiografia d'un veterano, 2a ed., Bologna 1897-1898, II, p. 137 n.)

T. 875. Berlino, 13 ottobre 1861, ore 13,07 (per. ore 19,30).

J'ai fait visite à Clarendon que je connais déjà; il m'a offert ses services et demandé s'il pouvait ètre agréable au Roi et au Gouvernement de parler à Bernsdorf et au Roi lui-mème, l'occasion se présentant, pour arriver à la reconnaissance de notre Royaume. «Je suis très lié et très ami avec le Ministre > -me dit-il -«et pour le moins je tacherai de connaitre les raisons du retard et l'époque probable de votre reconnaissance :~>. Je ne lui ai pas laissé ignorer que je ne puis pas parler politique ni prononcer le mot «reconnaissance » avec les Prussiens, mais je n'ai pas cru devoir réfuser. Je pense que le Ministre Anglais veut avoir l'honneur de notre reconnaissance pour ne pas le laisser à la France. Ma politique à moi est de profiter de cette circonstance. En attendant je suis assuré du bon vouloir de Clarendon qui désire que notre séjour à Berlin nous soit utile. J'ai mis au courant De Launay.

340

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 352. Berlino, 13 ottobre 1861.

Mes télégrammes du 3 octobre répondaient aux questions qui m'avaient été posées par V. E. Le dernier de ces télégrammes contenait les renseignements que j'avais puisés au Ministère des Affaires Etrangères, sans laisser entrevoir qu'ils m'avaient été réclamés de Turin. J'ai cru qu'il valait mieux avoir l'air

de prendre moi-meme l'initiative, pour ne pas avoir l'air d'attacher trop d'importance à la chose.

Le courier de Cabinet est arrivé le 5 courant. Aussitot après avoir reçu l'avis du départ de S. E. le Général de La Rocca, j'ai pris toutes les dispositions nécessaires pour préparer l'équipement complet de l'Ambassadeur. Il a fallu pourvoir à tout depuis l'escarpin des valets de p'ied, jusqu'à la perruque des cochers, et aux plumes du chasseur. Je suis parvenu non sans peine à procurer deux voitures convenables, dont l'une de gala.

J'ai arreté un appartement à Berlin dans le meilleur hotel. Dans l'incertitude s'il serait encore possible de trouver des logements à Konigsberg et lesquels, j'ai pris le parti de me rendre incognito, dans cette ville avec le courrier Balesio. Le Vice-Consul du Roi avait gracieusement offert de nous donner à tous l'hospitalité; mais il y aurait eu de l'indiscrétion à nous implanter chez lui avec un personnel assez nombreux si l'on y comprend une dizaine de domestiques. Ce n'est que par une circonstance très heureuse qu'on a pu nous caser dans le premier hotel de Konigsberg, précisément le meme qu'a choisi le Due de Magenta.

En attendant j'avais télégraphié au Général de La Rocca d'etre ici si possible le 10 au matin, soit pour dévancer, le cas échéant, un Envoyé de François II, soit pour qu'il déterminat lui-meme différents arrangemens. Il est effectivement arrivé à cette date. Il s'est fait annoncer au Ministère des Affaires Etrangères. Vers la meme heure on y a reçu la notification du Due d'Ossuna, et dans la soirée celle de Lord Clarendon. Le Due de Magenta n'est arrivé qu'aujourd'hui.

La préséance sera réglée d'après la date de la notification officielle de l'arrivée. Ce sera donc ou notre Ambassadeur, ou celui d'Espagne qui sera chef de file, quand il aura été vérifié lequel des deux s'est annoncé le premier; selon le dicton bien reconnu en diplomatie: Primus et ultimus sunt in honore pares. Néanmoins, comme je l'ai dit plus haut, il ne fallait pas trop tarder à faire acte de présence pour ne pas etre rangé derrière un Ambassadeur de François II dans le cas où, contre toute probabilité, il prendrait à ce Souverain déchu la fantaisie de se faire représenter au couronnement.

En ineme tems, j'ai bien fait comprendre aux Diplomates anglais et français que notre Ambassadeur n'était venu ici avant tout le monde, que sur mon appel et pour se concerter avec moi différens détails de logement etc. etc. et nullement avec la puérile prétention de s'assurer la préséance.

Bref, tout me parait combiné pour le mieux dans les limites que nous a laissés le peu de tems que nous avions devant nous.

(l) Prima che potesse pervenire il dispaccio da Roma del 12 ottobre, Ricasoli aveva ricevuto il seguente telegramma (n. 874 del 13 ottobre) di Teccio di Bayo, consegnato a Rieti: c Un décret condamne le livre de Passaglia sans en déclarer l'auteur. Je prie, V. E. d'intéresser le Gouvernement Anglais à charger son Consul ici à le protéger officiellement. Je l'ai déjà disposé •.

341

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 353. Berlino, 13 ottobre 1861.

Une Circulaire du Comte de Bernstorff en date du 10 courant, nous a prévenus de son entrée en fonctions, comme Ministre des Affaires Etrangères.

Je me suis empressé le meme jour de lui faire ma visite officielle.

Dans ce premier entretien, j'ai pu me convaincre que l'entrevue de Compiègne n'avait en rien modifié les dispositions bienveillantes, mais expectantes, de la Prusse à notre égard. Au dire du Comte de Bernstorff, les conjonctures actuelles et les ciconstances particulières du Cabinet de Berlin lui conseillent de ne rien précipiter. Il n'admettait pas meme que la reconnaissance de la Prusse dut précéder celle de la Russie, la première de ces Puissances étant obligée parsa position soit vis-à-vis de l'Autriche, soit vis-à-vis de certains Etats de l'Allemagne, à observer une plus grande réserve.

En me prévalant des arguments que V. E. m'a fournis à Turin, j'ai cherché à faire comprendre que ces atermoiements ne servaient aucun des grands intérèts de l'équilibre européen. J'ai mème déclaré en mon ame et conscience que la Prusse commettait une faute de lèse-nation, en ne nous prètant pas son appui moral.

Le Comte de Bernstorff n'a allegué aucune raison sérieuse pour justifier l'attitude de son Gouvernement.

Un télégramme expédié aujourd'hui à Turin par le Général de La Rocca contient des renseignements qui nous sont précieux. Je pousserai de mon mieux à la roue, pour que quelques résultats favorables naissent des bons offices qui nous sont offerts.

D'après toutes les indications qui me sont parvenues sur Compiègne, l'entrevue a essentiellement été un acte de courtoisie et de bienveillance personnelle entre les deux Souverains. Des conséquences favorables s'en dégageront peutètre plus tard; mais pour le moment on m'assure que de part et d'autre on s'est tenu sur une extrème réserve. La grande question à l'ordre du jour n'aurait pas été abordée. Il était presque convenu qu'on s'expliquerait pour accélérer les négociations du Traité de Commerce entre la France et le Zollverein; mais mème sur ce point le Roi Guillaume a gardé le silence, sans doute pour ne pas compromettre une liberté d'action qui se traduit souvent par la liberté de ne rien savoir faire à propos.

Il ne resterait donc que ce fait qui a sans doute son importance, c'est que la rencontre des Souverains des deux grandes Puissances limitrophes est un gage de paix pour leurs peuples.

Nous partons le 15 pour Konigsberg et nous serons de retour le 20 au soir. Les fètes se prolongeront jusqu'à la fin du mois.

Hier j'ai offert à diner à l'Ambassadeur et à tout le personnel de sa mission. Le soir j'ai réuni les Légations dont les Gouvernements nous ont reconnus, les personnages qui ont été envoyés à Turin, ou décorés par, nous, pensant qu'il serait agréable au Genéral de faire dans un cercle privé une partie des connaissances qu'il devra rencontrer officiellement à Kon'igsberg.

P. S. -Le Comte Bernstorff n'a reçu jusqu'ici aucun avis de l'envoi d'un Représentant ad hoc de François II.

342

IL CONSOLE A BELGRADO, SCOVASSO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Duplicato a) R. CIFRATO S. n. (1). Belgrado, 13 ottobre 1861.

J'attends lettre introduction pour faire visite officiellement au Prince Miche!. J'ai fait visite officieuse, m'a reçu avec bienveillance marquée.

Je crois pouvoir de plus en plus vous assurer de mon excellente position. Consul d'Autriche a été défié en duel par un Officier serbe sous prétexte qu'il n'a pas été convenable devant le Prince Miche! au bai municipal du 29 Septembre. Le Consul avait raison, il s'est plaint et obtenu satisfaction. Opinion publique très prononcée contre Autriche. M. le Chevalier Mondain, chef escadron Etat-Major de l'armée française que le Prince M.ichel, il y a environ un an, demanda à la France pour diriger le M.inistère des Travaux Publics, est nommé Colone! chef de l'armée serbe, et chargé du M.inistère de la Guerre.

La Russie perd donc du terrain, l'Autriche l'a perdu tout à fait, et pour le moment France en gagne beaucoup. Ministre des Affaires Etrangères m'a confié qu'il a demandé au Consul Français trente mille fusils à pierre; Consul répondu que son Gouvernement les lui rendra à condition que cela se fasse ouvertement: France s'engagerait demander au Sultan permission pour les passer. Ministre du Prince Miche! désire, dans le cas que le contrat ait lieu, que

V. E. fasse appuyer les démarches de l'Ambassadeur Français par le Ministre du Roi à Constantinople. Veuillez m'indiquer réponse à faire si le cas arrive. Ministre des Affaires Etrangères m'a demandé des ouvriers armuriers habiles.

Hier est passé d'ici Charles Mayerfy, Hongrois, sous le nom de Charles Karlato, avec passeport du Consul Italien à Constantinople; il m'a dit etre envoyé du Major Buda de Bukarest à se concerter pour enrOler des hommes pour la Légion Hongroise. Veuillez dire ce qu'il y a de vrai, car des Hongrois se présentent tous les jours pour s'engager, et je refuse meme de leur délivrer des passeports.

Correspondance par voie d'Autriche il faut la chiffrer. Je vous écrit par Constantinople en détail.

Si V. E. me l'ordonne, je crois pouvoir obtenir, garanti par le Prince Miche!, moyennant conditions pas onéreuses, dépot d'armes dans un point quelconque de la Servie. Lors de ma visite, le Prince Michel m'a fait comprendre d'une manière marquée son besoin d'armes, et de la grande difficulté de les faire arriver en Servie. J'ai répondu que lorsqu'on veut fermement, avec de la constance et loyauté on réussit presque toujours. Deux jours après cette conversation, et quelques jours avant entretien sur la demande faite au Consul de France, le Ministre des Affaires Etrangères est venu me voir, et après m'avoir entretenu des efforts que le Prince Michel a faits en Croatie et dans les Assemblées de la rive gauche du Danube et de la Save, pour les mettre d'accord avec les Hongrois, me dit que la Servie avait grand besoin de fusils; voyant que je ne répondais pas, me demanda si notre Gouvenement pourrait lui en fornir moyennant

2i -Documinli diplomatici -Serie I -Vol. I

payement et dans ce cas, s'il se chargerait de les faire arriver jusqu'ici au risque

du Gouvernement Serbe. J'ai répondu que j'ignore complètement les intentions

de mon Gouvernement à cet égard.

Jusqu'ici mes informations confirment les assertions du Ministre soit rap

port aux Hongrois qu'au défaut d'armes, mais j'ai besoin de m'en assurer mieux;

il me faut une personne parlant slave ou allemand et le français ou l'italien, si

V. E. veut m'autoriser à la prendre, car on ne saurait étre jamais trop prudent avec ces Messieurs.

Lorsque V. E. le voudra on pourra, je le crois, mettre pour condition à la chose l'autorisation d'un dépot esclusivement à nous et sans contrOle, dans les endroits que nous voudrions, sous la garantie du Prince Miche!, faite de manière à le compromettre lui seui en cas de déloyauté, ou autre accident. Que V. E. soit tranquille, je ne ferai percer aucune idée, je ne m'engagerai en rien sans ordres.

(1) L'originale fu bruciato.

343

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, ALL'INVIATO STRAORDINARIO A BERLINO, DELLA ROCCA (Ed. in E. DELLA RoccA, op. cit., II, p. 137 n.)

T. 608. Torino, 14 ottobre 1861, ore 16,35.

Nous avons promis au Gouvernement Prussien de ne faire aucune démarche pour la reconnaissance à l'occasion du couronnement; par conséquent si Clarendon fera des ouvertures, il doit étre bien entendu que ce sera sans aucune participation de V. E. Veuillez en causer avec de Launay. Je prie V. E. de chiffrer en entier ses télégrammes, car sans cela il serait trop facile de les lire en route.

344

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL PRINCIPE GIROLAMO NAPOLEONE (Ed. in Ricasoli, VI, pp. 201-203)

Torino, 14 ottobre 1861.

Le bienveillant intérét que V. A. I. a toujours montré à l'égard de la cause

italienne, les grandes services qu'Elle lui a rendus en tant d'occasiona, m'encou

ragent à m'adresser à S\J. magnanimité en la priant de vouloir une fois encore

faire usage en faveur de l'Italie de sa haute infl.uence.

La question de Rome est notre plus grande difficulté: je dirai méme qu'elle est la cause de toutes nos difficultés. Le Gouvernement du Roi, mon maitre, n'a rien négligé, ni rien omis pour en faciliter la solution; mais jusqu'à présent, je regrette de devoir le dire, tous ses soins et tous ses efforts ont été infructueux. Dernièrement encore le Gouvernement italien animé par ce désir et souhaitant une conciliation honorable pour tous, et qui respecterait la dignité et l'indépendance du Saint-Siège en assurant sans secousses et d'un manière amiable les droits légitimes de l'Italie, a communiqué officiellement au Gouvernement de S. M. l'Empereur, Votre Auguste Cousin, un projet de convention avec la cour de Rome, en le priant de vouloir bien se faire auprès du Saint-Siège l'organe intermédiaire de nos propositions et d'en conseiller le favorable accueil. Ce dernier essai est aussi jusqu'à ce moment resté stérile, et, en attendant, la situation devient tous les jours plus tendue et plus difficile.

V. A. l. connait trop bien tous les éléments de la question italienne, sa pénétration et son discernement politique sont trop grands pour que j'aie besoin de lui démontrer combien ces retards sont funestes à la constitution régulière et pacifique du Royaume d'Italie, et à sa consolidation. Sans parler de la protection, des encouragements et de l'appui de toute sorte que les partis réactionnaires trouvent à Rome pour troubler de là en toute sécurité la tranquillité du reste de l'Italie, il n'est malheureusement que trop avéré que tous les partis extremes profitent avec empressement de cet état de choses pour agiter et alarmer l'opinion publique, et pour attaquer et affaiblir le Gouvernement qui, seul, représente et défend au meme temps l'ordre et la liberté. Et le pays, en effet, commence à donner des indices de tristesse et d'inquiétude.

Et à ce propos, permettez-moi, Monseigneur, de vous dire avec franchise que si ces résultats sont regrettables, très regrettables pour l'Italie, je ne crois pas du tout qu'ils soient bons pour la France. Il y a désormais entre ces deux nobles pays tant de liens, tant de communantés d'intérets et de vreux, tant d'avenir pour la cause du progrès et de la civilisation que tout ce qui nuit à l'un ne peut pas certainement etre avantageux pour l'autre. Au contraire l'Italie constituée, forte et reconnaissante sera pour la France une force, et un beau titre de gioire; et le jour où par la France, ou avec son consentement l'Italie recouvrera sa capitale, sa gratitude envers sa génereuse alliée sera à l'abri de toute épreuve et de tout évènement.

Tel étant, Monseigneur, le vér'itable état des choses, j'ose espérer que

V. A. I. daignera donner un nouveau témoignage de sa sympathie à la cause de l'indépendance italienne en appelant l'attention de S. M. l'Empereur Napoléon, sur cette très grave question de Rome, et en sollicitant son puissant et bienveillant concours pour la résoudre. Les liens du sang qui unissent V. A. l. à l'Auguste personne de l'Empereur, sa haute position dans l'Etat, l'autorité enfin que lui donne la superiorité bien reconnue de son intelligence, tout contribue, Monseigneur, à m'inspirer la confiance que Votre précieuse intervention pourra etre féconde de grands résultats. Je Vous supplie conséquemment de vouloir bien l'accorder en faveur d'un pays qui a déjà envers Vous une grande dette de reconnaissance, et qui à cette occasion n'aimerait pas mieux que de la voir augmentée.

345

IL CONSOLE A ROMA, TECCIO DI BAYO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE S. n. Roma, 15 ottobre 1861.

Confermo a V. E. i miei rapporti particolari del 1, 5 e 12 ottobre, spediti il primo per mezzo del Console Inglese in Civitavecchia, e i due ultimi con

quello del R. Intendente in Rieti. Riferendomi a quanto Le accenno con rapporto in data d'oggi ai nn. 1169-137, Aff. della Cane. Eccl., mi reco a premura di informarLa, che la corrispondenza unita al mio rapporto ai nn. 1164-132 in data del 27 settembre u. s. che V. E. mi segna non esserLe pervenuto, consisteva in un altro confidenziale datato 28 id. ed in una lettera al di Lei indirizzo statami consegnata dal signor Battarelli. Nel detto mio foglio particolare informavo V. E. sulla posizione del professore Passaglia, che quantunque oramai a tutti conosciuta, credo bene di riassumere a di Lei intelligenza addebitando tali indicazioni alla data di detto rapporto:

«Sua Santità ha significato al Cardinale Antonelli che a meno di una ritrattazione al noto libro del P. Passaglia, è disposta a dare un esempio, ed ove si lasciasse quietare l'affare lo risveglierebbe certamente il nuovo di lui opuscolo che si attende da un momento all'altro. Il Chiarissimo Professore non si lamenta punto di qui trovarsi, ed anzi mostra il coraggio di affrontare le conseguenze della sua posizione; crede però di suo stretto dovere, per corrispondere alla fiducia che gli manifesta il R. Governo, di mantenersi nelle vie della moderazione, persuaso che la di lui cooperazione possa tornar utile agli interessi del medesimo, e della causa che con tanto patriottismo difende :..

Questa mane il professore Passaglia è stato perquisito nella sua abitazione, ma nulla gli si trovò di compromettente: lamenta soltanto che gli furono sequestrati tutti i suoi manoscritti (1), ed uno in particolare, non suo, ma del fu Cardinale Tolomei, ex-Gesuita (2), al quale particolarmente si avvisava, poiché il brigadiere dei gendarmi che operavano la perquisizione, ne fece replicate domande agli astanti, prova evidente che tale visita arbitraria ha avuto luogo dietro impulso dei Gesuiti. Il professore non si trovava presente alla medesima, ma si era sottratto senza dubbio che potessero arrestarlo. Ora la posizione del suddetto è divenuta critica e non è più il caso di temporeggiare, potendo essere rinchiuso al S. Uffizio.

Una persona di mia fiducia e conoscenza che lasciò testé il Cardinale De Silvestri, amico al Passaglia, venne dal medesimo consigliato a decidere in ogni modo il Professore a partire, perchè il Vaticano è talmente esasperato da agire senza alcun riguardo, e con tutta acrimonia. In conseguenza sto disponendo per ciò che sarà di maggior convenienza onde porlo in salvo, e spero riuscirvi dentro oggi (3).

(l) -c Perchè se li teneva in casa? È egli sì semplice da non conoscere con che volpi aveva da fare? •· [Annotazione marginale, a matita colorata, di pugno di Ricasoli]. (2) -Si tratta del teologo e professore al Collegio Romano, Giovan Battista Tolomei (1653-1726), cardinale dal 1712. (3) -Il Padre Passaglia lasciò Roma il 16 ottobre, arrivando la sera a Poggio Mirteto e il giorno appresso a Rieti, ospitato dal quel R. Intendente, a cui Ricasoli aveva telegrafato il 16: c Usi al Padre Passaglia tutti i possibili riguardi • · Riparti il 18 per Siena e Torino.
346

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE 22. Parigi, 16 ottobre 1861.

Pregiomi riferire a V. E. quanto seppi da fonti autorevoli intorno alla visita fatta all'Imperatore in Compiègne dal Re di Prussia.

La cortesia la più squisita e molta cordialità furono usate dall'una e dall'altra parte. L'Imperatore andò egli stesso ad attendere l'Augusto suo ospite alla Stazione della ferrovia, e il Re di Prussia fu largo di decorazioni alla Corte Imperiale, e prodigò il denaro alla gente di servizio. Ma questa parte che si può chiamare esteriore, della visita di Compiègne fu già fatta conoscere dai giornali (1). Rimane a sapere ciò che fu detto dai due Sovrani nelle due conversazioni che ebbero da soli il 7 e 1'8 corrente.

L'Imperatore disse alcune parole sulla questione dei Ducati agitata tra la Danimarca e l'Allemagna. Approvò la condotta misurata e prudente del Re di Prussia in questa vertenza e l'impegnò a fare tutti gli sforzi perchè la questione non rivesta tali caratteri da far temere una rottura.

Passò quindi l'Imperatore a parlar dell'Italia e domandò al Re di Prussia se non avrebbe riconosciuto il nuovo Regno. Il Re Guglielmo rispose ch'egli non era contrario, in principio, alla ricognizione del regno italiano, ma che giudicava prudente di non affrettarsi e di aspettare una occasione propizia dall'un lato, e dall'altro un maggior consolidamento dell'attuale ordine di cose nella penisola, che non gli pare abbastanza sicuro in questo momento.

L'Imperatore trattenne il Re intorno al progetto di trattato commerciale che si sta negoziando tra la Francia e lo Zollverein. Domandò che si accettassero le chieste riduzioni di tariffa sui vini e sui tessuti di seta francesi. Ma pare che il Re di Prussia abbia dichiarato l'impossibilità di aderire a questa domanda appoggiandosi alla necessità in cui si trova di tutelare i vini e le seterie del Regno, che soffrirebbero d'una riduzione sui prodotti similari della Francia.

L'Imperatore sarebbesi inoltre !agnato dell'Inghilterra e dell'alleanza inglese, per la quale avrebbe fatto, e invano, i più grandi sacrifizii. Avrebbe conseguentemente tentato di dimostrare che gl'interessi reciproci della Prussia e della Francia chiamerebbero le due nazioni ad essere amiche ed alleate. Non credo però che l'Imperatore abbia posto la questione d 'una vera alleanza tra

In un riassunto di articolo del Daily News, dell'8 ottobre, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di Torino del 9, n. 246, si leggeva: c All'epoca di Villafranca la Prussia ha dichiarato che un attacco contro la Venezia per parte della Francia e dell'Italia sarebbe respinto dalla Germania. Ora il Ministro Schmerling prevenne la Prussia che i Francesi abbandoneranno entro breve tempo Roma agli Italiani, e che un attacco contro la Venezia seguirà nella prossimaprimavera. In questo stato di cose l'Austria avrebbe reclamato dalla Prussia non solamente che marciasse sul Reno nella prossima primavera ma ben anche che ne facesse immediata dichiarazione. Questa domanda dell'Austria sarà stata probabilmente accompagnata dalla promessa di concedere alla Prussia la supremazia nella Confederazione Germanica. La Prussia prima di rispondere all'Austria volle investigare le intenzioni dell'Imperatore Napoleone, e frattanto il Conte de Bernstorff differi il riconoscimento del Regno d 'Italia. La Francia risposealla Prussia che un personale abboccamento fra i due Sovrani sarebbe stato il miglior mezzo di togliere ogni incertezza. Ecco il perchè il Re di Prussia è a Compiègne •.

la Prussia e la Francia in certe eventualità, e massime in caso di rottura coll'Inghiterra. Ad ogni modo è certo che questo discorso non ebbe seguito nè risultato di sorta (1).

(l) Con rapporto del 9 ottobre, n. 515, Nigra aveva trasmesso ampiamente la ·cronaca esteriore della visita del Re di Prussia all'Imperatore dei Francesi in Compiègne nei giorni 6, 7, ed 8 s. m ., limitandosi a c notare che per ben due volte i Sovrani di Francia e di Prussia ebbero colloqui privati, ai quali nessuno ha assistito •. .

347

IL CONSOLE A BELGRADO, SCOVASSO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 2. Belgrado, 16 ottobre 1861.

Confermo il precedente mio rapporto in cifra in data del 12 andante (2j.

Nei miei rapporti ebbi l'onore d'accennarLe che il Principe Michele si era adoperato a Carlowitz ed a Neusatz in favore degli Ungheresi sebbene infruttuosamente, ma mi ero sempre riservato di assumere in proposito più ampie informazioni. EccoLe ora ciò che ho saputo.

Il signor Garachanine, prima di partire per Costantinopoli, fu inviato dal Principe Michele a Vienna ed a Pesth; a Carlowitz ed a Neusatz fu mandato il signor Ristich Giovanni, segretario dell'ultima Scoupscina, entrambi colla missione, da quanto essi affermano, di conciliare gli interessi dei Serbi e degli Ungheresi, per d'istaccare quelli dall'Austria. Ma per me tutto ciò non è ben chiaro. Io dubito assai che si tentasse di staccare i Serbi dall'Austria per unirli realmente all'Ungheria; penso invece che ciò si volesse fare per annetterli al Principato Serbiano, ed eccone le ragioni:

l. In Carlowitz ed in altri punti di quel paese ebbero luogo in quel tempo (1861) dei banchetti ove in presenza del Generale Philipovitch, Commissario Imperiale al Congresso di Carlowitz (ora comandante in Semlino), si fecero dei toasts entusiasti sull'annessione dei paesi serbi dell'Austria al Principato Serbo, ch'essi, gli oratori, appellavano nel loro entusiasmo, il Piemonte slavo.

2. Il Principe Michele ha un'immensa ambizione e questa è divisa dai suoi Serbi, i quali aspirano non solo al possesso della Voivodina, di parte del Banato e di tutti i paesi dell'Impero Austriaco abitati dai Serbi, ma altresì della Croazia, del Montenegro, della Slavonia, della Dalmazia, della Erzegovina, della Bosnia, di Novi Bazar, etc. perchè si credono i predestinati a formare l'Impero Sudslavo.

Infatti se il Principe Michele non avesse intrigato per unire i Serbi dell'altra riva del Danubio e della Sava al suo Principato, come avrebbero essi potuto andar tant'oltre nelle loro aspirazioni di nazionalità sino a desiderare un'unione cosi difficile, per non dire impossibile, almeno per molti anni ancora?

E se l'Austria non avesse abilmente ed occultamente fomentato, infiammato questo sentimento di nazionalità, questo mal ponderato desiderio d'unione ch'essa sapeva irrealizzabile per allontanarli vieppiù dagli Ungheresi, come avrebbe potuto il Commissario imperiale soffrire che si emettessero, lui presente, dei voti così ostili, cosi rovinosi al Governo che rappresentava, lui che al Congresso di Carlowitz toglieva la parola agli oratori che parlavano in favore dell'unione all'Ungheria?

L'Austria è astuta, nessuno lo ignora, ma ciò che stupisce è la sua fortuna nel trovar sempre dei semplicioni che credono alle sue lusinghiere insidie, dei baggiani come i Ministri del Principe Michele, che le servono d'istrumento senza avvedersene, e finalmente delli incorregibili come gli Ungheresi, che, invece d'aver fatto tesoro della terribile lezione ricevuta nel 1848, persistono negli stessi errori e si condannano all'impotenza, anzi che fare delle concessioni ragionevoli.

Il Principe Michele pare dunque probabile si adoperasse per attirare a sè quelle popolazioni, e siccome non avrebbe potuto. tentarlo risolutamente ed apertamente mentre l'Ungheria non fosse stata alle prese coll'Austria, è da presumere che aspettasse quest'occasione per eseguirlo. Senza parlare delle gravi conseguenze che ne sarebbero derivate al suo Principato, osserverò soltanto che i popoli serbi della sinistra sponda del Danubio e della Sava sono laboriosi, intelligenti e civilizzati, mentre quelli del Principato si destano appena dal sonno della barbarie e ne sono ancora tutti intorpiditi. Come credere adunque che quelli avrebbero voluto assoggettarsi a questi ?

Se l'annessione dei Serbi austriaci al Principato era veramente il movente delle pratiche fatte in Voivodina ed in Ungheria, bisogna convenire che il Governo Serbo s'illuse. E sarebbe stato uno strano interessamento questo che il Principe Michele faceva credere di prendersi a pro degli Ungheresi.

Dal sin qui detto l'E. V. può giudicare dell'abilità del Gabinetto di Belgrado, ed aggiungi che fra i suoi membri, io temo, ve ne siano dei poco leali (l) ed il Principe poi è difficile da indovinare. Però, ad onta di queste difficoltà, la forza delli eventi deve ridurre, come verrò dicendo, il Principe od a rinunciare al suo avvenire, non di quello ideale, ma dal realizzabile che è ben lusinghiero, od a percorrere la via che lo condurrà ad ostilizzare seriamente l'Austria.

Vediamo adesso che cosa fa il Governo Austriaco. L'Austria non perde tempo. Essa in questo momento, credo, negozia cogli Ungheresi e Croati e, pel caso probabile che non riesca d'indurii a mandare i loro Deputati al Reichsrath, ha già in pronto il seguente progetto elaborato dal Ministro Schmcrling, una copia del quale è stata trasmessa al Patriarca Rai:atchitch, di Carlowitz, che molti credono gran patriota serbo, intendo dire del partito nazionale, favorevole agli Ungheresi, mentre altri lo dicono Austriaco sfegatato, venduto all'Austria, come lo è quasi tutto il clero ortodosso, ed il cattolico. Io non posso ancora assicurare se sia patriota od austriaco, ma non dev'essere molto favorevole agli Ungheresi, è bensi influentissimo presso tutti i Serbi della Voivodina, Banato, etc. Questo progetto però non è ancora stato presentato al Consiglio dei Ministri, nè fu sanzionato dall'Imperatore.

Ecco in sunto il progetto: l. Accorda ai Serbi un Voivoda di loro elezione.

2. Ricostituisce la Voivodia com'era nel 1849 e le concede un'amministrazione indipendente, eccettuatene però le finanze e la guerra. 3. La Voivodia così. ricostituita eleggerà i Deputati per la nomina del Voivoda. 4. Il Voivoda serbo siederà nel Consiglio dell'Impero alla destra dell'Imperatore (il Bano di Croazia siederà alla sinistra). 5. In compenso di queste concessioni l'Imperatore chiede

ai Serbi d'inviare i loro Deputati al Reichsrath. Dunque se l'Ungheria e la Croazia militare persisteranno nel rifiuto d'inviare i loro Deputati al detto Consiglio, questi paesi vi saranno rappresentati dai Deputati serbi.

Or ecco i candidati alla dignità di Voivoda che da quanto pare presenterà il Governo Austriaco:

l. Il Principe Alessandro Karagiorgiovitz, ex-Principe della Serbia, espulsatone nel 1858, e rimpiazzato dal Principe Milosch, padre dell'attuale.

Questo candidato è appoggiato dalla sua numerosa famiglia, dai suoi partigiani, e dai malcontenti del Governo Serbo, tutti dimoranti in questo Principato; da Monsignor Pietro Vescovo dei Reggimenti di frontiera di Kalchtan (frontiera di Croazia) partitante russo, ex-Metropolita di Belgrado, stato pensionato da Milosh perché antico e fedele amico del Principe Alessandro, chiamato a Carlowitz nei scorsi giorni dal Patriarca per raccomandargli, da quanto si dice, la candidatura di Karagiorgiovitz e finalmente si pretende, non so con quanto fondamento, che sia appoggiato anche dalla Russia.

2. -Generale Radosavlevitch (serbo della Voivodina), già Console Generale a Belgrado. 3. -Il Generale Stratimorovitz (pure della Voivodina), Console Generale a Genova poco prima del 1859. 4. -Il Generale Mamula (Dalmato).

Il candidato del partito nazionale, cioè del partito che desidera l'unior:.e della Voivodia all'Ungheria, è il signor Tcharnoiewitch. Discendente del Vladika (Vescovo) e «Despota» di questo nome che sul finire del secolo 17.mo dalla Turchia passò in Ungheria con circa 40 mila famiglie, fra le quali si annoveravano circa centomila guerrieri, e che combattendo vittoriosamente contro i Turchi li scacciò dai paesi che sono ora abitati dai Serbi discendenti di quelli ch'egli comandava, ed ottenne dall'Imperatore Leopoldo I, Re d'Ungheria, nel 1690, i privilegi che tolti, dati e ritolti più volte, vuole ora ridonare l'Austria alla Voivoida. Questo candidato è lo stesso che fu inviato (nel 1861?) a Pest dal partito nazionale serbo per trattare un'alleanza tra la Voivodia e l'Ungheria, che non ha potuto concludere.

Come l'E .V. scorge, l'Austria non dorme. Il Governo Serbo (del Principe) coll'attuale Ministero non sa, nè potrebbe intraprendere cosa che valga nella Voivodia, ed il Principe, come si è veduto, non ha grande influenza in quei paesi, giacchè non potè trionfare a Carlowitz.

Il Principe Michele non può desiderare il trionfo del candidato Karagiorgiovitz che dalla Voivodia lo minaccerebbe nel suo seggio Principesco. Non può vedere innalzarsi alle frontiere del suo Principato una nazionalità serba potente senza timori di venirne col tempo assorbito.

Non può dunque sperare di trovare nel Governo dell'Imperatore austriaco un alleato sincero e disinteressato.

Nè lo può nella Russia, la quale si direbbe che vuole condurlo, a forza di crearle imbarazzi, nelle sue braccia, ma con fini che non possono convenire nè al Principe Michele nè all'indipendenza del suo Paese.

Ecco dunque, secondo pare, come egli trovasi nel bivio o di annullarsi, o di seguire una politica più ferma, più risoluta e, dirò, più sagace e dignitosa, quella di gettar la maschera e camminare arditamente contro i piani dell'Austria sventandone le trame, svelandone le insidie. È bensì vero che non è influente, come ho testè rimarcato, dall'altra sponda del Danubio e della Sava, ma quando si lavora con fede, con costanza, con impegno e sopratutto con abilità, sempre si giunge a qualche cosa. In questa via potrà trovare, io credo, le simpatie di due Nazioni favorevoli al diritto ed all'indipendenza dei popoli.

Esporrò adesso come può il Principe percorrere con frutto questa via.

Non certo coll'attuale Ministero.

In questo Principato vi sono due soli uomini veramente capaci -uno è il sig. Garachanine, l'altro il sig. Marinovitch. Il primo è un uomo leale, savio, buon cittadino, ed abilissimo, che conosce perfettamente il suo paese, la politica, gli uomini e le cose; l'altro è pure abilissimo, intelligente, ma pel momento devoto alla Russia, e l'E. V. ricorderà che nel mio rapporto del 26 settembre scorso al

n. l ne indicai il carattere volubile, ambizioso, e niente sicuro (l); però soddisfacendo la sua ambizione coll'affidargli un portafoglio, e vigilandolo, si potrebbe per qualche tempo far assegno sul suo abile concorso.

Dunque un Ministero Garachanine-Marinovitch potrà forse operare un miracolo, ma temo che quando si ricorrerà a questo espediente, al quale bisognerà alla fin fine ricorrere, non sia troppo tardi, perchè il tempo stringe. Nei scorsi giorni si parlava molto di questa combinazione, ma ora sembra per lo meno aggiornata.

In questo stato di cose io oso sottomettere al savio giudizio di V. E. se non sarebbe conveniente di fare risolvere Kossouth e Klapka a scrivere ai Capi ungheresi in Pesth di fare ai Serbi le concessioni che medita fare l'Austria, tanto più che fui assicurato avere il Patriarca di Carlowitz detto che li Serbi preferirebbero ottenere dagli Ungheresi condizioni anche più modeste, che non ricevere dall'Austria le magnifiche che loro vuole offrire, forse perchè hanno il presentimento che l'Austria giocherà la stessa partita del 1849, cioè che tolse nel 1852 quel che aveva concesso nel 1849: ma queste pratiche non ammetterebbero dilazione.

Non mi resta più che a parlare delle forze di questo Principato e lo farò di volo. La Servia non conta che 2 mila uomini di truppa d'infanteria ancora in via di organizzazione. Possiede due batterie di campagna di sei cannoni e due obici caduna: una a Belgrado, l'altra a Kragujevaz.

Due squadroni di cavalleria forse 340 uomini in tutto.

100 circa giandarmi.

Queste sono le truppe regolari, alle quali si devono aggiungere i 50 mila uomini di milizie nazionali (istituite colla legge votata nell'ultima scoupscina) le quali sin ora non esistono che sulla carta, ed anche esistessero effettivamente mancherebbero d'armamento. È vero che non è serbo che non sia armato, ma d'armi che ricordansi della guerra di Karagiorgiovitch contro i turchi (1804) e forse più antiche.

Se manca il Governo serbo di buoni fucili non manca però di cannoni. Ne ha 72 in Kragujevaz e questa fabbrica ne fonde tutti i giorni.

Si riducono a percussione 18 mila fucili in pietra vecchi o di provenienza diversi. Si fanno in Maydamper 250 projettili (palle di cannone, obici, etc.) al giorno, e fra poco questa quantità verrà raddoppiata. Della polvere ve n'è, e se ne fabbrica giornalmente in molti luoghi del Principato.

Ora giudichi, Eccellenza, se con queste forze, con un commercio languido, senza industria o quasi, con un'agricoltura che lascia tutto a desiderare, con delle finanze meschine (1), mancante di quelle leggi che fanno fiorire uno Stato e vi attirano la ricchezza e l'abbondanza, può la Serbia realizzare tante conquiste quante ne sogna per costituire l'Impero Sudslavo.

Con tali forze, però, ben organizzate, e con un'abile politica può ragionevolmente sperare di spezzare i pochi legami che ancora l'assoggettano all'alta sovranità ottomana, e prepararsi a raccogliere quella parte d'eredità d'un Impero che minaccia rovina, che potrà venirle assegnata.

Il Console Generale di Russia è da circa venti giorni assente da Belgrado; si è recato a Vienna per una settimana per suoi affari particolari, secondo egli disse, ma vi è chi crede che il suo prolungato soggiorno in quella dominante abbia relazione alla politica che si agita in Voivodia, ed in questo Principato.

Il Principe Michele ha interpellato la Compagnia Franco-serba che fabbrica i proiettili in Maydamper, se colà si potrebbero fabbricare dei buoni fucili. La compagnia risponde che facendo venire dal Belgio, ove son meno costosi gli operaj se ne fabbricherebbero eccellenti, ma sinora nulla si è risolto.

L'E. V. sarà già informata che l'Austria ha decretato una leva di 25 mila uomini tra l'Ungheria e la Croazia, ed aggiunge un quarto battaglione ai reggimenti del suo esercito.

Pare che i 12 mila uomini chiesti all'Ungheria saranno contrastati, e forse ancho chiesti alla Croazia.

P. S. -Non posso fidarmi della posta austriaca, le mie lettere particolari giungono aperte, ne ho ricevute cosi due jeri.

(l) -Con annesso cifrato al dispaccio da Francoforte 16 ottobre 1861 (n. 888) Barrai comunicava a Ricasoli: • La correspondance Rothschildt de Paris arrivée ce soir à Francfort affirme que le Roi de Prusse a été extremement surpris des idées étranges de l'Empereur sur les différentes questions du moment et qu'il a surtout été frappé de l'animosité de son langage contro l'Angleterre •. (2) -Si riferisce al rapporto in cifra del 13 ottobre.

(l) Io deggio qui, per un senso di giustizia, far un'onorevole eccezione a favore del Ministro della Guerra sig. Cav. Mondain (francese), uomo distintissimo sotto ogni rapporto.[Nota dello Scovasso].

(l) Non pubblicato.

348

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 205-207)

L. P. Londra, 18 ottobre 1861.

Ho preso commiato dai Palmerston ieri per tornare a Londra. Ma ho dovuto prometter loro di tornar domani; epperciò ho cercato stamani vedere il Conte Russell, finalmente tornato dalla Scozia. Egli mi disse d'aver ricevuto da Lord

Palmerston, a cui lo diedi, il telegramma di V. E. circa il noto Padre (1). E temendo non s'avesse dal console Inglese una cifra, avea pensato bene di mandar apertamente un telegramma per dirgli facesse all'occorrenza quanto dipendeva da lui ignorandosi in fondo qua a quali pericoli sia esposto ed in qual modo le autorità riceverebbero doglianze inglesi. Non so fino a che punto questo empressement a servirei non possa forse indisporre una Corte gelosa come quella di Roma. Basta, sarà come sarà.

Mi disse poi che Odo Russell probabilmente non tarderà a giungere. Aver raccomandato a lui ed a Cowley di far in modo che al suo traversar Parigi vedesse l'Imperatore, onde raccontargli quanto esso coi propri occhi avea visto a Roma. Ma non desse consigli di sorta. Difatti vide l'Imperatore e gli parlò a lungo. S. M. gli disse di nulla pentirsi di più, che d'avere autorizzato la spedizione a Roma. Ora era fatta e non vedeva troppo come sortirne. A tre diverse riprese l'Imperatore domandò che soluzione gli si consiglierebbe. Ma sempre Odo, fedele alla consegna, mantenne il silenzio. S. M. parve disapprovasse le misure da V. E. prese circa i conventi. Al che risposi osservando: l. che le misure mi parevan prese prima che morisse il Conte Cavour; 2. che erano soprattutto dovute al cugino Pepoli; 3. che, benchè decretate, non si erano poi mandate ad esecuzione.

Del resto ringraziai Lord Russell a nome del Governo, non solo per le parole pronunziate a Newcastle, ma per avermi comunicato il dispaccio a Cowley. Lord Russe! disse a questo proposito che crederebbe di sana politica che V. E. cogliesse qualche occasione di pubblicamente asserire o ripetere, che la persona del Pontefice sarebbe in ogni caso inviolabile, anche ove tenesse un linguaggio che non ci convenisse. Vale a dire che non vi sarebbe pericolo che lo trattassimo come quei prelati che abbiamo mandato pei fatti loro.

Domandai cosa avesse scritto Bulwer circa la conferenza. E mi disse che aveva biasimato il Governo Turco, Aali Pacha avendo avuto la debolezza, per contentar tutti, di decidersi ad aver abboccamenti separati, pensando, non si sa con quale ragione, che certe Potenze obietterebbero ad incontrarsi in conferenza col nostro Rappresentante. Mentre qua le Legazioni Prussiane ed Austriache pretendevano il contrario. Soggiunse Lord Russell quest'osservazione che forse sarà utile tener in conto, cioè che l'Austria aveva obiezioni personali contro Cerruti, accusandolo d'aver tempo fa fomentato disordini sul Danubio. E difatti mi ricordo, quando vennero sequestrate armi dal Principe Couza, che Lord Palmerston.parve un po' sorpreso che, nello stesso tempo in cui avevan luogo questi sequestri, il Cerruti ricomparisse a Costantinopoli. Al che rispose il Conte Cavour che desso andava in Persia.

Ho parimente dato comunicazione a Lord Russell del dispaccio relativo agli Archivi Napoletani. Egli mi disse che Crampton ne aveva parlato a Collantes, il quale, asserendo in primo luogo, che il Governo Spagnuolo aveva il gius a favor suo, stupiva che facessimo tanto chiasso per cosi poco. Ma riconobbe Lord

Russell, leggendo il dispaccio di V. E., che l'affare non poteasi chiamare di poca entità.

La spedizione al Messico si sta sempre negoziando, ma nulla di conclusivo si è fatto, benchè la Spagna abbia promesso d'aspettar gli altri per agire. Meno male che gli Spagnuoli abbian di che occupar la loro attività altrove che in Italia. Benchè ambedue, Lord Palmerston e Lord Russell, paian convinti che finchè O'Donnel resterà al potere, nulla di serio si tenterà contro dalla vicina penisola.

Oggi ho pagato al Foreign Office la somma per l'abolizione dei diritti di stade e fra breve manderò a V. E. i documenti officiali a questo riguardo. Sarà forse opportuno far annunziare che sin d'ora i nostri bastimenti godono privilegi uguali a quelli delle altre potenze segnatarie.

(l) Il Budget serbo ascende a 20 milioni di piastre (4 milioni di franchi) e quest'anno il deficit è stato di 4 milioni di piastre (ottocentomila franchi). Il Governo spera che il nuovo sistema d'imposte votato nell'ultima Scouptcina produrrà abbondantemente per coprire il deficit e far fronte al Budget. Io non so come si potrà ripartire equamente l'imposta senza il Catastro che in Serbia non esiste. [Nota dello Scovasso].

(l) Si riferisce al Padre Passaglia. Ricasoli aveva telegrafato (n. 607) ad Azeglio il 14: c Veullez prier le Cabinet Anglais de recommander à son Consul à Rome de protéger le Père Passaglia. Le Consul ne sait trop comment s'y prendre, parce que Passaglia étant Toscan n'est pas considéré à Rome comme sujet du Roi •.

349

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(A R B, cass. 52, n. 33, orig. autogr.)

L. P. Londra, 18 ottobre 1861.

Da qualcuno nella sua confidenza mi si suppone che Rattazzi possa venire a Londra onde completare le opinioni udite in Parigi con quelle degli uomini di Stato inglesi. Amo le situazioni nette e chiare, e perciò mi rivolgo a Lei per saper come devo regolarmi. Poichè, se queste esplorazioni rattazziane si fan d'accordo con V. E. è un conto, se poi il Presidente desiderasse facilitarsi l'adito alla Presidenza del Consiglio non toècherebbe a me a mischiarmi in queste operazioni, non essendo affar mio in nissun caso, ma soprattutto nel caso attuale, essendo opinione ferma in me che nissuno può meglio di Lei star alla testa del Ministero.

Sicuramente non ho nessuno di quei pregiudizi che da molti si hanno contro Rattazzi e crederei utile la sua presenza in uno dei Ministeri. E non ho il minimo dubbio che la pensano esattamente così anche i Ministri Inglesi.

Ho trovato ieri Panizzi tutto crucciato riguardo a una brochure stampata da Normanby circa il Duca di Modena. In essa si dice largo e tondo che Farini ha rubato a Modena parte della lingeria del Duca portandosela a Saluggia. Io non ne feci gran caso, poichè o si può spiegar la cosa naturalmente oppure, se trattasi di qualche enormità, dev'essere facile di contraddirla. Però parrebbe utile di dar una risposta, poichè se no si troveran compromessi anche Gladstone e chi ha preso a cuore gl'interessi fariniani. Panizzi mi ha dunque pregato fargli pervenire una lettera ed io gliela mando.

Il curioso è che certi Modenesi, in questo momento a Londra, ed alla verità opposti allo stato attuale, sostengono anch'essi che a Modena .si crede che la cosa sia realmente così. Ad ogni modo ci vuole una contraddizione di qualche sorta.

Le sarò obbligato di rispondermi due righe circa il Rattazzi.

P. S.-Dopo scritto quanto precede mi recai da Bernstorff nel caso ove non fosse partito ancora. Difatti lo trovai quasi al momento di salire in carrozza e mi ricevette per pochi momenti. Gli dissi che sapendosi a Torino le buone relazioni ch'esistevano fra noi ed avendo occasione riservata per scrivere a V. E. forse avrebbe sembrato strano che nulla io avessi scritto riguardo alla quistione principale ora pendente fra i due paesi. Mi rispose che per conto suo nulla sapeva di più di quanto erasi discusso relativamente all''inviare un'Ambasciata italiana a Konigsberg: punto risoluto negativamente. Osservò poi che si differirebbe la ricognizione sinchè il nostro dominio nel Mezzodì paresse realmente più assicurato. Terminò dicendo non esser, a parer suo, la ricognizione cosa nè imminente nè sicuramente così vicina, come certi giornali avrebbero voluto farlo credere. Mostrò gran desiderio e speranza di tornar qui come Inviato. Ed i miei voti nel medesimo senso furon sincerissimi.

Il liberalismo di Bernstorff è cosa più che problematica ed i membri delle altre Legazioni tedesche son persuasi che per questa ragione egli non resisterà alle prossime elezioni. Non solo dobbiamo desiderare la sua caduta; ma mi stupisce che la stampa in generale abbia cosi facilmente ammesso questa sua riputazione liberale. Il solo suo cheval de bataille è il suo accanimento in senso tedesco per la quistione dello Schleswig Holstein. Quindi, l'altro distintivo, è una detestazione profonda dei Francesi e dell'Imperatore. Onde mal dissimula l'interna ed intensa stizza per la futura visita a Compiègne, consolandosi in petto col tour che si sta preparando di un contr'altare con l'Imperatore d'Austria.

350

IL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. 52, n. 35, orig. autogr.)

R. s. n. Bruxelles, 18 ottobre 1861. Je viens d'apprendre de bonne source que la nouvelle qui se trouve dans les journaux d'aujourd'hui, que M. le Baron de Vrière, Ministre des Affaires Etrangères, a offert au Roi sa démission, est exacte. On attribue cette démarche à la dissidence qui existe entre le Roi et son Ministre au sujet de la reconnaissance du Roi d'ltalie. Rien ne pourra etre décidé à ce sujet avant lundi prochain, car le Roi ne reviendra de Liège que dimanche soir. L'imminence du départ du

courrier ne me permet pas de m'étendre d'avantage sur cette crise ministérielle, ce que je ferai prochainement.

351

IL CONSOLE A ROMA, TECCIO DI BAYO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 117. Roma, 19 ottobre 1861.

Il Console Inglese ha ricevuto ieri, per telegrafo, da Londra, l'ordine di accordar protezione al Padre Passaglia, e di munirlo, occorrendo, di passaporto.

Questa generosa disposizione del Governo Britannico, dovuta agli alti uffici di

V. E., ha prodotto in noi tutti la più grata impressione, e quantunque giunta tardi, sarà feconda di ottimi risultati. Non tardai difatti a convincere il signor Severn, che tali istruzioni poteva interpretarle siccome egualmente applicabili in consimili circostanze, mentre d'altronde serviranno di insegnamento alla Corte di Roma, che la mano del R. Governo è sempre pronta ad alzarsi in nostra difesa, e la intervenzione di Potenza amica a cooperarvi efficae€mente.

Siffatta misura non cessa in pari tempo di essere utile allo stesso Padre Passaglia, avendo io tosto impegnato il signor Console a volersi adoperare, onde le carte tutte state al medesimo sequestrate, siano religiosamente conservate, consistendo in gran parte in opuscoli e trattati inediti, parto prezioso del suo ingegno, i quali potrebbero venir sottratti, adulterati o da altri appropriati. Egli ha già praticato i passi opportuni a questo proposito, e prego la squisita cortesia di V. E. di volerne rendere avvertito il Chiar.mo Professore, che era oltremodo dolente di questo furto letterario, che tanto lo sacrificava nel frutto dei suoi studii dotti ed elaborati.

Ora che il Padre Passaglia si trova in salvo, si va qui sussurrando che il Governo Pontificio non si sarebbe attentato a vie di fatto contro il medesimo, al di là della subita perquisizione. Ignoro fino a qual punto queste asserzioni siano giustificate; qualche cosa di verosimile vi può essere nel senso della esecuzione degli ordini da parte della Polizia, che ne era incaricata, ed in specie di Monsignor Matteucci, forse degli altri più moderato, per cui il Padre Passaglia riuscì più facilmente a sottrarsi ma è pur vero altresì che Sua Santità non intendeva transigere, esacerbata qual si mostrava più che dalla lettera ai Vescovi, dall'opuscolo sulla scomunica, ed aveva manifestato rigorose intenzioni.

Mi è grato intanto constatare a V. E. siccome i detti opuscoli abbiano già prodotto gravi dissensioni in questo Clero, anche nella gerarchia elevata, le quali non tarderanno a tradursi in aperta scissura. Ciò che vi ha più potentemente cooperato, si fu l'arbitrio del Vaticano, di non volere ammettere l'autore alla legittima difesa del libro incriminato, contro il disposto di Bolle Pontificie, mostrando di non volerne affrontare la discussione. Sarà ben più allora quando la parola autorevole del Deg.mo Professore si farà sentire in nuovi scritti, e queste scissure nei membri istessi della Chiesa in Roma consacreranno vieppiù la pubblica opinione, che deve ad ogni costo trionfare.

Il Conte di Goyon, a meno di un contr'ordine, partirà domani per Parigi, chiamatovi dall'Imperatore. Si crede generalmente che egli sarà richiamato dal suo posto, considerandosi la sua posizione siccome incompatibile con quella del nuovo Ambasciatore. Sembra che lo surrogherà il Generale Geraudon, qui stabilito da un anno, ma in limiti più ristretti, e puramente militari. Siccome però questo richiamo di Goyon venne altre volte messo in campo senza effetto, non vi si presta ancora tutta quella fede che si vorrebbe (1).

Si pensa eziandio che possa venir richiamato il signor Mangin, Prefetto di Polizia, generalmente inviso alla popolazione, e devoto affatto al Partito Sanfedista, ricevendo stipendii vistosi dalla Corte di Roma.

Non essendomi stato fattibile di ottenere in proprietà un esemplare della sentenza di questo Supremo Tribunale contro Cesare Lucatelli, ne ho fatta diligentemente redigere una copia, che mi reco a dovere di qui acchiudere a V. E.

Mi si comunicano in questo punto alcune indicazioni su movimenti reazionari, che mi vengono da buona fonte, ma dei quali non posso rendermi sufficientemente garante. Comunque credo opportuno di qui trascriverle.

Stassera partono 100 reazionari per Subiaco, che uniti con quelli di ieri l'altro sono 180, che vanno a raggiungere Chiavone sulla montagna di Sora. È combinato che lunedì prossimo si debba sorprendere Sora, aiutati dicesi dalla guardia Nazionale. Una forte banda per la via dei monti si porterà nelle Calabrie per unirsi ai reazionari che devono sbarcare a Pizzo. Tutta la sollevazione progettata deve aver luogo il 26 corrente. Chiavone è stato provveduto di munizioni fattegli pervenire da Roma.

L'ex Gesuita D. Simonetti trovasi tuttavia nelle prigioni di Termini. Sembra che dalle carte stategli sequestrate, nulla si sia trovato di veramente compromettente a di lui carico: ciò non ostante si teme assai che non venga rilasciato.

P. S.-Accludo a V. E. una lettera della nota persona pel signor Ferdinando Ramognini Segretario al Ministero dell'Interno, ed un piego per il signor Celestino Bianchi contenente carte del prof. Passaglia.

(l) In data 21 ottobre (n. 895) Nigra telegrafava da Parigi: • Goyon doit en effet arriver en France vers la fin du mois, mais il n'y a nullement été appelé. Depuis longtemps déjàle Général sollicitait un congé rendu nécessaire par le soin d'intérets purement privés et qu'il a récemment obtenu. Je tiens ces renseignements du Ministre des Affaires Etrangères. Rattazzi verra demain l'Empereur à Compiègne •·

352

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO (Ed. in Ricasoli, VI, pp. 208-213)

L. P. 5. Torino, 20 ottobre 1861.

La vertenza romana ha a questi giorni avuto un punto determinato, che non è un progresso, ma è una data accertata. Quando il signor Benedetti venne in Torino e presentò le sue credenziali, io ebbi con lui più di un colloquio intorno la vertenza romana. La presenza delle truppe francesi a Roma e gli stretti rapporti che le battaglie del 1859 hanno formato tra l'Italia e la Francia, fanno sì che non si possa prescindere dal consultare il Governo Francese nelle cose di Roma. Così io ebbi ad uniformarmi alle conseguenze di tali circostanze, e procurare di rivolgerle a qualche utilità.

Ogni qual volta si parlava di Roma al Governo Francese, questi faceva sentire che la soluzione dovea venire piuttosto dall'Italia che dalla Francia stessa, anzi, questa essendo desiderosa di richiamare le sue truppe, aspettava che l'Italia le ne porgesse l'occasione per farlo. Invero l'Italia le ne potrebbe porgere più d'una delle occasioni, e non è dall'Italia che dipende se Francia non trova ancora il destro di lasciare Roma. Per l'Italia la Questione Romana è già sciolta da un pezzo, e se ne agita soltanto perchè sulla strada che dee condurla a Roma, vi incontra le baionette francesi che ne sbarrano la strada; nè basta, chè queste baionette da ora in poi, temo forte, che come servono di grande danno all'Italia, perché tutto si fa a Roma contro di noi, serviranno di ancor più danno al Papato, che la sicurezza che trova nelle armi francesi spinge all'ultimo tracollo.

Appunto in vista di questo inevitabile fine, io volli non essere nè complice, nè spettatore passivo; volli giustificare al mondo la lealtà del Re e del suo Governo; volli che la nazione chiarisse al mondo quali sentimenti ella abbia verso il Capo della Chiesa. In questo intendimento, conosciuto che Benedetti aveva sentimenti di adesione al mio pensiero, volli che non restasse più nei limiti di un pensiero, di una idea vaga, o appena formulata, o consistesse in un progetto abbozzato. Trattandosi di una cosa grave, gravissima, che potrebbe avere risultati così solenni ed importanti, trattandosi di richiamare sulla stessa l'alta mente di Napoleone, volli che il progetto fosse elaboratissimo, e compiuto, e non vi mancasse che la firma del Governo. Questo progetto elaborato e compiuto, fu prima rimesso in mano del Ministro Francese perchè lo esaminasse, lo studiasse, e desse poi il suo avviso. In effetto Egli lo ritenne per due o tre giorni; quindi me lo rese con alcune osservazioni, che io accolsi, e modificai in quel senso il progetto stesso, e così perfezionato il Benedetti si tolse l'incarico di portarselo seco, onde sottoporlo all'esame, e alle risoluzioni dell'Imperatore.

Giunto il Benedetti in Parigi, non si tardò a sapere che il progetto in genere non era dispiaciuto all'Imperatore; ma si riservava di fare conoscere le sue determinazioni, al seguito di ponderato esame. Ora il signor Benedetti ha fatto qui ritorno nel giorno 16 corrente, e in questo giorno stesso mi ha significato che ora non era da pensare di presentare il progetto al Papa, il quale stava in tali disposizioni d'animo da far certi che si sarebbe rifiutato di ricevere alcuna proposizione da qualunque J;>arte venisse, che ormai doveva aspettarsi che Lavalette andasse a Roma, e poi si vedrebbe. Ai miei obietti intorno ai danni e ai pericoli cui lasciava esposta l'Italia con tale prolungato indugio, e come allo stesso Papato ne potesse venire grande nocumento, Benedetti rispondeva che l'Imperatore doveva pure tenere in conto lo spirito pubblico in Francia, che versava in grandi difficoltà attesa la crise annonaria e monetaria, e come gli spiriti fossero molto inquieti e agitati, attesa l'opera dei partiti e del Clero. Il quadro che egli mi faceva della Francia era tutt'altro che rassicurante, ed ebbi a dire in me stesso che non avrei barattato l'Italia quale oggi è, con la Francia. Vedete a che porta quando un Governo si mette a far tutto e toglie alla Nazione la sua propria libertà.

In questo stato di cose, e desideroso di provare al Governo Inglese la mia devozione e gratitudine, per le continue prove che egli porge alla Nazione Italiana di sua generosa e nobile assistenza, io ho deciso di rimettere a Lei riservatamente tutto quanto il progetto, che si compone di quattro parti, perchè sia conosciuto pienamente da Lord Russell e da Lord Palmerston, e sarò lieto di avere il loro prezioso parere. Ora questo progetto è divenuto un documento, sebbene non abbia fin qui servito allo scopo cui era destinato.

Io credo che il Papato andrà in perdizione; nè io lo deploro, se ciò sarà secondo gl'intendimenti della Provvidenza. Il Papato si sperderà per sua propria colpa e con l'aiuto della Francia.

Il Padre Passaglia giungerà in breve a Torino, ove il Governo lo ha invitato. Egli ha dovuto fuggire da Roma per porsi in salvo dalle prigioni della Inquisizione.

Grave è il compito del Governo del Re per impedire che la impazienza e la effervescenza popolare non trasmodi in vie di fatto contro il Governo Papale. Io poi grande cura mi piglio per persuadere, e togliere i mezzi per fare simili intraprese, che io stimo oggi funeste. La Nazione italiana oggi non ha più bisogno di rivoluzioni; ma ha bisogno di costituirsi e di consolidarsi, e pur troppo senza Roma questo intento si conseguirà con difficoltà; ma a che ci gioverebbe il ricominciare le rivoluzioni? Noi abbiamo bisogno di fare l'armata pari alle condizioni nuove, e tale da stare dirimpetto alle eventualità che si preparano. Per tutto questo non ci vogliono rivoluzioni nuove; non ci vogliono dei Garibaldi, nè dei Garibaldini. Ma ci occorre Roma, e Roma ci manca, a cagione di un intervento francese, che non ha più scopo, che ci dannifica oltremodo, che disturba la quiete pubblica in Italia, intervento infine che compromette la esistenza del Papato.

Salvo queste gravi ragioni di inquietezza all'interno, io giudico le condizioni d'Italia in via di sensibile miglioramento. L'abolizione dei Governi eccezionali, ponendo sopra un piede uniforme il potere esecutivo, mi dà luogo a sperare che l'azione governativa si farà sentire e più efficace e più uniforme su tutte le Provincie Italiane. Infine sarà questo il primo atto che conduce la unità politica nell'amministrazione d'Italia. Nelle cose più serie e rilevanti, ed in specie dopo una rivoluzione che ha fatto molte rovine, fa d'uopo prefiggersi un buon metodo, e applicarlo non con furia, ma con perseveranza e discernimento. Se nulla venga a disturbarci, io spero che l'Italia fra tre o quattro mesi, avrà una regolare amministrazione e molte grida saranno calmate. Ma dovremo tenerci pure sempre in armi a cagione di Roma!

Qualche parola di me. Io entrai al Governo perchè vi fui violentemente spinto da una forza morale, che m'impose di sottomettermi alla necessità fatale; ma fu un'orribile violenza e lo è tuttora, perchè io sono fatto di Libertà. Accettai anche il Ministero dell'Interno, perchè vi fui pure obbligato dai miei colleghi, non comparendo chi potesse essere proposto al Re per quel posto. Da qualche settimana si parla di prossime mutazioni di Ministero. *Tutto quanto si è detto era falso, perchè fino all'apertura del Parlamento non si toccherà al Ministero*; dopo vedremo. Sembra adunque che molti intrighi si facciano. Io non ho ancora verificato nulla; sdegno di farlo. Dissi bensì al Re che io stavo nel posto per servire Lui e il paese: ma io amavo meglio tornare a Brolio, dove mi chiama l'irresistibile bisogno della vita solitaria dei campi; e che non bisognava costringermi ad un sacrificio così forte, quando vi fosse chi potesse far meglio di me nel Governo.

Ancora due parole sopra un soggetto che ha preoccupato la pubblica attenzione in questi giorni: parlo delle riunioni delle società operaie. È stato un fatto interessante. Il senno e la coscienza pubblica ha fatto ragione di quelle follie, e la vera libertà ne ha guadagnato. L'intervento del Governo, oltre che sarebbe stato illegale, avrebbe sciupato tutto. La libertà non s'impianta senza la libertà. Prova ne sia la Francia dove è tutto precario, e il Governo si preoccupa di ogni opuscolo che si pubblica.

2S ·Documenti dip/omtttici . Serie I ·Vol. I

A Malta si organizzano bande di reazionari a danno dell'Italia. È doloroso che ciò succeda sotto un Governo che ci è amico.

*Io vorrei contentare i suoi desideri intorno la sua domanda per i mobili, e trovo ostacolo negli ordini. Io ho proposto che le sia data una indennità straordinaria in considerazione della esposizione universale che avrà effetto in codesta città.*

353

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONSOLE A ROMA, TECCIO DI BAYO

T. 623. Torino, 21 ottobre 1861, ore 11.

Je voudrais avoir une déclaration formelle et authentique de la personne qui vous a confié que les Cardinaux d'Andrea et De Silvestri ont assuré que

S. S. avait donné ordre d'arreter tout de suite le Père Passaglia (1). Dites-moi s'il est possible de l'obtenir.

354

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(A R B, cass. 52, n. 47, co.)

L. P. Torino, 21 ottobre 1861.

Ella gradisce che io la ponga sulla strada di scuoprire ciò che vi sia di vero intorno agli autori di quelli articoli tendenti a togliere autorità al presente Ministero e a porre me in diffidenza al PL!bblico e al Governo Francese; nè io esiterò a comunicarLe ciò che qua comunemente si dice e viene riferito al Ministero dell'Interno.

È generalmente ritenuto che le corrispondenze lette in alcuni giornali francesi sieno l'opera del Conte Vimercati. Io mi astengo da ogni giudizio, tanto più che per quello che concerne me personalmente io mi sento meglio disposto ad avere ciò per non curato, che per farne risentimento, ma nell'utilità o danno pubblico derivante, io debbo operare in un modo molto diverso, debbo anzi verificare, debbo procurarmi le prove di quanto si attribuisce a codesta legazione, la quale dee essere molto cauta, molto preveggente e molto attiva onde non resti offuscata da un indegno procedere di uno degli addetti al suo personale, che farebbe prova di mancare al primo dovere dell'onore. Nè io intendo tenere

neppur per probabili le cose che si vanno dicendo; bramo sì, e solo questo bramo, che Ella voglia con tutto zelo ed intelligenza verificare; e questo le raccomando molto e tengo fiducia che Ella giungerà al desiderato e pur anco necessario intento.

(l) In un annesso in cifra al rapporto del 16 ottobre (n. 892) Teccio di Bayo aveva comunicato a Ricasoli: • Hier au soir le Brigadier, qui a présidé la perquisition chez Passaglia, lui a manifesté le désir du Cardinal Vicaire de le voir; il s'est bien gardé de s'y rendre (on l'aurait retenu ayant S. S. donné ordre de l'arréter tout de suite. Les Cardinaux d'Andrea et de Silvestri l'ont assuré à personne de ma confiance) et il s'est alors empressé de se sauver. Je lu1 en ai fourni les moyens ».

355

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (Ed. in Ricasoli, VI, p. 214)

L. P. Parigi, 21 ottobre 1861. Ho presentato il comm. Rattazzi, secondo il desiderio da esso manifestatomi, al signor Thouvenel e al Conte di Persigny. Naturalmente sì coll'uno che coll'altro la conversazione s'impegnò sul terreno politico. Il signor Thouvenel ha ripetuto quanto Le scrissi replicatamente intorno alla Questione Romana, e quanto il signor Benedetti Le avrà r'ierito. Ha fatto però due dichiarazioni assai esplicite, di cui giova pigliar nota, e sono: primo, che l'unità italiana è ormai un fatto compiuto, a cui bisogna rassegnarsi; secondo, che il potere temporale è un cadavere, morto mortissimo, ma che non si può ancora seppellire, prima che la convinzione della sua morte sia passata e penetrata nello spirito delle genti. Il Conte di Persigny propone il vicariato per il Papa futuro, giacchè con questo non si otterrà nulla. L'Imperatore però, secondo Persigny, dovrebbe fin d'ora proclamare una tale soluzione. Gramont che vidi ieri, propone un'altra cosa. Egli accetterebbe il contenuto del progetto di trattato, di cui era questione prima della morte del Conte di Cavour, però senza la forma del trattato. Dovrebbe essere una dichiarazione dell'Imperatore. Lavalette dichiara di non avere alcuna idea precisa e netta della questione, e dice che non l'avrà se non dopo tre mesi di soggiorno a Roma. Il Principe Napoleone propone che si domandi di nuovo e con una nota ufficiale il rinvio di Francesco II da Roma. L'Imperatore si mostra preoccupato e tace. Rattazzi lo vedrà domani. Non so nè forse saprò quel che gli dirà, ma son propenso a credere che gli ripeterà in gran parte le cose che disse a Benedetti, quando parti di qui la prima volta, e che io scrissi a V. E. *Il colonnello Palazzi insiste per una risposta alla lettera che ebbi l'onore di trasmetterle. Il povero conte di Capua attende anch'esso con molta ansietà che gli ridica

se il Governo è tuttavia disposto a fargli quella certa anticipazione ch'egli è disposto ad accettare e di cui afferma avere urgentissimo bisogno.*

356

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 22 ottobre 1861.

Ho ricevuto i rapporti ch'Ella mi spedì in data 25 settembre, 2 e 9 ottobre, segnati coi numeri 41, 43 e 44 serie politica.

I dispacci telegrafici che io Le mandai, già Le fecero conoscere il mio modo di vedere rispetto all'incidente avvenuto costi circa la riunione delle Conferenze pei Principati. Ella ha troppo il sentimento della dignità nazionale per non comprendere che, qualunque fosse il carattere della riunione, l'esclusione del Ministro del Re d'Italia era un'offesa ed una violazione dei diritti sanciti dai pubblici trattati. Infatti, quand'anche la riunione non avesse avuto alcun carattere ufficiale, rimaneva sempre una disparità di trattamento fra il Ministro del Re e quello delle altre Potenze, cui nulla potrebbe giustificare. Aggiungerò anzi che, trattandosi di semplici colloquii officiosi, un tale modo di procedere era anche meno scusabile, mancando in questo caso anche il pretesto della ricognizione non avvenuta, per parte di tutte le Potenze, del titolo di Re d'Italia, il quale pretesto avrebbe potuto porsi innanzi soltanto ove si fosse trattato veramente di conferenze ufficiali.

Le notizie che io ricevo da Parigi e da Londra, m'inducono a credere che per evitare ogni difficoltà siasi prescelto il sistema di negoziati diretti fra i Governi interessati. Io non intendo quindi ritornare sopra un incidente che si può ormai considerare come terminato dopo le note scambiate fra S. E. Mehemed Djemil e la S. V. Ill.ma. Debbo bensì significarLe che i due Governi di Francia e d'Inghilterra manifestarono stupore che si volesse escluderci dalla Conferenza: che in egual modo si espressero i Ministri di Russia e di Prussia a Londra; cosicchè sembra lecito di supporre che codesta fosse una gherminella della Legazione Austriaca a Costantinopoli.

Lord John Russel avendo fatto sentire al Governo del Re ch'egli sarebbe stato disposto ad appoggiare il mezzo termine che io avrei creduto dover suggerire per superare la difficoltà nascente dall'essere il Regno d'Italia non riconosciuto da tutte le Potenze segnatarie del Congresso di Parigi, io proposi che s'inserisse nei protocolli delle Conferenze la dichiarazione che l'enunciazione di alcuni titoli non ammessi da tutti i Governi intervenienti alle Conferenze non avrebbe implicato per parte loro alcun riconoscimento. Questo espediente, di cui occorrono moltissimi esempi nella storia diplomatica, fu approvato da Lord Palmerston, che accennò essere stato adoperato dall'Inghilterra sino al trattato d'Amiens. Il Re d'Inghilterra faceva uso cioè del suo titolo di Re di Francia: la Francia dal canto suo faceva le sue riserve con una dichiarazione inserita alla fine del Trattato. lo reputo non superfluo d'indicarLe questo espediente ch'Ella potrebbe mettere innanzi qualora avvenisse di nuovo qualche incidente analogo a quello testè terminato. In tal caso per altro Ella porrebbe diligente attenzione circa i termini in cui sarebbe concepita la dichiarazione, e si atterrebbe ai precedenti che Le ho accennati.

357

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 354. Berlino, 22 ottobre 1861. L'accueil fait à Konigsberg à notre Ambassadeur a été des plus bienveil

lans. Le Roi, la Reine, les Princes et Princesses de Prusse on été pour lui d'une courtoisie parfaite. Il a été traité sur le méme pied que les Ambassadeurs de France, d'Angleterre et d'Espagne. Il y a eu entre autres parité dans les distinctions honorifiques. Le Général de La Rocca a reçu comme le Due de Magenta et le Due d'Ossuna l'aigle noire, l'ordre le plus élevé de ce pays.

S. E. a captivé tous les suffrages, ainsi que j'en ai eu l'assurance de la part de Sa Majesté la Reine, qui s'est plue en outre à faire l'éloge de chacun des gentilshommes de la suite, nommément de M. le Comte de Robilant. Quoiqu'il ait fallu tout préparer dans le court espace de dix jours, le train de notre Ambassade a été trouvé de bon goiì.t et dans une mesure de représentation tout à fait convenable. Sans égaler le luxe d'étalage hors de ligne du Due de Magenta, nous pouvions figurer avec lui sans contraste défavorable, et avantageusement après lui. Les uniformes de notre armée ont généralement beaucoup plu, et comme toujours on les a trouvés martialment portés par les officiers choisis par Sa Majesté.

Jusqu'ici l'Ambassade n'a pas eu le moindre accroc, et comme le pli a été pris à Konigsberg, je ne doute pas qu'il ne se maintienne ici. S'il y a eu des nuances à réformer, c'est sur moi qu'elles auraient diì. déteindre; mais comme je ne suis pas homme à me laisser imposer un coloris qui n'est pas de mon goiì.t, j'y ai immédiatement porté remède. Ainsi ayant appris que les wagons de l'express train destiné au Corps Diplomatique, portaient les noms des différents pays et Sardaigne entre autres, j'ai fait comprendre au maitre des cérémonies que cet écriteau était hors de mise, et il a été convenu qu'il ne paraitrait plus. Nous avons donc voyagé sans étiquette!

A Konigsberg le Grand Cham.bellan de la Cour m'a invité à diner comme Ministre de Sardaigne. Mon premier sentiment avait été de renvoyer l'invitation en mettant dessus: Inconnu. Mais comme la Cour manifestait l'intention positive d'une bienveillance marquée, il m'a paru mieux d'éviter un esclandre. Je me suis adressé au Ministère des Affaires Etrangères en lui disant que je voulais croire à une erreur; mais que-si ma présence était désirée à ce diner, il fallait m'envoyer une autre invitation et que je l'attendrais pour m'y rendre. Le Comte de Bernstorff a parfaitement compris, et il m'est arrivé une autre invitation pour l'Envoyé de S. M. le Roi Victor Emmanuel. Le meme incident s'étant présenté pour le Consul, il est venu prendre mes ordres, a agi comme moi, et obtenu le meme résultat.

Au défilé du Corps Diplomatique devant le Roi et la Reine, le Chambellan qui nous annonçait s'est encore servi de la dénomination Sardaigne. Je me suis retourné vers lui et ai rectifié à haute voix.

Avant notre arrivée à Konigsberg, il y avait eu quelques difficultés pour l'écusson du Consulat; mais j'ai manreuvré de manière à ce que le mot Italie fiì.t substitué à l'ancienne appellation.

Le Prince Carini n'a été chargé que le 13 courant de remettre au couronnement à Sa Majesté Prussienne une lettre de félicitation de la part de François II. A cet effet il a été reçu en audience particulière: il n'a au reste joué qu'un ròle très secondaire. Il sentait lui-meme combien sa position était fausse. 11 a trop d'esprit pour ne pas s'etre aperçu que sa présence était un embarras pour le Gouvernement Prussien.

Bref, nous ne pouvons que nous féliciter de nous etre décidés dans ces circonstances à l'envoi d'un Ambassadeur Extraordinaire, et surtout aussi bien

choisi dans la personne de S. E. le Général de La Rocca. Les arrangements concertés à Coblence ont été fidèlement observés. V. E. sait que je n'avais jamais douté des bonnes dispositions de la Cour de Prusse, puisque je m'en portais garant.

L'Autriche, la Bavière, le Wiirtemberg, Saxe-Royale, Saxe-Weimar, le Grand-Duché de Baden, le Portugal, la Belgique et la Russie étaient représentés par des Princes de sang. Sauf chez les Princes des trois prémiers Etats qui ne pouvaient s'attendre à aucune avance de notre part, l'Ambassade est allée s'inserire à leurs demeures respectives, et ils ont rendu la visite en personne. Vu les rapports qui continuent à exister, malgré la rupture diplomatique, entre les Cours de Turin et de Pétersbourg, il a paru, et avec raison, au Général de La Rocca, etre de bon gout de faire également une visite au Grand-Due Nicolas qui l'a lui aussi rendue en personne.

358

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 355. Berlino, 22 ottobre 1861.

Le jour de mon arr1vee à Konigsberg, j'ai reçu le télégramme de V. E. du 14 courant (1). Je n'en ai fait aucune mention au Général de La Rocca. Il m'a communiqué la dépeche télégraphique qui lui avait aussi été adressée à la meme date en réponse à la sienne du 13 octobre. Il est difficile de correspondre avec quelques développements par la voie télégraphique, mais l'Ambassadeur en me rendant compte de certaines ouvertures, m'avait en meme tems dit qu'il était resté bien entendu que, conformément à ses instructions, il ne pouvait prendre aucune initiative, et aucune participation à une démarche quelconque. C'était bien ainsi que l'avait compris son bienveillant interlocuteur. Celui-ci, comme V. E. en a été informée hier par un télégramme (2), a sondé le terrain une première fois. Les raisons alléguées pour justifier de certaines hésitations ne parlent pas en faveur de la perspicacité de celui qui les a fournies. Je suggérerai au besoin, et sans avoir l'air de prendre aucune ingérence, des arguments à opposer à de semblables puérilités.

Je prie V. E. de m'excuser si ma correspondance se ralentit durant cette période de fetes. Mais il est impossible de causer affaires avec les Ministres et les Diplomates. Ce ne sera que dans les premiers jours de novembre, que nous pourrons reprendre nos occupations sérieuses. Il aura été bien établi que nous avons mis les bons procédés de notre coté. Peut-etre conviendra-t-il alors d'accentuer davantage notre langage, et de chercher à prouver au Gouverne

(E. DELLA RoccA, op. cit. II, p. 137 n.).

ment Prussien qu'il est aussi peu de sa dignité que de la notre de prolonger indéfiniment une situation fausse de part et d'autre.

Le Général de La Rocca me tient jour par jour au courant des ses entretiens et de ses impressions. Il fait preuve de beaucoup de tact et sait se concilier les suffrages de tous ceux qui l'approchent.

(l) -Il 14 Ricasoli aveva telegrafato a Launay (n. 609) che si era promesso alla Prussia di non toccare la questione del riconoscimento e che si contava sulla sua « prudence >, e sul suo c tact habituel • perchè il generale della Rocca non commettesse gaffes. (2) -Il 21 il generale della Rocca aveva telegrafato tra l'altro (n. 896): • Clarendon ayantsondé le terrain de sa propre initiative, il m'a dit que Bernstorff doute encore de la stabilité du midi de l'Italie et que la Prusse n'est pas en mesure de rompre ·avec l'Autriche >.
359

IL PRESIDENTE DELLA CAMERA, RATTAZZI, A VITTORIO El\-IANUELE II

(A. Luzm, Aspromonte e Mentana, Firenze 1935, pp. 114-123)

Parigi, 23 ottobre 1861, ore 16,30.

Esco in questo istante dal palazzo delle Tuilleries, dove l'Imperatore ebbe la bontà d'intrattenermi per quasi un'ora e mezza, e mi fo doverosa premura di tosto ragguagliare V. M. intorno alle cose dette in questo colloquio, limitandomi però a riferirlene la sostanza, perchè sarebbe troppo lungo e forse la fastidirei se dovessi trascriverle minutamente ogni parola. Ma prima di farle questa relazione debbo dirle che appena qui giunto mercoledì scorso mi recai nel mattino stesso dal dott. Conneau per pregarlo di farmi avere l'udienza già intesa. Trovandosi il dottore a Compiègne, gli scrissi una lettera. Egli mi rispose subito dicendomi che l'Imperatore era dolente di non aver saputo il mio arrivo in Parigi nel giorno di mercoledì perchè mi avrebbe subito ricevuto in questa città, dove quel giorno trovavasi -mi fissava quindi il giorno d'oggi invitandomi ad andare a Compiègne: ma avendo l'Imperatore dovuto recarsi qui oggi stesso mandò espressamente jeri sera da me Conneau ad avvertirmi che non mi muovessi da Parigi perchè mi avrebbe ricevuto qui alle 10 1fz e così fece.

Debbo dirle del pari che nell'intervallo di questi giorni di aspettativa non ho tralasciato di vedere le persone più influenti e di parlare con loro. Ho rimesso alla Principessa Clotilde la lettera che Ella ebbe la bontà di consegnarmi e nello stesso tempo ho avuto una lunghissima conversazione col Principe Napoleone. Ho veduto in appresso Thouvenel, la Principessa Matilde, Persigny, Gramont, Lavalette ed alcuni altri meno importanti.

In generale, sono tutti favorevoli alla nostra causa, ma mi parvero tutti fra loro dissenzienti nella scelta dei mezzi per giovarla e per uscire dalla posizione difficilissima nella quale ci troviamo.

Il Principe sarebbe per il rimedio radicale -l'abbandono immediato dell'occupazione di Roma per parte dell'esercito francese: adduce ottime ragioni, ma confessa egli stesso che non ha speranza d'essere ascoltato.

Thouvenel vorrebbe Roma città indipendente, dimora del Papa.

La Principessa Matilde s'accosta maggiormente all'opinione del Principe, ma comprende gl'imbarazzi nei quali trovasi l'Imperatore per uniformarvisi. Persigny mette innanzi un accordo tra noi ed il Pontefice con la conservazione di una specie di suzeraineté a favore di questo, e con una eredità in capo di V. M.

sopra tutte le provincie già Pontificie compresa Roma.

Gramont vorrebbe ritornare alle condizioni già intese con Cavour, con questa differenza però che, invece di farsi una convenzione tra la Francia e l'Italia, dovrebbe l'Imperatore dichiarare nettamente dinanzi al Corpo legislativo ed in un proclama, ch'egli intende di lasciar Roma se il governo Italiano è disposto ad eseguire certe condizioni, le quali sarebbero indicate in conformità di quel progetto di convenzione già inteso con Cavour.

Lavalette disse che non aveva per ora studiato bene la questione e che non era quindi in grado di formare alcun progetto.

Di Venezia non si è parlato con alcuno: soltanto discorrendosi col Principe mentre era pure presente il ministro Nigra, questi si lasciò sfuggire, che forse si poteva pensare a Venezia se non si voleva fare qualche cosa per Roma. -Ma a questo semplice accenno il Principe insorse, e disse: Come! Venezia! voler Venezia è volere la guerra. La Francia non può ja1·la: noi non siamo preparati, ed io mi opporrei recisamente. Aggiunse qualche altra frase non troppo benevola per l'Imperatore. Udendo questo, Nigra si tacque, ed io cambiai discorso. Anche Gramont fece con me spontaneamente un cenno sopra Venezia, dicendomi quali erano state le istruzioni in proposito dell'Imperatore onde regolarsi nella sua missione a Vienna. -Mi disse che l'incarico suo era quello di condurre le cose in modo da far comprendere al governo austriaco la convenienza di cedere Venezia con un compenso nell'Erzegovina; mi accertò che avrebbe lavorato vivamente in questo senso.

Del resto, tutti coloro coi quali ho parlato, mentre dichiararono che non conoscevano le precise ed intime relazioni dell'Imperatore, erano persuasi ch'Egli non voleva a patto alcuno ritirare le sue truppe da Roma prima della morte di Pio IX.

Ora vengo al colloquio testé avuto coll'Imperatore, 'il quale fu cortesissimo, e parlò molto, ed in termini precisi, quantunque ordinariamente (da quanto mi si dice) egli serbi un altro contegno.

Dopoché io gli presentai i saluti di V. M., e gli espressi a di Lei nome il

desiderio d'intendersi con Lui prima di prendere un partito, e di non far cosa

che gli fosse disaggradevole, Egli mi disse che gli era grato vedermi perchè

potessi assicurare V. M. che non aveva alcuno che gli fosse amico più sincero.

Ed entrando senz'altro a parlare della questione di Roma senza che io avessi il

tempo di fargliene cenno, o di parlargli d'altro, mi dichiarò colle parole più

recise ch'Egli più di qualsiasi altro desiderava di poterla prontamente sciogliere,

ed essere il modo per giungere a questo scioglimento, che maggiormente occupa

i suoi pensieri; ma soggiunse non vederne per ora la possibilità, ossia non aver

trovato il mezzo per poter convenientemente ritirare le sue truppe da Roma.

Essersi probabilmente fatto male d'andare a Roma per sostenere il Papa, -e

qui si fece a riferire le cause che lo avevano indotto, notando che la ragione di

questo procedimento quantunque da lui consentito dovesse particolarmente attri

buirsi al partito repubblicano e sopratutto al generale Cavaignac, il quale voleva

rendersi benevolo il clero per avere il suo appoggio nella elezione di Presidente,

-ma ora essere un fatto che le truppe francesi si trovano colà e sono indispen

sabili per la difesa del Papa, -essersi sempre per il corso di dodici e più anni

affermato, che queste truppe non si sarebbero ritirate senza che si fosse in modo

sicuro altrimenti provveduto a quella difesa; e sarebbe per lui un déshonneur,

se dopo tutto questo avesse preso una deliberazione contraria. Aggiungeva che noi dovevamo intenderei col Papa per indurlo ad accettare le nostre truppe, ed in quel modo che ci fosse maggiormente possibile, ed allora Egli non avrebbe ritardato a richiamare le sue truppe. Nel corso di questa prima parte del suo discorso per farmi comprendere quanto gli stesse a cuore di andarsene da Roma, e come egli fosse dolente di non poterlo fare mi disse queste precise parole: J e vous assure que, s'il su:fjìsait de me faire couper un doigt pour avoir un moyen de m'en aUer convenablement, et pour trancher sans aucun inconvénient toute question, je le ferais immédiatement, mais...

Allora io gli risposi, che tanto V. M. quanto noi tutti eravamo convintissimi delle favorevoli sue intenzioni rispetto all'Italia e che eravamo altresì penetrati di tutte le difficoltà che poteva presentare l'ordine da sua parte di un pronto ritiro delle sue truppe, ma che non ci pareva che ciò potesse dar luogo ai gravissimi inconvenienti ch'egli temeva, parendo anzi che una misura energica e decisiva avrebbe reso più tranquillo il clero, e gli avrebbe fatto perdere le velleità di opposizione al governo imperiale, togliendogli qualsiasi speranza.

D'altra parte, io gli soggiunsi che per parte nostra non era assolutamente possibile il continuare più oltre senza che si facesse qualche cosa. Gli rappresentai lo stato dei partiti estremi, che si agitano, e quantunque siano per loro stessi impotenti, tuttavia non cessano di fare un grandissimo male se non si può loro togliere la forza che deriva da che si fanno i sostenitori della questione nazionale.

Esistere già gravi difficoltà per l'organizzazione interna del paese, e queste farsi ancora più grandi se non si possono soddisfare le legittime aspirazioni delle popolazioni per l'unità ed indipendenza d'Italia.

Essere del resto, nello stato attuale delle cose, pressoché impossibile far retrocedere queste aspirazioni; poiché dopo le dichiarazioni officiali che si fecero in Parlamento e fuori, sono in generale le popolazioni convinte che Roma non può né deve ritardare ad esser libera fra un brevissimo termine. Togliere in ora questa convinzione essere lo stesso che esporre il governo a perdere il suo più valido appoggio sopra l'opinione pubblica ed accrescere sempre più le file del partito di Mazzini, il quale, per le lentezze che si frapposero fin qui, è già da qualche tempo ingrossato, ed aumenterebbe ognor più se si dovesse lasciare alle di lui mani la bandiera dell'unità nazionale.

L'Imperatore replicò che comprendeva le difficoltà della nostra situazione, ma che non poteva non tener conto della sua, -essere un errore il credere che in Francia si potesse senza pericolo offendere così vivamente il sentimento religioso delle popolazioni, -essere vero che la grande maggioranza dei francesi non è di cagots; ma essere vero altresì che nel loro cuore è radicato il principio religioso, che quindi non tollererebbero che si lasciasse il Papa in balìa de' suoi nemici, senza che vi fosse una ragione fondata, la quale dimostrasse la necessità di questo atto. È questa ragione che cerco, egli disse, da molto tempo, e che non trovo, procurate di aggiustarvela voi col S. Padre.

Soggiunse poi che vedeva realmente che vi poteva essere per noi qualche pericolo; ma avvertì che trattandosi solo di attendere l'opportunità sperava che si sarebbe avuto senno sufficiente per nulla compromettere, non ommettendo di dire che quelle dichiarazioni officiali in Parlamento eransi fatte senza che ei lo sapesse e senza che le avesse approvate.

Io gli osservai che era inutile il giudicare quello che si era fatto; che conveniva invece tener conto delle condizioni attuali, le quali erano più gravi di quello che si poteva supporre ed interessavano necessariamente anche la Francia per quella solidarietà che ora esiste fra le due nazioni. Che non si poteva sperare si contentassero le popolazioni di una continua e sempre incerta speranza. Gli uomini più intelligenti si potevano talvolta appagare, non così le masse, le quali non comprendono sempre le necessità politiche. Quanto all'idea d'un aggiustamento con Roma, noi averne sempre espresso il desiderio ed avere anche formati progetti; ma non conveniva farsi illusioni, essere quest'accordo impossibile, e doversene facilmente l'Imperatore persuadere, poiché noi non possiamo negli accordi partire da altra base, tranne da quella rinunzia del potere temporale, ed il Papa non essere mai per consentire a questa rinunzia.

Del rimanente, nulla essere per noi di peggio che quello stato d'inerzia e d'incertezza nel quale si vive da molti mesi, ed in cui si sarebbe costretti a rimanere, se non si fa qualche cosa: ciò rendere impossibile ogni governo, perché non si sa qual partito prendere col timore di recar danno od all'una od all'altra soluzione, -essere assai meglio venirne ad una, e stabilire precisamente quello che si voglia fare. -Se, io dissi all'Imperatore, V. M. non crede che assolutamente gli sia possibile il richiamare immediatamente da Roma l'esercito francese, ebbene faccia qualche altra cosa, la quale dimostri, come la questione progredisca. Fra non molto dovrà aprirsi il nostro Parlamento; è certo che il Ministero sarà costretto a qualche schiarimento. Ora, che potranno rispondere i ministri? Dovranno dire che V. M. non vuole assolutamente abbandonare Roma; ma in questo caso tutto ricadrebbe sopra di Lei, e noi non intendiamo di nuocerle!

A questo recisamente rispose che vedeva la necessità del governo parlamentare e che conveniva limitarsi a rispondere essere aperte le negoziazioni colla Francia per lo sgombro di Roma, conoscersi le intenzioni sue di andarsene si tosto che sia possibile, ma esistere tali necessità che per ora non consentono quello sgombro: ed intanto proseguire a vivere jour le jour -parole testuali -sola politica possibile insinacché siasi trovato il modo di sciogliere quella difficilissima questione o colla morte del Papa o con un altro Papa più ragionevole.

Insistetti sugli inconvenienti di questa politica, e soggiunsi che postoché pareva ch'egli non volesse pensare all'abbandono di Roma prima della morte del Papa era meglio che lo avesse egli stesso dichiarato dinanzi al Corpo legislativo; così avrebbe fatto cessare le fallaci speranze. Toccai della convenzione che si era già intesa con Cavour per vedere se fosse possibile di richiamarla e gli feci pur cenno dell'idea espressa da Gramont.

Ma tutte queste proposte non gli piacciono. La dichiarazione di voler fare alla morte del Papa essere pericolosa in doppio senso; in primo luogo perché suppone che non si debba far nulla prima, quando invece potrebbe presentarsi l'opportunità di fare; in secondo luogo, perché si scopre agli avversarii il piano di condotta e si eccitano quindi ad attraversarne la esecuzione. Il progetto inteso con Cavour non essere eseguibile, anche perché parte dall'idea di conservare il potere temporale, idea che noi non ammettiamo ed inoltre si vedeva troppo chiaro in quel progetto il pensiero d'ingannare; cosa che non gli pareva conveni0nte!

Insomma, passò in rassegna parecchi progetti; ma fini col dire che non ve n'era alcuno che potesse gradirgli, e che risolvesse le difficoltà.

Debbo poi notare a V. M. che, nel passare in rassegna tutti questi progetti, l'Imperatore mi disse che non poteva nascondere a sé stesso le difficoltà che nell'avvenire si presentavano quando Roma sarebbe stata capitale del regno d'Italia. Accennò dall'un canto ai pericoli che secondo lui si correvano, dovendosi avere la sede del governo in una città nella quale vi erano elementi cosi scomposti, e dall'altro alla difficoltà di poter lasciare nella stessa città ed il re d'Italia ed il capo della religione cattolica, senza timore che questo perda la sua indipendenza, e senza destare le gelosie delle altre potenze cattoliche, le quali non potrebbero indifferentemente vedere un sì potente mezzo d'azione posto nelle mani del re d'Italia.

Non omisi di rispondere a questo riflesso, notando che noi ci eravamo mostrati sempre disposti a dare tutte le garanzie d'indipendenza al Papa, il che escludeva ogni pericolo da questo lato; e gli osservai del resto che se vi erano inconvenienti a temere pel trasporto della capitale a Roma eravene uno molto più grande, quando si voleva persistere in un rifiuto a questo risguardo, perché allora. sorgerebbe un: contrasto di cui è impossibile prevedere tutte le funeste conseguenze fra le principali città d'Italia per determinare la capitale del nuovo regno. Dinanzi a Roma, tutte s'inchinano a torto od a ragione: tolta Roma, tutte insorgono, e non vi è speranza di governare in altro modo Napoli e le altre città di quell'ex-regno.

Ad ogni modo vedendo che era inutile voler indurre l'Imperatore a fare qualche cosa sulla questione romana perché su questo punto ne faceva quasi una questione d'onore, allora entrai nell'altro progetto che mi era indicato da V. M., e dissi all'Imperatore che se non poteva far nulla in ordine a Roma, conveniva almeno far qualche cosa da un'altra parte, onde dare all'opinione pubblica ed agli spiriti più ardenti una diversa direzione, !asciandoci così il tempo e quella tranquillità che ci è indispensabile per ben costruirci interiormente. Osservai che l'Ungheria pareva pronta ad insorgere; che 'il Montenegro, la Serbia, la Transilvania già erano in movimento; che quindi poteva essere giunto il momento di mettere in moto tutti questi elementi per vedere se si potesse risolvere l'altra questione, quella di Venezia, soggiungendo che V. M. era pronta a fare qualsiasi sacrificio, quando potesse intendersi con esso Imperatore, e facendogli altresì presente, che si sarebbe potuto sin ora spingere Garibaldi o nel Montenegro o nelle altre provincie per mantenere colà l'insurrezione.

Dal contegno, dal volto, e dai termini coi quali mi rispose, m'accorsi che l'Imperatore non vedrebbe mal volentieri che quelle provincie insorgessero e sarebbe pur soddisfatto che per parte nostra si ajutassero; ma non credo ch'egli voglia assumere alcuna responsabilità dinanzi all'Europa, perché mi disse che certo quell'insurrezione poteva essere utile, ma conveniva essere molto prudenti. Soyez prudents. Non dissimulò la difficoltà di fare la cosa senza che se ne avesse sentore. Disse che temeva non fosse l'Ungheria in condizioni d'insorgere, anche perché mancava d'armi, e notò le grandi difficoltà di farle giungere colà, accennando altresì al rischio che già si corse altre volte su questo oggetto. Io gli rappresentai che l'Ungheria sarebbe insorta tosto che fosse sicura d'avere un appoggio nell'Italia, ma che non noi potevamo ciò permettere senza che fossimo anche dal canto nostro sicuri in qualunque evento dell'appoggio della Francia; e dichiarai, senza però troppo insistere, che io era persino autorizzato da V. M. a proporre su tale riguardo un trattato d'alleanza offensiva e difensiva ad esso Imperatore: ma egli ripeté che conveniva essere prudenti, e non era bene avventurarsi senza tutte le precauzioni. Sulla necessità d'intendersi passò oltre e del trattato fece sembiante di non avere inteso la proposta. Disse solo che quanto alla Venezia egli sperava di poter condurre a termine la questione, inducendo l'Austria a cederla con un compenso verso l'Oriente; a ciò essere rivolti tutti i suoi sforzi ed aveva speranza di riuscire.

Dopo esserci alquanto lungamente trattenuti sopra questo argomento, inframmettendo tratto tratto altre cose (la condizione di Napoli, che io dissi essere grandemente migliorata da qualche tempo a questa parte; lo stato del nostro esercito, che io assicurai essere assai lodevole per ispirito e per disciplina, e potersi facilmente nella primavera prossima portare a 300.000 uomini; la condizione interna del paese e per le finanze e per l'amministrazione, che io confessai difficili, perché aggravate dalla difficoltà di Roma e di Venezia ma facilmente per sé superabili, se la nostra unità e la nostra indipendenza fosse definitivamente costituita); dopo, dico, essersi interpolatamente parlato di tutto ciò, io volendolo stringere un po' più da vicino, lo pregai a volermi dire in succinto quale risposta dovevo dare a V. M. in di lui nome.

Egli allora mi rispose di dire al re che non gli era possibile abbandonare Roma per ora, perché le condizioni della Francia non lo permettevano, ed egli aveva il suo onore compromesso; assicurarlo per altro che egli desiderava più di tutti d'andarsene, ed avrebbe colta la prima opportunità che si fosse presentata per fare questo passo. Niuno dei progetti finora fatti parergli conveniente, studiare di continuo per trovare un mezzo che giovasse a quel fine, e quando lo avesse, non indugerebbe a valersene. Intanto essere bene che dal canto nostro si dia opera continua ed indefessa per costituirci internamente e bene organizzare l'esercito.

Siccome poi nulla diceva di Venezia, dell'Ungheria... , io gli soggiunsi: E quanto alla Venezia, per la quale mi pareva che si potesse fare qualche cosa, non che alla condotta verso l'Ungheria, cosa dovrò dire al re? Egli allora m~ ripeté ancora: Dites-lui d'étre prudent. Certamente, soggiunse, se si potesse fare un movimento nell'Ungheria, nel Montenegro ed in quelle provincie, sarebbe bene, ma bisogna badare a non compromettersi. E tacque di nuovo quanto all'idea del trattato, che di nuovo accennai di volo.

Questa è la sostanza della conversazione che mi spiace di non averle potuto trascrivere più minutamente, perché mi sarebbe mancato il tempo, non volendo ritardare a lungo la spedizione di questa relazione.

Certo è però da tutto questo che per ora conviene abbandonare l'idea d'andare prontamente a Roma. Sarebbe volersi rompere il capo inutilmente, e con danno. Bisogna attendere l'opportunità, la quale verrà Dio sa quando, ed intanto, come dice Napoleone, vivere jour le jour. La posizione non è certamente gradevole.

Se V. M. avesse ancora qualche idea o volesse far dire qualche altra cosa all'Imperatore, potrebbe tosto farmela conoscere, ne avrei ancora il tempo ed il mezzo, perchè ho chiesto all'Imperatore permesso di scrivergli, qualora mi occorresse qualche cosa; ed egli mi disse che lo facessi pure liberamente, che gli avrei anzi fatto piacere rivolgendomi al dottore Conneau, il quale gli avrebbe tosto comunicato ogni cosa.

Il dottore Conneau, che ho veduto nel frattempo che scriveva questa lettera, mi disse pure di scrivergli liberamente, e mi soggiunse che avendo veduto l'Imperatore dopo il colloquio tenuto con me gli disse queste precise parole: J e suis très content d'avoir pu M. Rattazzi et d'avoir causé longuement avec lui, il est bien loin d'étre exagéré comme on me le disait; mais il me demandait de rappeler mes troupes de Rome, et je ne pouvais lui accorder cela. In verità, non mi sono limitato a chiedere il richiamo delle truppe francesi, ma naturalmente non ho voluto entrare con Conneau in altri particolari.

Io dunque attenderò prima di partire una linea di risposta da V. M., intanto mi varrò di questi giorni per vedere ancora alcuni personaggi, che non mi è stato sin ora possibile di trovare.

Mi dimenticavo dirle che l'Imperatore, nel corso della conversazione mi chiese se era vero che la principessa Pia era sposa col fratello del re del Portogallo, dicendomi che ciò gli avrebbe fatto molto piacere. Io gli risposi che non era informato di questo, e che la cosa mi pareva molto difficile perché la principessa era ancor troppo giovane.

Debbo pur dirle che ho veduto l'ottima principessa Clotilde. Essa, dopo il suo viaggio, divenne ancora più bella, ingrandì e prese un aspetto maggiormente da donna; mi parve molto contenta.

Prego V. M. di scusarmi se non potrà facilmente sempre comprendere questa mia lettera, attribuendone l'oscurità alla fretta colla quale ho dovuto scriverla, premendomi troppo di non ritardare lungamente a ragguagliarla di quanto l'Imperatore mi aveva detto.

P. S. -Omisi di riferire a V. M. che l'Imperatore quando parlava delle difficoltà che avremmo incontrato trasportando la capitale a Roma, mi aggiungeva con una tal quale apparenza di soddisfazione aver letto, or sono alcuni giorni, una lettera d'un deputato italiano, il signore Marliani, nella quale questi diceva che noi dovevamo essere riconoscenti alla Francia perché non ci lascia prendere Roma, mentre se andassimo in quella città noi saremmo imbarazzati più di prima. E parlando dei moti del Montenegro e della Venezia, disse sapere che Mazzini s'illudeva di prendere questa città mandando 400 uomini nel Tirolo per farla insorgere. Aggiunse esser questa un'idea da pazzo.

360

IL CONSOLE A ROMA, TECCIO DI BAYO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 907. Rieti, 24 ottobre 1861 ore 10,20 (per. ore 17,85).

La personne qui m'a fait déclaration, c'est le Sicilien Secrétaire du Cardinal d'Andrea et confident du Père Passaglia (1). Quelque chose je crois obtenir.

44S

(l) Don Antonino Isaia.

361

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI, p. 215)

L. P. Pa-rigi, 24 ottobre 1861.

Il Comm. Rattazzi fu ricevuto dall'Imperatore ieri l'altro, non a Compiègne, come Le annunziai, ma a Parigi. Da quanto mi disse il signor Rattazzi, parmi poter arguire che l'Imperatore ha ripetuto a lui, quello che da due mesi va dicendo intorno alla Questione Romana, cioè: che si crederebbe disonorato, se abbandonasse il Papa in questo momento; che desidera ardentemente di richiamare le truppe francesi da Roma, ma che vuoi farlo convenevolmente e quando si presenti l'occasione propizia; che questa occasione non solo non c'è ora, ma che non la prevede nemmeno finchè il Papa attuale è in vita; che ha grandi difficoltà interne; che l'Italia non perde nulla ad aspettare; che bisogna calmare le inquietudini e le impazienze, ecc. Del resto il comm. Rattazzi mi ha detto che riferirebbe a V. E. la sostanza del discorso dell'Imperatore, al suo ritorno in Torino.

Trasmetto qui unita a V. E. una lettera del Principe Napoleone e una nota annessa con cui S. A. I. domanda una decorazione pel generale D'Aurelles de Paladines. La prego di sottoporre a S. M. la domanda del Principe e di farmi poi conoscere le prese risoluzioni, quali che possano essere. Non posso celarle che se non ricevessi una risposta in proposito mi troverei molto imbarazzato verso il Principe. La supplico adunque di volermi rispondere, non importa in qual modo perchè io sia messo in grado di far conoscere al Principe che ho eseguito la sua commissione.

È giunto il generale Revel. Oggi lo presento a Thouvenel con cui conferisce giusta le di lei istruzioni.

362

IL MINISTRO A LISBONA, LA MINERVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINIS'TRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 916. Lisbona, 6 ottobre 1861, ore 13,05 (per. ore 24).

Roi de Portugal a été ces jours derniers indisposé avec fièvre, aujourd'hui beaucoup mieux. Il me revient de très bonne source que dans un Conseil des Ministres S. M. a parlé de la convenance de son mariage avec la Princesse de Savoie. Mariage, a-t-il dit, réclamé par l'opinion publique. Vu le caractère du Roi, il serait bon d'en parler le moins possible.

363

NOTE DEL KLAPKA SULLA QUESTIONE UNGHERESE (A R B, cass. D. 2, n. 85, C, co.)

Parigi, 27 ottobre 1861.

Les affaires de Hongrie sont entrées dans une nouvelle phase, qu'il est urgent de soumettre à la considération de S. M. en vue de la crise, qu'elles pourraient amener.

Tant, que le mouvement se trouvait sur le terrain légal, il pouvait progresser et se fortifier, sans échapper au contròle de ses chefs. La lutte, en montrant l'obstination et la mauvaise foi du gouvernement autrichien, a produit en meme temps cette unanimité dont la nation fournit tous les jours des nouvelles preuves. De l'autre còté, l'exemple donné par la Hongrie en réagissant sur les autres pays de l'empire, et jusqu'au sein meme du Reichrath, devenait la cause principale de l'avortement du nouveau système autrichien, de cette centralisation bureaucratique, déguisée sous des formes constitutionnelles.

Voyant son impuissance sur ce terrain, le cabinet de Vienne l'abandonna, pour retomber, petit à petit, dans son ancien système absolutiste. Après avoir dissout la diète de Pesth, seul intermédiaire, par le quel une entente avec la Hongrie eùt été possible, il vient de dissoudre les assemblées des comitats, en ordonnant en meme temps, un recrutement illégal et des impòts arbitraires pour l'année 1862.

L'agitation produite dans le pays par ces mesures est extreme. Voyant disparaitre les dernières chances d'une résistance légale et passive, la nation échappe à l'influence modératrice des hommes d'état, qui ont jusqu'à présent réussi à contenir et à diriger le mouvement. Entravé à chaque pas de sa vie privée par une administration tracassière, et poussé à bout par une occupation militaire, le peuple se trouve à la merci du premier aventurier entreprenant, qui voudra exploiter cette malheureuse situation.

Le moindre hasard peut amener une collision; collision si desirée par le gouvernement autrichien.

Provoquer la nation, la pousser à des insurrections partielles, les comprimer et empécher tout mouvement combiné pour le printemps prochain avec l'Italie: tel est le but, que l'on poursuit à Vienne.

Il est inutile de prouver le résultat funeste, que la réussite d'une telle politique produirait non seulement pour l'avenir de la Hongrie, mais encore pour la cause de toutes les nationalités. Ce serait la première victoire de la réaction, abattue par la campagne de 1859 et qui, certes, ne tarderait pas à étre suivi par d'autres.

Pour déjouer cette politique, tout en empechant une insurrection prématurée il faut pourtant se préparer pour venir à son aide, la diriger et la contròler, si elle éclatait.

Les préparatifs qu'on ferait pour parer à cette dernière éventualité, seraient en effet le plus sùr moyen pour la conjurer. Voyant les chances d'une prochaine délivrance s'augmenter, la nation ferait son effort sur elle méme, pour éviter toute collision.

Quant à ces préparatifs il faudrait: l) Que l'Italie fasse tous ses efforts pour pouvoir entrer en campagne le printemps prochain. 2) Etablir des dépòts d'armes et de munitions à Ancòne, avec destination

pour la Hongrie.

3) Porter à quatre ou cinq mille hommes l'effectif de la Iégion hongroise.

4) Agir par tous les moyens sur les régiments hongrois stationnés en Italie

et en Gallicie. 5) Arriver à une entente parfaite et entière avec les gouvernements de Servie et de Moldo-Valachie.

Pour obtenir cette entente il suffirait d'un seui mot du gouvernement de l'Empereur. L'attitude des agents politiques français y contribuirait aussi de beaucoup. Cette attitude n'a été jusqu'à présent que peu favorable à la Hongrie ce au'i a été la cause principale aue les tentatives faites depuis deux ans ont malheureusement toutes échoué. L'hostilité des consuls français à Bucharest et à Belgrade a été interprétée comme un signe des dispositions de l'Empereur à l'égard de la Hongrie.

Tant, que ces deux fonctionnaires resteront à leurs postes actuels, toute entente avec les Gouvernements de Servie et des Principautés Danubiens restera difficile, si non impossible.

M. Piace, le Consul de France à Jassy, était le seui parmi ses collègues, qui se montrait favorable à la cause hongroise. Sa nomination au poste de Consul Général à Bucharest serait un immense avantage et une mesure, qui prouverait aux Hongrois aue l'Empereur ne les a pas abandonné.

Il serait à désirer en outre, que les instructions fussent données aux Ambassadeurs français en Italie et en Turquie, afin de ne plus mettre d'obstacles à notre activité.

De cette manière tout pourrait étre préparé pour le printemps prochain, dernie:r; délai, sur lequel on peut encore compter en Hongrie.

La résistance passive, que la nation hongroise oppose depuis plus d'un an à l'Autriche, ne pourrait en effet étre continuée au delà de ce terme. Ou elle s'épuisera, et cet épuisement aura pour suite un accord avec l'Autriche; ou le mouvement débordera, sans but et sans direction, et entrainera une seconde fois la nation toute entière dans l'abime.

L'état actuel ne pourrait non plus sans danger étre maintenu trop longtemps en Italie. Déjà le gouvernement ne peut qu'avec peine contenir le parti d'action, qui grandit chaque jour. Encore quelques mois et il devra céder au courant pour ne pas étre renversé.

Une fois les préparatifs achevés pour le printemps prochain, il ne s'agirait que de provoquer l'Autriche.

A cet effet une descente de quelques détachements, organisés clandestinement, devrait s'opérer sur la cote d'Albanie pour se frayer de là un chemin dans le Montenegro. Unis aux forces de ce dernier pays, ils entreraient sur le territoire autrichien et tàcheraient de gagner les bouches de Cattaro.

Alors tout devrait étre prét pour le débarquement de la légion hongroise, appuyée d'une division de volontaires italiens, sur un point choisi de la cOte dalmate ou croate.

Ce second débarquement deviendrait le signa! pour le soulèvement général

en Hongrie et pour le mouvement vers le Po de l'armée italienne. On concentre

rait cette dernière entre Plaisance et Bologne, observant une stricte défensive

et en détachant un corps considérable sur le Mincio supérieur. La flotte italienne

entrerait dans l'Adriatique et ménacerait Venise et Pola.

L'Autriche n'attendrait problement pas ce moment pour déclarer la guerre

à l'Italie, et si elle ne le fait, ce serait au gouvernement italien de poser catégo

riquement la question de Venise.

364

IL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

L. P. Bruxelles, 28 ottobre 1861.

M. Rogier à peine entré en fonction de Ministre des Affaires Entrangères est accourru chez moi pour m'annoncer la détermination du Roi et de son Cabinet de reconnaitre le Roi d'Italie, et me demander si mon Gouvernement n'accepterait pas comme acte de reconnaissance les lettres qui accréditeront incessamment leur nouveau Ministre auprès du Roi d'Italie, sans exiger une réponse formelle à la notification que j'ai eu l'honneur d'adresser à ce sujet. Je n'ai pas osé prendre sur moi de répondre à cette demande, car d'un còté je trouve qu'une démarche aussi officielle de ma part exige une réponse, et d'autre part je comprends que le Gouvernement Beige cherche à éviter les embarras que pourrait lui attirer devant les Chambres la rédaction d'une pareille réponse. D'après les observations que V. E. m'a faites dans le temps, je n'ose pas me servir du télégraphe, quoique la réponse à la demande de M. Ro~ier me paraisse des plus urgentes.

365

L'INVIATO STRAORDINARIO A BERLINO, DELLA ROCCA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in E. DELLA RoccA, op. cit., II, pp. 138-139 n.)

L. P. Berlino, 29 ottobre 1861.

(In chiaro). Hier Ies ambassadeurs mes collègues, les membres du Ministère, les hautes Charges de la Cour, le Corps diplomatique, Lord Granville, le Maréchal Wrangel et autres personnages de distinction ont diné chez moi. Ce soir nous aurons grand bai chez le due de Magenta; la cour y sera. Avant hier il eut grand bai chez M. Karolyi, Ministre de l'Autriche, et la Cour y était. L'Ambassade du Roi Victor Emmanuel et la Légation italienne *fummes au theatre Royal dans une loge bien apparente pour quel l'on *sut bien que nous n'étions pas à ce bal.

~9 · Dommenti di/J/omdlici · Serie I-Vol. I

Il y a tous les jours des bals, concerts ou des dìners à la Cour ou chez Ies Princes.

(Cifra) Les Princes ne parlent pas politique, mais ils m'en font parler par les Princesses, qui sont très entétées et ignorent l'état de l'Italie. On ne sait ici se décider à se rendre indépendant, tout en craignant la guerre sur le Rhin qui leur fait peur. Clarendon a encore causé longuement avec Bernstorff sur la reconnaissance, mais ce Ministre, lent, minutieux, manque énergie, courage; lui-méme ne peut en conseiller au Roi, qui avec son Gouvernement ne sait pas se rendre indépendant de l'Autriche.

Clarendon et diplomates amis approuvent Ambassade à Berlin et Launay a eu raison de la conseiller. Après-demain soir audience de congé et visite Princes les jours suivants. Je suis conseillé par l'Envoyé Beige passer à Bruxelles. Vous pouvez m'y télégraphier le six à l'Hotel Bellevue.

(In chiaro) Tout s'est bien passé ici et je n'ai qu'à me Iouer de l'accueil que j'ai reçu de tout le monde, à l'exception du clergé catholique, qui nous a exclus de l'invitation pour la consécration d'une nouvelle église: fonction à laquelle furent méme invités les protestants.

(Cifra) Je vous entretiendrai verbalement de mes conversations avec Princes et autres personnages infiuents.

366

IL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

L. P. Bruxelles, 29 ottobre 1861.

Pour aider M. Rogier, qui montre tant de sympathie pour nous, à sortir de l'embarras que lui cause la réponse à la notification que je lui ai adressée dans le tems, j'ai pensé que s'il répondait qu'ayant porté à la connaissance du Roi la note par laquelle je lui ai annoncé que Notre Auguste Souverain a pris pour lui et ses successeurs le titre de Roi d'Italie, S. M. lui a ordonné d'en prendre acte pour servir de règle à I'avenir dans ses relations avec cette Légation, et avec son Gouvernement, cette rédaction ne pourrait donner aucune prise au parti catholique en méme temps qu'elle ne contiendrait aucune réserve blessante pour nous. Mais je n'ai pas voulu lui suggérer cette réponse, qui, je crois, serait agréée par lui, sans savoir ce que V. E. en pense.

J'ose donc solliciter une reponse à ce sujet.

367

IL CONSOLE A ROMA, TECCIO DI BAYO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE S. n. Roma, 29 ottobre 1861.

L'intervenzione del Console Inglese presso il Governo Pontificio, onde fare restituire al Rev.mo Abate Passaglia le carte stategli sequestrate, nella perquisizione operatasi al suo domicilio la mattina del 15 corrente, non ebbero finora

alcun risultato. Monsignor Matteucci credette però poterlo assicurare, che tutto sarà rispettato, e che verrà consegnato al proprietario, quando la Congregazione dell'Indice le avrà esaminate. La signora inglese, presso la quale dimorava il Chiar.mo Professore, fece pure instanze in proposito, presso il signor Direttore di Polizia suddetto, e ne ebbe le medesime assicurazioni, che non so fino a qual punto siano sincere. Intanto questi si approfittò della occasione per chiedere alla sullodata Signora, dove fosse riposta l'Opera del fu Cardinale Tolomei, tanto ricercata dal Governo, ad istigazione dei PP. Gesuiti, e che erroneamente avevo accennato a V. E. essere stata sequestrata assieme alle altre carte. La Signora rispose non saperlo, ma essa teme, che venga operata una seconda perquisizione in casa, abbenchè infruttuosa giacchè il suddetto manoscritto è altrove custodito. Io continuerò ad insistere presso il predetto signor Console onde, in conformità degli ordini ottenuti dal suo Governo, non cessi dal proteggere, benchè lontano, il Padre Passaglia, e vedo che il medesimo ha d'uopo di vivi eccitamenti per ciò fare, parendomi che ha troppi riguardi verso questo Governo, e specialmente verso Monsignor Matteucci. Se sorgessero circostanze difficili a nostro riguardo,.

che un appoggio efficacissimo ci fosse necessario, credo perciò che sulla di lui cooperazione non si potrebbe sufficientemente contare. Mi conforta però il pensiero, che tra breve sarà qui di ritorno il signor Odo Russell, che darà maggiore impulso alla protezione, che ci accorda il Governo Britannico, avendoci sempre mostrato tanto interesse.

Nel mio penultimo telegramma lasciavo intravedere la probabilità di ottenere dall'E.mo Cardinale D'Andrea le sue due ultime lettere al Cardinal Antonelli ed una del Padre Perrone Gesuita. Avendo ieri veduto Don Antonino Isaia, Segretario del medesimo, di cui parlai a V. E. nell'ultimo mio rapporto confidenziale, questi mi disse che le disposizioni della prefata Eminenza Sua erano sempre migliori, e che sperava ottenere dette lettere quanto prima, e forse anche per poterle spedire al Professor Passaglia oggi istesso. Mi narrò come Sua Santità, conscia che la lettera del Padre Perrone stava in mani del Cardinal D'Andrea, avesse mandato persona presso il medesimo per ritirarla, ma che egli non l'avrebbe rimessa a qualunque costo. Spiacque non poco al detto Cardinale, che nella pubblicazione delle sue lettere, fatta nel noto opuscolo in Firenze, sia pur stata compresa una lettera di certo Antonio Fine, già Agente Borbonico in Roma, con un indirizzo rivoluzionario, parendogli che ciò dovesse troppo comprometterlo. Non mancai di fare qualche confidenza al suddetto Don Isaia riguardo a tale individuo, a me cognito, e spero che, riportata, produrrà buon effetto su Sua Eminenza.

368

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 927. Madrid, 30 ottobre 1861, ore 8,05 (per. ore 14,35).

Ce Ministre des Affaires Etrangères vient de m'annoncer consentement de remettre Archives Napolitaines, retirées par les Consuls Espagnols en France, aux Autorités françaises, mais pour la partie seulement concernant les intérets particuliers. Je n'ai pas admis cette limitation, et d'après les instructions de

V. E. j'ai de plus insisté encore pour que ces Archives soient, en France aussi bien que dans les autres pays, remis aux Autorités locales avec l'ordre de nous les remettre à leur tour purement et simplement. Le Ministre n'a pas voulu prendre un engagement pareil sans en référer encore en Conseil des Ministres. Il me promit ce soir réponse définitive. En attendant, l'Ambassadeur de France regrette qu'il ne se trouve pas autorisé par ses instructions à soutenir mes exigences jusqu'au bout sur ce demier point, pensant au surplus que nous pourrions les obtenir difficilement ensuite. Dans ces circonstances je prie V. E. de me donner aussitot que possible vos derniers ordres.

369

IL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE S. n. Costantinopoli, 30 ottobre 1861.

Le trascrivo qui un paragrafo di rapporto che ricevo dal signor Cav. Scovasso in data 22 cadente: « Un membro importante e Vice-Presidente della Skuptchina, sig. Emanuele Iokits, Deputato per Belgrado, amico del Ministero attuale e del Principe, partirà a giomi per Vienna, Parigi e Torino. Egli è un negoziante e passerà per Vienna per alcuni suoi affari di commercio e per non destare i sospetti dell'Austria, andando a Parigi per altra via. Anche in questa capitale egli fece credere di andare per affari di commercio, ma a me ha confidato che vi va per tentare d'intendersi con Klapka e con Kossuth; al quale scopo vorrebbe prendere dalla nostra Legazione un passaporto Italiano, onde ritornando a Belgrado per l'Austria non si veda ch'egli da Parigi visitò l'Italia. È un buon patriota, ed eccellente uomo e sicuro. Egli vorrebbe conciliare gli interessi ungheresi con quelli dei serbi dei confini militari e dei croati. Io non potei che approvare questa determinazione, tanto più che la consiglio da due mesi. Questo signore parte col consenso del Principe e del Ministero, ai quali due ha palesato le sue intenzioni, (è forse inviato da loro stessi), e, a dire il vero, io credo che ciò che sta più a cuore di questo Governo si è di provvedersi d'armi e di fucili buoni. Questo i Serb'i vorrebbero etc.

« Il detto personaggio serbo pare voglia tentare di abboccarsi anche con Garibaldi. Mi chiese di Valerio etc. Io gli ho detto che non credeva conveniente mischiare in nulla il Generale Garibaldi in queste cose, che a parer mio sarebbe disfarle invece di assicurarle. Le sarò riconoscente se vorrà su quanto sopra scrivere al Barone Ricasoli. Io non potrò farlo che martedi prossimo, non potendomi fidare della posta austriaca, etc. ».

Fin qui la lettera del Cav. Scovasso, ed io nulla avrei ad aggiungere sugli affari serbiani, ma mi permetterò dire a V. E. che non perderemo gran cosa nell'essere cauti nelle nostre relazioni col sig. Iokits fino a che non si sappia da cotesto Comitato ungherese che veramente egli merita tutta la nostra confidenza. Nulla peraltro mi risulta contro lo stesso e mi limito quindi a suggerire cautela.

370

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI,

AL MINISTRO A MADRID, TECCO

T. 644. Torino, 31 ottobre 1861, ore 14,50.

Je ne pourrais faire d'autres concessions. Si vous devez avoir encore un entretien avec le Ministre des Affaires Etrangères, montrez-vous très conciliant et très poli dans le langage, sans rien céder pour le fond. Je vous renouvelle les instructions contenues dans mes télégrammes du 8, du 23 et du 24 courant. Tenez-vous pret à partir immédiatement après les termes fixés, si vous n'obtenez pas satisfaction complète.

371

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLl

T. 929. Madrid, 31 ottobre 1861, ore 14,53 (per. ore 17,45).

J'ai eu hier matin un long entretien avec le Chef de ce Cabinet qui tout en penchant personnellement pour une solution de notre différend conforme à nos demandes, n'a pas cru cependant devoir dépasser les termes acceptés par la France tels que je les ai mandés à V. E. dans ma dépeche d'hier matin. Ce Ministre des Affaires Etrangères m'a annoncé le soir que la décision prise dans la journée en Conseil des Ministres a été dans les memes termes, c'est-à-dire:

l. les cartes des Archives en question seront remises pour la partie concernant les intérets des particuliers seulement; 2. la remise de cette partie sera faite d'abord aux Autorités françaises pour ceux de ces Archives qui ont été retirées en France; 3. la meme mesure sera ensuite généralisée partout où les Archives ont été retirées en les faisant remettre aux Autorités locales pour etre dévolues à qui de droit. Hier au soir a été signé le traité avec le Maroc sur les bases déjà annoncées par le télégraphe.

372

IL PRINCIPE GIROLAMO NAPOLEONE AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 219-221)

Parigi (Palazzo Reale), 31 ottobre 1861.

J'ai reçu la lettre que V. E. a chargé le général Klapka de me remettre. Vous avez raison de compter sur mes sentiments pour votre pays et votre cause, aux quels tout mon concours est acquis; mais mon influence n'est pas grande et je vis eloigné des affaires et presqu'étranger à la politique de mon pays. Je réponds à votre lettre avec franchise et sans aucune diplomatie; il faut avant tout

que vous sachiez la vérité et rien ne serait plus funeste que des illusions chez les hommes d'état italiens. J'ai sondé les intentions de mon cousin et de son Gouvernement dans la question romaine, qui me semble aujourd'hui la seule prete pour une solution.

Malheureusement mon avis, pour une solution immédiate et radicale, n'a pas chance d'etre adopté, et je ne puis mieux faire que de vous répéter presque textuellement la réponse de l'Empereur: c Malgré son vif désir de ne pas contrarier les vceux du peuple italien, il ne quittera Rome .que lorsqu'il pourra le faire sans manquer à ses antécedents et à ses promesses. C'est-à-dire que les troupes françaises ne se retireront que lorsque l'Empereur croira pouvoir le faire honorablement vis-à-vis la France et l'Europe. Pour cela il faut ou attendre une occasion nouvelle et un prétexte favorable, ou qu'un compromis clair et net intervienne entre le Roi d'Italie et le Pape ~.

D'après cela, vous le voyez, les intentions de S. M. sont très favorables à l'Italie qu'elle aime et dont elle désire le bien, mais il est évident que l'Empereur aujourd'hui sait ce qu'il ne veut pas, et non ce qu'il veut; car indiquer un but (l'arrangement de l'ltalie et de la Papauté) sans indiquer les moyens d'y parvenir, sachant que les deux causes sont impossibles à accorder, ce n'est point avoir une politique. L'Empereur n'a pas été étonné de tout ce que je lui ai dit, il m'a parlé très ouvertement sans me diss'imuler son extrème embarras.

Je comprends toute la difficulté de votre situation, en face surtout de la

réunion prochaine du parlement, mais je crains que la manière de voir de S. M.

l'Empereur sur l'évacuation de Rome ne change pas.

Que vous reste-t-il à faire?

Tàcher de reprendre le traité dont j'avais indiqué les bases au Comte de Cavour il y a cinq au six mois. S'il n'aboutit pas, insister pour que la France vous fasse connaitre nettement ce qu'elle désire et entrevoit de possible pour accorder Rome et l'ltalie.

Tout cela n'est pas grand chose, je le sens très-bien, il ne dépend pas de moi de changer cette situation.

373

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A MADRID, TECCO

T. 647. Torino, 1 novembre 1861, ore 11.

Les Archives Napolitaines n'appartiennent pas à l'Espagne, mais à l'Italie; nous ne pouvons donc reconnaitre à cette Puissance le droit d'en restituer une partie et d'en retenir l'autre. Quant à la remise des Archives aux Autorités locales des différents pays, cette mesure est acceptable pour les Etats qui ont déjà reconnu le Royaume d'Italie; pour les autres ce serait un leurre, car ses Autorités ne les remettl'ftient pas aux Consuls du Roi. A cet égard la proposition française primitive est seule acceptable. Après mon télégramme d'hier, je n'ai plus d'autres instructions à vous donner.

374

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI,

AL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, l novembre 1861.

Je m'empresse de vous accuser réception de la lettre particulière qui m'informe de la manière on ne peut plus obligeante avec laquelle M. Rogier vous a annoncé la détermination de son Gouvernement de reconnaitre le Roi d'Italie. Le nouveau Ministère ne pouvait inaugurer son avènement aux affaires par un acte plus conforme aux grands principes politiques qui ont présidé a la formation du Royaume de Belgique, et nous serions vraiment malvenus à chercher de lui attirer des embarras. Cependant M. Rogier a trop d'expérience des affaires politiques et un sentiment trop exquis des convenances pour ne pas comprendre lui-méme que la notification du nouveau titre assumé par le Roi Victor Emmanuel ayant été faite par une note officielle, une réponse est indispensable. Tout disposés que nous sommes à transiger sur des questions d'étiquette, nous devons tenir néanmoins à ce qu'un acte aussi important, fait par le Gouvernement en exécution d'une loi votée par le Parlement, ne reste pas sans réponse. On pourrait sans doute, comme vous me l'indiquez vous-méme dans votre lettre du 29 Octobre, tomber d'accord sur une rédaction qui épargnat autant que possible au Ministère Beige la tache ingrate de soutenir dans les Chambres des discussions avec les orateurs du parti catholique. Mais je crois que pour M. Rogier lui-méme et pour ses collègues il vaut mieux mille fois s'appuyer à un précédent, celui d'Angleterre par exemple, que d'avoir l'air de trop craindre les reproches de ses adversaires. Veuillez donc lui demander s'il aurait quelque difficulté à vous adresser une note calquée à peu près sur celle adressée dans le temps par Lord John Russell au Marquis d'Azeglio, dont je vous envoie ci-joint la copie. Vous ferez remarquer à M. Rogier que cette note ne contient [que] l'énonciation du principe général de l'indépendance des Etats Souverains: elle ne fait du reste que constater que le Ministre du Roi Victor Emmanuel sera reçu comme Ministre du Roi d'Italie. Veuillez aussi appeler son attention sur la parfaite identité des circonstances. A Londres aussi, comme vous l'etes à Bruxelles, il y avait un Ministre du Roi de Sardaigne accrédité auprès de la Reine: la lettre de Lord J ohn était donc indispensable pour éviter l'envoi de nouvelles lettres de créance au Marquis d'Azeglio: elle l'est également pour régulariser votre position.

J'espère que M. Rogier sera convaincu facilement des avantages que présente cette manière de procéder, et je n'ai pas le moindre doute que le Gouvernement Anglais, s'il était interrogé à cet égard, ne lui conseillerait pas d'agir différemment. Cette proposition prouvera à M. Rogier qu'il n'est aucune concession que nous ne soyons disposés à faire aux hommes éclairés et libéraux que

.,,,

la Belgique a le bonheur de voir rentrer aux affaires, pourvu que la dignité de l'ltalie, dont je dois étre le jaloux défenseur, ne soit point compromise.

Veuillez témoigner à M. Rogier toute ma reconnaissance pour la part qu'il a prise à la détermination de son Gouvernement et pour la sympathie qu'il a toujours ressenti pour notre cause nationale.

375

IL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 934. Costantinopoli, 2 novembre 1861, ore 9 (per. ore 0,50 del 3).

Il me revient de très bonne source que le Ministre d'Autriche a reçu ordre de ne pas se rencontrer avec moi aux conférences. Les Ministres d'Angleterre et de France sont en ma faveur. J'ai reçu votre dépeche sur cet objet.

376

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 936. Madrid, 3 novembre 1861, ore 10,35 (per. ore 15,10).

Appuyé sur la dépeche de V. E. du ter courant j'ai encore taché de faire valoir auprès de ce Ministre des Affaires Etrangères l'argument par lequel

V. E. démontre inadmissible la prétention du Gouvernement d'Espagne de retenir partie des Archives Napolitaines; mais ce Ministre sans y répondre s'est retranché dans les termes acceptés par la France. Quant à l'observation de V. E. que les autorités locales des Gouvernements n'ayant pas reconnu le Royaume d'Italie refuseraient de nous remettre les Archives si leurs seront remis sans cette condition, S. E. m'a répondu que cette difficulté se présenterait nulle part, attendu que les seules villes où les Archives en question ont été retirés par les Consuls Espagnols sont Marseille, Alger, Lisbonne, Constantinople, Alexandrie et Londres.

Bon nombre de Sénateurs importants et ayant des postes élevés viennent de se prononcer contre le Gouvernement et de présenter la démission de leurs postes. L'opposition sera formidable dans le Parlement.

377

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 937. Madrid, 3 novembre 1861, ore 10,40 (per. ore 16,20).

Pret, comme c'est mon devoir, à exécuter ce que V. E. m'ordonne par ses dépeches d'hier et d'avant-hier, je pense cependant qui j'ai aussi le devoir de porter à votre connaissance ce que je puis apercevoir ici de l'effet qu'une rupture avec ce Gouvernement pourrait produire dans les circonstances actuelles sur l'opinion de nos amis memes. Or, je crains que cet effet ne nous serait en ce moment favorable, attendu ce qu'on sait de la médiation française acceptée des deux Gouvernements; et à cet égard je ne dois pas vous laisser ignorer que cet Ambassadeur de France prétend au surplus nous avoir obtenu bien au-delà de la première proposition de son Gouvernement agréée d'abord par nous, proposition que d'après lui se serait bornée à obtenir la remise des Archives Napolitaines dans les Départements de Marseille et d'Alger et cela seulement pour les documents concernant les intérets des particuliers strictement, tandis qu'à présent on nous remettrait aussi les autres. Devant ces assertions, V. E. jugera peut-etre nécessaire d'obtenir les éclaircissements opportuns du Cabinet de Paris avant me donner ordre définitif de départ. De mon còté, pour présenter ici l'ultimatum, je dois encore prier V. E. de m'en indiquer les termes précis, car Elle remarquera que sa dépeche du 6 Octobre, ne pourrait aujourd'hui satisfaire à cet objet, attendu qu'elle ne formule point de demande explicite de ce qui reste maintenant encore sujet de spéciale contestation.

378

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 356. Berlino, 3 novembre 1861.

La dernière période des fetes du couronnement s'est, comme à Konigsberg, passée sans encombres. Je n'ai à signaler qu'un seui incident. Au grand diner de quatre vingt couverts et en uniforme, auquel le Général Della Rocca avait convié les Grandes Charges de Cour, les Ministres à portefeuille, les Ambassadeurs ses collègues, le Corps Diplomatique à l'exception des représentants d'Autriche, de Baviere, de Wiirtemberg et de Mecklembourg, S. E. aurait désiré qu'on portat la santé des Souverains respectifs. Le Comte de Bernstorff que j'avais pressenti à cet égard soulevait l'inadmissible prétention que les toasts fussent pour le Roi de Prusse d'une part et d'autre part pour le Roi Vietar Emmanuel. Il ne voulait pas accepter le biais de se servir d'une périphrase pour tourner la difficulté en ménageant une parfaite réciprocité. Comme il n'était pas de notre dignité d'admettre une semblable prétention de la part de ce Ministre des Affaires Etrangères, il a été convenu que des deux còtés on s·abstiendrait de porter les santés des Souverains !

Sauf cet incident de peu de valeur, nous n'avons eu qu'à nous louer de ia bienveillance parfaite, et qui ne s'est pas démentie un seul instant, de la Cour de Prusse. Il conviendra de bien relever ce fait dans les journaux, et en meme temps de publier, ce qui est l'exacte vérité, que nous n'avons consenti à envoyer un Ambassadeur que sous la condition réglée d'avance qu'il serait traité sur un pied de parfaite égalité avec les Ambassadeurs des autres Monarques, et qu'entre les deux Souverains il avait été établi une entière réciprocité de titres, quelque tronqués qu'ils fussent.

Selon l'accord mutue!, notre mission n'ayant qu'un caractère de simple courtoisie, le Général Della Rocca a évité de faire de la politique. Il s'est scrupuleusement tenu en quarantaine, et on l'y a laissé. Il n'a abordé ce terrain qu'auprès d'une Princesse et seulement pour répondre à ses interpellations. Je ne sais si elles avaient été dictées en haut lieu ou si elles partaient de sa propre initiative.

Mais indirectement nous avons été à meme d'etre éclairés sur les dispositions du Cabinet de Berlin. C'est Lord Clarendon qui de son propre chef a attaché le grelot. Dans un premier entretien avec le Comte de Bernstorff, celui-ci a allégué qu'il n'avait pas une grande confiance dans la consolidation de l'ordre de choses dans l'Italie Méridionale, et que d'ailleurs la Prusse n'était pas en état de rompre avec l'Autriche en nous accordant sa reconnaissance.

Dans un second entretien avec le meme personnage qui m'en a rendu compte ainsi qu'au Général Della Rocca, le Comte de Bernstorff a davantage développé sa manière de voir. Tout en regrettant bien des choses dans le passé, il admettait la valeur des faits accomplis, quand ils ont pris une consistance qui offre des gages de durée. Il comprenait aussi les avantages européens qui se rattacheraient à une Italie forte et indépendante. Mais pour le moment il ne voit aucun motif assez concluant pour modifier assez son attitude. Il serait au contraire dans l'intéret de la Prusse de ne rien brusquer. En effet, c'est un fait avéré que les tiraillements dont l'Allemagne présente le spectacle à l'étranger, proviennent en majeure partie de l'antagonisme existant entre la Prusse et l'Autriche. Il importe à la Confédération que de meilleurs rapports s'établissent entre les deux grandes Puissances Germaniques. Or ce serait dans les circonstances actuelles, marcher vers un but contraire si la Prusse donnait une consécration de plus au Royaume d'Italie. En outre, les deux cinquièmes de sa population, appartiennent au culte catholique; il convient de ménager leurs sentiments de sympathie pour le Pape; si on ne veut pas les jeter dans les bras d'une opposition dangereuse.

Quelle pauvreté d'argumentation. Le Ministre d'un descendant de Frédéric II, qui inscrit dans son programme la nécessité d'une entente cordiale avec l'Autriche, quand l'expérience est là pour prouver que toutes les tentatives dans ce genre ont été et ne seront qu'une déception. Et quant au parti catholique, l'exemple de la Belgique qui nous tend la main, réduit à néant l'argument prussien.

Lord Clarendon reviendra à la charge une troisième fois. Mais en attendant

il n'a pas l'air de croire qu'avec un esprit aussi étroit que celui du Comte de

Bernstorff, nous parvenions de sitot à entrainer la Prusse à imiter l'Angleterre

et la France; quelles que soient ses intentions bienveillantes à notre égard, sen

timents que le Général Della Rocca a su maintenir par son tact et sa tenue

digne d'éloges.

J'ai également cherché à recueillir les impressions de deux Diplomates, le

Comte de Pourtalès et M. d'Usedom, qui tous deux professent des sym

pathies pour notre cause. Ils regrettent l'un et l'autre, m'ont-ils dit, que le

Gouvernement n'ait pas reconnu le Roi d'Italie aussitot après qu'il a pris ce

titre. -Mais, ajoutaient-ils pour expliquer la position difficile du Comte de

Bernstorff, celui-ci a hérité de la politique tracée par son prédécesseur. Il

faudrait une raison déterminante et applicable au moment pour modifier cette

politique, et justifier en quelque sorte notre retard à prononcer le mot recon

naissance. Il appartient au Baron Ricasoli de fournir cette raison impérieuse.

Ces Messieurs faisaient une autre observation. A leur avis, aujourd'hui la recon

naissance de la Prusse ne nous serait pas d'une utilité très sensible, il se présentera peut-etre dans un temps plus ou moins rapproché telle occasion où son vote favorable aura plus de portée. -En attendant (voilà leur fiche de consolation, si tant est que nous en ayons besoin) -la Cour de Berlin conservera une att'itude expectante, mais bienveillante, et nous continuerons, soit à Paris soit à Francfort, à precher pour votre clocher qui est aussi le nòtre, vu notre désir de rendre de plus en plus intimes les relations entre la Prusse et l'ltalie.

J'ai discuté à mon tour pour combattre ces fìns de non recevoir; mais lors meme que j'eusse pu réussir à ramener Messieurs de Pourtalès et d'Usedom à mon point de vue, il ne dépend pas d'eux de corriger hic et nunc les errements de leur Cabinet.

Dans cet état de choses, il me semble que je ne dois pas toucher la corde de la reconnaissance avec M. de Bernstorff, à moins qu'il ne prenne l'initiative. Il serait au-dessous de notre dignité de jouer le ròle de solliciteurs. Seulement, dans peu de mois, il serait le cas d'aviser, si, ayant mis tous les bons procédés de notre còté en maintes circostances, il faut indéfìniment prolonger la situation de quelqu'un qui fait antichambre, sans réussir à se faire ouvrir la porte du salon.

P. S. -Le Général Della Rocca s'étant réservé de raconter lui-meme les détails de son ambassade, je me suis borné à en donner une simple esquisse.

379

IL PRESIDENTE DELLA CAMERA, RATTAZZI, A VITTORIO EMANUELE II

(A. LUZIO, op. cìt., pp. 124-128)

Parigi, 4 novembre 1861.

Il modo, col quale l'Imperatore mi aveva parlato nel colloquio, di cui già feci relazione a S. M. non mi lasciava grande speranza di poter ottenere una qualche più precisa risposta sopra i due argomenti, dei quali V. M. mi ordinava di nuovamente intrattenerlo. Tuttavia non appena ricevetti lunedi scorso (28 ottobre) la riveritissima lettera di V. M. dovendo per buona sorta nel giorno stesso vedere il Sig. Mocquard, segretario particolare dell'Imperatore, mi valsi di quella circostanza per dirgli di pregare a nome mio l'Imperatore, onde volesse concedermi l'onore di una nuova udienza, nella quale avrei desiderato di esporgli alcune cose in conformità degli ordin'i che V. M. mi aveva espressi. Il Sig. Mocquard mi assicurò che avrebbe tosto fatta la commissione, e che mi avrebbe senza 'indugio fatto conoscere per lettera il tenore della risposta: temeva in verità, che l'Imperatore potesse avere qualche difficoltà a darmi una nuova udienza, perchè i giornali avevano fatto troppo rumore per la prima, e forse non era prudente fornire altri argomenti a nuove voci. Infatti nel giorno 30, ricevo dal Sig. Mocquard la lettera, che ho l'onore di rassegnare a V. M., dalla quale scorgerà, come l'Imperatore volendo evitare ogni altra pubblicità mi facesse dire, che invece d'i darmi una nuova udienza amava meglio che io gli esponessi per lettera il nuovo oggetto, di cui mi occorreva parlargli. Uniformandom'i a questa deliberazione scrissi la lettera di cui ho l'onore di trasmettere a V. M. la copia esattissima. Vedrà V. M. da questa lettera, che se mi sono alquanto diffuso sul primo argomento relativo alla questione di Roma, m'i tenni però in termini molto vaghi e molto generici rispetto all'altro oggetto: era questa una materia troppo delicata da poterne lungamente discorrere in una lettera, senza che si potesse prima di qualche modo conoscere qual potesse essere il pensiero dell'Imperatore, mi espressi però in termin'i. tali da far nascere almeno nell'animo dell'Imperatore il desiderio di avere più ampie spiegazioni, laddove egli avesse potuto fare qualche cosa a questo riguardo.

A questa mia lettera l'Imperatore rispose con quella, che ho pure l'onore di inviare a V. M., e che mi fu consegnata ieri {1). Dalla medes'ima V. M. potrà di leggieri comprendere, che per ora è inutile ogni maggiore insistenza, e che l'Imperatore è fermo nell'idea, che già mi aveva espresso a voce. Egli non dà alcuna categorica risposta alle cose che io gli accennai, e si limita a dichiarazioni di affetto e di simpatia per la nostra causa, 'il che dimostra, che non intende ancora di prendere alcun impegno.

Dopo questa lettera io avrei potuto senz'altro partirmene e ritornare a Torino, com'era di fatti il mio desiderio. Ma il Principe Napoleone (al quale per altro non feci parola della lettera dell'Imperatore) mi disse che in questa settimana egli passava il suo tempo a Compiègne coll'Imperatore, che nel tempo stesso soggiornavano colà, e Nigra ed i due Ministri Rouher e Fould i quali ci sono favorevolissimi. Mi soggiunse che avrebbe profittato di questa occasione per discorrere nuovamente coll'Imperatore delle cose d'Italia, e che non avrebbe mancato di esporgli i pericoli gravissimi, ai quali va soggetto, se continua in questa politica d'inazione, la quale disgusta in Francia tutti gli amici del Governo, senza che gli faccia guadagnare, o renda anche meno avverso un solo dei suoi amici. Egli ha qualche speranza di poterlo scuotere tanto più coll'aiuto delle altre persone che si troveranno contemporaneamente a Compiègne. Perciò mi consigliava ad attendere il suo ritorno, il quale avrà luogo domenica prossima 10 corrente, nella lusinga, che avrebbe potuto dirmi qualche cosa di favorevole, od almeno mi avrebbe comunicato le impressioni che fosse per riceverne. A dir vero io non ho grande fiducia, che il Principe possa mutare le deliberazioni dell'Imperatore -tuttavia mi parve opportuno aderire al di lui desiderio e gli dissi, che avrei aspettato a partire sino a Lunedi 11 corrente, e che domenica sarei andato a vederlo. Io quindi partirò senza fallo in quel giorno: intanto se

V. M. volesse ancora ordinarmi qualche cosa ha tutto il tempo di farmi conoscere i suoi ordini prima della mia partenza.

Mi valsi di tutti questi giorni per trattenermi più volte colle persone più influenti, e dei varii partiti, e da quanto ho potuto comprendere sono tutti persuasi, che l'unità Italiana non può in oggi essere più messa in dubbio, e che la Francia è ad ogni costo costretta a sostenerla. Non tutti però sono d'accordo nei mezzi e alcuni, ma sono pochi, vorrebbero che si cercasse di forzare la mano dell'Imperatore per farlo uscire da quello stato d'inazione, nel quale si è posto in ora -altri invece credono che sia meglio usare prudenza, non inquietarlo,

!asciarlo che maturi la sua idea, e che l'opinione in Francia si manifesti mag. giormente in nostro favore, cosa che si potrà conseguire col mezzo della stampa, e col prudente nostro contegno, e che già si è in parte ottenuta, essendosi a tal riguardo da qualche tempo grandemente progredito. Io ritengo che in realtà non è conveniente urtare di troppo contro il pensiero dell'Imperatore, e che il meglio sia per ora non ispingere di molto, e con qualche atto imprudente la soluzione, ma che in ogni modo convenga altresì battere senza interruzione il chiodo, per dare una qualche spinta all'Imperatore, il quale talvolta ha bisogno di essere scosso prima che si determini ad un partito decisivo. Intanto però è certo che il miglior consiglio è quello di accelerare il più presto che sia possibile e l'organizzazione interna, ed il compiuto organamento del nostro esercito, perché se potremo essere forti da questo lato saremo in condizione assai più vantaggiosa per renderei più favorevole l'opinione pubblica in questo paese, e per meglio far comprendere come sia indispensabile il venire ad una pronta soluzione della questione di Roma, e di Venezia. Ma di ciò potrò meglio discorrere con V. M. al mio ritorno, ed Ella determinerà quale sia il partito più opportuno, che converrà di prendere. Non mi rimane quindi che a ringraziare intanto V. M. dell'affettuosa sua lettera, e di assicurarLa che per parte mia ho fatto tutto quanto era umanamente possibile per uniformarmi ai di Lei desiderii, e per corrispondere in qualche modo alla buona volontà, alla benevola fiducia di cui

V. M. mi onora.

P. S. -Non ho omesso di parlare con Thouvenel della decorazione per Roveda. Egli mi rispose che doveva lasciare passare qualche tempo prima di parlarne coll'Imperatore, ma che avrebbe colto il momento opportuno per farlo.

(l) Le due lettere sono in L. THOUVENEL, Pages de l'histoire du Second Empire, Paris 1902, pp. 310-315.

380

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 652. Torino, 4 novembre 1861, ore 20,30.

Le Cabinet Espagnol prétend ne restituer que les documents d'intéret particulier. Il affirme que tels sont les termes des bons offices de la France. Dans ce cas il y a eu malentendu. Lorsqu'il ne s'agissait que des Archives d'Alger, je vous avais chargé d'insister surtout pour ces documents; mais dès que cette question s'est compliquée avec celle de Portugal et d'autres pays, j'ai toujours demandé la restitution pure et simple des Archives. Voyez tous mes télégrammes et surtout ma dépeche du 10 Octobre. Au point où les choses en sont arrivées, le Gouvernement du Roi ne pourrait accepter un arrangement qui reconnaitrait à l'Espagne le droit de retenir une partie des Archives et qui entrainerait la nécessité d'une vérification préalable des différents documents. J'allais donner ordre à Tecco de partir, lqrsque Benedetti est venu me dire que la France espère encore mener à bonne fin cette affaire. J'ai déclaré que je ne consentirai jamais à la séparation, mais que par déférence à la France j'attendrais encore quelques jours l'issue des nouvelles démarches de l'Ambassadeur de France. Veuillez de votre còté expliquer à M. Thouvenel qu'il nous serait impos

sible d'accepter un expédient qui blesserait directement la dignité du Gouvernement du Roi.

381

IL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

L. P. Bruxelles, 4 novembre 1861.

Je viens de voir M. Rogier qui ne s'est pas montré trop difficile à admettre la justesse des réflexions de V. E. sur la nécessité d'une réponse à la notification que j'ai adressée au Gouvernement Beige le 5 Aoflt dernier au sujet du titre de Roi d'Italie, et il m'a dit que s'il avait cherché à l'éluder, c'était d'abord parce qu'il lui répugnait de constater que le Gouvernement Beige avait tardé plus de trois mois à me donner une réponse et en second lieu parce qu'il craint qu'on ne demande en haut lieu à insérer dans cette réponse quelque réserve. Quant à la forme, il ne serait pas éloigné d'adopter celle de la réponse faite par Lord J. Russe! au Marquis d'Azeglio, seulement il tiendrait à supprimer la déclaration qu'elle contient au sujet des nationalités.

M. le Commandeur Targion1, ancien Ministre du Roi de Naples, se trouvant encore à Bruxelles, M. Rogier se trouve un peu embarassé pour lui faire sentir qu'il ne lui reconnait plus un caractère diplomatique, mais il a commencé par s'abstenir de lui annoncer comme au reste au Corps Diplomatique son avènement au Ministère des Affaires Etrangères.

382

IL CONSOLE A ROMA, TECCIO DI BAYO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 119. Roma, 5 novembre 1861. Ieri nella ricorrenza della festività di S. Carlo, Sua Santità si portò colla solita pompa alla Chiesa dei SS. Carlo ed Ambrogio dei Lombardi. La ovazione che le venne fatta non fu troppo clamorosa, quantunque preparata da qualche giorno dal partito sanfedista e la popolazione non vi prese parte. Tra gli evviva al Sommo Pontefice si intesero eziandio grida sediziose, ed insultanti al nostro Augusto Sovrano. Questi infami concetti venivano più largamente interpretati in una infinità di scritti, e stampati dai quali era stata tappezzata la facciata della Chiesa. Per dare un saggio a V. E. della trivialità e bassezza dei medesimi, credo opportuno di qui unirne copia di uno di questi, che pure non è il più sprezzante, poichè i titoli di ladro e di giuda, vi si ripetevano ad ogni istante. Quello che qui Le unisco (l) era stato affisso in più punti della Città, in siti elevati, onde non venisse danneggiato. Ha fatto penosa sensazione che le

Autorità Francesi non cercassero di farli sparire, siccome così insultanti alla sacra Persona di Sua Maestà.

Dal Generale francese de Geraudon mi venne consegnata una seconda lettera al generale Govone, sul fatto della uccisione di una ragazza di Veroli per parte di una pattuglia del 44° Reggimento, alla quale era annessa una narrativa dell'accaduto, stesa dal Comandante Francese di Albano. Qui acchiuso mi reco a dovere di trasmettere a V. E. copia di detti due document'i (1).

Da questa Polizia è stato intimato lo sfratto immediato dagli Stati Pontifidi a D. Antonino Isaia, di Napoli, Cappellano della Chiesa dell'Angelo Custode, Segretario dell'E.mo Cardinale D'Andrea. La sua colpa è la relazione intima, che egli aveva col Professore Passaglia, e l'opinione di cui gode universalmente di essere onesto liberale. Ha potuto ottenere a stento una dilazione di pochi giorni per assestare i suoi affari, nè a prorogarla potrebbe giovargli la intervenzione del Cardinale D'Andrea, il quale lo stima moltissimo, poichè una di lui raccomandazione verrebbe male accolta. Quest'ultimo infatti si trova ora più che mai in dissidenza colla Corte di Roma, ed in specie con Sua Santità, la quale in questi ultimi giorni non è giunta ad ottenere dall'Eminentissimo Porporato una dichiarazione, da venir pubblicata nel Giornale di Roma, di condannare le massime professate da Monsignor Liverani. Gli vennero presentate diverse formole della medesima, ma egli non volle accettarne alcuna, e diffidò apertamente che ove il detto Giornale la riportasse a sua insaputa, egli l'avrebbe formalmente contraddetta. Sua Santità non si attendeva certamente a questa ripulsa, dopo l'esempio umiliante dato dall'E.mo Cardinale De Silvestri, colla sua nota lettera.

Da persona di mia fiducia, ordinariamente bene informata, mi si danno importanti indicazioni sulle mene reazionarie in questa città, e sui movimenti che si preparano. Non avendo tempo, per la pronta partenza del messo a cui consegno questo mio rapporto, di trascriverLe sul medesimo, credo opportuno di trasmettere qui compiegato a V. E. la memoria istessa presentatami dalla suddetta persona, senza rendermi garante però della perfetta verità dei fatti in essa riportati.

(l) Manca.

383

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 227-230)

L. P Torino, 6 novembre 1861.

Io non posso accettare il nuovo programma che ci mandano i giornali, dicendosi taluno ispirato da parole scendenti dalle aule imperiali. Non lo posso accettare, perchè era pure il mio quesito a principio; non lo può essere quanto a1la nuova foggia che gli si vorrebbe dare per attuarlo.

Stupidità, follie, parlare oggi di strappare la Venezia dall'Austria. Come si

potrebbe strappare oggi, si può strappare sempre, perchè a chi vuoi fare il

passo non mancherà mai il tempo. A Venezia si va man mano che si va costi

tuendo l'esercito, e questo è ciò che si va facendo, e si fa compatibilmente

alle difficili condizioni in cui versa l'Italia, per cagione di Roma, e del brigan

taggio delle Provincie Napoletane, che in grande parte si sorregge e si anima

dal lavoro e dall'influsso proveniente da Roma.

Non so intendere come in certe regioni si persista a ritenere che lo stato pre

sente di Roma non sia per essere funesto all'Italia; lo è moralmente e material

mente. Nell'uno e l'altro modo il danno è immenso, e disturbatore, corruttore

delle idee le più sane. Per l'Italia vi è danno emergente e lucro cessante. Qual

pro per la Francia stes~a? Pensi ella stessa alle sue contingenze possibili.

Ma io ho fatto disgressione senza volerlo; ma per effetto naturale dell'argomento medesimo che io ho preso a trattare. Dunque il programma di aggiornare Roma, e di occuparci della Venezia, non può essere accettato da me; non può avere a suo prò un individuo qualunque, che ancor gli resti un filo di cervello in testa. Programma pieno di pericoli, e più per la Francia, che per l'Italia. Infine io non posso essere per quel programma, perchè, come io dicevo, a far pazzie non manca mai il tempo! L'Italia può stare senza la Venezia anco del tempo, e fa d'uopo che stia, perchè oggi non ha forze regolari e gagliarde per combattere battaglie e pigliar fortezze. La Francia non dee spingere l'Italia per la via delle follie, come deve stimare dovere e onore suo, onJe 11 sangue e il danaro che ella ha speso per l'Italia non possa esserle rinfacciato, aiutare l'Italia al più pronto consolidamento di sè stessa, non con dei consigli di cui noi Italiani non abbiamo bisogno, ma togliendoci di torno quegli imbc:-razzi che, suo malgrado, l'Imperatore è pure costretto a mantenere sul nostro svolgimento nazionale, con forte pregiudizio del nostro avvenire.

Partendo io da queste considerazioni, e sinceramente convinto della intenzione dell'Imperatore e del suo Governo, a cui neppure per ombra vorrei far carico di alcuna cosa che non fosse schietta e conforme alle fattemi dichiarazioni, io oso ancora tornare sull'argomento e proporre un nuovo modo che sebbene in sè stesso di non gran momento, lo sarebbe però per la significazione che avrebbe.

Ecco la proposta :

Guarnigione mista di truppe italiane e francesi, nelle appresso città delle Province Romane: Corneto, Acquapendente, Viterbo, Velletri, Frosinone, Terracina.

Quali i vantaggi?

l. All'Europa e all'Italia sarebbe dimostrazione della sincerità d'animo dell'Imperatore di volere non restare in Italia, se non in quanto si convenga alla sicurezza personale del Capo della Chiesa.

2. Dimostrazione che il Governo Italiano d'accordo con quello Francese, intendono condurre le cose della penisola al lor completo sviluppo, impedendo la reazione, e la rivoluzione al tempo stesso; imperocchè la presenza delle truppe italiane significherebbe al partito esaltato e repubblicano, che non vi è bisogno di lui, e debba lasciar fare; e la presenza delle due milizie associate insieme, farebbe chiaro a Francesco Il, e ai suoi fautori, che si è venuti in

tempo che la reazione e il brigantaggio abbiano a finire, e finirebbero di fatto, visto che le truppe stanzierebbero colà, e in quelle posizioni al reale effetto di combattere seriamente ogni specie di brigantaggio.

3. E finalmente farebbe meglio sentire ovunque che il Governo Francese non vuole assolutamente assistere le prave passioni che si agitano in Roma, ma aprire la via a quelle soluzioni che si confanno meglio agli interessi della Chiesa, avvertendola che non abbia ad abusarsi di una longanimità, most:ratasi a questo giorno soverchia.

Con questa proposta, il Governo Italiano non intende portare alterazione alcuna nel Governo civile che regge frattanto la Provincia Romana, la quale continuerà ad essere amministrata come nel passato.

Accettata questa proposta sarebbe percorsa ancora una tappa in queste ardue vertenze romane e forse si aprirebbe più facilmente la via alle negoziazioni in proposito.

Rammento quanto concerne i passaporti, che dal Governo del Re si· propone abolire senza restrizione tra Francia e Italia.

Rispetto al Trattato di Commercio con la Francia, Ella ritenga che io bramo moltissimo di contentare il Suo desiderio, ma nel momento noi pos<:o. Nella prossima convocazione del Parlamento non posso allontanare nè 'il Segretario Generale, e neanche il cav. Minghetti. Ho invece pensato di far qui elaborare il progetto di Trattato Commerciale, e quindi mandarlo all'esame del Governo Francese, il quale emetterebbe il suo pensiero, che darebbe modo di fo!nire di più precise istruzioni il Commissario nostro. Se il Parlamento avesse poi un periodo d'interruzione, potrei pregare il cav. Minghetti ad assumersi l'ufficio di nostro Commissario. Spero che non disapproverà questo concetto.

*Credeva che Ella avrebbe continuato ad informarmi sulla presenza del Presidente della nostra Camera in codeste regioni.

I numeri del Temps più meritevoli di attenzione sono 161, 168, 16!1, 171, 174. Non le faccia meraviglia l'apparente apatia con la quale Le paia che lo mi occupi dell'oggetto ed in effetto mi c'induco soltanto per rispetto ad un atto immorale e non già per motivi personali che abbandono totalmente al disprezzo. *

(l) Non pubblicati.

384

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A MADRID, TECCO

(Ed. in L V, 3, XII)

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 6 novembre 1861.

Col telegramma che io mi feci premura di spedirLe ieri Le indicai ad un tempo e l'intenzione della Francia di continuare con maggiore efficacia i buoni uffici da essa assunti presso il Gabinetto di Madrid, e la mia ferma volontà di non acconsentire ad alcuna distinzione fra l':l parte degli Archivi Napoletani che riflette esclusivamente gli interessi privati, e quella che si riferisce ad oggetti di ordine pubblico o politico. Le ragioni di questa mia determinazione non possono essere sfuggite alla penetrazione della S. V. Ill.ma. La

:SO -Documenti diplomr:tici -Serie I -Vol. I

distinzione che si vorrebbe introdurre non riposa infatti su alcun fondamento

giuridico. La Spagna non ha maggior diritto sui documenti relativi ai pubblici

interessi che su quelli che concernono meramente gli interessi privati. Rispetto

al Governo del Re gli uni e gli altri sono egualmente importanti: la consegna

degli uni come quella degli altri è richiesta egualmente dalla coscienza del nostro

diritto e dal sentimento della dignità nazionale. Una tale distinzione lascierebbe

dunque insoluta la questione giuridica, o per dir meglio essa la troncherebbe

in senso sfavorevole a noi, giacchè ammettere la consegna di una sola parte

degli Archivi, è riconoscere implicitamente alla Spagna il diritto di ritenere

l'altra parte.

V'ha di più: una tale distinzione susciterebbe in pratica delle difficoltà

gravissime. Chi sarà incaricato di classificare i documenti in due distinte cate

gorie? Dovrà forse una tale separazione lasciarsi al beneplacito di ciascuno dei

Consoli Spagnoli che trovasi in possesso degli Archivi Napoletani? Dovrà in

ciascuno dei luoghi in cui si verificò il fatto che diede origine alla vertenza,

istituirsi una Commissione mista, incaricata di tale distinzione? Evidentemente

un tale metodo sarebbe sconvenevolissimo pel Governo che lo subirebbe. La

Spagna fu finora semplice depositaria degli Archivi dei cessati Consolati Na

poletani: in tale qualità essa non può nemmeno prender lettura del contenuto

dei documenti: ammettere la distinzione, accordarle la facoltà di classificare

in separate categorie i documenti di cui si tratta, equivale a concederle un

diritto di proprietà.

Il modo con cui questa scarsa e monca consegna verrebbe eseguito, sarebbe

esso pure tale da porgere il destro a nuove complicazioni. Consegnando gli

Archivi, non agli Agenti del Governo del Re, ma alle Autorità locali, si corre

il rischio ch'esse rifiutino di trasmettere poi quei documenti ai Consoli Ita

liani. Ciò senza dubbio non accadrà nei paesi il cui Governo già riconobbe il

Regno d'Italia: ma non è ben certo che il fatto da cui ebbe origine la presente

vertenza sia accaduto soltanto a Lisbona, a Costantinopoli, ad Alessandria, a

Marsiglia, ad Algeri ed a Londra. Consta al Governo del Re che in altri luoghi

p. es. a Gibilterra ed a Tripoli di Barberia, avvenne lo stesso: e benchè, anche in queste città le Autorità locali riconoscano la giurisdizione dei Consoli Italiani, questo esempio basta a provare non essere affatto certo che non vi abbiano luoghi in cui la consegna alle Autorità non farebbe che obbligare il Governo del Re a sollevare con altri Governi la stessa questione.

Queste considerazioni devono persuaderLa, signor Barone, che io non posso, senza espormi al rischio d'offendere la dignità dell'Italia, accettare le ultime proposte del Gabinetto Spagnuolo. * Certo mi duole che esse siano, benchè soltanto in modo ufficioso, approvate dall'Ambasciatore Francese a Madrid, e non posso spiegarmi un tale fatto, che in conseguenza d'un equivoco, di cui mi affretto a renderLa consapevole.

La vertenza, che dà luogo ai presenti negoziati, si presentò dapprincipio come un fatto puramente locale. Il R. Console ad Algeri avvertì che l'Archivio del cessato Consolato Napoletano trovavasi in possesso del Console Spagnuolo, e che questi rifiutavasi di consegnarlo, neppure per quella parte che riguardava gli interessi dei privati intorno a cui pendevano vertenze di non lieve momento. Volendo prontamente risolvere questa difficoltà, io mi rivolsi al Governo Fran

cese e lo pregai d'interporsi a nostro favore, insistendo sovrattutto sulla necessità di non ledere gli interessi di privati cittadini, di cui gli atti civili ed i documenti legali trovavansi nell'Archivio in questione. È forse da attribuirsi a ciò, che il Governo Francese abbia, nelle sue istruzioni all'Ambasciatore di Francia a Madrid, limitato i suoi buoni uffici alla consegna dei documenti relativi agli interessi privati. Nulla però nei dispacci telegrafici od ordinari che io spedii a V. S. nel corso di questi negoziati accennò mai a cotesta separazione, ed io confido che Ella non avrà consentito in massima ad uno spediente che sarebbe lesivo del nostro diritto. Un Governo nuovo dev'essere più degli altri custode geloso della propria dignità: nè egli otterrà agevolmente rispetto dalle altre Potenze, se non dimostra d'aver il rispetto e la coscienza del proprio diritto.

L'ingerenza cortese e benevola presa dal Governo di Francia in questa vertenza, non ha efficacia e carattere di una vera mediazione. Essa si limita a consigli ufficiosi, i quali in una questione di dignità nazionale non potrebbero mutare radicalmente le determinazioni del Governo del Re. Una comunicazione fattami ieri dal Ministro di Francia mi dà d'altronde motivo a sperare che la Francia non si limitò a far sue le ultime proposte del Gabinetto Spagnuolo e che il signor Thouvenel non abbia rinunciato alla speranza di indurre il Gabinetto di Madrid a fare un passo più decisivo verso la desiderata conciliazione. Io debbo naturalmente aspettare per qualche giorno ancora l'esito di questi buoni uffici ulteriori prima di dare alla S. V. Ill.ma definitive istruzioni. Per ora debbo !imitarmi a pregarLa di evitare prudentemente qualunque atto o parola che potesse far supporre nel Governo del Re un'arrendevolezza che il Parlamento e l'opinione pubblica troverebbero a ragione soverchia. Ho informato il cav. Nigra ed il signor Benedetti del mio rifiuto d'accogliere le proposte fatte alla S. V. Ill.ma: non mancherò di tenerLa informata per telegrafo delle risposte che riceverò da Parigi. Ella continui intanto in quel riservato contegno dal quale amo credere non siasi scostato finora. *

385

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 358. Berlino, 6 novembre 1861. Lord Clarendon est reparti ce matin pour Londres. Il avait encore une fois vu le Comte de Bernstorff pour lui faire comprendre que le Cabinet Anglais verrait avec plaisir que la Prusse reconnut le Roi d'Italie, et pour demander à ce Ministre si ses explications précédentes devaient etre considérées comme son dernier mot. Lord Clarendon a cité le bon exemple donné tout récemment par le Gouvernement Beige qui, par une décision prise spontanément et en

temps opportun, avait su prévenir les désirs de la majorité de son Parlement, quoiqu'il ffit tenu à observer plus de ménagements que la Prusse vis-à-vis d'une population entièrement catholique. En retardant indéfiniment à se prononcer, le Cabinet de Berlin ne s'expose-t-il pas à des interpellations embarassantes de la part de ses Chambres?

Le Comte de Bernstorff ne semblait pas attribuer beaucoup d'importance aux vòtes du Parlement de ce pays sur les questions étrangères. Quant à la reconnaissance, il a répété à son interlocuteur qu'il n'existait pas un intérèt prussien assez urgent pour modifier dès à présent l'attitude expectante, il est vrai, mais bienveillante de ce Gouvernement à notre égard. De différens còtés on avait cherché à l'induire à prendre l'engagement de ne jamais reconnaitre le Roi d'Italie; mais il avait tenu à garder les mains intièrement libres; parce que, disait Son Excellence, si aujourd'hui nous n'avons pas un intéret pressant et immédiat à reconnaitre, les circonstances pourraient plus tard nous conseiller autrement. En un mot rien n'a été préjugé.

Ces détails m'ont été donnés par Lord Clarendon, auquel j'ai fait une visite expressément pour le remercier de ses démarches spontanées en faveur de notre cause.

Il résulte donc que si la Cour de Berlin n'a pas fait un pas en avant vers nous qui n'avons rien soll'icité durant cette période de fètes, elle n'a du moins pas fait de pas en arrière vers ceux (l'Autriche évidemment et quelques-uns des Représentants couronnés recevant son mot d'ordre en Allemagne) qui postulaient à notre détriment. Bref le status quo avant l'arrivée de notre Ambassadeur a été maintenu, mais avec une dose de plus de bon vouloir, gràces à l'excellent souvenir que le Général Della Rocca a laissé dans ce pays. En effet, si nous n'avions pas été aussi dignement représentés, si nous nous fussions abstenus au moment où tous les Souverains rivalisaient pour témoigner leurs égards au Roi Guillaume, nous nous exposions à blesser certains amours-propres. Qui sait si alors les insinuations de nos adversaires n'auraient pas eu gain de cause? Tout bien consideré, nous devons nous féliciter de l'envoi de notre Ambassade. Quand les circonstances ne permettent pas d'obtenir le mieux, il faut s'estimer heureux, relativement parlant, d'avoir pu empecher le mal sans compromettre l'avenir.

De nombreuses descriptions ont paru sur les fètes du couronnement. La

presse française ne parle que des magnificences de la mission du Due de Ma

genta. La modestie est le moindre des défauts de cette nation. Il me semble

qu'il conviendrait, sans y mettre la mème affectation, qu'à notre tour nous

publiassions quelques détails sur notre ambassade. Dans ce but j'ai préparé

l'article ci-joint que l'Opinione et I'Italie pourraient imprimer dans leur colon

nes; si V. E. en approuve la teneur.

Le Comte de Bernstorff que j'ai vu ce matin s'est plus à me répéter combien

le Général Della Rocca avait réussi à la Cour. Ce Ministre ne m'a du reste

donné aucune nouvelle politique. Mais je sais d'autre part qu'il est très alarmé

de l'état de l'Autriche et de la Russie. A ces inquiétudes il faut ajouter les

préoccupations que lui donnent les prochaines élections. Si Monsieur de Vincke,

comme tout porte à le croire, est nouvellement élu, il est probable qu'il voudra,

ne fùt-ce que par amour-propre d'auteur, accentuer davantage dans la discussion

de l'adresse sa motion de l'année dernière, motion si favorable à l'Italie.

386

IL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

L. P. CONFIDENZIALE S. n. Bruxelles, 6 novembre 1861.

M. Rogier est venu hier soir à 10 heures chez moi pour me dire qu'il lui serait impossible de m'adresser une note en réponse à la notifì.cation que j'ai adressée dans le temps au Gouvernement Beige sans y insérer quelques réserves. Comme V. E. peut le penser, j'ai combattu de toutes mes forces cette exigence: j'ai dit entre autres choses à M. Rogier que la Belgique sortirait par ses réserves de son ròle de Puissance neutre, et que puisque nous ne lui demandions pas de reconnaitre nos droits sur les Provinces annexées, mais seulement le titre de Roi d'Italie, il était tout nature! que nous refusions d'accepter aucune réserve, ce qui serait trop compromettant pour la dignité de l'Italie. Voyant que tous mes raisonnements ne réussissaient pas à ébranler la détermination de M. Rogier, et d'autre part la nuit étant déjà trop avancée, j'ai prié ce Ministre de me permettre d'aUer ce matin chez lui pour causer encore ensemble sur cette question. J'en reviens en ce moment, et d'après tout ce qu'il m'a dit j'ai pu comprendre que le Minìstère, pour éviter autant que possible les discussions de principes devant la Chambre, tient à pouvoir dire que se trouvant dans la nécessité de remplacer M. Lannoy 'il a dft reconnaitre implicitement le titre de Roi d'ltalie, car il a ajouté que si plus tard nous le désirions, il pourrait m'adresser la note que nous lui demandons en l'antidatant: mais pour le moment il propose de se borner à m'adresser une note pour me faire part de la nomination de M. Solvyns comme Iviinistre auprès de Mon Auguste Souverain le Roi d'Italie, dans laquelle il m'annoncera en meme temps que je serai par conséquent reçu ici comme Ministre d'Italie. D'après ma manière de voir il serait préférable, faute de mieux, qu'il me fftt adressé une note, comme V. E. l'a proposé, calquée sur celle de Lord J. Russell, sauf au Ministère beige de faire donner verbale:rp.ent à V. E. par son représentant à Turin les explications, ou réserves qu'il jugerait convenables, mais je ne crois pas qu'il soit possible de l'obtenir de M. Rogier. Comme les Chambres belges s'ouvriront le 12 du courant, V. E. comprendra qu'il serait urgent de prendre une décision.

387

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 7 novembre 1861.

Ho attentamente ponderati i varii punti della memoria sottoposta dalla Sublime Porta all'approvazione delle Potenze segnatarie del Trattato di Parigi, circa le concessioni da farsi alla Moldo-Valachia.

Il Governo del Re ha già dimostrato in quanto pregio siano da lui tenute la moderazione e la deferenza di cui il Governo Ottomano dà non dubbie prove nel condiscendere ad una più stretta unione dei Principati Danubiani, e cooperare cosi alla loro tranquillità ed al loro benessere. La Sublime Porta deve quindi andare persuasa dell'imparzialità non solo, ma dello spirito amichevole col quale furono da noi prese ad esame le sue proposte.

Quanto ai primi tre punti, essendo essi in sostanza conformi alla posizione in cui il trattato di Parigi e la Convenzione del 19 agosto 1858 hanno politicamente collocata la Sublime Porta rispetto ai Principati, il Governo del Re non crede dover muovere obbiezione alcuna. Dal momento che la fusione dei due paesi entra in una fase di legale e politica esistenza, noi non vediamo gravi inconvenienti nel carattere provvisorio che per ora, secondo i desiderii della Sublime Porta, riceverebbe il nuovo ordinamento, poichè a quel modo stesso che le Potenze sono chiamate a provvedere di concerto colla Turchia alle presenti necessità dei Principati, qualora il tempo venisse a chiarir nuovi bisogni, rimarrebbe naturalmente aperto l'adito a nuovi accordi. Ma se crediamo si possano per ora ammettere risguardo alla durata ed al carattere dell'unione i limiti chiesti dal Governo Ottomano, salvo poi a provvedere quando ne avvenga il caso con nuove stipulazioni, ci rincresce il dover dichiarare che il quarto punto, ossia la domanda della Porta di essere essa sempre incaricata dell'impiego dei mezzi coercitivi qualora vi sia qualche violazione dell'atto costitutivo, ci sembra soggetta a serii riflessi e tale da far temere gravissimi inconvenienti non solo nell'interesse della Porta medesima ma per la quiete à'Europa.

Se le Potenze nel Trattato di Parigi e nella Convenzione del 1859 giudicarono dover espressamente riservare per ogni caso che si presentasse, il giudizio e l'accordo comune sui mezzi coercitivi da impiegarsi, ciò non fu certamente dettato da sentimento ostile alla Turchia, ma piuttosto da benevola sollecitudine, poi dalla previsione dei grandissimi pericoli cui potrebbe dar luogo l'uso della forza armata, ed il carico previamente affidatone ad una data Potenza.

La Turchia sa per propria esperienza quanto siano stati funesti a Lei medesima i suoi interventi nei Principati Danub'iani, poichè, lungi dallo stabilirsi la sua influenza e la sua autorità, non fecero che accrescere la separazione e mettere in compromesso la pace d'Europa.

Per quanto fosse locale il procedere della Sublime Porta, per quanto si astenesse ella scrupolosamente dal favorire un'occasione qualunque di far atto di presenza armata nei Principati, il saperla preventivamente designata ad intervenire colla forza sarebbe quasi impossibile non servisse di fomento a qualche partito per turbare l'ordine di quelle Provincie, sperando o di trovare nelle armi della Turchia un appoggio a suoi disegni o di provocare qualche crisi.

La coercizione armata non può esser coi Principati Danubiani, come altrove, che uno estremo rimedio a cui non sia lecito ricorrere se non in suprema contingenza; ci sembra imperiosamente richiesto, così nell'interesse dell'Europa come in quello della Turchia, che rimanga sempre in facoltà delle Potenze di scegliere fra i molti mezzi che possono offrirsi per comporre le cose dei Principati, quelli che secondo le circostanze appajono meno pericolosi e più opportuni. La S. V. impertanto, esponendo le opinioni del Governo Italiano sulle proposte comunicatele, si varrà delle considerazioni che precedono.

Confido che tanto i Ministri ottomani quanto i Rappresentanti delle Potenze garanti, ne accoglieranno l'espressione come testimonianza della sincera nostra amicizia verso la Porta, e del leale interessamento che prendiamo alle questioni che la risguardano.

388

IL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE S. n. Bruxelles, 7 novembre 1861.

D'après une invitation spéciale et par écrit de M. Rogier, je me suis rendu ce matin au Ministère des Affaires Etrangères où ce Miniotre m'à donné lecture de la note qu'il allait m'adresser, et dont vous trouvere?. ci-joint copie, pour me faire part officiellement de la nomination de M. Solvyns, comme Ministre auprès de S. M. le Roi Victor Emmanuel Roi d'Italie, et de la ùécision du Cabinet Belge de me reconnaitre à partir de ce jour la qualité de Ministre du Roi d'Italie; il m'a demandé en meme temps de lui dire Si j'avais quelques-observations à lui faire au sujet de cette note. Je lui ai répondu que la forme proposée par V. E. me paraissait plus régulière, mais que pour le fond, je trouvais qu'elle contenait tout ce que nous pouvions désirer pour constater de la part du Gouvernement Beige la reconnaissance du titre pris par Notre Auguste Souverain de Roi d'Italie, que du reste je n'acceptais cette note que ad referendum, et que je ne lui en accuserais réception, que quand j'en aurais reçu l'autorisation de V. E. Vous remarquerez, Monsieur le Baron, le soin qu'on a pris de ne faire mention en aucune manière dans cette note du Roi Léopold, ce qui est tout à fait conforme aux règles d'un Gouvernement constitutionnel, mais je ne serais pas étonné que cela ait été fait d'après le désir exprès du Roi qui veut laisser entièrement l'initiative et la responsabilité de cette mesure à ses Ministres.

Vous remarquerez en outre que M. Rogier parle dans cette note de considérations qu'il m'a presentées à l'occasion qu'il m'a annoncé de vive voix l'intention du Gouvernement Beige de reconnaitre le titre de Roi d'Italie en accréditant un nouveau Ministre près la Cour de Turin; ces considérations ont été que le Gouvernement Beige n'entendait pas résoudre par là une question de droit, mais seulement une question de fait et je crois que notre Gouvernement n'a jamais entendu lui demander autre chose par la notifìcation que j'ai eu ordre de lui adresser.

Avant de nous séparer, M. Rogier avec cette franchise et cette loyauté qui le caractérisent, a voulu que je prisse lecture de la dépeche qu'il a adressée au Représentant Beige à Rome pour lui notifìer la déterminat'ion du Cabinet de Bruxelles de reconnaitre le Royaume d'Italie, et pour lui expliquer la portée de cette décision.

Dans cette dépeche, après avoir exposé les différentes raisons, surtout d'intéret matériel, qui engagent le Gouvernement Beige a reconnaitre le nouveau Royaume d'Italie afìn d'entretenir avec lui de bonnes relations,

M. Rogier, pour expliquer la portée de cette reconnaissance, ajoute, et ceci est textuel puisque je l'ai copié sur le bureau meme du Minh::tre: « C'est une règle de droit public généralement admise que de la part d'une Puissance étrangère, reconnaitre un autre Gouvernement n'est que reconnaitre un fait, savoir qu'il est généralement obéi, malgré la libre manifestation qu'un nombre plus ou moins considérable d'individus s'est permise d'une opinion contraire. Les Puissances étrangères suivent la possession, si le bien de leurs affaires l'exige ». Il dit ensuite, après avoir parlé des différentes Puissances qui ont déjà reconnu le nouveau Royaume d'Italie: « En reconnaissant le nouveau Royaume d'Italie nous reconnaissons à leur exemple un état de possession, sans nous constituer juges des événements qui l'ont établi, et nous gardons notre liberté d'appréciations vis-à-vis des éventualités qui pourraient modifier cet état de fait ».

ALLEGATO.

ROGIER A MONTALTO

Bruxelles, Ze 6 novembre 1861.

J'ai déjà eu l'honneur de vous faire connaitre de vive voix l'intention du Gouvernement du Roi d'accréditer un nouveau Ministre près la Cour de Turin.

V. E. se rappelera les considérations que j'ai eu I'honneur de lui présenter à cette occasion, considérations que notre nouvel Envoyé Extraordinaire sera, de son cote, chargé de communiquer au Gouvernement de V. E.

Je viens aujourd'hui vous informer, Monsieur le Comte, que le choix du Gouvernement du Roi s'est fixé sur M. Solvyns et que les lettres de créance dont ce Ministre sera munì pour le Roi Victor Emmanuel II attribuiront à ce Souverain le titre que, conformément à la loi votée le 17 Mars dernier, Sa Majesté a pris pour Elle et pour Ses Successeurs.

Je puis ajouter, Monsieur le Comte, que dès à présent le Cabinet de Bruxelles. dans les relations qu'il entretiendra comme par le passé avec V. E., Lui reconnaitra la qualité de Ministre du Roi d'Italie.

389

IL CONSOLE A BUCAREST, STRAMBIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLr

R. 164. Bucarest, 8 novembre 1861.

In presenza delle difficoltà che si manifestavano in Costantinopoli a proposito delle trattative diplomatiche per l'unione perfetta dei Principati, il Principe Couza, prima della sua partenza per Jassy, disse a ciascuno degli Agenti politici, presso di lui accreditati, che l'esperimento fatto dalla Convenzione di Parigi aveva dimostrata la pratica impossibilità di alcune sue parti essenziali; che la pazienza della nazione, la quale sopportò con lunga rassegnazione i mali prodotti della separazione delle due Provincie, era allo stremo delle forze; che ambe le Assemblee avevano diniegato anticipatamente ogni fiducia ai Ministeri che non. operassero l'unione, ed esse Assemblee dovevano pure, secondo la convenzione, riconvocarsi alla seconda domenica di dicembre; che egli non avea cessato di esporre rispettosamente alle Potenze la situazione del paese e la necessità sempre più urgente di soddisfare al massimo suo voto; che per conseguenza..

quando i diplomatici accordi non riuscissero, fra breve, conformi a questo voto, egli avrebbe soddisfatto alla propria missione e, per ragione suprema di Stato appoggiato al patriottismo dei Rumeni, proclamata l'unione completa dei Principati.

Consimili dichiarazioni debbono essere state fatte ai Rappresentanti delle Potenze garanti in Costantinopoli dall'Agente Rumeno signor Negri. Credo ora ben sincere e ferme le risoluzioni di S. A., le condizioni materiali e morali del paese non consentendogli d'altronde più lunga mora.

Altri fatti e successive manifestazioni giunsero in appoggio e valgono a rafforzare sempre più lo spirito pubblico in soccorso alla politica unionista del Governo. Riferirò alcuni de' fatti principali:

Un opuscolo è stato pubblicato in Bucarest che ha per t'itolo: Le Prince Alexandre Jean I et l'union complète des Principautés. Scritto dal signor Badu Jonesco, giovane ed abile giornalista. In detto opuscolo, di cui ho l'onore di rassegnare un esemplare qui unito (l) a V. E., narrati i mali della separazione delle due Provincie, e provata la necessità urgente della centralizzazione dei Ministeri e delle Assemblee, si annunzia arditamente che 11 « Principe, in virtù del d'iritto che gli è conferto dalla nazione, proclamerà il 3-15 dicembre prossimo, giorno dell'apertura delle Camere, l'unione completa». I miei colleghi sanno quanto io, che quest'opuscolo fu scritto per ordine ed a spese del Governo.

La Commissione Centrale di Focsciani non tardò più oltre a riferire sopra le proposte che furono emesse, nella scorsa primavera, dalle Assemblee legislative di Jassy e di Bucarest per una pronta temporanea loro unione, all'oggetto di discutere assieme l'importante questione morale. Si sa che il vero scopo prefissosi era quello di proclamare, nella prima seduta delle due Assemblee temporariamente unite, che esse Assemblee non sarebberosi separate più.

Una deputazione della Commissione Centrale, con a capo il suo Presidente, sig. Generale Golescu, si recò a Jassy e presentò al Principe il 27 dello scorso mese il voto di essa Commissione, in presenza dei Ministri, delle Autorità civili e milital"i e di molti notabili del paese.

S. A. rispose quanto segue: « Signori, accolgo col massimo piacere l'espressione del desiderio che la Commissione Centrale nutre egualmente per l'unione vera dei Principati Uniti. Questa manifestazione varrà a dissipare qualsiasi dubbio che potesse ancora esistere altrove su questo sentimento comune a tutti i Rumeni dei Principati Uniti. Cotale sentimento è divenuto la religione politica del paese. Dal giorno in cui mi vennero affidate le sorti dei Rumeni, l'unione fu l'oggetto costante delle mie preoccupazioni. Vi è noto che in questo momento la Corte Alto-Sovrana e le grandi Potenze garanti, le cui simpatie generose ci sono assicurate, si occupano della realizzazione di questo nostro desiderio, che è l'unico che potrà consolidare l'avvenire dei Principati».

Già prima, con Decreto Principesco del 16 ottobre p. p., era stata nominata una Commissione mista, con sede in Bucarest, composta di sedici membri, otto Moldavi ed otto Valachi, espressamente incaricata di occuparsi immediatamente dei lavori preparatorii per l'unificazione delle leggi e dei regolamenti

amministrativi di ambi i Principati. Ma questa Commissione, stata scelta, in

massima parte, all'infuori dell'elemento delle Assemblee, che attualmente tro

vansi soltanto prorogate, non avrà l'autorità di cui abbisogna per riempire il

proprio mandato e si ridurrà forse ad una mera dimostrazione.

Dal canto suo il Ministro della Guerra, che già è un solo pei due Principati,

prosegue l'opera di unificazione delle due milizie, eguagliando i regolamenti

militari e nelle nuove leve e nel nuovo Reggimento d'i fanteria (il 7°) che sta for

mandosi, frammischiando le reclute moldave colle valache, come da poco fé

venire da Jassy la maggior parte degli ufficiali del 2" Reggimento lancieri (mol

davo) per essere incorporati nel 1° Reggimento lancieri (Valaco) di guarnigione

in Bucarest, con scambio reciproco.

Finalmente, non essendosi trovato in Bucarest alcun nuovo edificio idoneo

a sede delle due Assemblee riunite, furono già date le disposizioni opportune

per l'ampliamento di quello in cui radunossi fin qui l'Assemblea valaca e dovrà

accogliere fra breve l'Assemblea rumena.

Vaghe ed incerte corrono qui le notizie sull'andamento delle discussioni

fra i Rappresentanti delle Potenze garanti in Costantinopoli relativamente alla

unione. Si propende ora a crederle entrate in una nuova fase più favorevole;

ciò che non talenta al partito democratico, il quale bramerebbe riescissero vane,

affinchè il paese sia costretto fare da sè, senza l'intervento dei forestieri, dalla

cui tutela continua si vorrebbe una volta esser liberi. Direi anzi che questo

legittimo sentimento di orgoglio nazionale si ridesta anche negli altri partiti,

e non tarderebbe a manifestarsi vivamente e generalmente se la coscienza delle

deboli forze non consigliasse più prudente contegno. Inspirati a questo stesso

sentimento sono i lamenti che generalmente ed incessantemente si fanno che

il Principe Couza non abbia saputo od avuto il coraggio di profittare di eccel

lenti occasioni che ebbe in passato di compiere l'unione senza soverchio timore

di militari interventi esteri.

(l) Non allegato.

390

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A MADRID, TECCO

T. 659. Torino, 10 novembre 1861, ore 11,30.

J'ai consenti à toutes les conditions proposées par la France, mais j'ai insisté sur la restitution des Archives sans division ni séparation. Si demain vous ne recevrez pas avis que cette demande est acceptée, vous donnerez au Cabinet Espagnol une note finale en développant les idées suivantes.

La France ayant interposé ses bons offices pour aplanir les difficultés entre les deux Cabinets au sujet des Archives Napolitaines, le Gouvernement du Roi avait cru devoir en attendre le résultat avant de vous donner des instructions définitives.

L'ambassadeur de France a mis les soins les plus empressés dans l'accomplissement de cette intervention officieuse. De notre còté nous avons adhéré à toutes les concessions qui nous étaient demandées et qui étaient compatibles avec notre dignité. Il n'y a plus maintenant qu'une difficulté à

résoudre. L'Espagne prétenderait maintenir la distinction entre les documents

des particuliers et ceux d'ordre politique et ne pas restituer ces derniers.

Vous expliquerez les raisons qui nous empechent d'accepter cette restriction,

d'après ma dernière dépeche. Vous exprimerez l'espoir que le Cabinet Espa

gnol en reconnaitra la justesse et qu'il renoncera à une prétention qui porterait

atteinte à notre droit et à notre dignité. Vous prierez enfin le Ministre des

Affaires trangères de vous faire une prompte réponse. Servez-vous des termes

les plus polis et mesurés.

Vous attendrez la réponse pendant 3 jours. Si le 15 au soir vous ne l'aurez pas reçue ou si elle ne portera pas l'acceptation pure et simple de cette demande, vous demanderez vos passeports et vous partirez imméd'iatement.

Je vous prie de remarquer que pour le 15 au soir la question doit etre résolue

ou par l'acceptation ou par votre départ. Veuillez m'accuser réception de cette

dépeche.

391

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (Ed. in Ricasoli, VI, pp. 233-234)

L. P. Parigi, 10 novembre 1861.

Ho ricevuto la Sua particolare del 6 corr. So bene che da certo tempo i giornali, o almeno alcuni di essi, vanno sclamando che bisogna far precedere V enezia a Roma. Era cosa naturale che l'opinione pubblica, prevedendo l'impossibilità di risolvere per ora la Questione Romana, istintivamente si rivolgesse verso la Questione Veneta. Ma non creda l'E. V. che gli uomini di Stato di qui e massime l'Imperatore approvino o incoraggino questa tendenza. L'Imperatore non desidera la guerra nè per noi, nè per sè. Egli sa che non siamo preparati a tanto, e prevede un'immancabile sconfitta, se ora l'Italia avesse il poco senno di muover guerra all'Austria. Questa guerra si combatterebbe in difficil'issime e cattive condizioni per noi. Ciò non vuol dire però che, ove sorgessero nuovi avvenimenti in Europa, i quali mutassero le condizioni presenti, ciò che ora non è saggio possa divenir prudente.* Se l'Ungheria si sollevasse, se i reggimenti ungheresi abbandonassero le insegne imperiali, se pigliasse maggior <·ampo lo spirito di dissoluzione che invade tutte le membra del vecchio Impero, * se la vittoria, per noi ora difficilissima, per non d'ire impossibile, divenisse non solo probabile ma quasi certa, allora, ma allora solamente, si approverebbe qui una levata di scudi contro l'Austria. Adunque stia pur rassicurato su questo punto.

*Vimercati è giunto qui. Volli avere da lui spiegazioni categoriche intorno alle corrispondenze dall'E. V. segnalatemi. Il conte Vimercati afferma sulla sua parola d'onore che non ha scritto, non ha ispirato, non ha consigliato una &ola lettera di quelle scritture. Egli mi disse che quando credesse far opposizione al Governo da cui dipende, comincerebbe dal dare la sua dimissione. Mi lasciò poi supporre che forse quelle corrispondenze potessero essere del conte Martini, che ha relazioni col giornale Le Temps. Ignoro finora se tale supposizione è fondata, giacchè lo stesso Vimercati dice di non saper nulla di positivo a questo riguardo. Ma avrò cura d'informarmi come meglio saprò. È bene che Ella sappia ch'io tengo verso i giornali una condotta riservatissima, nulla essendo più facile che l'esser compromesso dal giornalismo indiscreto. Questa condotta, da cui non mi dipartirò, le spiega come mi siano passate inosservate tali corrispondenze, le quali, a dir vero, passarono inosservate generalmente qui agli uomini politici.

Deploro che l'affare degli archivi sia ancora in sospeso, e le confesso che mi duole il dire a Thouvenel che ci fu un malinteso intorno alla sua proposta. Eppure io avevo tentato di esporle ben chiaramente l'idea del signor Thouvt:nel col mio dispaccio confidenziale del 27 settembre n. 19, ove dicevo: «Il signor Thouvenel non parlò nei suoi uffizi che delle carte concernenti affari privati e commerciali, ad esclusione della corrispondenza politica». E ciò dicevo non solo per Marsiglia e Algeri, ma anche per gli altri paesi, come appare evidente dalle parole che seguono: «La consegna, nei paesi non francesi, avrebbe dovuto farsi alle autorità locali nello stesso modo e allo stesso fine». Inoltre nella mia lettera particolare dell'8 ottobre scorso ebbi cura di ripeterle: «È però inteso, r.econdo la proposta francese, che le carte politiche saranno eccettuate».

Le ripeto che mi è duro il dire a Thouvenel dopo due mesi di negoziati, che la sua proposta non fu compresa da noi e che ci fu un malinteso. Parmi che sarebbe stato assai meglio, giacchè si crede conforme alla dignità di dover rompere colla Spagna, di farlo addirittura scartando la mediazione francese e fissando ventiquattro ore di tempo per la rimessione degli archivi o per meglio dire per la relativa determinazione del Gabinetto Spagnuolo. Parmi evidente che il signor Thouvenel non vorrà modificare la sua proposta. Tuttavia gli esporrò le idee dell'E. V.*

Approvo quanto Ella propone pel Trattato di Commercio. Badi però che sarebbe utile che col progetto mi si mandassero le occorrenti istruzioni, colle quali io fossi autorizzato a negoziare, e colle quali si fissassero il maximum e il minimum delle concessioni da farsi e da domandare. Insisto poi perchè mi si mandi un impiegato delle dogane che conosca bene le tariffe. Come Le mandai per telegrafo, il comm. Rattazzi parte lunedì per Torino, e Le esporrà tutto quello che qui ha detto e udito.

P. S. Ho parlato con Thouvenel in conformità del di Lei dispaccio sugli Archivii Napoletani. Il signor Thouvenel, in presenza della determinazione presa dal Consiglio dei Ministri del Re, che gli fu comunicata dal signor Benedetti, ritira ogni sua ingerenza in questa questione.

392

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (Ed. in Ricasoli, VI, pp. 234-236)

L. P. E SEGRETA Parigi, JO novembre 1861.

La prego di non dire a persona quanto è contenuto nella presente lettera. Durante il mio soggiorno a Compiègne, il Principe Napoleone, il signor Fould e il signor Rouher non cessarono di persuadere l'Imperatore della necessità d'uscire dalle presenti incertezze sia per l'interno, sia per la Questione di Roma. Io tentai pure di secondare questi sforzi, sia presso l'Imperatore, sia presso la !mperatrice, che cercai di mitigare e di ridurre a migliori sentimenti a nostro riguardo. Il risultato di questi sforzi fu il seguente:

l o L'Imperatore ha compreso la necessità d'un cambiamento ministeriale. Probabilmente il signor Fould entrerà alle Finanze. Forse Walewski uscirà, il che non è però certo. Ma se rimane, rimarrà probabilmente con minori poteri. Il principe Napoleone sarebbe nominato Presidente del Consiglio privato. 1\lartedi ci sarà Consiglio in Parigi e probabilmente in questo Consiglio si prenderanno o si prepareranno le mutazioni anzidette. Il signor Fould e il Principe Napoleone assisteranno a tale Consiglio. Il signor Fould vi leggerà un suo rapporto sulle finanze. Proporrà l'abolizione dei crediti supplementari, salve con<'essioni del Parlamento, e proporrà pure l'abolizione del debito fluttuante.

2° Quanto alla Questione di Roma, l'Imperatore ha esposto al Principe (che me l'ha ripetuto e che lo ripetè anche a Rattazzi) il piano seguente: L'Italia riconoscerebbe lo statu quo relativamente ai possedimenti territoriali del Papa. Il Papa darebbe una costituzione, adotterebbe la bandiera italiana colle armi pontificie, introdurrebbe una legislazione laica, darebbe libertà comunali e provinciali, adotterebbe la politica estera dell'Italia, riconoscerebbe il Regno d'Italia; ecc. Se il Papa accetta, le truppe francesi lasciano Roma immediatamente. Se ricusa, l'occupazione francese cessa ugualmente. Nel primo caso le truppe francesi sarebbero surrogate dalle italiane. Nel secondo caso si l&o.cia il Papa in presenza dei suoi sudditi. Il silenzio del Papa sarebbe considerato come un rifiuto. Un mese di tempo a risolversi.

Tutto ciò dovrebbe contenersi in un trattato da presentarsi ad un tempo all'Italia e al Papa. Il trattato rimarrebbe segreto fino all'accettazione o al rifiuto. E siccome il rifiuto è certo, il trattato sarebbe conosciuto nel medesimo tempo che il rifiuto e la conseguente evacuazione. Tutto ciò non è per anco formulato, ma bolle nella testa dell'Imperatore. Io porto la cosa a notizia dell'E. V. perchè sappia che cosa passa nel pensiero dell'Imperatore, e perchè Ella abbia tempo di rifletterei. La supplico di serbare sul contenuto di questa lettera il più scrupoloso segreto. Io so queste cose dal Principe, e quindi per via non ufficiale. Un'indiscrezione può farci molto danno. Purtroppo se ne commetterà, almeno lo temo. Ma è indispensabile che le indiscrezioni non vengano nè da Lei, nè da me.

Del resto, Rattazzi, a cui il Principe disse quanto è contenuto nella se<'onda parte di questa lettera, Le esporrà la cosa. Con lui solo potrà mostrarsene informato. Il contenuto della prima parte della lettera credo non sia conosciuto neanche da Rattazzi. Epperciò non gliene parli, perchè il Principe me lo confidò sotto sigillo del più gran segreto. Non volendo confidare che a mano sicura questa lettera, spedisco in corriere il conte Sormani. Se desidera parlarmi di questo argomento, La prego di servirsi ugualmente di mezzo sicurissimo.

*Prego V. E. di pigliare da questa lettera le note che crederà convenienti e poi di distruggerla o rimandarmela. *

393

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. 52, n. 119, orig. autogr.)

L. P. Parigi, l O novembre 1861. Il sig. Thouvenel desidera che io Le faccia pervenire una preghiera del conte di Persigny. Ecco di che si tratta. La duchessa di Parma brama ricuperare la sua biblioteca privata. Pare che siasi diretta, non so in che modo, al signor Perslgny per ottener ciò; fatto è che questi s'interessa perchè si faccia alla duchessa una tale restituzione. Voglia Ella pigliare la cosa in considerazione e informarmi poi di quanto sarà per decidere in proposito. Il sig. Rattazzi Le esporrà quanto ha visto qui ed udito. Ho stimato che fosse più conveniente che il Presidente della Camera riferisse egli stesso a V. E. il risultato del suo viaggio, anzichè farle pervenire informazioni incomplete. Il sig. Rattazzi mi disse esser sua intenzione di narrarle tutte le sue impressioni e di esporle le condizioni delle cose in Francia rispetto all'Italia. Vide l'Imperatore e scrisse al Re. Lo presentai al principe Napoleone, al sig. Thouvenel e ai principali Ministri, ma mi astenni dal pigliar parte ai banchetti datigli dalla stampa liberale. Ho insistito presso il sig. Thouvenel perchè si procedesse finalmente alla misura dell'abolizione reciproca dei passaporti. M'ha promesso di fare nuovi uffizi presso il conte di Persigny, il quale s'i mostra molto restìo ad adottare un simile provvedimento. Il sig. di Persigny si rifiutò d'ammettere l'abolizione per la Svizzera e non par troppo disposto ad ammetterla per l'Italia. Ma, come le dissi, il sig. Thouvenel m'ha promesso d'appoggiare nuovamente la cosa presso il suo collega dell'Interno. Nella conversazione d'oggi ho intavolato col sig. Thouvenel la questione della guarnigione mista nelle città della provincia romana, esclusa Roma. Il sig. Thouvenel era di già informato di questa di Lei proposta. Mi disse che r.0n

credeva che potesse essere eseguibile e vi si dichiarò contrario. Penso che ha mandato al sig. Benedetti questa sua opinione perchè la faccia conoscere a

V. E. in una con le ragioni che la determinano.

Il sig. Thouvenel ci consiglia ora più che mai ad avere pazienza e ad attendere che giunga il momento propizio in cui sarà permesso all'Imperatore di prendere una determinazione. Egli insiste sopratutto perchè non si abbia l'apparenza di voler spingere l'Imperatore suo malgrado.

394

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO

D. s. n.

Torino, 11 novembre 1861.

J'apprends avec plaisir par votre dépeche du 7 novembre et par la lettre particulière qui l'accompagne la détermination du Gouvernement de Belgique

de nommer M. de Solvyns Ministre du Roi Léopold auprès du Roi d'Italie.

Ce diplomate distingué recevra à Turin l'accueil empressé qu'il mérite comme

le Représentant d'un Gouvernement éclairé et libéral, et il pourra juger par

lui-mème des vives sympathies que l'ltalie ressent pour la Belgique.

Ainsi que vous l'avez fait justement remarquer à M. Rogier, nous ne de

mandons pas aux Gouvernements qui se décident à reconnaitre le Royaume

d'ltalie, une approbation explicite de notre politique. Non que nous ne md

tions le plus grand prix à mériter sur notre conduice le jugement favorable

d'hommes d'Etat éminents tels que MM. Rogier et Frère-Orban: nous som

mes persuadés au contraire que s'ils n'étaient arrètés par des considérations

d'une autre nature, ils auraient exprimé sans réserve leur joie de voir l'ltalie

former un Etat régi par des institutions de tout point analogues à celles de

Belgique. Mais nous savons que le jugement porté par un Gouvernement

ec;t infiniment plus complexe que celui d'un individu: de sorte que nous ne

nous étonnons aucunement d'apprendre que le Gouvernement du Roi Léopold

a pris pour base de sa détermination des considérations de fait, plutot que

des appréciations morales.

Cependant, si nous sommes loin d'exiger une déclaration d'approbation,

nous ne pourrions non plus admettre des réserves qui impliqueraient un blame.

Vous avez donc agi parfaitement, M. le Comte, en vous opposant aux réserves

ou conditions auxquelles on aurait voulu subordonner l'acte de reconnaisance,

et mème en n'accet;>tant que ad referendum la note que M. Rogier vous a

adressée le 6 noventbre.

En effet cette Pote, bien que conçue dans les termes les plus amicaux, coi~"tient queques mots dont je ne comprends pas bien la portée. Après avolr annoncé que M. de Solvyns sera accrédité auprès du Roi d'ltalie, M. Rogier ajoute que «dès-à-présent le Cabinet de Bruxelles dans les relations qu'il entretiendra comme par le passé avec V. E. lui reconnaitra la qualité de Ministre du Roi d'ltalie ».

Il m'est impossible de deviner les considérations qui ont pu engager M. Rof.ier à s'arrèter à cette rédaction. Les scrupules constitutionnels dont vons ;ne parlez, M. le Comte, me semblent bien insuffisants à la motiver. Il est notoire que dans les rapports entre les Etats, la nation tout entière, quelque soit sa forme de Gouvernement, se personifie dans le Souverain, auprès duquel sont accrédités les Envoyés et les Ministres des Puissances Etrangères. Il n'y a que les Chargés d'Affaires qui soient accrédités auprès du Ministre des Affaires Etrangères. Ce ne serait qu'à leur égard que la locution employée dans la note précitée pourrait jusqu'à un certain point se justifier. Il me serait facile de citer des textes, et de mettre en pleine lumière ce point de droit constitutionnel. Mais toute considération théorique devient un étalage d'érudition pédantesque et inutile, lorsqu'on a sous les yeux l'exemple récent d'un Gouvernement dont la pratique sert justement de modèle soit au Gouvernement de Belgique, soit à celui d'Italie. S. M. la Reine Victoria, qui certes a pour son Parlement et pour les droits de la nation autant d'égards que le Roi Léopold, n'a pas cru qu'il fiìt contraire aux principes constitutionnels de permettre à Lord John de déclarer dans la note dont je vous ai envoyé copie, qu'Elle recevrait le Marquis d'Azeglio en qualité de Ministre du Roi d'Italie. Ces con

sidérations que je vous prie d'exposer à M. Rogier lui démontreront, je l'espère, que la locution que je viens de citer, imparfaite et vicieuse si elle ne couvre aucune arrière-pensée, serait blessante et inacceptable si elle avait un sens caché et une portée restrictive. Cet homme d'Etat a des vues trop larges, un sentiment trop exquis des convenances pour ne pas comprendre qu'il conviendrait beaucoup plus aux deux Gouvernements de retarder l'acte de reconnaissance que de la faire sous une forme qui ouvrirait le champ à des équivoques et à des malentendus sans nombre. Le soin de votre dignité, M. le Comte, ainsi que le soin de la dignité nationale, exigent en un mot que votre position à Bruxelles soit aussi nettement définie que celle de M. de Solvyns à Turin. Quelque soit mon désir de me preter autant que possible à faire surmonter au Cabinet Beige les difficultés qui semblent mettre en embarras meme des hommes supérieurs comme MM. Rogier et Frère-Orban, je crois de toute nécessité de ne laisser aucun vague sur le titre qui sera donné au Ministre du Roi Victor Emmanuel à Bruxelles, dans les réceptions de Cour, et dans les autres réunions officielles. Cela est d'autant plus urgent que les termes dont est conçu le décret portant la nomination de M. Solvyns, a donné occasion à des commentaires peu fondés à la vérité, mais qui n'ont pas cessé de préoccuper l'attention publique.

Veuillez m'informer promptement du résultat du nouvel entretien que vous aurez à ce sujet avec S. E. le Ministre des Affaires Etrangères.

395

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 237-240)

L. P. Londra, 11 novembre 1861.

Appena da Lord Russell mi si mandò una risposta circa le carte relative a Roma, ne mandai copia a Torino per occasione semi-riservata (1). Trovandomi poi in campagna a Broadlands coi due Ministri, ho potuto più chiaramente rendermi conto di quanto mi dissero del loro modo di pensare. Lord Palmerston trova in queste basi di negoziazione una omissione secondo lui capitale. Il non asserirsi cioè in nessun articolo la sovranità del Re su tutta

o su parte di Roma, mentre si ammette la sovranità del Papa. Teme Lord Palmerston che questo non lasci adito sia a contestare ulteriormente questo diritto del Re su Roma, sia che in mani cardinalizie si principii col dire che non può stare un Sovrano senza Stati, e così dal niente si venga alla Città Leonina, e dalla medesima a tutta Roma. E più tardi queste pretenzioni diventando elastiche, la questione non ne sia per prendere quel carattere d'incertezza, che la domina attualmente. Inoltre egli mi sembrerebbe disposto a trovarci troppo generosi nell'interamente rinunziare a qualunque ingerenza nelle nomine dei Vescovi ed ai benefizii, come pure nei rapporti tra clero e clero.

A questo risposi che dal momento in cui pretendevamo gran concesSioni per riguardo al temporale, ragion voleva che ci mostrassimo giusti, rinunziando a

mischiarci di quanto spetta allo spirituale. Ma egli disse che considerava questa sorveglianza esercitata dal Governo, come avente uno scopo politico e non spirituale. Ma io gli feci osservare: 1° che in Francia, per esempio, dove il Governo esercitava gran controllo sulle nomine dei Vescovi, questo non impediva li avesse in gran maggioranza contrarii; 2" che esisteva tuttora in noi il potere d'esercitare l'azione dei tribunali nel caso ove questi Vescovi contravvenissero alle leggi del paese. E quest'ultima considerazione parve capacitarlo.

Lord Russell parve darci più esplicitamente la sua approvazione, benchè con quelle riserve indicate nella sua lettera a me diretta, e di cui ho trasmesso copia. Quanto alle speranze d'un Papa con idee italiane, ho paura si debbano relegare fra i pii desiderii, che non hanno gran probabilità, finchè non si potesse profondamente modificare il Sacro Collegio. Pare, del resto, che Lord Russell abbia qualche motivo di credere che l'Imperatore forse acconsentirebbe a non considerarsi ugualmente legato verso il successore di Pio IX. Anche da Parigi ci arrivano voci in quel senso. Onde forse Lord John non sarebbe tanto lontano dal creder utile, a peggio andare, di stipulare qualche intesa pel caso d'una sede vacante. Persigny pensa anche così da quanto mi dice il Conte Jaucourt, suo Segretario generale, già Segretario d'Ambasciata a Londra, e che per pochi giorni qui trovasi per mettere in ordine i suoi affari particolari prima di tornare a Parigi. Del resto Lord Russell mi disse aver consigliato che questi documenti venissero comunicati al nostro Parlamento. Ed è appunto quanto V. E. parmi abbia deciso di fare. Questo consiglio mi par sia la miglior approvazione si potesse dare. Però Lord Russell dubita che non fosse meglio non scriver affatto al Papa, ma solamente ad Antonelli. Ed in tal caso farlo in modo più conciso, poichè meno si dice, meno si presta il fianco al nemico, poichè lo scaltro Cardinale potrebbe apporci che chi sprezza apprezza. Poichè quanto chiamiamo miseria d'i Regno per S. S., non ci sembrerebbe tanto da sdegnare, se lo potessimo conseguire.

Ecco coll'usata schiettezza quanto parmi d'aver potuto raccapezzare circa l'affare di Roma, nelle mie conversazioni di Broadlands. Del resto Lord Russell deve averne scritto a Hudson, il quale, per conseguenza, meglio di me potrà renderne conto.

Ho cercato invano di farlo mutare di parere per riguardo a tutelare interessi italiani al Messico. Pur troppo l'affare passò in primo luogo per le mani del signor Hammond, sotto Segretario di Stato, il quale, com'è il solito di simili impiegati, per scappar fatica cercò di persuadere Lord John a non farne nulla. E così non uscì dalla fraseologia generale. Ma avendo assicurato come avvocato il Governo Francese, non ho creduto necessario d'insistere. Parlandone poi a Lord Palmerston un giorno che stavamo soli a giuocare al bigliardo, io gli feci l'ipotesi che per parte nostra si potesse mandar una nave da guerra, sopratutto per istruirsi nei fatti di una simile guerra e prestar servizii, ove ne venisse il caso, aU'uno o all'altro fra i poteri collegati. Il Comandante potrebbe al caso aver i pieni poteri per ottenere diplomaticamente il risarcimento di danni ad italiani. Intanto la bandiera italiana sventolerebbe anche in questi mari, segno sempre di vitalità e d'energia. Quest'idea mi parve approvata da Lord Palmerston, al quale dissi però che probabilmente non avevamo poi tanti denari da spendere, da non evitare una spesa tale, che forse non sarebbe poi minima. Intanto io Le

31 -Docttmenti diplomatici -Serie I-Vol. I

do l'idea per quel che vale, e mi venne in mente sopratutto, perchè Lord Russell

mi disse motteggiando che avean anche di troppi dei loro affari. Perciò mandas

simo un negoziatore pei nostri.

Questo Ministro disse qualche parola circa le difficoltà a Costantinopoli,

relativamente all'unione delle Principalità. Riconobbe venir queste difficoltà dal

l'Austria, e ripetè essere gran parte di queste obiezioni in gran parte personali al

signor Cerruti.

Il Governo Inglese si preoccupa naturalmente di quanto succede in America e delle conseguenze che ne risultano pel commercio, ed anche politicamente. Ma sembrano talmente persuasi che l'intenzione a Washington sia di cercar con un imbroglio coll'Inghilterra d'operare una diversione nello spirito nazionale, che evidentemente cercheranno di adoperarsi colla massima prudenza, onde evitare una simile trappola, ed inoltre lasciare che ambo i contendenti si distruggano fra loro, e riescano per un pezzo poco pericolosi per l'Inghilterra.

Il signor Seward è personalmente considerato come avversissimo all'Inghilterra, e quando pochi anni fa venne a Londra, non faceva che minacciar l'unione del Canadà agli Stati. Gli uomini di Stato del Nord dell'America si son sempre mostrati così mal creati, ed han talmente basata la loro popolarità sul far qualche dispetto all'Inghilterra, che non è da stupire se gli animi sono piuttosto favorevoli ai successi del Sud. Ma i due Ministri inglesi parlarono con molta riserva. E molti condannano la condotta seguita da Lord Russell in questa circostanza, poichè reclamando per essersi trattati i sudditi inglesi come si trattano gli americani, han fornito a Seward l'occasione di rispondergli coll'usata arroganza.

Quando Lord Russell mi parlò dell'impossibilità che l'Austria metteva in campo di sedersi alla tavola istessa, ove fosse un negoziatore di quel Governo Italiano che apertamente parlava d'unir la Venezia al resto d'Italia, gli risposi che in quel caso molto più dovrebbero ricusarsi a trovarsi con un Ministro inglese, mentre in pieno Parlamento il Gabinetto Inglese parlava della necessità di quest'unione. Ho però osservato che sia Lord Palmerston, che Lord Russell hanno con una certa affettazione mantenuto il silenzio sulle voci di complicazioni in Ungheria, poichè, benchè potessero rimanersi muti spettatori, vorrebbero poter sempre asserire di non averci spinti. E poi temono sempre ne sia per venire l'annichilazione dell'Austria, che non vogliono, e quindi poi ne potrebbero derivare guerre europee, che essi preferirebbero evitare ad ogni costo.

Quando la comunicazione delle carte relative a Roma al Parlamento sarà fatto compiuto, V. E. penserà se forse sarà bene fare al Times la gentilezza di !asciargli avere contemporaneamente conoscenza di questi documenti.

(l) Cfr. in Ricasoli, VI, pp. 223-224, la lettera particolare del 4 novembre dell'Azeglio con gli allegati.

396

IL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

L. CONFIDENZIALE S. n. Bruxelles, 12 novembre 1861.

J'ai déjà eu l'honneur de vous mander que M. Rogier s'était abstenu d'annoncer son entrée au Ministère des Affaires Etrangères à M. le Com

mandeur Targioni, ancien Représentant de S. M. le Roi de Naples. Ce diplomate ayant réclamé contre ce manque de procédé, comme il a dit, et ayant exigé une lettre officielle du Ministre des Affaires Etrangères, celui-ci s'est décidé à lui écrire que le Ministère ayant jugé que les intérets du pays exigeaient de reconnaitre le Gouvernement établi de fait dans les Provinces des Deux Siciles, il regrettait de ne pouvoir pas continuer avec lui des relations officielles qui seraient en opposition avec cette détermination. Sur cela M. Targioni a répondu une lettre de six pages dans laquelle il finit, m'a dit M. Rogier, par menacer le Gouve:rnement Beige de la vengeance céleste.

J'ai parlé à différentes reprises dans ma correspondance avec V. E. du vif intéret que M. Rogeir a porté à la reconnaissance du Royaume d'Italie, mais pour etre juste je dois ajouter que j'ai appris dernièrement d'une source très certaine que M. Frère-Orban l'a mise aussi comme condition sine qua non à sa rentrée au Ministère; et c'est probablement ce qui a contribué le plus à décider le Roi. Ayant eu occasion avant-hier de causer longuement avec ce Ministre, et lui ayant exprimé mes regrets de ce que M. Rogier n'avait pas voulu adopter la formule proposée par V. E. pour la reconnaissance du Roi d'Italie, il m'a répondu: « Tenez-nous compte de toutes les difficultés que nous avons eues à surmonter, et ne soyez pas trop exigeants sur les formes, surtout que l'occasion ne se fera pas attendre de vous prouver devant les Chambres la sincérité de notre acte de reconnaissance :;>. Le Ministère s'attend à des attaques très violentes sur cette question de la part du parti catholique, mais il ne s'en inquiète pas, et pour moi je suis toujours de l'avis, que j'ai déjà exprimé, que si on devait venir à une votation de la Chambre sur cette question, ce qui n'est pas probable, le Ministère obtiendrait une très forte majorité.

397

IL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(A R B, cass. 52 n. 130, orig. autogr.)

R. CONFIDENZIALE S. n. Costantinopoli, 13 novembre 1861.

Valendomi dell'autorizzazione da V. E. conferitami con suo dispaccio 27 agosto di quest'anno (Gabinetto), incaricai il sig. cav. Strambio di concertarsi col sig. Alessandro Buda in Bukarest per dare al giornale chiamato Romanulu una tendenza a noi favorevole e gli ho fatto passare i fondi opportuni.

Questo giornale, redatto dal sig. Rosetti, aveva preso un colore così antiun· gherese che le popolazioni rumene della Transilvania, fra le quali il console austriaco lo faceva distribuire, andavano di giorno in giorno crescendo in animosità contro i loro concittadini di diversa razza. Attualmente il sig. Alessandro Buda si lusinga, mediante i duecento abbonamenti da noi presi, di fargli cambiar tuono ed indurlo a predicare sentimenti di fratellanza.

In questo momento il Governo austriaco tenta ogni sforzo per ottenere dai comitati transilvani elezioni dirette pel Reichsrath e se vi riuscisse sarebbe una disgrazia per la causa ungarese.

Il Romanulu non potrà certamente fare un apostolato in senso contrario,

perchè l'Austria sporgerebbe immediatamente dei reclami al Principe Couza e

forse il giornale verrebbe soppresso; ma col predicare l'unione fra le diverse

razze che popolano la Transilvania si raggiungerà, me ne lusingo, lo stesso

scopo senza dare pretesti all'Austria di perseguitare i redattori di detto foglio.

Come già le scrissi telegraficamente, il Governo austriaco sta attualmente facendo una leva generale in tutta l'Ungheria, misura di urgente necessità per l'impero e che, sebbene impopolare nelle varie provincie ungheresi, verrà terminata in alcune settimane per i severi mezzi con cui si compie. Il sig. Leardi mi scriveva che un agente ungherese si era presentato a Galatz per conoscere quali fossero le nostre intenzioni a questo riguardo e quale il sistema di resistenza che intenderemmo consigliare.

Mi consultai coll'agente ungherese qui stabilito, sig. Conte Caracsay e riflettemmo che due soli mezzi di aperta resistenza avrebbero potuto adoperarsi, ma entrambi pericolosi. Il primo è il rifiuto assoluto dei comitati e ciò avrebbe prodotto immediatamente misure repressive dalle quali poteano nascere movimenti intempestivi cui non possiamo pel momento dare alcun appoggio. Il secondo l'emigrazione della gioventù in massa verso le provincie Moldo-Valacche e Serbe. In questo caso il Principe Couza e fors'anche il Principe Michele, anzichè scontentare l'Austria, avrebbero conceduto, sulla domanda dei Consoli, l'immediata estradizione. Nell'ipotesi la più favorevole avrebbero permesso a questa gioventù di passare in Turchia ed io mi sarei qui trovato con parecchie centinaia e forse migliaia di emigrati da mandare in Italia, lo che avrebbe eccitato i reclami dell'Internunzio e quelli dell'Ambasciatore inglese.

Dopo matura riflessione e non senza gran rincrescimento, dovetti prendere la risoluzione che le comunicai col mio telegramma in cifra e consigliai di non ricorrere a misure intempestive e di limitarsi, per quanto era possibile, alla resistenza legale.

Notizie che mi giungono da ogni parte mi provano quanto questa leva sia impopolare in Croazia, nelle provincie serbe del Banato e nelle pianure magiare specialmente, ma tale è la forza della disciplina nell'amministrazione militare austriaca, che, malgrado le doglianze generali e le rimostranze dello stesso Cardinale Primate, questa leva si compierà ed aumenterà di circa cinquantamila uomini l'armata imperiale.

A misura che si procede nell'inverno e che ci avviciniamo al nuovo anno, la situazione delle cose va divenendo più grave ed io proverei un vero rimorso se coi miei rapporti sullo stato delle cose ungheresi contribuissi ad indurre V. E. a determinazioni premature che possono trarre seco rovinose conseguenze. Credo per altro poterle dire che nella parte guerriera dell'Ungheria, cioè nelle provincie magiare e nei Czeklers della Transilvania, esiste un gran fermento e delle intelligenze compatte, di modo che se l'Imperatore dei Francesi promettesse sinceramente il suo appoggio ad un movimento vedremmo rinnovarsi l'alzata di scudi del 1848 con minori dissensioni di allora. Ma se la Francia continua a tenere l'attuale misteriosa condotta questo movimento non potrà assolutamente aver luogo e se anche scoppiasse sarebbe facilmente represso nelle pianure magiare dalla numerosa cavalleria austriaca che vi si trova e nelle regioni alpine della Transilvania dall'azione combinata delle truppe di linea e delle popolazioni rumene che, per odio secolare di razza e forse anche per le istigazioni del Principe Couza, si farebbero le alleate del dispotismo austriaco.

Questa Legazione ha molti affari urgenti a cui dar corso, ma nessun argomento mi preoccupa tanto quanto la quistione ungherese così legata alla nostra; e perciò mi lusingo che V. E. non vedrà con disaggrado che, per ogni occasione un poco sicura, io le faccia dei rapporti piuttosto estesi su· questa materia. Pregherò poi V. E. di essermi cortese di tutte quelle indicazioni che possono farmi conoscere le intenzioni del R. Governo ed il grado di appoggio che possiamo sperare dal Gabinetto francese. Io ho dei mezzi da far giungere in qualunque centro dell'Ungheria, anche durante l'inverno, gli avvisi i più pronti, ma non lascerò mai concepire speranza di aiuto prossimo o remoto se non quando V. E. me ne desse un cenno. Grati agli sforzi fatti finora dal nostro Governo, i bravi Ungheresi ci sono amici ed è perciò che dobbiamo andare doppiamente cauti nei nostri consigli onde non esporli ad inutili pericoli.

Ella non ignora, signor Ministro, che il Principe Couza, il quale avrebbe potuto esserci l'anno scorso di una immensa utilità, null'altro che col facilitare il transito delle nostre armi per l'Ungheria, si lasciò influenzare dalle minaccie austriache e dalle lusinghe inglesi. Un ingegnoso rapporto fatto, credo, nella prima quindicina di marzo 1861, dal cav. Strambio all'illustre di Lei predecessore, dipingeva l'animo titubante del Principe Couza, disposto per altro anch'egli a facilitare un trasporto di armi, previa una convenzione con noi, se l'Imperatore Napoleone l'approva e la seconda. Mi permetto di segnalare il detto rapporto alla di Lei attenzione perchè la merita tutta per l'importanza del soggetto (1). Mi permetto pure ricordarle che, in caso d'urgenza, anche senza un trasporto di nuove armi, il Principe Couza potrebbe far passare ai Czeklers della Transilvania i 15.000 fucili da noi portati a Galatz, che tiene da quasi due anni in deposito e questi forse basterebbero per un primo movimento e per dar animo alla insurrezione magiara. Ma sarebbe urgente in tal caso concertare colla Francia i mezzi di far passare altre armi in quel paese. Intanto, prevedendo fin di principii dell'anno in corso, la possibilità di un cambiamento a noi favorevole nell'animo del Principe Couza, io ho fatto passare, colla autorizzazione del di Lei predecessore,

22.000 franchi circa a mani del Console francese in Jassy sig. Victor Piace, amico della nostra causa, il quale s'incaricherebbe di provvedere, in modo segreto, alle spese di trasporto dei detti 15.000 fucili, ben inteso col consenso del Principe.

P. S. -L'incendio del palazzo della Legazione ha distrutto tutte le carte relative a quel primo trasporto di fucili e perciò posso sbagliarmi sul numero. Forse non son che 10.000, ma il sig. Generale Durando, il sig. Cavaliere Benzi e Klapka conoscono perfettamente questa spedizione.

398

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 957. Madrid, 14 novembre 1861, ore 8,40 (per. ore 13,20).

D'après les instructions contenues dans la dépeche de V. E. du 10 courant, n'ayant pas dans la journée suivante reçu avis d'acceptation de notre dernière

demande, j'ai donné une note finale dans le sens et dans les termes prescrits par V. E. (1). Je n'ai pas encore de réponse et malheureusement je puis déjà la prévoir, ainsi je devrai demander ce soir mes passeports pour etre d'après vos ordres prèt à partir demain.

(l) Non rinvenuto.

399

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 959. Madrid, 14 novembre 1861, ore 23,15 (per. ore 10 del 15).

Dans une conférence que je viens d'avoir avec le Ministre des Affaires Etrangères en compagnie de cet Ambassadeur de France la formule suivante a été présentée sur les instances de ce dernier pour l'arrangement de notre différend. Je la soumets à V. E. textuelle: «Le Gouvernement Espagnol ayant acquis la conviction qu'il n'existe pas des documents politiques dans les Archives des Consulats Napolitains reçues en dépOt par les Agents Consulaires d'Espagne; donne ordre à ses Agents, de remettre purement et simplement ces Archives aux Autorités locales qui à leur tour les remettront à qui de droit ». Si cette formule sera agrée par V. E. ce Ministre des Affaires Etrangères la fera adopter demain, autrement il ne me reste qu'à partir.

400

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO AD ATENE, MAMIANI

D. s. n. Torino, 14 novembre 1861.

Ho preso cogmzwne dei pregevoli suoi dispacci segnati coi nn. 23, 24 e 14 affari correnti della serie politica, ed ho segnatament~ fatto attenzione a quanto la S. V. Ill.ma favorisce scrivermi del desiderio Suo di nuove istruzioni, e dei motivi da cui esso deriva.

Apprezzo i nobili sentimenti dai quali è ispirata l'opinione Sua riguardo alla via, che secondo Lei dovrebbe tenersi dal Rappresentante del Re in Grecia. Noi non possiamo, nè dobbiamo certamente rinnegare i principii di libertà e di nazionalità, che sono il fondamento del nostro essere presente, e per conseguenza della nostra politica. Ma questa nostra politica, siccome già ebbi l'onore di notarlo nelle prime mie istruzioni alla S. V. Ill.ma, ha di mira uno scopo supremo, l'indipendenza d'Italia, e devierebbe da questo scopo quando si esponesse al pericolo di suscitare difficoltà alla sua azione, e di rendersi sospetta a Potenze, la cui amicizia le è necessaria. Questa, signor Conte, vuol essere la norma direttiva del suo contegno ed io scorgo con soddisfazione, che la S. V. Ill.ma l'abbia costantemente e saggiamente osservata.

È naturale e giusto, che, Rappresentante di uno Stato libero, la S. V. Ill.ma

esprima nei Suoi rapporti coi Ministri di S. M. Ellenica, cogli uomini che go

vernano o che sostengono il potere, i voti suoi e nostri, perché i principii di

ordinata libertà, le istituzioni parlamentari pongano salde radici in Grecia, e

si mostri persuasa che la sincera loro applicazione è il miglior fondamento per

l'autorità del Governo, l'arra migliore di prosperità per il paese. Ma, come

la S. V. già avvertiva, sarebbe contrario alle nostre viste ed ai nostri interessi,

dove l'attitudine nostra e la nostra influenza in Grecia potesse sembrare mai

aver tendenze di parte, e dar favore a pensieri, a cui, per quanto siano gene

rosi, e conformi ai principii da noi professati, dobbiamo rimaner estranei come

potenza.

Nella questione singolarmente della successione io non potrei abbastanza

notare quanto importi di osservare tal regola, cioè evitare d'ingerirsi in un

modo qualunque di candidature, quali esse si siano, e da qualunque 'parte si

producano.

Riflettendo alla situazione nostra, alla situazione d'Europa, la S. V. Ill.ma

converrà meco certamente dell'imperiosa necessità di questo riserbo, e saprà

condursi in modo, che le giuste simpatie nostre per la Grecia non appaiano

mai disgiunte da scrupoloso rispetto dei nostri doveri verso l'Europa.

(l) Ed. in L. V., 3, XIII.

401

IL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE S. n. Bruxelles, 14 novembre 1861.

J'ai reçu hier soir la dépeche de Cabinet que V. E. m'a fait l'honneur de m'adresser le 11 du courant et pour me conformer autant qu'il dépendait de moi aux ordres qu'elle contenait, j'ai fait demander immédiatement à M. le Ministre des Affaires Etrangères s'il pouvait m'accorder quelques minutes d'entretien.

M. Rogier s'étant empressé de me répondre qu'il se tenait à ma disposition, j'étais quelques instants après chez lui, mais à mon grand regret j'ai .vu que j'arrivais dans un moment peu favorable pour lui faire part des réflexions de V. E. au sujet de la note qu'il m'avait adressée le 7 du courant, car il venait de recevoir la nouvelle que le Cardinal Antonelli avait annoncé au Représentant beige que son Gouvernement ayant reconnu le Royaume d'Italie sans faire la moindre réserve en faveur du Pape, Sa Sainteté croyait ne devoir pas envoyer pour le moment à Bruxelles le remplaçant de Monseigneur Gonella.

Quelques remontrances assez sévères que le Roi Léopold avait faites à son Ministre au sujet de la note qu'il a adressée à M. Targioni et dont j'ai eu l'honneur de vous entretenir dans ma dernière lettre confidentielle, contribuaient aussi à le rendre peu traitable sur la question de notre reconnaissance. Cependant, voyant après quelques pourparlers qu'il commençait à se calmer, je me suis hazardé à lui faire sent'ir que V. E. avait trouvé que le passage de la note où il est dit que le Cabinet Beige dans les relations qu'il entretiendra comme par le passé avec moi me reconnaitra désormais le titre de Ministre du Roi d'Ita

lie, était si non blessant, du moins imparfait et vicieux, M. Rogier s'est récrié avec force contre la supposition qu'il ait pu avoir une arrière-pensée dans la rédaction de la note et il m'a bien prié d'assurer V. E. qu'il n'avait eu d'autre intention, en m'annonçant qu'il se mettait immédiatement en relations officielles avec moi comme Ministre du Roi d'Italie, que de faire quelque chose d'agréable pour mon Gouvernement et pour moi personnellement. Il essaya ensuite de me prouver que nos susceptibilités étaient mal fondées, et enfin il a fait un appel à notre loyauté pour ne pas augmenter par des questions de forme les embarras dans lesquels le Ministère se trouve déjà à cause de notre reconnaissance. J'ai répondu en détail et à ce qu'il parait avec succès à tous ces raisonnements, puisque M. Rogier a fini par reprendre sa note et par me dire qu'il en causerait avec ses collègues. Maintenant je prierais V. E. de me faire connaitre par le télégraphe, si c'est possible, si Elle serait disposée à accepter un article ainsi conçu: « Je dois ajouter, Monsieur le Comte, que V. E. sera aussi reçue à dater de ce moment, auprès de Notre Cour comme Ministre de S. M. le Roi d'Italie ».

402

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A MADRID, TECCO

T. 664. Torino, 15 novembre 1861, ore 12.

Si la formule vous est communiquée dans les termes que vous m'annoncez, vous ferez la réponse suivante. Vous accuserez réception de la dépeche par laquelle le Cabinet Espagnol vous informe qu'il a donné ordre à ses Agents de remettre purement et simplement les Archives Napolitaines, etc. etc. Comme le Cabinet Espagnol déclare qu'il nous restitue tous les documents qui se trouvent en sa possession, notre demande se trouve satisfaite par le fait et il devient superflu d'entrer dans la discussion des motifs de la détermination du Gouvernement Espagnol. Cependant vous ferez à toute bonne fin les réserves convenables pour garantir, meme en principe, le droit du Gouvernement du Roi tel qu'il était exposé dans vos notes précédentes.

403

IL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE S. n. Bruxelles, 15 novembre 1861.

M. le Ministre des Affaires Etrangères est venu ce matin chez moi me dire, qu'ayant conféré avec ses collègues, ils sont convenus qu'il n'était pas possible de rien changer à la note qu'il m'a adressée le 6 du courant puisque cela serait admettre qu'on a pu douter de sa loyauté; qu'ainsi qu'il me l'avait déjà dit, son intention et celle du Ministère avait été de reconnaitre, par la note qu'il m'a adressée franchement et loyalement en leur nom et au nom du Roi, le Roi d'Italie, et pour m'en donner une nouvelle preuve, il m'a fait lire une lettre en date d'hier de M. Van Praet, Ministre de la Maison du Roi et intermédiaire ordinaire de Sa Majesté avec ses Ministres, dans laquelle il exprime sa surprise que V. E. ait pu élever des doutes sur la portée de la note de

M. Rogier à cette Légat'ion et dans laquelle il donne en outre l'assurance que le Ministre de S. M. le Roi d'Italie sera reçu comme tel par S. M. à sa Cour et en toute circonstance. Ayant fait la remarque à M. Rogier que je ne comprenais pas pourquoi il se refusait à me dire par une note ce qu'il venait de me démontrer, que je serai reçu par son Souverain comme Ministre du Roi d'Italie, il a fini par me dire que s'il devait encore m'écrire il n'aurait pas de difficulté à le faire, mais que sa note, ayant déjà été communiquée à toutes les Légations Belges à l'étranger, et probablement par celles-ci à différentes Cours, il ne pouvait plus rien y changer.

Je n'ai montré la note .que m'a adressée M. Rogier à aucun de mes collègues excepté à celui d'Angleterre Lord Howard, car connaissant le vif intéret qu'il porte à nos affaires et ayant une haute opinion de sa vieille expérience, je désirais avoir son opinion à ce sujet, et il m'a dit sans hésiter que, d'après sa manière de voir, la note de M. Rogier peut etre acceptée comme un acte suffisant de reconnaissance.

P. S. -Je joins ici un billet que je viens de recevoir de M. Rogier.

ALLEGATO.

ROGIER A MONTALTO

Bruxelles, le 15 novembre 1861.

Plus j'y pense et moins je m'explique le doute qu'aurait pu faire naitre à Turin la signification du dernier paragraphe de la lettre que j'ai eu l'honneur de vous écrire le 6 de ce mois. n est de toute évidence que votre pouvoir comme Ministre Plénipotentiaire reste ici le meme que par le passé. Il n'y a de changé que votre titre, et c'est sous ce nouveau titre que vous serez reçu à la Cour de Bruxelles. Votre conviction à cet égard doit etre complète; elle vous sera facile, je n'en doute pas, de la faire partager à M. le Baron Ricasoli.

404

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 964. Madrid, 16 novembre 1861, ore 10 (per. ore 17,40).

D'après la dépeche de V. E. d'hier, j'ai fait connaitre au Gouvernement Espagnol le consentement du Gouvernement du Roi à la formule de transaction au sujet des Archives, combinée dans la conférence de la veille et transmise par moi à V. E.; mais, à ma surprise, dans une nouvelle conférence à laquelle je me suis trouvé aujourd'hui sur l'invitation de ce Ministre des Affaires Etrangères avec l'Ambassadeur de France, le Ministre susdit déclare qu'il ne peut faire adopter dans le Conseil des Ministres la formule sus-énoncée, qu'à l'étrange condition de retirer mes deux dernières notes en les remplaçant par une autre

où, sans discuter le principe de droit, je dusse me borner à demander l'acceptation de la formule elle-meme. Je n'ai pas cru pouvoir n'i consentir à de pareilles prétentions ni meme me charger de les communiquer à V. E.; mais l'Ambassadeur de France croit de son còté devoir en référer à son Gouvernement. Je dois donc en prévenir V. E. attendant ses ordres.

405

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, E AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 16 novembre 1861. Col mio dispaccio del 31 ottobre scorso [del l novembre] io invitai la S. V. Ill.ma a voler pregare il Governo Inglese [Francese] di prendere sotto la sua benevola ed officiosa protezione anche gli interessi degli Italiani che si trovano al Messico. Benchè S. E. il Ministro degli Esteri abbia accolto amichevolmente questa proposta, mi sembra opportuno di rendere più agevole l'incarico assunto con tanta cortesia dal Governo Inglese [Francese], mandando al Messico un Console Generale ed Incaricato d'Affari di S. M., al quale gli Italiani potranno rivolgersi pei loro reclami, ed a cui le Autorità Inglesi [Francesi] vorranno gentilmente accordare l'efficace loro appoggio. A tale effetto il Governo di S. M. determinò di mandare nel golfo del Messico una nave da guerra, che assisterà colle flotte alleate ai fatti della spedizione, ed il cui equipaggio, mentre approfitterà degli splendidi insegnamenti ed esempii fornitigli dalle flottiglie alleate, si metterà a disposizione dei Comandanti Francesi ed Inglesi per rendere quei servizi che parranno più utili a riescire prontamente nell'intento. Prego pertanto la S. V. Ill.ma di voler comunicare al Governo presso cui è accreditato, codesta determinazione del Governo del Re. Io non dubito che la Francia e l'Inghilterra vedranno con piacere la bandiera italiana sventolare di nuovo accanto alla loro, e che esse accoglieranno l'invio d'un Agente del Re al Messico come un modo di superare più facilmente le difficoltà che possono sorgere rispetto ai sudditi italiani. Se, come io lo spero, il Gabinetto di Londra [Parigi] non move obbiezioni a questa proposta, la S. V. Ill.ma potrà mettersi tosto in comunicazione col di Lei collega di Londra [Parigi] affine di determinare con maggiore prontezza il modo di mettere in esecuzione questo disegno. Ella vorrà nel tempo stesso avvertirmi per telegrafo, affinchè io possa d'accordo col Ministro della

Marina dare gli ordini opportuni per la partenza della nave che condurrà al Messico l'agente di S. M.

406

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE 32. Parigi, 16 novembre 1861.

L'entrata del signor Fould al Ministero delle Finanze e l'adesione data dall'Imperatore ai provvedimenti finanziari e costituzionali proposti da questo Ministro, e consegnati nel Moniteur d'avant'ieri, preoccupano al più alto grado l'attenzione degli uomini politici di Francia.

Il signor Fould aveva primamente domandato, come condizione della sua entrata al Ministero, d'avere la direzione del Moniteur e i rapporti coi grandi corpi dello Stato, le quali attribuzioni appartengono al Ministero di Stato. Questa condizione fu oppugnata da una parte del Consiglio e il signor Fould ha creduto dovere abbandonarla dopo spiegazioni avute coll'Imperatore e col Conte Walewski. Ma, malgrado un tale abbandono, le circostanze sotto il cui impero questo uomo di Stato entra al Ministero, sono di tal natura da assegnare al nuovo Ministro delle Finanze una posizione preponderante nel Consiglio.

Una parte degli uomini politici di qui, e fra essi non pochi appartenenti al Partito Orleanista, disapprovano le prese misure. Essi pensano essere stato poco prudente consiglio lo aver svelata così nudamente la cattiva condizione delle finanze della Francia; credono che la posizione del Governo ne soffrirà; esprimono poca fiducia nei rimedii proposti e i più tenaci della causa italiana non augurano nulla di buono da quest'aumento d'importanza e d'azione accordato al Corpo Legislativo, poco favorevole alle cose nostre.

Ma la parte più liberale e più previdente, a mio avviso, degli uomini politici della Francia e con essi la grande maggioranza della popolazione applaudono al senno dell'Imperatore che fa così generoso abbandono delle sue prerogative in beneficio della cosa pubblica. Essi giudicano che le riforme annunziate consolideranno la posizione personale dell'Imperatore e della sua dinastia, faranno sparire o diminuiranno molte diffidenze e molte inquietudini sì all'interno che all'estero, accresceranno fiducia ad un Governo che ha il coraggio d'affermare gli errori commessi e che, per rimediarli, piglia egli stesso l'iniziativa delle concessioni.

Io penso che la ragione sta dalla parte di questi ultimi, e non dubito d'affermare che l'Italia deve rallegrarsi di questo avvenimento. Vero è che l'influenza del Corpo Legislativo s'accrescerà in forza delle maggiori attribuzioni affidategli. E quantunque si abbia ragione di credere che lo spirito di questo Corpo siasi migliorato verso l'Italia da un anno in qua, non bisogna dissimularsi che, in generale, esso non ci sarà troppo favorevole. Ma d'altro lato, l'aumento di considerazione che ne ridonda in favore dell'Imperatore è di gran lunga maggiore, e questo è in gran parte a vantaggio nostro. Importa all'Italia che la posizione dell'Imperatore si consolidi sempre più e si fortifichi, essendo egli pur sempre il migliore amico che abbia l'Italia in Francia. Quindi tutto ciò che conduce a fortificare l'Imperatore e il suo Governo in Francia e ad accrescerne l'influenza e la fiducia all'estero contribuisce, indirettamente, al bene del nostro paese. Infine la riforma qui operata è un gran passo che fa il Governo Imperiale verso la libertà. Del quale devono rallegrarsi quanti sono amici e sostenitori della libertà in Italia e fuori.

Anche all'infuori delle questioni finanziarie che formano la sua specialità, il signor Fould non potrà che esercitare una benefica influenza nei consigli dell'Imperatore. Quest'uomo di Stato è favorevole al partito d'una pronta soluzione della questione romana nel senso della cessazione del presidio francese; e lo è non tanto per sentimenti personali, che han poco potere su uomini politici della sua tempra, quanto per convinzione del suo spirito, generata dall'osservazione dei mali e degl'inconvenienti a cui può andare incontro il Governo Imperiale ove non si ajuti l'Italia a costituirsi solidamente e compiutamente. Il signor Fould è adunque, al pari del signor Thouvenel, l'uno dei migliori Ministri, possibili in Francia, al nostro punto di vista, che possa avere l'Imperatore ne' suoi consigli.

407

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II

(A C R, Carte Vimercati)

Parigi, 16 novembre 1861.

Je n'ai pas écrit à V. M. pour ne pas répéter au Roi ce que Lui aura été dit par Rattazzi qui a fait ici très bon effet généralement, l'Empereur a personnellement apprécié la douceur de son caractère et la fermeté de ses principes.

Le Président de la Chambre a été très monarchique, partout se montrant très reconnaissant et très affectionné à la France, ce qui lui a òté le mauvais vernis qu'on avait jeté sur lui, à cause de son abstention au vote pour la cession de Nice et Savoie. Ici on a beaucoup recommandé à Rattazzi l'accord avec Ricasoli et on voudrait le voir entrer au Ministère avec Lui.

Fould est revenu aux affaires, je regarde son entrée comme une exigence portée par la situation financière, mais en meme temps c'est une voix de plus favorable à l'Italie qui entre dans le Conseil. En acceptant les finances, Fould aurait voulu démolir Valewski d'un coup, en òtant au Ministre d'Etat pour se Zes attribuer, les rapports avec les grand corps constitués, Valewski a résisté et il a triomphé, mais le triomphe a été du plutòt à la résistence que tous les autres Ministres ont démontré à voir surgir à coté d'eux un collègue qui par ses attributions supérieures aux autres, aurait été un Président du Conseil de fait.

Quant à nos questions celle de Rome embarasse de plus en plus, on sent la nécessité de prendre un parti, on le prendra probablement sous peu, mais il faudra que l'Italie reconnaisse au Pape un pouvoir temporel, qu'elle s'engage à le faire respecter, à le défendre meme de toute attaque venant de nos frontières, ces conditions acceptées par le gouvernement du Roi, seront présentées à Rome sous forme d'ultimatum, acceptées ou repoussées par le Pape, les troupes françaises seront rappelées; la meilleure solution pour nous, serait le refus du S. Père, et pour que ce refus soit sur et formel, il faudrait que la France exigeat de la cour de Rome qu'elle consente à reconnaitre les faits accomplis et cela après s'etre bien assuré que l'Empereur tiendra parole, en retirant ses troupes après le refus du Pape. Cette nouvelle comb'inaison n'est pour le moment que dans l'esprit de l'Empereur, et elle rencontrera en Italie d'énormes difficultés et ne pourra triompher que par le sens politique des Italiens qui doivent comprendre qu'on ne peut aUer à Rome qu'en deux étapes.

Une fois que la question du pouvoir temporel sera posée entre le Pape et l'Italie, cette dernière, saura bien s'en débarasser d'une manière quelconque, qu'il serait pour le moment impossible de prévoir.

Aucun des hommes politiques d'ici ne veut entendre parler de la Vénétie, pour tout le monde cette question c'est la guerre et de la guerre personne n'en

voudrait, l'Empereur seul a ses idées bien arrétées que les troubles dans le

Monténégro, dans l'Erzégovine, en Servie continuent, que la Hongrie à un temps

donné, s'insurge et se soutienne pour trois mois, l'Italie et la France seront

obligées d'intervenir; c'est ces éventualités lointaines, mais non impossibles qu'il

ne faut pas perdre de vue.

L'Ambassadeur de Russie n'est pas à Paris, je n'ai donc pas pu le voir chez

la Princesse, ma'is je sais qu'il est très alarmé pour les affaires de Pologne qui

se compliquent de plus en plus et qui naturellement rapprochent le Cabinet de

S. Pétersbourg de celui de Vienne par le danger commun; il est probable cependant que si la révolution de la Hongrie avait lieu, la Russie laisserait l'Autriche se débattre toute seule avec ses sujets, car elle a bien des embarras chez-elle. Pour ce qui regarde personnellement V. M. rien je n'ai aperçu qui m'indiquat

un retour à des projets que tout le monde ic'i reconnait impossibles.

Le bon Dr. Conneau a été véritablement touché de la bonté de V. M. et

rien au monde ne pouvait lui faire plus grand plaisir que le grand cordon que

le Roi lui a donné.

J'envoie cette lettre au Comte Nigra par une occasion sùre, j'écr'irai au Roi toutes les fois que je le pourrai et je prie V. M. de me donner de ses nouvelles de temps en temps, pour que je puisse connaitre ses projets.

408

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 965. Parigi, 17 novembre 1861, ore 2,30 (per. ore 15,50).

Dans le cas où V. E. ferait des communications au Parlement sur la Question de Rome, je vous serais reconnaissant de m'en informer.

409

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO

T. 666. Torino, 18 novembre 1861, ore 12,40.

Les explications et le billet que M. de Rogier vous a adressé (l) òtent toutes les difficultés. Veuillez assurer M. de Rogier que je n'ai jamais mis-en doute sa loyauté, qui du reste est à l'abri de tout soupçon.

(l) A questo proposito il 19 novembre l'Azeglio e il Ricasoli si scambiarono i seguenti telegrammi: • Lord Russell se préoccupe de la difficulté survenue entre nous et la Belgique et m'a exprimé l'espoir que nous éviterons d'élever des obstacles trop persistants à son arrangement, en tenant plus compte du fond que des considérations relatives à la forme • (n. 969).Aveva telegrafato l'Azeglio e il Ricasoli rispose (n. 670): • Je ne comprends pas la préoccupation de Lord Russell, parce qu'avec la Belgique il s"agissait uniquement d'un éclaircissement qui n'a pas manqué. Ainsi nous sommes parfaitement satisfaits ».

410

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI,

AL MINISTRO A MADRID, TECCO

T. 668. Torino, 18 novembre 1861, ore 15. Le Gouvernement Espagnol nous demande de retirer vos deux dernières notes afin qu'il ne reste aucune trace de la discussion qui a porté sur les principes. Pour que ce but fut atteint pour nous comme pour lui, il faudrait qu'il renonçat à indiquer, dans les ordres destinés à ses Consuls, que les Archives ne comprennent pas des documents politiques. Dans ce cas il y aurait récipro

cité parfaite et si le Cabinet de Madrid accepte l'expédient tel que je viens de le formuler, vous étes autorisé à y adhérer.

411

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 968. Madrid, 18 novembre 1861, ore 16,15 (per. ore 22,15). Outre la prétention de ce Gouvernement de nous faire retirer les notes dont il est question dans ma dépéche d'avant-hier au soir, ce Ministre des Affaires Etrangères avait prétendu aussi retrancher de la formule de transaction convenue avec lui-méme les mots purement et simplement que le Conseil des Ministres avait repoussés; mais cet Ambassadeur de France l'ayant d'abord luiméme rejeté avec moi comme inadmissible, certainement j'ai pu croire alors que cette dernière prétention aurait été abandonnée. Ceci cependant n'ayant pas

été le cas, et cet Ambassadeur semblant incliner maintenant à céder aussi sur cet objet, je ne puis qu'en référer là-dessus à V. E.

412

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 671. Torino, 19 novembre 1861, ore 23,45.

Je déposera'i demain au Parlement les pièces qui contiennent les bases de la conciliation entre l'Eglise et l'Etat.

413

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. 52, n. 150, orig. autogr.)

L. CONFIDENZIALE S. n. Londra, 20 novembre 1861.

Profitto della partenza del Conte Revel di S. Andrea amico mio, per scriverLe poche righe.

Ieri sera mi giunse dopo un'ora di notte, il dispaccio telegrafico di V. E. e subito, stamane, lo mandai a Lord Russell a Richmond. Parlandomi ieri, egli mi fece ricordare in quali termini poco rassicuranti si fosse riconosciuto il Regno d'Italia dalla Francia, la quale non considera, nel riconoscere che fa, il nostro diritto alle annessioni fatte dopo la pace fra i due Imperatori. Gli pareva dunque che avendo noi accettata questa spada di Damocle per parte della Francia, sarebbe ingiusto mostrarci troppo severi col Belgio.

Della questione romana non parlò. Disse soltanto non aver avuto ancora notizie dell'arrivo d'Odo Russell. Ma che da Parigi Cowley gli scriveva che Persigny parlava come se l'Imperatore fosse deciso a ritirare le truppe quando gliene fornisse l'occasione la morte del Papa. E un simil mezzo termine, disse Lord Russell, non trovarlo tanto cattivo, se pur non si dovesse aspettar troppo a lungo.

Il discorso di Rattazzi al banchetto dispiacque ai ministri inglesi. Lord Russell ne parlò con varie persone e ieri mi osservò che parlandosi d'una unione fra la gente latina contro un nemico comune, doveasi supporre questo nemico fra la gente sassone, la quale comprendeva anche gl'inglesi. Gli risposi che per noi il nemico per eccellenza era sempre inteso l'austriaco o a rigore i tedeschi. Ma questo non impedisce che l'impressione sia stata sfavorevole.

Lord Palmerston non sembra attaccar quell'importanza che molte persone attribuiscono a quanto si passa in Francia. Egli ha ancora espresso la sua opinione che il disarmamento francese è cosa più fittizia che reale, mantenendosi ferma in lui l'idea che alla primavera Napoleone intenda muover guerra all'Austria. Ma nel caso contrario sicuramente si ristabilirebbe colla cessazione degli armamenti, sopratutto marittimi, la diffidenza che non si riesce a vincere e s'avrebbe qualche alternativa di veder esistere un'altra volta un'alleanza vera fra i due paesi.

414

IL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE S. n. Costantinopoli, 20 novembre 1861. Il sig. Cav. Scovasso mi ha mandato a sigillo alzato il suo rapporto 16 ottobre, N. 2, che ho l'onore di qui acchiudere a V. E., e su cui ho marcato a matita due passaggi che hanno fissato maggiormente la mia attenzione, quello cioè della convenienza di riferire a cotesto Comitato Ungherese le insidiose concessioni che l'Austria medita di fare ai Serbi della Voivodia e del Banato, e quello relativo alla fabbrica di fucili che il Principe Michele intenderebbe fondare, facendo venire dal Belgio degli operai. Mi lusingo che il sig. Scovasso, il quale suole tenermi informato con molta attività dello stato delle cose di Serbia, non avrà omesso di fare uguali rapporti telegrafici a V. E., ma intanto credo mio dovere mandarLe copia di un articolo cifrato da lui direttomi l' 8 di questo mese. Il sig. Strambio con suo rapporto 5 andante, mi riferisce esattamente ciò che si è fatto a Bukarest per avere un giornale rumeno a nostra disposizione,

e devo fare a V. E. gli elogi della sua prudenza e del suo zelo. Il Romanulu, già troppo compromesso per impegni presi dal suo redattore sig. Rosetti, non avrebbe assolutamente potuto raggiungere lo scopo, e si sentì perciò la necessità di ricorrere ad altri periodici, cioè al Proprietarulu Rumanu che, protetto dai grandi Bojari, non può ispirare diffidenza ad alcuno.

Ecco il sunto degli accordi: l. Impegno del redattore di adottare le idee e firmare gli articoli dell'Agente Ungherese, sig. A. Buda; -2. Impegno per parte di questi di abbuonamento semestrale a 150 esemplari della gazzetta ed a 200 abbuonamenti d'un opuscolo che sarà pubblicato fra pochi giorni; -3. Invio di giornali ed opuscoli nelle provincie Transilvane.

Il complesso della retribuzione sale a Franchi 3.254 per tutto il semestre, opuscoli e trasporti compresi.

Il sig. Strambio mi dice pure confidenzialmente che spera ottenere dal signor Rosetti, uno dei capi del partito democratico anti-ungherese, d'i rimanersi tranquillo e di non farci la guerra.

Aggiungerò che il Principe Couza, che, a quanto mi dice il sig. Strambio, non ignora del tutto le nostre viste su quei paesi, sapendo che noi ci occupiamo a secondare la sua politica presso la Porta, si esporrà molto verso il Governo Italiano se per avventura si mostrasse ingrato. Devo poi dire a V. E. che gl'interessi dei Principati sarebbero qui stati e dalla Francia e da noi più efficacemente promossi, se non vi fossero sospetti fondati ch'egli nutre ambiziose mire dinastiche. Si è a questi sospetti ch'egli deve forse di non ottenere l'istituzione da lui chiesta d'un Consiglio di Stato, che avrebbe nelle mani d'un Principe leale e disinteressato servito di contrappeso alle mene democratiche dell'Assemblea, ma che nelle sue sarebbe un istrumento di ambiziosi tentativi.

ALLEGATO.

ARTICOLO CIFRATO DI SCOVASSO A CERRUTI

Belgrado, 8 novembre 1861.

Le Consul d'Autriche part après-demain en congé pour trois mois. Les affaires seront remises au Chancelier: le motif serait, dit-on, le défaut de satisfaction suffisante dans l'affaire de la provocation. Le Gouvernement d'Autriche saisit peut-ètre cette occasion pour se préparer aux éventualités prévues dans le Traité secret qu'un télégramme reçu aujourd'hui de Paris par le Prince Miche! annonce avoir été conclu dernièrement avec la Porte, en laissant sa querelle ouverte avec les Serbes.

Sont arrivés à six heures de la frontière serbe de Bosnie, un Régiment d'infanterie, de dragons et un Régiment de Cosaques Ottomans sous les ordres de Sadik Pacha.

Un individu qui se dit ami intime du Ministre des Finances Autrichien a proposé très secrètement au Prince Michel de lui fournir des armes et lui en a présenté les échantillons, qui sont satisfaisants, mais à un prix élevé, avec assurance d'obtenir l'autorisation pour les introduire en Serbie: si le Prince acceptait cette proposition il s'exposerait, car, n'importe de quelle manière on envisage la question, on y trouve un danger réel pour lui. Mais les Ministres du Prince Miche! sont tellement incapables, qu'ils pourraient bien tomber dans ce piège de l'Autriche.

415

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 971. Londra, 21 novembre 1861, ore 19,25 (per. ore 21,40).

Lord Palmerston et Lord Russell approuvent pleinement l'envoi d'un vaisseau au Mexique. Lord Russell fait cette réserve, que naturellement nous ne

devons pas nous considérer comme faisant partie de la Convention. Je lui ai dit que rien dans la dépeche n'en fait mention. J'écris officiellement demain à Lord Russell afin de ne laisser lieu à aucune ambiguité. J'écris ce soir à Paris.

416

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 972. Londra, 21 novembre 1861, ore 20 (per. ore 22,10). Quoique Lord Palmerston soit toujours du meme avis, les difficultés soulevées à Paris quant à la coopération active au Mexique ont fait naitre des scrupules chez Lord Russell et d'après ce que m'a confié le Sous Secrétaire d' Etat la réponse écrite que je recevrai sera dans ce sens. Si donc vous jugez préférable de ne pas risquer une réponse douteuse et avec réserves, je pourrais peut-etre encore avant que la chose n'aille plus loin, remplacer ma pre

mière lettre à Lord Russell par une rédaction nouvelle en ne demandant que les bons offices pour l'Agent Diplomatique et le Commandant du vaisseau.

417

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 21 novembre 1861. Ho ricevuto il Suo dispaccio delli 30 ottobre scorso avente il numero 31 Aff. in genere cogli annessi. Spero saranno già pervenute alla S. V. Ill.ma da vari giorni le mie istruzioni sulle proposizioni della Sublime Porta rispetto all' Unio

ne dei Principati Danubiani e sulla questione dell'intervento della S. V. nelle conferenze. Circa la prima però delle due questioni scorgo dal Suo dispaccio

n. 45 come potrebbe per avventura venir trattata nella conferenza la convenienza di prescindere dalla condizione vitalizia nel dichiarare l'unione dei Principati.

Le gravi ragioni da Lei addotte, Signor Cavaliere, parrebbero, fuor d'ogni dubbio, dimostrare questo partito come il migliore, il più saggio per assicurare la stabilità del nuovo ordinamento di quelle Provincie, e d'altronde l'unione perfetta e duratura dei Principati sarebbe del tutto conforme ai principi da noi professati, alla pol'itica da noi sempre sostenuta. Però come la S. V. Ill.ma non lo ignora la materia è di somma delicatezza per le vedute diverse di altre Potenze, tra le quali sarà forse l'Inghilterra.

Per conciliare quindi le nostre convinzioni coi riguardi suggeriti dalle nostre relazioni verso altri Governi, converrà che la S. V. si astenga dal ;pigliare in proposito qualsiasi iniziativa.

Ma quando l'unione senza condizione vitalizia venisse in discussione ed avesse il suffragio della maggiore parte delle Potenze garanti, non sarà certamel).te il Rappresentante d'Italia che dovrà muovere opposizione a tale deli:berazione e negarvi il suo posto.

·.32 ·.Documenti diplomatici · Serie I · Vol. I

Vengo ora agli altri due punti sui quali V. S. Ill.ma desidera essere istruita

delle intenzioni del Governo del Re, cioè la soppressione della Commissione

Centrale di Foksani, e la riforma elettorale.

Quanto alla Commissione Centrale è ovvio che, avvenendo la riunione

dei due Principati e la fusione delle due Assemblee, essa diventa senza scopo

e per conseguenza vuoi essere soppressa. Ma non provvederebbesi bene al

retto ordinamento dei Principati se non si costituisse un corpo, un potere,

che fosse intermediario tra l'Assemblea ed il Principe.

L'istituzione di una Camera alta è oppugnata dal Principe specialmente

per le tendenze di opposizione dei presenti Bojari e per la mancanza di un

ceto medio, dalle cui sommità si possano trarre i membri di tale Camera.

Queste ragioni non sono prive sicuramente di fondamento; ma se hanno

qualche valore per il momento, mal si farebbe traendone argomento per riget

tare una istituzione. Gli stessi ordinamenti liberi e nazionali che s'introducono

nei Principati, ne muteranno sicuramente in breve le condizioni. Gli attuali

grandi Bojari spariranno, il ceto medio si formerà.

Converrà dunque che le conferenze non escludano la combinazione di una

Camera alta e facciano le opportune riserve per l'avvenire.

Intanto un Consiglio di Stato potrebbe tenerne luogo e non sarebbevi quindi

motivo di contrastare sovra di ciò il desiderio del Principe.

Però se questo Consiglio è meramente consultivo, o deliberativo soltanto

nelle materie contenziose, in questo caso il Regolamento o Convenzione del

18 agosto 1858 non vi si oppone per nulla.

Ma se dovesse avere voto deliberativo, attribuzioni legislative, per cui potesse attraversare le deliberazioni dell'Assemblea, allora s'intaccherebbero i diritti costituiti colla detta Convenzione. Se poi le conferenze giudicassero opportuno di cercare con nome di Consiglio di Stato un terzo potere intermediario tra il Principe e l'Assemblea, allora bisognerebbe ordinario in modo che non fosse pregiudizievole nè alla libertà del paese, nè all'autorità del Principe. Questo temperamento otterrebbesi collo stabilire che la elezione della maggioranza dei membri del Consiglio di Stato appartenesse all'Assemblea legislativa, la nomina della minoranza e del Presidente al Principe. Questa combinazione è analoga a quanto si era stabiiito per la Commissione di Foksani, e nel regolarne i particolari dovrebbesi avere di mira il pensiero fondamentale cui ho accennato, facendo sì che il Consiglio di Stato non fosse nè mero strumento del Principe, nè semplice emanazione dell'Assemblea.

Con queste riserve di cui la discussione nella conferenza svolgerà naturalmente le condizioni ed i termini, sembra si possa assecondare senza inconvenienti il voto del Principe.

Risguardo infine alla riforma elettorale io divido pienamente il parere della

S. V. Ill.ma, che cioè, ponendovi mano prima dell'unione, si verrebbe a protrarre troppo in lungo l'effettuazione dell'unione medesima, che è il principale, il più urgente bisogno, a cui si debba provvedere e la cui necessità è riconosciuta da quelle Potenze medesime che prima vi si mostravano meno propense.

Difatti le divergenze di principii e di viste che esistono fra le due Assemblee attuali, ritarderebbero forse indefinitivamente un accordo, e, quando si volesse affidare l'incarico della riforma alla Conferenza, oltre al tempo che sempre

vi si dovrebbe consumare, i plenipotenziarii mal potendo conoscere appieno le condizioni del paese, correrebbesi il pericolo di ricadere negli inconvenienti a cui non potè sfuggire la Conferenza di Parigi, di fare cioè una legge elettorale che in pratica desse cattivi risultati.

Per ovviare a questo doppio pericolo, sembra quindi che la Conferenza dovrebbe pronunciare l'Unione ed incaricare il Principe di proporre alle Camere riunite la riforma elettorale. Votata questa dalle Camere, converrebbesi convocare una nuova Conferenza ad hoc, la quale approverebbe o modificherebbe la legge elettorale senza l'ulteriore sanzione del Principe. Questa riserva d'approvazione per parte della Conferenza conserverebbe alle Potenze l'ingerenza che il Trattato di Parigi loro ha attribuita nell'ordinamento dei Principati, e sarebbe una guarentigia per gli interessi del Principe, come per quelli delle popolazioni rumene e della Sublime Porta.

418

IL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 537. Bruxelles, 21 novembre 1861.

J'ai reçu le 18 du courant le télégramme que V. E. m'a fait l'honneur de m'adresser le meme jour et je me suis empressé d'en donner connaissance à Monsieur le Ministre des Affaires Etrangères qui s'en est montré fort satisfait. Maintenant que cette affaire se trouve terminée d'une manière satisfaisante, je désirerais savoir si V. E. cro'it que je doive accuser réception à M. Rogier de la note qu'il m'a adressée le 6 du courant et en quels termes. A mon avis comme le but de cette note n'est que de m'annoncer la nomination de

M. Solvyns, la question de la reconnaissance du Royaume d'ltalie n'y étant touchée que par incident, la réponse du Roi Notre Auguste Souverain aux lettres de créance dont sera porteur M. Solvyns pourrait etre considérée comme une réponse suffisante, d'autant plus que M. Rogier n'a pas cru devoir accuser réception de la notification que je lui ai adressée par ma note en date du 5 Aoùt dernier.

A l'occasion de la discussion de l'adresse en réponse au discours du trone, on a entamé hier dans la Chambre des représentants la question de la reconnaissance du Roi d' ltalie, mais il n'y a encore rien eu qui mérite de fixer l'attention de V. E.

Par votre dépeche en date du 2 du courant n. 885 vous m'avez transmis, monsieur le Baron, l'acte de décès du nommé Frankoff ancien soldat dans l'armée Pontificale. M'étant empressé de faire parvenir le document à M. le Ministre des Affaires Etrangères, M. Rogier v'ient de me le renvoyer en me faisant remarquer que la commune d'Hofenbach dont il est dit que cet individu était originaire n'existe pas en Belgique. Je crois en conséquence devoir renvoyer ci-joint le document à V. E.

Le Capitaine Vandensande dont il est question dans le dépeche de V. E. du 11 c. t. n. 887 est un officier distingué dont les ouvrages statist'iques sur

les différentes Armees Européennes jouissent d'une certaine réputation parmi les Chefs de l'Armée belge; je puis ajouter que M. le Ministre de la guerre serait bien de le voir l'objet d'une récompense honorifique de la part de notre Gouvernement.

En vous prévenant que M. Solvyns qui vient d'arr'iver de Lisbonne en cette Capitale, ne tardera pas à se mettre en route pour se rendre à son nouveau poste à Turin je vous prie...

419

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 974. Madrid, 22 novembre 1861, ore 13,15 (per. ore 13,15 del 23).

Malgré les efforts faits par moi et par cet Ambassadeur de France pour faire accepter par le Gouvernement Espagnol le dernier expédient qui m'a été indiqué par V. E. dans sa dépeche télégraphique du 18 courant, ce Ministre des Affaires Etrangères vient de me faire connaitre que cet expédient n'a pas été accueilli dans le Conseil des Ministres que l'on a tenu hier au soir. Tandis que l'Ambassadeur susdit informe son Gouvernement là-dessus, de mon còté je n'ai qu'à attendre vos ordres en conséquence.

420

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MI' HSTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 22 novembre 1861.

Col mio dispaccio telegrafico del 18 novembre io mi affrettai a significarLe che le spiegazioni datele dal sig. Rogier erano bastevolissime a correggere l'impressione che la redazione della sua nota aveva prodotta sopra di me. Tuttavia non reputo superfluo di aggiungere che io era ben lungi dal dubitare della lealtà del Ministro Belga, ma temeva soltanto che i capi del partito ostile alla causa italiana avessero riesciti a scemare e snaturare agli occhi dell'Eur-opa l'importanza della determinazione presa dal Governo Belga, riconoscendo il Regno d'Italia. Alcune circostanze che ora sarebbe inutile rammentare, giustificavano questo timore. Ad ogni modo il biglietto scrittole dal sig. Rogier è concepito in termini tali da rendermi pienamente tranquillo sulle condizioni in cui il Ministro del Re d'Italia si troverà in codesta capitale. Non mi rimane adunque che pregarLa nuovamente di ringraziare a mio nome i signori Rogier e Frère Orban del modo franco ed amichevole con cui condussero a buon termine questa importante faccenda.

421

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI,

AL MINISTRO A MADRID, TECCO

T. 673. Torino, 23 novembre 1861, ore 15,10.

Après le refus du Cabinet Espagnol je dois vous ordonner de demander vos passeports et de partir immédiatement.

422

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 976. Madrid, 23 novembre 1861, ore 24 (per. ore 8 del 24).

En conformité des ordres de V. E. je demande demain mes passeports pour partir immédiatement. Je vous prie de me dire cependant en quelle qualité je dois laisser ici ce Secrétaire de Légation pour qu'il ne soit pas refusé par ce Gouvernement. Je prie V. E. de me dire aussi, pour le cas que les passeports seraient envoyés à toute la MissJon, quoique je ne croie pas cela probable, à qui devrai-je confier les Archives.

423

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A MADRID, TECCO

T. 674. Torino, 24 novembre 1861, ore 12.

Si vous avez le moindre doute que les passeports soient envoyés à toute la Mission, demandez-les vous-meme en confiant les Archives à la Légation de France (1). Dans le cas contraire, laissez Cavalchini chargé des affaires de la Légation, ainsi que je vous l'ai déjà dit plusieurs fois. Partez immédiatement.

424

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. 53, n. 10, orig. autogr.)

L. P. 27. Parigi, 24 novembre 1861.

Scrissi ieri d'ufficio sulla spedizione messicana. La risposta di Thouvenel può formularsi in brevi parole: diritto dell'Italia di mantenere bastimenti da guerra ed agenti al Messico; ma esclusione dalla partecipazione alla convenzione ed alle operazioni della spedizione, la quale partecipazione non potrebbe risul

tare che da un preventivo accordo con tutte le potenze alleate e quindi con la

Spagna da noi passata in silenzio e che è parte principale della spedizione. Tut

tavia i reclami italiani sarebbero rimessi al nostro agente che troverebbe appoggio

nelle autorità imperiali. Insistette sulla falsa posizione del nostro agente e con

sigliò di conservare la nostra marina per l'Adriatico, e, tutt'al più pel Plata,

ove abbiamo interessi gravissimi.

Prego V. E. di rispondermi o farmi rispondere in ordine a quanto ebbi l'onore di scriverLe sul traforo del Cenisio e per l'interpretazione del relativo articolo di trattato. Se non potrà farlo prima, Le sarei grato di rimettere la risposta al Signor Grattoni, che parte di qui per Torino mercoledì prossimo, per poi tornar subito a Parigi e ripigliare i negoziati.

Devo poi informarLa che il Signor Thouvenel desidererebbe che il trattato commerciale si negoziasse sollecitamente per poter dare all' Imperatore, che ne espresse l'intenzione, l'occasione di mentovarlo all'apertura del Parlamento. Il Signor Thouvenel bramerebbe pure di poterlo inserire nel Blue book che sta compilando per l'anno corrente. Ciò sia detto per sola sua informazione.

Il Signor Lavallette parte in fine della settimana per Roma. Mi riservo di vederlo prima della partenza e, se saprò qualche cosa intorno alle istruzioni affidategli, non mancherò di fargliene rapporto.

P. S. -Rispondo d'ufficio intorno ai crediti di sudditi italiani verso la Porta, pei quali V. E. mi aveva incaricato di parlare al Signor Thouvenel e di invocare l'azione concorde dell'Ambasciata francese. Dalla risposta fattami parmi potersi arguire che il Governo francese lasci molto all'azione ed al prudente arbitrio del suo Ambasciatore e che l'appoggio o il concorso cattolico da noi invocato dipenda molto dal buon accordo tra le due Legazioni. E, a questo proposito, devo dirLe confidenzialmente come il nostro ministro a Costantinopoli sia stato, non so con qual fondamento accusato a questo Ministero degli Affari Esteri, di soverchia preferenza e condiscendenza verso il suo collega d' Inghilterra a scapito del suo collega di Francia.

Prego V. E. di voler decifrare Ella stessa la notarella qui connessa (1).

N o n ho bisogno di istruzioni per rispondere in caso che la cosa venga ai miei orecchi direttamente; ma intanto credo doverne informare confidenzialmente l' E. V. per sua norma.

(l) Il Tecco chiedeva, in seguito a questo telegramma, i passaporti con la nota del 24 novembre 1861 (L. V., 3, XIV) e il Calderon Collantes glieli rimetteva in forma assai cortese (ivi, XV).

425

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO

T. 677. Torino, 25 novembre 1861, ore 15,10.

Nous ne demandons pas une coopération active dans l'expédition du Mexique. Il ne s'agit que de bons offices d'un còté et de l'autre. Ainsi vous pouvez changer la rédaction de votre note.

(l) In un foglio annesso v'è in cifra decifrata in lapis rosso: • On · m'assure que Thouvenel s'est plaint avec un de ses intimes de ce que V. E. témoigne beaucoup plus de confiance à James Hudson qu'à Benedetti •·

426

IL MINISTRO A MADRID, TECCO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 979. Madrid, 25 novembre 1861, ore 11,55 (per. ore 15 del 26).

Je viens de recevoir les passeports que j'ai demandé hier, et je pars demain (1).

427

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. 53, n. 5, orig. autogr.)

L. P. 34. Londra, 22-25 novembre 1861.

Recasi domani a Torino il signor Giacomo Lacaita (cosidetto Sir James Lacaita) e cosi mi si presenta un'occasione per scriverle confidenzialmente. Vedo con piacere e forse con un po' di superbia che l'idea mia della nave al Messico non è parsa tanto cattiva, avendo ieri ricevuto il dispaccio in proposito.

Andai ieri mattina immediatamente a conferirne con Lord Palmerston, il quale, con quel suo solito modo di pensare simpatico per noi e pien di cuore, approvò pienamente quanto intendeasi fare. Intese la parte materiale non solo ma politica dell'idea. E, mentre aderiva alla seconda, osservò, per riguardo alla prima, che sicuramente avevam ragione di metter la falce all'opra mentre si faceva la messe, volendo indicare, con quella similitudine, che se non si profittava del momento in cui si obbliga il Messico a liquidare le sue obbligazioni, più tardi si obietterebbe da quel Governo essersi perso il tempo utile.

Trovandoci così d'accordo Lord Palmerston passò ad altro argomento e poichè ci trovavamo a parlare così in confidenza e, facendomi capire non essere nemmeno necessario di parer con Lord Russell ch'egli me ne avesse parlato, mi disse che scriveva da Parigi Lord Cowley che, da quanto aveva saputo, credo dal comm. Nigra, l'Imperatore sarebbe stato disposto a ritirare le truppe da Roma purchè ci contentassimo di riconoscere il Papa come sovrano temporale nei suoi dominii attuali. Lord Palmerston parve temere conseguenze future in un simile aggiustamento. Cioè che se da noi accettavasi di buona fede, ci vincolerebbe le mani per sempre precisamente a quanto più energicamente combattevamo. Se poi venisse da noi accettato con restrizioni mentali e probabilità di future annessioni, macchierebbe la politica italiana di mene sleali. Poichè, diss'egli: se nell'autunno del 1861 voi asserite un principio, come vorrete poi negarlo quando vi garberà? Risposi che dovevamo aver piena confidenza in V. E. la quale non si potea certo accusare di far patti con situazioni dubbiose; ma che ad ogni modo il retto modo di pensare e le calde simpatie di Lord Palmerston per allontanare da noi qualunque menomo pericolo si terrebbero in gran conto

a Torino. Avendo io fatto menzione di quanto pretendevasi a buona fonte dell'idea dell'aspettar la morte del papa attuale per sgombrar Roma, Lord Palmerston rispose che, prima di tutto, questo sarebbe rimandar la quistione alle calende greche ed in secondo luogo, non capiva su che ragionamento si fondasse quest'ordine di idee, poichè non era personalmente Pio IX che la Francia da 10 anni aveva preso a difendere a Roma, ma il capo spirituale ed anche temporale della Chiesa Cattolica.

Domandai a S. S. se fosse vero che il Gabinetto francese si mostrasse in questo momento assai desideroso di ricondurre l'alleanza inglese a quel punto d'intimità in cui esisteva anticamente; ed a questo fine oprasse il disarmamento ed altri passi in corso di esecuzione. Egli mi rispose che nulla di nuovo era occorso da dargli da credere una modificazione notevole della politica imperiale; che lui ed i suoi colleghi non intendevano badar che a fatti. Ciance se ne potean fare quante se ne voleva, ma s'aspetterebbe a veder l'esecuzione di tanti bei programmi: quando si vedrebbero riduzioni vere negli armamenti, gli si presterebbe fede. Ma si dava il caso che mentre il Governo francese parlava di pace e concordia agiva esattamente come avrebbe fatto ove si fosse trattato di muover guerre. All'India, in Egitto, a Madagascar, dappertutto ove abbiamo interessi inglesi, noi troviamo agenti francesi attivamente all'opra onde crearci imbrogli. Si abbandoni dunque questo sistema e si metta da banda l'idea di contrastarci la supremazia marittima, e saremo dispostissimi a rasserenarci noi pure. Fra l'altre cose si smetta l'ordine di fabbricare certe undici plat boats (battelli piatti) che stanno per essere costruiti e sarà un buon cominciamento.

Gli dissi ridendo che forse sarebbe anche meglio' ove, dopo costrutti, se ne facesse regalo all'Inghilterra; ma mi rispose che neppure in regalo non li vorrebbe, tanto erano mal fatti. Del resto qualunque fossero per essere le riduzioni, era sempre in esistenza un"armata tale da fornir 200.000 uomini per una guerra popolare come una guerra con l'Inghilterra. Non cosi per una guerra che non andasse a genio della Nazione. Almeno questo par certo, che, in grazia a queste complicazioni finanziarie, s'eviterà una guerra in primavera.

Non so se Mylord fosse così certo di questo come volea parerlo. Ma per varie ragioni pensai bene di non discutere questo punto. Mi limitai ad osservare che motivo della mia domanda era che, se realmente la politica imperiale avesse creduto indispensabile un ritorno all'alleanza inglese, forse si sarebbe potuto indicare come un modo essenzialissimo di cattivarsi l'opinion pubblica in Inghilterra, il cooperare fortemente, invece di contrastarla, la terminazione della quistione romana. Chiesi inoltre se fosse vero che si fossero, per parte dell'Imperatore, fatti passi per una visita a Londra l'anno venturo.

Avevo, due giorni prima, pranzato con lui dal conte di Flahault e vedendoli in stretta conversazione la sera avevo pensato che forse era l'argomento del discorso. Ma Lord Palmerston mi rispose che finora nulla erasi detto a questo riguardo. Anzi non mi celò che non potea vedere in quella visita gran vantaggio. «L'Imperatore, diss'egli, può star certo che sarà freddamente ricevuto in paragone dell'altra volta. Nessun partito ha simpatia per lui. Non i nostri, perchè non amano le spese imposteci dagli armamenti e le mene francesi in tanti punti. Non i Tory che sempre temono guerre dalla politica dubbia della Francia. E non i radicali perchè troppo s'allontana l'Imperatore dai loro principii. Non

vedo dunque a che pro', disse Mylord, l'Imperatore vorrebbe arrischiare questa gita>.

Devo aggiunger su questo punto saper io da ottime sorgenti che la Regina è in questo momento molto ostile personalmente al suo imperia! vicino. Fu espressa intenzione sua che Lord Clarendon, tornando da Berlino, non passasse per Parigi. Locchè obbligò Cowley ad andare a Bruxelles. Ed ultimamente una delle sue dame, Lady Ely, essendo stata invitata a Compiègne, gli fu dato a capire che sarebbe meglio astenersene.

Presi congedo da Lord Palmerston domandandogli il permesso di valermi della sua approvazione per l'invio della nave al Messico quando avrei visto Lord Russell. Difatti me n'andai a Richmond e, benchè io abbia avuta l'impertinenza di dire a Mylord che _io, per conto mio, certamente non potevo sottoscrivere agli elogi per la gentilezza usataci da lui per questo affare del Messico, pure gli lessi il dispaccio. Approvò in complesso, ma temendo il nostro spirito un po' insinuante, fece la riserva che naturalmente non ci credessimo far parte della convenzione fra le tre potenze. Locchè mi son creduto autorizzato ad ammettere. Però a buon conto ho pensato meglio che si mettesse due righe di scritto offìciale e vedendolo anche disposto a mettere avanti l'idea d'aspettar quanto si direbbe a Parigi, feci avanzare la riserva, cioè a dire l'autorità di Lord Palmerston; e difatti saputo che dal capo del Gabinetto erasi aderito, non fece più difficoltà.

Prima che partissi egli pure mi parlò della comunicazione fra il comm. Nigra e Lord Cowley. Ma contrariamente a quanto fece Lord Palmerston, egli si limitò a raccontarmi il fatto semplice senza esprimerne un'opinione tal quale. Siccome pranzavo coi Palmerston, ieri sera, glielo raccontai a Mylord, il quale ridendo mi chiese se io gli avessi data la mia opinione. Al che risposi che era mia regola il principio, che quando si chiede il parere mio, di darlo raramente; quando non si chiede, mai.

25 novembre.

Lacaita viaggia così lentamente che ho preferito aspettar per mandar la mia lettera col corriere inglese. Son meno superbo della mia idea messicana, vedendola così malmenata a Parigi. Ma credo aver fatto bene a far patti chiari prima d'imbarcarci. Del resto noi volevamo parlare e poi agire. Forse sarà meglio far il contrario. Una volta là si vedrà cosa succede. So da buona fonte che il Ministero inglese, in questi giorni, ha avuto informazioni sicure su quanto si costruisce negli arsenali marittimi francesi e furon tali da far trasecolare persino Gladstone.

(l) La Gazzetta Ufficiale recava, il 27 novembre, n. 288, la seguente nota ufficiosa: • La questione degli Archivi Napoletani ritirati dagli Agenti Consolari Spagnuoli non avendo rice· vuto una soluzione soddisfacente, il Governo di S. M. ha ordinato al Barone Tecco di chiedere i suoi passaporti, lasciando come Incaricato degli Affari a Madrid il Segretario della Legazione. Il Barone Tecco è partito ieri 26 ritornando in Italia per la via di Barcellona •·

428

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 26 novembre 1861. I dispacci cui la S. V. accenna nel suo offìcio del 14 corr. n. 360 della Serie Politica, mi sono regolarmente pervenuti e 11:on ho mancato di pigliarne ispe

ciale cognizione. Dopo i discorsi seco Lei avuti durante il soggiorno Suo presso di noi non è succeduto nell'andamento delle cose nostre alcun straordinario accidente e ciò le spiegherà, signor Conte, perchè io non Le abbia fatta dappoi veruna particolare comunicazione. Tuttavia mi è ben grato il condiscendere al desiderio Suo di sapere in qual modo sia da noi giudicata la situazione.

Due condizioni occorrono, come Ella sa, per costituire definitivamente l'Italia: regolarne, cioè, gli ordini interni per modo che le varie sue parti si fondano in un tutto omogeneo, compatto, retto dalle stesse leggi e che obbedisca ad un solo impulso; completare il territorio.

Quanto al primo oggetto, il progetto di assimilazione si va operando con maggior facilità e con più prospero successo, che non sarebbesi quasi potuto presumere, ove si considerino le inveterate abitudini -di forme e di tradizioni diverse -che avevano le varie Provincie Italiane, e gli sforzi che si tentano dalla reazione borbonica e clericale per attraversare l'opera del Governo. Le autonomie sono cadute senza opposizione o malcontento, l'amministrazione delle provincie è ormai resa uniforme; introdotta la leva anche nei paesi dove per antica esenzione le popolazioni vi erano più ripugnanti, e scarso, in proporzione di quelle vecchie ripugnanze e delle suggestioni di una parte del clero, il numero dei refrattari. Abolite da più mesi tutte le dogane intermedie, aperte importantissime linee di strade ferrate, altre prossime a compiersi, ordinato il servizio postale, le popolazioni già sentono nella facilità delle relazioni, nel risorgere del commercio tali benefizii materiali che non vorrebbono certamente rinunciarvi per ritornare alle antiche frazioni. Nell'intervallo fra l'una e l'altra sessione del Parlamento sonosi preparati i lavori per dotare l'Italia di un medesimo codice di leggi civili e criminali, per regolare in modo uniforme e con larghe viste l'Amministrazione dei comuni, per unificare le imposte e provvedere all'aumento indispensabile delle pubbliche entrate.

Insomma nella questione interna si è già fatto molto cammino, e col concorso del Parlamento l'opera di fusione toccherà presto il suo termine. Certamente un'opera così grande e così completa non è scevra di difficoltà. Ma le difficoltà maggiori non vengono dalle condizioni interne delle Provincie riunite; esse vengono in massima parte da ciò che ci manca, da Roma e da Venezia. Non parlo delle difficoltà di amministrare un vasto Regno senza una capitale centrale. È chiaro che finchè da Roma si può aiutare il brigantaggio nel Regno di Napoli e promuovere d'accordo coll'Austria spedizioni di soccorsi da vari punti dell'Adriatico, è più malagevole liberarsi totalmente da quel flagello. Finchè da Roma si ha interesse ad eccitare il Clero a resistenze ed intrighi, nasceranno quà e là parziali disturbi. Finchè abbiamo l'Austria accampata in casa, oltre all'inquietezza che nasce negli animi ed ai pretesti che si danno alle agitazioni dei partiti, noi siamo costretti a sagrifici che aggravano le condizioni delle nostre finanze e del nostro credito e che impongono maggiori ed inusati carichi alle popolazioni.

Ma per quanto siano gravi queste difficoltà, le sole che realmente ritardino il compiuto costituirsi del Regno, noi, e dicendo noi intendo parlare di tutti gli uomini savi, sensati, onesti, del paese, non vi vediamo ragione nè di dubitare delle nostre sorti, nè di precipitare gli eventi.

Roma è una questione morale che non si può decidere colla forza. Noi non vogliamo nè scandali nè turbamenti di coscienze, nè scisma nè sfregio di religione. Noi crediamo che la Questione di Roma debba definirsi massimamente

colla persuasione del mondo cattolico, col sussidio dell'opinione pubblica e

per conseguenza senza scosse, senza nocumento per l'unità cattolica, anzi con

vantaggio del sentimento religioso. A questo fine mirano sostanzialmente i

nostri sforzi. Si è parlato di negoziati e questi negoziati naturalmente non

possono essere intesi che a preparare combinazioni che diano piena guaren

tigia alle coscienze cattoliche per l'intiera libertà della Chiesa.

Nè credo i nostri sforzi in questo senso rimangano senza frutto e non pro

mettano buoni risultamenti. Siccome la S. V. l'avrà osservato, vi è a questo

riguardo molto progresso nelle convinzioni non solo del laicato ma eziandio

del Clero.

Quanto alla Venezia la necessità per l'Italia di compiere ed assicurare con

essa la sua indipendenza è così evidente come il buon diritto suo di rivendicarla.

Ma la nostra condotta deve pigliar norma dal tempo e dalle circostanze, e

noi non ci lasceremo sicuramente trascinare a risoluzioni imprudenti. In ciò

il buon senso generale è d'accordo col Governo e gli dà tutta la forza neces

saria per rimanere giudice e padrone dei suoi atti ed impedire pericolose

provocazioni.

Questo accordo, io ne son persuaso, risulterà più forte e più efficace ancora dall'opera del Parlamento che ha pur ora ripreso il corso dei suoi lavori, poichè, se è proprio del regime parlamentare che vi siano partiti e discussioni, il bisogno di concordia è altamente sentito dalle Camere come dal paese e ben si capisce non poter esservi luogo ad un indirizzo politico diverso da quello che è consigliato dai veri interessi della Nazione.

Eccole esposta, signor Conte, la situazione quale è da noi compresa, e quale è realmente. Questa situazione ha difficoltà, ma non ha nulla di allarmante nè per noi nè per l'estero. Le relazioni nostre sono amichevoli con tutte le potenze, fatta eccezione solo dell'Austria, che naturalmente non può esserci amica sinchè non consenta a privarsi della Venezia. Ma se questa è una ragione per noi di prevedere e di provvedere, non ne consegue che noi vogliamo scostarci da quella via che ci è segnata da una giusta ponderazione delle circostanze.

Questi dati e questi riflessi Le varranno, signor Conte, a regolare, come Ella desidera, il Suo linguaggio secondo la vera condizione delle cose e le vere nostre intenzioni.

429

IL MINISTRO A LISBONA, LA MINERVA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

D. CIFRATO S. n. Lisbona, 26 novembre 1861.

La mort du Roi a détruit le projet de mariage arreté avec la Princesse de Savoie. Je sais d'une manière positive que le Roi père ayant fait observer au Roi actuel le nombre restreint des membres de la famille régnante et lui ayant montré la nécessité de se marier lui aurait demandé si dans son voyage il avait remarqué quelque Princesse, le Roi aurait répondu qu'il avait conçu et manifesté beaucoup de sympathie à la Princesse Marie-Louise Hohenzollern avec l'intention

de l'épouser, ne croyant jamais devenir Roi. J'avais depuis hier ces renseignements, quand aujourd'hui j'ai eu occasion de voir le Président du Conseil qui me parla du projet de mariage du Roi défunt et entama lui-meme spontanément la conversation sur le Roi actuel, en me confirmant ce que je savais déjà, mais en ajoutant qu 'il n'y avait encore rien de très sérieux ni de très avancé, bien plus qu'il en avait causé hier au soir avec le Roi Ferdinand, en lui faisant remarquer que les précédentes alliances avec la famille Hohenzollern rendraient ce mariage peu populaire. Le Marquis de Loulé m'a assuré que le Roi Ferdinand tachera autant que possible de l'empecher, mais que pour cela il faudra donner temps au nouveau Roi de se persuader qu'il sera plus utile de préférer nouvelle alliance aux sympathies qu'il a éprouvées comme Prince. J'aurai moyen de tenir au courant V. E. de cette affaire à cause de mes relations personnelles avec le Roi père et avec une personne très intime avec lui. Le Marquis de Loulé aussi qui montre tout l'intéret pour l'alliance des maisons Savoie-Portugal, m'a promis de me faire savoir s'il y a du nouveau et m'a engagé meme, vu mes rapports avec le Roi Ferdinand, a profiter de la première occasion favorable pour lui en parler.

430

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 678. Torino, 27 novembre 1861, ore 11,30.

Il parait que les troupes françaises ont fait prisonniers les brigands d'Alatri. Ce serait le second fait de la meme nature. Confiant que le Gouvernement Français se soi t aperçu enfin que son ròle à Rome ne doit pas etre celui -qui aurait pour effet de protéger les brigands payés par la réaction, je m'estime obligé à exprimer par votre organe à M. Thouvenel mes remerciements les plus vifs, espérant que ce soit le commencement d'un plan destiné à empecher véritablement le brigandage qui s'organise journellement à Rome sous l'abri des troupes françaises. Ce fait apporte à l'ltalie des dommages énormes de toute sorte, et il est par ses cqnséquences un outrage aux lois de l'humanité et de la justice. Je m'appelle à la conscience de l'Empereur et de toute la nation française. Je crois pourtant devoir avertir que, sans des ordres bien précis du Gouvernement Impérial pour un accord efficace entre les autorités militaires françaises et italiennes sur les frontières, on n'arrivera à rien, en outre si les brigands fait prisonniers seront rendus aux autorités pontificales, on se mettra dans un cercle vicieux de faire et défaire. La présence aussi de François Il à Rome est cause incessante de troubles, et met le Gouvernement Français en fausse position. Tout ça tient les Italiens en irritation et en souffrance et enfl.amme les passions ardentes, et l'reuvre du Gouvernement et du Parlement est plus difficile. Je vous prie d'exprimer à M. Thouvenel et ma reconnaissance et ma prière assez efficacement.

431

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 984. Parigi, 27 novembre 1861, ore 18,05 (per. ore 20).

Je ferai à Thouvenel la communication dont V. E. m'a chargé. Thouvenel m'a dit que François II n'a plus le sou et que le Gouvernement Pontificai lui aurait fait comprendre la gène que lui cause l'entretien de la Cour de Bourbon à Rome.

432

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 242-244)

L. P. 6. Torino, 27 novembre 1861.

Il Parlamento italiano è riaperto. Secondo il mio giudizio egli si mostrerà penetrato della alta sua missione, e giustificherà il mandato avuto in nome d'Italia. Confido che i fatti possano mostrare che io ho rettamente giudicato.

Le difficoltà nostre, non conviene dissimularselo, ci vengono tutte dalle condizioni di Roma. È indeclinabile necessità che l'Italia abbia la sua Roma! Potrebbe però attendersi questo definitivo acquisto finchè l'attuai Papa non sia morto, quando però parta da Roma Francesco II e cessi che Roma e il suo territorio sia il quartier generale, sia il convegno di tutte le forze del brigantaggio, il ridotto del denaro destinato a spegnere la libertà, e la civiltà e dirò perfino la religione d'Italia.

Il contegno della Francia in Roma è inesplicabile. Finchè vi stesse con apparente carattere di proteggere il Papa da nemici che non sussistono, io direi vada pure; ma quando la sua presenza è solo efficace a macchinazione di assassinii, di eccidii, a mantenere un'agitazione feroce e ladra nelle nostre più belle provincie; quando questo stato paralizza l'opera organizzatrice del Regno d'Italia, quando è cagione che noi consumiamo le nostre migliori forze militari; quando distruggiamo, nel combattere assassini d'ogni maniera, capitali immensi .che sono necessari a costituire l'Italia, io domando se questo non sia un affronto continuo che si fa alla causa della civiltà, della umanità, e della giustizia che l'Italia rappresenta? Io La prego, Marchese, a considerare tutto questo. E poichè l'Inghilterra pone la sua gloria a sostenere i principii di umanità e di giustizia, poichè l'Inghilterra non ci tolse mai il suo appoggio morale, al quale pongo grande fede, quando abbia per fine il buono e il giusto, io penso che l'Inghilterra abbia opportuna occasione, abbia tutta la ragione di reclamare che la presenza dei Francesi in Italia, che già è una violazione flagrante del principio del nonintervento, non sia ancora una violazione scandalosa dei più sacri principii di libertà, di civiltà, di umanità. Io credo che su questo terreno l'Inghilterra potrebbe recare molta utilità alla causa italiana, che essa ha con zelo sapiente fatta sua. Ella voglia parlarne a Lord Palmerston e a Lord Russell nel modo che crederà migliore. I Francesi non proteggono a Roma il Papa soltanto, proteggono anco Chiavone e la causa di tutti i briganti della terra. Lasciare che si violi il non intervento per sostenere la causa delie passioni le piu empie e feroci, non mi pare sia un uffizio convenevole per il Gabinetto Britannico.

Non dico altro!

P. S. Ricevo in questo momento notizie positive intorno le macchinazioni dei reazionari che si vanno operando in Malta. Di là, i reazionari d'ogni paese, arrolati da emissari borbonici, s'imbarcano con dichiarazione per Tunisi, e si dirigono quindi sulle coste delle Calabrie. Tutto questo è notorio nell'Isola; le autorità inglesi lo sanno. Mi pare che l'onore del Governo inglese non possa permettere queste opere brutali organizzate sul suo territorio a danno di una nazione amica. Anco su di ciò confido a Lei l'incarico di tenerne ragionamento, nel modo che reputerà migliore, ta1nto a Lord Palmerston, quanto a Lord Russell.

433

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (A C R, Carte Vimercati)

L. P. Parigi, 27 novembre 1861.

J'espère que le Comte Nigra aura rémis ma précedente lettre à V. M. La situation n'a pas changée, depuis la rentrée de M. Fould aux affaires on n'a pas fait un seui pas et l'Empereur est encore daris la plus grande indécision.

Le Marquis de Lavalette part demain pour Rome sans avoir obtenu un mot sur les véritables intentions, et M. Thouvenel s'est borné à lui récommander de bien examiner l'état des choses, et de voir s'il était poss'ible d'amener non pas une solution, mais un arrangement quelconque qui permette le rappel des troupes Françaises. Le Prince Napoléon pense toujours que S. M. I. le va accoucher du projet dont j'ai l'honneur de parler au Roi dans ma dernière lettre, quoique très mauvais, ce projet pourrait amener une solution, surtout dans le cas où le S. Père refusat d'adhérer à l'arrangement proposé, comme c'est plus que probable.

Les informations qu'on envoie d'Italie au Ministère des affaires étrangères d'ici, ne nous sont guère favorables, et font des provinces du Midi le tableau le plus lamentable.

Benedetti écrit que le Ministre d'Angleterre donne des conseils bien différents de ceux qu'il donne lui-meme.

Si l'on trouve que les affaires intérieures ne vont pas bien chez-nous, nous pouvons de notre coté trouver avec raison, qu'elles ne vont guère mieux en France, car 'ici le gouvernement est en un véritable désarroi, et l'Empereur a beaucoup perdu depuis quelque temps.

La publication du rapport de M. Fould a mis à découvert le chef de l'Etat, qui se trouve avoir menti, toutes les fois qu'il a dit que le budget était en équilibre. Quoique la rentrée de M. Fould au Ministère soit un triomphe pour le parti Iibéral du gouvernement, on commence à croire, que les effets ne seront pas tels qu'on les espérait.

Tout le monde s'attendait à voir prendre quelque mesure pour Rome, mais l'attente a été déjouée.

Nigra qui a très bien été à Compiègne, soutenant des luttes avec l'espoir que l'Empereur aurait pris une décision, cet espoir était partagé meme par le Prince Napoléon qui à present y cro'it beaucoup moins. Madame Vimercati a passé la matinée chez Madame la Princesse Clotilde qui va beaucoup mieux de son mal au genou, les médecins s'accordent en disant que sa maladie est un épanchement de sinove, causé en grande partie par des trop longues génufiexions, si le Prince son mari était atteint de la meme maladie, certes on ne pourrait l'attribuer à la meme cause.

Le discours de Ricasoli a été jugé ici par les hommes sérieux comme un aveu d'une défaite qu'il ne fallait pas provoquer si ouvertement. Quoique ma lettre n'annonce au Roi rien de bien consolant, il ne faut pas désespérer non plus, car il faudra bien que l'Empereur marche dans la voie libérale qu'il s'est ouverte volontairement devant lui. J'ai écrit aujourd'hui au Ministre de la guerre non pas encore pour lui envoyer mon rapport mais pour lui rendre compte de l'effet produit sur l'armée française par le nouveau décret Impérial, effet qui mérite d'etre remarqué car il empechera certainement à M. Fould de réaliser les économies qu'il a proposé.

Les affaires d'Orient préoccupent beaucoup ici, les dernières nouvelles du Liban font craindre des nouveaux massacres pour les Maronites: les Druses et les Musulmans sont en armes et dans une attitude très menaçante; c'est de là qu'il faut attendre les événements, qui joints aux troubles de la Hongrie, de la Servie, et du Monténégro, pourraient bien arranger nos affaires, car c'est là qu'ils auront, à mon avis, leur véritable solution.

Piumati est parti aujourd'hui pour Londres, où il espère trouver des antilopes en remplacement des deux qui ont été vendus ici, à cause du retard, bien indépendant de moi, à répondre à la lettre de M. de S. Hilaire.

J e baise bien respectueusement la main au Roi.

P. S. -J'ai l'honneur d'envoyer à V. M. ci-jointe une lettre du Général Fleury, par la quelle il rappelle au Roi la promesse qu'il a bien voulu lui faire de lui donner 12 medailles militaires pour les officiers de la maison de l'Empereur, et qui sont les memes que j'ai eu l'honneur de rappeler au Roi à Turin.

Il y a aussi la réponse du Ministère de la guerre, ayant trait au désir exprimé par V. M. de voir un officier français épouser une jeune fille de Brescia qu'il avait laissée atteinte du mal d'amour.

Le Général Fleury m'envoit en dernier lieu, une marche pour défiler, que le Colone! Combriel l'a chargé de faire parvenir a V. M. et que lui est dédiée par le chef de musique de son régiment Fleury Labit.

434

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 105. Londra, 28 novembre 1861.

Siccome ho avuto l'onore di telegrafarlo stamattina all'E. V. (1), Lord Palmerston m'ha detto iersera che poco prima di pranzo era venuta la notizia che

per parte del Messico si stava per sottoscrivere una convenzione concedente tutte le domande degli alleati. Evidentemente dopo una tale notizia il Governo non può ancora determinare che linea di condotta prenderà, dovendo per anche consultare gli alleati. Ma par difficile che l'idea della spedizione si abbandoni, prima di tutto perchè non s'ha tutta la confidenza nella facoltà del Governo Messicano di eseguire le condizioni che avesse anche accettate di buona fede. Ed inoltre perchè nello stato delle cose agli Stati Uniti sembra da non lasciarsi sfuggire l'occasione di aver a poca distanza forze navali e di sbarco per qualunque occorrenza. Ad ogni modo è necessario che V. E. sia i.nformata di questa nuova fase della questione, onde poter decidere quanto crederà preferibile per riguardo al bastimento della Regia Marina da spedirsi. Intanto ieri ho ritirato al Ministero degli Esteri la mia prima nota rimpiazzandola con un'altra redazione nel senso inteso. Ho l'onore di farne pervenire a V. E. una copia (l) e ieri sera ho scritto al Commendatore Nigra per informarlo dell'avvenuto.

(l) T. 986 del 28 novembre 1861, ore 10.

435

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 361. Berlino, 28 novembre 1861. Hier, à une soirée au Ministère des Affaires Etrangères, le Comte de Bernstorff m'a parlé assez longuement. Il avait lu les pièces relatives à la solution de la Question Romaine, dépo~ées sur le bureau de notre Chambre des Députés. Ce qui l'avait frappé davantage,

c'est que V. E. dans sa lettre au Pape invoquait sa qualité de Catholique, tandis que, d'après des renseignements puisés à Londres, Elle appartiendrait au culte

protestant.

J'ai fait observer que cette nouvelle avait été mise en circulation il y a quelques mois; mais que nos journaux, L'Opinione entre autres, y avaient opposé un démenti, car V. E. était aussi inébranlable dans la foi de ses ancétres, que dans ses convictions politiques.

A cette occasion, le Comte de Bernstorff m'a fait l'aveu que lui aussi personnellement était d'avis que le pouvoir temporel n'était pas nécessaire pour l'exer cice du pouvoir spirituel; que la Papauté pouvait, comme le Patriarche Grec, se maintenir sans prérogatives souveraines daus toute l'extension du mot, sauf qu'on assurat l'indépendance du Pape, de sa Cour etc. etc. S. E. croyat en outre que, conformément à nos intérèts, Sa Sainteté devait continuer à résider en Italie.

La conversation prenant ensuite une tournure plus intime et tout à fait confidentielle, le Comte de Bernstorff se gendarmait contre la supposition qu'il se refusait à nous reconnaitre dans la crainte d'indisposer l'Autriche. Cette considération n'était pas à ses yeux une raison déterminante. Il regrettait en mème temps si l'attitude expectante de la Prusse causait quelque mécontentement à Turin. Ce sentiment ne serait justifié que si on pouvait l'attribuer à une esprit de malveillance de la part du Cabinet Prussien. Mais tel n'était pas le cas. Seulement dans une position qui demande beaucoup de ménagements, la Prusse était

tenue à ne se prononcer qu'à bon escient. « On nous objecte, il est vrai, qu'en passant outre, qu'en resserrant plus étroitement nos liens avec l' Italie, nous agirions conformément à nos intérets et cela en prévision de certaines éventualités; mais alors quel concours aurions-nous à attendre de vous; quelles garanties nous offrirez vous vis-à-vis de la France? >.

A cette interpellation faite à briìle-pourpoint, j'ai répondu à mon tour parla question suivante: « Si, contre toute attente, le cas auquel vous faites allusion (évidemment une guerre sur le Rhin) se présentait, ne nous serait-il pas plus aisé de fermer l'oreille aux insinuations intéressées de notre puissant voisin, quand vous nous auriez reconnus que si nous attendions encore votre reconnaissance officielle? ».

Ma question est demeurée sans réplique. Mais mon interlocuteur faisant une seconde charge à fond, m'a demandé si, après avoir surmonté les obstacles qui s'opposaient encore à la consolidation de l'ordre de choses actuel, nous ne viserions pas également à englober Venise.

Je me suis référé aux dépeches du Gouvernement pour démontrer que nous ne pouvions ni ne devions, à moins d'etre taxés d'inconséquence, abandonner une question aussi vitale pour l'Italie.

« Mais voilà précisement un point qui nous donne à réfléchir. Sans vouloir nous inféoder à l'Autriche, celle-ci ne pourrait-elle pas se formaliser à bon droit, si nous vous reconnaissions quand votre programme vous mène droit à une guerre contre elle et pour lui disputer la possession de la Vénét'ie ».

J'ai taché de faire comprendre que la force des choses nous poussait vers Venise, nous ne pouvions pas perdre cette question de vue; mais que nos hommes d' Etat, et V. E. en particulier, s'appliquaient à contenir, à diriger le mouvement, afin d'éviter un conflit sanglant, et d'obtenir de gré à gré un accommodement qui devrait souhaiter tout partisan éclairé des intérets européens. Tout en déclarant nouvellement qu'en principe nous n'éliminerions rien de notre programme pas plus que la Prusse ne consentirait à déserter la cause du Holstein, j'ai donné l'assurance que nous suivrions une marche modérée.

Le Comte de Bernstorff affirmait que l'Autriche plutòt que de céder une de ses plus belles Provinces, ne reculerait pas devant une guerre. Nous ne devions nous faire aucune illusion à cet égard. Par conséquent le Cabinet de Berlin avait lieu d'hésiter à reconnaitre un status quo qui d'ailleurs n'offrait point encore de sérieuses garanties de stabilité. « Ne remet-on pas sur le tapis un projet de Confédération, une triade Italienne? Un fait positif, c'est que le langage qu'on entend à Paris ne permet guère d'admettre qu'il y règne une grande confiance, une grande sympathie pour une Italie unitaire! ».

Avec la meme franchise dont j'avais usé vis-à-vis du Roi Guillaume à Baden, j'ai repoussé toute idée de Confédération qui équivalait à l'impuissance organisée. Je suis à trop bonne école en Alemagne, surtout en Prusse, laquelle cherche en toute occasion à munir la Diète Germanique, pour tenir un autre langage. Il pourrait convenir à certaines Puissances d'essayer de nous paralyser, en divisant, en neutralisant nos forces; mais jamais nous ne saurions y consentir. Pour tout esprit perspicace, la situation de l' Italie ne saurait etre modifiée qu'au bénéfice de la France ou de l'Autriche contrairement aux exigences bien entendues de l'équilibre européen. Ce résultat ne saurait néanmoins etre atteint que par l'emploi d'une

33 • Documenti diplomatici · Serie I · Vol. I

force prépondérante et étrangère, et le jour où elle se retirerait, le mouvement

un istant interrompu reprendrait son cours nature! et légitime. Dans ces condi

tions, le parti le plus sage était de ne pas chercher à contrarier le courant, en

entravant l'reuvre de notre régénération.

Le Ministre des Affaires Etrangères m'a donné l'assurance que s'il ne se

prononcait pas encore nous ne devions pas douter de sa bienveillance; qu'il avait

pu regretter certains actes de notre politique; mais que ces regrets ne seraient

pas un empèchement quand la Prusse jugerait à propos de sortir de sa réserve;

qu'elle aussi désirait une Italie, forte et indépendante, libérale et notamment qui

admette la liberté des cultes.

Pour éviter des redites dans ma correspondance, je ne ferai pas mention de

mes autres répliques conformes à mes instructions officielles.

En terminant cet entretien, j'ai dit à M. de Bernstorff que ne croyant pas

de notre dignité de solliciter une reconnaissance, que nous aimerions ne devoir

qu'à l'initiat'ive de la Prusse, je m'abstiendrais de toucher cette question, à moins

que lui-mème, comme aujourd'hui, ne la remit sur le tapis; mais qu'en mon ame

et conscience je pensais qu'il était peut-ètre plus encore dans son interèt que dans

le nòtre de nous entendre définitivement; qu'au reste je me permettais d'appeler

son attention sur les débats de la Chambre beige. S. E. a prétexté de la différence

de situation entre ce pays et la Prusse, comme si les arguments invoqués par

les orateurs ministériels belges, ne s'appliquaient pas a fortiori à la Prusse!

J'ai cru devoir rendre compte de cet entretien avec quelques développements.

Il en résulte que les vues du nouveau Ministre des Affaires Etrangères ne diffè

rent pas essentiellement de celles de son prédécesseur. C'est toujours la mème

attitude bienveillante, mais timide de l'homme d' Etat qui veut et ne veut pas,

et qui, dans l'embarras de prendre une décision, cherche à se tromper lui-mème

par des arguments spécieux et dilatoires.

V. E. aura également remarqué que tout en se défendant de subordonner sa conduite à de prétendus ménagements à observer vis-à-vis de l'Autriche, le Comte de Bernstorff avouait que ses appréhensions touchant Venise, étaient une des causes de ses hésitations à se rapprocher ouvertement de nous. Ses relations avec le Cabinet Impérial ne sont cependant pas des plus amicales. Il se plaignait à un de mes collègues des procédés de cette Puissance qui cherchait à « ameuter les Etats du Midi de l'Allemagne contre la Prusse », et il convenait qu'il était presque impossible, malgré son désir, de faire bon ménage avec l'Autriche. Si à peine arrivé au pouvoir il émet déjà une semblable manière de voir, il est à supposer qu'il reconnaitra bientòt que ses souhaits sont irréalisables.

P. S. -Ci-joint une lettre partìculière pour V. E. (1).

(l) Non pubblicata.

(l) Ecco la lettera particolare acclusa: c Mi reco a premura di porgere ringraziamenti per la lettera da V. E. affidata alla mia figlia. Riceverò con piacere le promesse istruzioni. Intanto il Conte Bernstorff, avendo di proprio moto toccato alla questione italiana, ho dovuto rispondere con alcune spiegazioni conformi d'altronde a quanto mi veniva rappresentato nei miei colloqui coll'E. V. in Torino. Mi gradirebbe pure di conoscere il di Lei giudizio intorno alle impressioni riportate dal Generale Della Rocca sull'Ambasciata all'incoronamento. Nella sfera delle mie attribuzioni, ho procurato di fare il possibile perchè le cose camminassero senza ingombro e col richiesto decoro. Vorrei in ciò, come in qualunque circostanza, avere incontrato l'approvazione dell'E. V. •. Il generale della Rocca era rimasto molto contento del Launay: c Le Ministre Comte De Launay -aveva scritto da Berlino il 25 ottobre alla moglie !rene (M. R. T., Carte Morozzo deUa Rocca da inventariare) -est parfait pour moi et il m'a aidé bien autrement de ce que tu sais qu'il faisait Villamarina à Paris •·

436

IL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 539. Bruxelles, 28 novembre 1861.

J'ai reçu hier matin la dép(khe télégraphique que vous m'avez fait l'honneur de m'adresser le meme jour (1), et je me suis empressé de m'acquitter auprès de MM. Rogier et Frère-Orban de la commission qu'elle contenait. Ces Ministres ont été très flattés de cette amabilité et m'ont chargé de vous en offrir leurs remerciements. La discussion sur la reconnaissance du Royaume d'Italie continue toujours devant cette Chambre des représentants. Les Chefs du parti catholique y ont pris part sans réussir, à ce qu'il parait, à faire tourner l'opinion publique en leur faveur. Comme on ne voit pas de raison pour la prolongation de ces débats, il est impossible de pouvoir en prédire la fin. J e crois cependant que cela ne peut plus durer longtemps.

M. Rogier m'a dit que d'après les nouvelles qu'il a reçues les relations entre la Russie et le Saint-Siège s'aigrissent tous les jours davantage et qu'on lui mande que cet état de choses pourrait bien contribuer à accélérer de la part de l' Empereur de Russie la reconnaissance du Royaume d'Italie.

437

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 989. Parigi, 29 novembre 1861, ore 17,30 (per. ore 20).

En réponse à ma communication d'avant-hier Thouvenel vient de me dire que l' Empereur vous autorise à déclarer au Parlement qu'un accord efficace sera négocié entre les deux autorités militaires qui sont en présence sur la frontière napolitaine dans le but d'empecher le brigandage. Quant aux prisonniers, il m'a dit que le Gouvernement Français ne pouvant les remettre aux Autorités italiennes et ne pouvant les garder lui-meme se voit forcé à les remettre aux Autorités pontificales. Cependant s'il s'agissait à l'avenir d'un nombre plus considérable on aviserait. Toutes les informations que les Autorités françaises ont fait parvenir à Thouvenel portent qu'aucune bande ne s'organise sur le territoire romain; du reste il saura bientot à quoi s'en tenir par Lavalette qui est parti hier de Paris.

438

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 680. Torino, 29 novembre 1861, ore 22.

M. Benedetti m'avait déjà donné la bonne nouvelle que votre télégramme est venu confirmer. Veuillez exprimer à M. Thouvenel toute la reconnaissance du

Roi et de son Gouvernement et le prier de se faire l'organe de ces sentiments auprès de S. M. I.

(l) Ricasoli aveva incaricato il conte Montalto di ringraziare Rogier e Frère-Orban della parte presa alla discussione parlamentare sugli affari d'Italia.

439

CIRCOLARE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AGLI AGENTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

(Ed. in L V, 3, XVI)

Torino, 30 novembre 1861.

Le Ministre de S. M. à Madrid a reçu du Gouvernement du Roi l'ordre de quitter cette capitale en laissant à un Secrétaire de Légation le soin de pourvoir aux affaires courantes.

Je crois devoir donner aux Légations de S. M. quelques explications sur le fait qui vient de modifier l'état de nos rapports avec l' Espagne.

Vous n'ignorez pas, Monsieur le Ministre, que le Consul Espagnol à Lisbonne avait reçu l'ordre de retirer les Archives de l'ex-Consulat Napolitain. Cette mesure a donné lieu à une assez longue discussion entre les deux Gouvernements. Elle avait été prise, à ce qu'il parait, à l'insu du Président du Cabinet Espagnol, et M. Calderon Collantes, Ministre des Affaires Etrangères de S. M. Catholique, s'était plu d'abord à la réduire à de très petites proportions. Cependant il nous revint bientòt que des ordres semblables avaient été donnés à un assez grand nombre de Consuls Espagnols. Ayant ainsi acquis la conviction qu'il ne s'agissait pas d'un fait purement accidente!, mais d'une série de mesures annonçant un système bien arreté de la part du Ministre de S. M. Catholique, le Gouvernement du Roi crut devoir adresser au Cabinet de Madrid des observations. L'Espagne n'avait en effet aucun droit sur les Archives Napolitaines devenues propriété du Gouvernement Italien; et le Cabinet Espagnol qui avait déclaré ne vouloir intervenir en aucune manière dans les affaires de l'Italie, pretait par cet acte un appui direct aux prétentions de l'ex-Roi de Naples. Il prenait ainsi en realité une position tout à fait différente de ses déclarations. Il conférait les droits de puissance belligérante à un prétendant, tombé de son tròne par suite d'une révolution, sorti de son ancien territoire après une capitulation régulière; il empechait le Gouvernement du Roi Victor Emmanuel d'exercer une partie des droits et de remplir une partie des obligations qui lui ont été déférés par la volonté des populations italiennes.

Par suite des sages conseils du Gouvernement Français qui interposa amicalement ses bons offices, le Gouvernement Espagnol déclara qu'il était pret à remettre aux Autorités locales les documents concernant les intérets particuliers des sujets italiens. Mais il ajouta que, quant aux documents d'ordre publique, il ne croyat pas pouvoir s'en dessaisir.

Après la discussion approfondie qui avait été entreprise sur la question de droit cette distinction n'était pas admissible. Au point où se trouvaient les négo

ciations on n'aurait pu accepter la restitution d'une partie des documents sans reconnaitre en meme temps à l' Espagne le droit de retenir l'autre partie. La question de droit, celle qui était devenue la plus importante, aurait été donc tranchée implicitement d'une manière défavorable au Gouvernement du Roi. Il y eut un moment où le Cabinet de Madrid parut reconnaitre lui-meme la justesse de cette raison. De son céìté le Gouvernement du Roi reconnaissant des efforts que la France ne cessait de faire pour terminer amicalement ce démelé, crut devoir se montrer d'autant plus conciliant dans la forme qu'il avait dù etre ferme sur le fond de la question. Ce fut alors que M. Calderon Collantes proposa de remettre aux Autorités locales tous les documents contenus dans les Archives, en déclarant

que le Gouvernement Espagnol avait acquis la conviction que ces papiers n'avaient trait qu'à des intérets particuliers. En insistant pour une restitution directe, le Gouvernement du Roi aurait pu paraitre appeller un acte implicite de reconnaissance de la part de l' Espagne. Cette pensée était loin de nous, car les Ministres de S. M. ont un trop profond sentiment de la dignité du pays pour ne pas etre convaincus que l'Italie ne voudrait point d'une reconnaissance obtenue par de tels expédients. Je donnai donc mon adhésion à la solution proposée, en recommandant seulement au Ministre du Roi à Madrid d'insérer dans sa réponse quelques réserves destinées à prévenir toute interprétation erronée.

A mon grand étonnement cette proposition de S. E. le Ministre des Affaires Etrangères de S. M. Catholique ne fut pas approuvée par ses collègues et l'on demanda au Baron Tecco de retirer les deux notes où la question de droit avait été développée. Evidemment il était impossible d'accueillir cette demande, sans y apposer une condition, qui donnat à la transaction un caractère de parfaite réciprocité. Je n'acceptais donc la solution proposée, que dans le cas où le Gouvernement Espagnol aurait renoncé de son coté à indiquer dans les ordres qu'il donnerait à ses Consuls que les Archives ne comprenaient pas de documents politiques. Le Gouvernement Espagnol s'étant refusé à admettre ce dernier moyen de conciliation, j'ai dù soummetre au Roi l'ordre de rappeler son Ministre de Madrid.

Ces explications vous mettront à meme, Monsieur le Ministre, de donner au Gouvernement de... tous les renseignements qu'il peut désirer sur cette affaire. Vous saisirez en outre cette occasion pour faire remarquer l'attitude que le Gouvernement du Roi avait gardée envers l'Espagne jusqu'à ces derniers tems. Lorsque au mois de Novembre 1860 le Gouvernement de S. M. Catholique rappela son Ministre de Turin, le Gouvernement du Roi, voulant donner une preuve du prix qu'il attachait à la continuation de ses bons rapports avec la Cour de Madrid, ne suivit pas l'exemple qui lui était donné et préféra déroger aux usages établis plutot que d'interpreter dans un sens hostile la résolution du Gouvernement Espagnol. Depuis cette époque, quelque fut notre désir de voir le Gouvernement de S. M. Catholique rétablir complètement ses rapport avec nous, nous n'avons jamais, ainsi que j'ai eu l'honneur de vous le dire, sollicité de la part du Gouvernement Espagnol un acte de reconnaissance qu'il aurait été nature! d'attendre de lui, vu l'analogie des événements qui se sont passés en Italie avec ceux qui ont raffermi en Espagne la Monarchie Constitutionnelle. Nous nous sommes de plus abstenus soigneusement de faire remonter jusqu'au Gouvernement Espagnol la responsabilité des encouragements que des tentatives désespérées contre l'ordre des choses établi en Italie recevaient de quelques sujets de S. M. Catholique. Nous avons gardé le meme silence sur les insultes qu'une partie de la presse espagnole prodiguait chaque jour au Gouvernement età la personne meme de S. M. Notre Auguste Maitre. En rappellant notre Ministre de Madrid nous n'avons donc cédé ni à un mouvement de dépit, ni à un sentiment de susceptibilité excessive. Cette détermination nous a été imposée par le devoir de sauvegarder la dignité nationaie, qui ne saurait permettre sans protestation que la Cour de Madrid continue à blesser les droits et à froisser les intérets d'un peuple lié à l' Espagne par une amitié séculaire.

440

IL MINISTRO A BRUXELLES, MONTALTO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 540. Bruxelles, 30 novembre 1861.

Ainsi que j'ai eu l'honneur de vous le faire pressentir dans une de mes précédentes dépeches le parti catholique a proposé hier dans la Chambre des représentants un amendement à l'adresse ainsi conçu: « Dans la situation où se trouve l' Europe il importe que la Belgique neutre s'abstienne d'encourager le système d'annexion des Etats secondaires ». M. Orts comme rapporteur de la Commission de l'adresse y a opposé l'amendement suivant: « Dans la situation où se trouve l'Europe il importe que la Belgique neutre fìdèle au grand principe du droit des gens s'abstienne comme elle l'a toujours fait de s'immiscer dans les affaires des autres peuples ».

Et la Chambre ayant été appelée à se prononcer sur ces deux amendements, elle a adopté le dernier par 62 voix contre 47, c'est à dire à une majorité de 15 voix. Cette majorité est certa'inement bien faible, mais quand on considère la portée de l'amendement de M. Orts, elle ne manque pas d'une certaine importance. Du reste, il me parait que pour nous le point important est d'avoir obtenu la reconnaissance de la Belgique et qu'il est assez indifférent que l'opposition ait été un peu plus ou un .peu moins forte.

441

IL CONSOLE A BELGRADO, SCOVASSO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 6. Belgrado, 30 novembre 1861.

Ho già segnato ricevuta del venerato dispaccio delli 28 ottobre ultimo al

n. 2 affari in genere, della lettera d'introduzione presso il Principe e delle relative copie che vi erano annesse, nel mio rapporto delli 18 corrente al n. 5 contabilità, ed ora adempio al dovere d'informare l'E. V. che il 17 andante ho presentato officialmente a S. A. il Principe Michele la lettera suddetta.

Egli mi accolse con distinzione inusitata sino ad oggi, e con marcata benevolenza.

Tutta la guardia era schierata nel cortile del Conak del Principe ed appena vi giunsi mi presentò le armi. Gli aiutanti del Principe, gli ufficiali ed altri impiegati e Guardie del Palazzo erano schierati per ordine gerarchico in due lunghe file in mezzo alle quali dovevo passare dalla porta d'ingresso del Conak sino a quella della sala delle udienze. Il Rappresentante del Principe (Prestavnik) Ministro per gli Affari Esteri signor cav. Cristhich venne in grande uniforme a ricevermi in cima alla scala, e mi accompagnò nella sala delle udienze; pochi secondi dopo vi entrò il Pr'incipe vestito dell'uniforme di gala; io gli presentai la lettera con queste parole: « Altezza, il Re d'Italia, mio Augusto Sovrano, mi ha nominato a Suo Console Generale in Belgrado, e Sua Eccellenza il barone Ricasoli di Lui Ministro per gli Affari Esteri mi ha rimesso la lettera d'introduzione presso la Vostra Altezza che ho l'onore di presentarLe ».

Mi lasciò appena il tempo di pronunziare l'ultima parola e mi rispose, con volto evidentemente animato dal piacere, presso a poco in questo tenore: « È per Noi una grande soddisfazione, un vero piacere il considerare la bontà colla quale

S. M. il Re d' Italia ha voluto onorarci innalzando questo suo Consolato a Consolato Generale. Con ciò S. M. ha dato maggior rialzo a questo piccolo Principato che nutre, come Noi, la più grande stima e profonda simpatia per l'Italia e l'Augusto Sovrano che seppe con tanto valore quanta sapienza costituirla. Sua Maestà in questa occasione ci ha data una bella prova della sua amicizia anche perchè scelse a suo Rappresentante una persona che in cosi breve tempo già seppe cattivarsi la Nostra stima e quella di tutt'i gli abitanti».

M'invitò poscia a sedere e mi parlò lungamente dell'interesse vivissimo che prendeva alle prospere sorti del nostro paese ed aggiunse: « Ciò è naturale in Noi che consideriamo l'Italia e la Serbia come due sorelle».

Mi disse altresì che il nostro paese «compirà sicuramente la sua brillante missione » perchè la nazione si è dimostrata savia e valorosa, ed il Sovrano e Suoi Ministri sono uomini che la Provvidenza crea per compiere cosi magnanime, cosi difficili imprese.

Quando mi accomiatai, il Ministro degli Esteri mi accompagnò dello stesso modo sino alla scala. Lunedì poi (ieri 29 corrente) il lodato Ministro è venuto in uniforme a recarmi la risposta del Principe Michele alla lettera di V. E. e, accagionando del ritardo l'indisposizione che lo tenne parecchi giorni a letto, mi disse che per meglio provar la simpatia del Governo Serbo verso l' Italia il Principe ordinò che tale risposta fosse tradotta nella sua Cancelleria in lingua italiana. Io ho l'onore di qui compiegato rassegnare a V. E. il piego suggellato colle armi del Principe (che sono quelle dello Stato), il quale contiene, da quanto il Ministro mi disse, l'originale risposta firmata dal Principe e la sua traduzione.

Trasmetto anche con quest'opportunità la fede di nascita del signor Svetislavo (Stanislao?) Cuniberti chiestami col dispaccio in data delli 4 andante al n. 4 affari in genere. Osservo che non occorre spesa di sorta.

Il giornale d'Augsburg Allgemeine Zeitung (6 ottobre p.p.) in una sua corrispondenza di Belgrado m' accusa di non voler pagare c'iò che compro, nè i lavoranti che impiego, e tali altre infamie. Io volevo dare una lezione alla persona che la voce pubblica dice il corrispondente cioè l'autore di quella corrispondenza onde non avesse mai più a calunniarmi; ma i miei Colleghi, il Ministro Cristhich ed altri mi consigliarono a sprezzare il calunniatore e la calunnia per essere

il primo uomo di onore perduto, senza principi, ed un avanzo delle carceri di

diversi paesi, prezzolato dal Consolato austriaco di Belgrado, e la calunnia perchè

ben diversa era la fama ch'io godeva in questa capitale. Accolsi dunque il

consigrio e non ne feci altra parola, ma ultimamente ho potuto sospettare che

questa calunnia sia stata rilevata in codesto Ministero e pertanto m'accinsi a

raccogliere le prove della mia innocenza, e fra qualche giorno avrò l'onore di

sottometterle al giudizio di V. E.

In questo Distretto Consolare, ch'io mi sappia, non esistono giovini italiani

soggetti alla leva testè ordinata nè altri RR. sudditi. (Dispaccio al n. 4 delli

4 corrente).

Compiego un atto giuridiziale che questo ministro degli affari esteri mi

prega di farne procurare l'intimazione al signor Aschilo Kazaricko fabbricante

di seterie in Como. Quest'atto fu emanato da questo Tribunale di Commercio.

Unisco pure la ricevuta che il signor Aschilo dovrà firmare e che prego l'E. V.

a volermi poscia respingere perchè deve essere rimessa al detto Tribunale.

Accompagno detti documenti della rispettiva loro traduzione.

442

IL MINISTRO AD ATENE, MAMIAMI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 30. Atene, 5 dicembre 1861. Il mio telegramma di ieri, 4 del corrente, informava V. E. della deliberazione presa da questo Governo di accreditare presso al Re Nostro in qualità d'Inviato straordinario e Ministro Plenipotenziario, il Generale Kalergi mantenendolo pure nella sua dignità presente d'Inviato Straordinario e Ministro Plenipotenziario in Francia presso la persona dell'Imperatore. Egli dovrà perciò risiedere alcun tempo a Torino e nella sua assenza venir supplito da un Segretario di Legazione a tal fine nominato. Il Re Ottone desidera, innanzi di spedire l'atto di nomina e che si conosca dal pubblico, essere accertato del gradimento di S. M. e del Suo Governo. Credo che l'aver incaricato il Generale Kalergi di tal doppia rappresentanza, proviene unicamente dalle strettezze del tesoro, e per questo medesimo il Regno Ellenico ha ristretto al possibile il numero delle sue Legazioni estere. Nella udienza concedutami ieri per la presentazione del conte Joannini, il Re mi accennò della nomina del Kalergi e mi disse sperare che S. M. sarebbe per accettarla con gradimento. Risposi, con riserbo, di non conoscere la mente di S. M. e del Suo Governo, ma le qualità del candidato essere tali da non potere io credere che non fosse gradito. Ad ogni modo, l'attenzione usata di darne avviso anticipato al nostro Ministero ed al nostro Principe sarebbe del sicuro tenuta cara. Così mi parve di bene interpretare l'abituale cortesia di V. E., della Corte

e del nostro paese, benchè è da notare che il Governo Ellenico adoperava con noi lo stesso riguardo che fu usato con esso lui.

Io non presumo d'istruire V. E. intorno al Generale Kalergi perchè in ogni

caso a Lei abbondano i mezzi d'esseme ragguagliato assai meglio che io non

potrei fare. Nulla meno, per non mancare al mio debito e per riferirle la opinione

che qui si ha di quel personaggio da uomini illuminati e prudenti sono in grado

di accertarla che il Generale Kalergi è un vecchio amico d'Italia e della nostra

rivoluzione. Autore del moto popolare del 1843 da onde si originava in Grecia

il reggimento Parlamentare, vede con pena che i principi e le pratiche di quella

forma di governo rimangono qui in perpetuo compromessi. Dotato di ingegno,

di attività e di energia non comune mal soffrirebbe di starsene in Grecia inerte

spettatore dei molti errori che vi si commettono, per ciò se ne vive assai volen

tieri in Francia e volentieri vivrà in Italia. Chi poi lo mantiene nell'alto grado

che occupa nonostante la poca simpatia che ispira ad altissimo personaggio si

è l'Imperatore Napoleone legato al Kalergi di antica amicizia. Nella vita privata

il Kalergi ha le sue taccherelle per vivezza di passioni e voglia non moderata di

spendere.

Ricevo il dispaccio di V. E., n. 11, sotto data delli 27 novembre.

443

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONSOLE A GINEVRA, CAPELLO

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 9 dicembre 1861. Recenti lettere pervenutemi dalle sponde del Danubio presentano la condizione di quei paesi come agitata da influenze diverse e contrarie, fra le quali primeggia quella dell'Austria che spiega in questi giorni una straordinaria attività onde attirare a sè i Serbi ed allontanarli cosi sempre più dagli Ungheresi e dagli altri popoli slavi. Un progetto di concessioni che l'Austria farebbe ai popoli serbi, è stato messo in giro a tal fine, e questo potrebbe forse ottenere alcun risultato qualora gli Ungheresi continuassero ad alienarsi l'animo dei Serbi colle loro idee di assoluta supremazia. Ad ovviare a ciò, da persona bene informata delle cose di quei paesi, mi viene suggerito di adoperarmi per indurre i Capi ungheresi a cercare di prevenire i disegni austriaci, facendo essi stessi ai Serbi ed agli altri popoli slavi ampie e sincere promesse riguardo alla rispettiva loro autonomia ed agli antichi loro privilegi. Queste concessioni offerte dall'Ungheria sarebbero da quei popoli accettate ben più volentieri che non offerte dall'Austria, della quale punto non fidano. Il Generale Klapka, che credo trovasi tuttora costì, è senza alcun dubbio il miglior giudice in tali questioni; prego perciò la S. V. Ill.ma di volere, ove ne abbia il destro, tenergli confidenzialmente parola di ciò, accennandogli la convenienza d'un positivo leale accordo onde riuscire a qualche cosa. Di tutto questo Ella parlerà al Generale Klapka come di un'idea Sua propria

statagli suggerita da corrispondenze Sue particolari da quei paesi, e senza compromettere assolutamente in nulla il Governo del Re.

444

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (Ed. in Ricasoli, VI, pp. 245-247)

R. CONFIDENZIALE S. n. Londra, 9 dicembre 1861.

Lord Russe! e Lord Palmerston, quando loro comunicai il contenuto della lettera di V. E., nella quale esprimevasi rincrescimento per la presenza francese a Roma, ambedue mostrarono le migliori intenzioni di far quanto dipendeva da loro, e Lord Russell promise scrivere un dispaccio a Parigi. Poi, sopravvenne questo cataclisma americano, e quando fui ieri a Pembroke Lodge, onde verificare quanto s'era fatto, dovette confermare essere rimasta la cosa nello stato di buone intenzioni. Spero ottenere che lo faccia in questo spazio di aspettazione, e mentre le relazioni con la Francia sembrano discretamente buone. Del resto poi, i Ministri qua La pregano ricordare che, anche non sollecitati, hanno fatto fare da Lord Cowley dei passi in proposito. Anzi, poco tempo fa, Le mandai un dispaccio inglese a Parigi su quest'argomento. Inoltre non possono a meno di farLe osservare che quell'insistenza che parrebbe a noi utile pei voti nostri, può invece danneggiarli pel motivo, che, appunto perchè geloso dell'influenza inglese in Italia, Thouvenel potrebbe per picca far l'opposto di quanto gli si domanda. Ma quello che so positivamente è che Odo Russell scrive che se realmente dal Generale francese a Roma si ricevessero istruzioni positive, la repressione del brigantaggio avrebbe luogo in 24 ore. Lord Russell mi disse ieri che, essendo stato supposto da qualcuno che personalmente il signor Benedetti avesse avuto sentimenti ostili per V. E., il conte Cowley ne fece qualche allusione parlando con Thouvenel. Il quale potè difendere da quest'accusa il suo Ministro, leggendo brani di lettere particolari, in cui invece esprime sensi di ammirazione e di amicizia per V. E. Sovente nelle mie conversazioni con Lord Palmerston, egli ripete le osservazioni che destarono in lui gli articoli da noi proposti alla Corte di Roma. E sempre mi dice che spera mai più saremo così generosi. In generale non Le nascondo esser questa opinione divisa dal maggior numero degli amici nostri italiani ed inglesi, i quali credono che il Papa, accettando, avrebbe avuto modo, disponendo di tanti satelliti ecclesiastici e di tante ricchezze, di metterei il diavolo in casa. Consiglierebbero invece di adottare la legislazione inglese. La Regina convoca bensì i Capitoli per l'elezione dei Vescovi; ma loro indica il candidato da preferirsi. Liberi restano di eleggerne un altro. Ma in quel caso la Regina si crede anche libera di non dargli i redditi ed i vantaggi temporali che spettano a quel Vescovado. Quanto ai benefizi, sono interamente nelle mani del Governo. E finchè non si fece così, s'ebbe sempre il diavolo in casa.

P. S. -I miei colleghi tedeschi paiono sbigottiti di questa vertenza angloamericana, sentendo essi che se l'Inghilterra ha le mani occupate in sì lontani paesi, la sua azione nel contrastare piani possibili della politica francese sarà d'assai diminuita. Lord Russell mi disse qualche parola, come se gli si scrivesse da Torino che il Comm. Rattazzi fosse stato mandato a Parigi in missione segreta.

445

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 12 dicembre 1861.

I Suoi dispacci politici del 16 e 23 ottobre scorso nn. 46 e 53 (l) mi han recato il testo del progetto di firmano della Sublime Porta intorno ai cambiamenti da introdursi durante la vita del Principe Couza nella Costituzione dei Principati uniti di Moldo-Valachia e copia della nota con cui il Principe di Servia giustifica le riforme deliberate dall'ultima Assemblea di quel paese e chiede l'allontanamento delle truppe turche dalle sue frontiere.

Riguardo alle mutazioni introdotte nei Principati Danubiani, essendovi per\'enuta notizia che il firmano relativo già ottenne la sanzione dei Plenipotenziarii delle Potenze garanti e venne uffizialmente emanato, non potrebbe più esservi luogo ad utili osservazioni.

Non tacerò tuttavia la soddisfaz~one provata dal Governo del Re nel vedere che 'il principio di un Senato o di un altro corpo politico, qual potere moderatore fra il Principe e l'Assemblea popolare, sia stato eventualmente ammesso e che siasi per tal modo spontaneamente aperta la via ad una istituzione che si è mostrata dovunque altamente benefica qual guarentigia di stabilità e di quiete negli ordini costituzionali.

Il bene dei Principati Danubiani ci fa sinceramente desiderare che non sia

lontano il momento in cui questa istituzione possa venir attuata.

La nota del Governo Serbo mette in campo gravi questioni e non sarebbe da meravigliare, secondocchè la S. V. Ill.ma rettamente osserva, che segnasse il principio di qualche nuova complicazione. Sebbene pertanto non si conosca ancora quali siano o potranno essere le decisioni e le risposte del Governo Ottomano, le tornerà forse utile il sapere, signor Commendatore, quale concetto ci formiamo dei vari punti che sono esposti in quel documento e degli interessi delle parti impegnate in fare vertenza.

Circa il progetto di firmano, trasmesso col dispaccio 16 novembre 1861 n. 53, è unito al carteggio un promemoria di mano del Generale Durando sui singoli punti del firmano stesso, con richiamo agli atteggiamenti da lui assunti durante la missione a Costantinopoli di fronte alle singole questioni. Con successivo rapporto del 27 novembre n. 55, Cerruti riferiva sulle trattative corse tra i Rappresentanti delle Potenze, nel corso delle quali -scriveva -• la Legazione di S. M. si è sempre inspirata ai voti espressi dai Divani ad hoc nel 18:57-58, e non ha dipeso da lei che non si ottenga di più •· Con dispaccio 4 dicembre 1861, n. 56, Cerruti trasmetteva il testo del firmano definitivo c modificato in base alle osservazioni state fatte da ognuno di noi • e faceva risaltare i vantaggi ottenuti, concludendo: c Nel suo insieme le condizioni offerte attualmente ai Principati-Uniti sono accettevoli, ed il Governo del Re potrà applaudirsi d'aver contribuito a renderle tali; ringrazio quindi l'E. V. d'avermi sostenuto con energiche e chiare istruzioni in momenti in cui avrei diffidato delle mie forze. Prima di terminare compio ad un dovere nel dirLe che il Sig. Lallemand Incaricato d'Affari di Francia è stato il miglior interprete delle disposizioni benevole del sig. di Tho)lvenel verso il nostro Governo, e che mi è stato sempre cortese di appoggio e di consigli. Io prego l'E. V. di fargligiungere per mezzo dei suoi superiori l'espressione della di Lei soddisfazione, se pure non

crede opportuno dimostrargliela in altro modo •.

In maniera generale noi crediamo di somma convenienza per la Porta che nelle provincie vassalle, specialmente nella parte più vulnerabile delle sue frontiere, cioè sul Danubio, si fondi un ordine di cose che, soddisfacendo ai desideri, alle aspirazioni nazionali ed ai bisogni di quei paesi, abbia la maggior stabilità possibile e rimova il pericolo di rivolgimenti che possono benissimo allucinarla con qualche speranza di acquistare maggiore autorità, ma che in realtà potrebbero mettere in compromesso la propria esistenza. D'altra parte riputiamo vitale int~resse della Serbia, come dei Principati Danubiani, di non esporre con esagerate pretese a precoci cimenti le vantaggiose condizioni già ottenute ed i miglioramenti che il tempo non potrà a meno di recarvi.

Quindi, consigliando alla Turchia la maggior larghezza possibile di concessioni, alla Serbia una prudente temperatura di condotta e di deliberazioni, noi siamo persuasi di giovare ai veri interessi dell'una e dell'altra.

Che l'ordinamento attuale della Serbia abbisogni di riforme, è cosa innegabile. Le Potenze e la Porta medesima ne hanno implicitamente riconosciuta la necessità nel Congresso di Parigi come ne fanno fede i protocolli e segnata:nente il protocollo n. 14. È vero che l'art~colo proposto per la Serbia in quel protocollo venne riveduto e nel trattato non fu più inserito l'alinea il quale diceva: «Sa Majesté le Sultan s'engage à rechercher, de concert avec les Hautes Puissances contractantes, les améliorations que comporte l'organisation actuelle de la Principauté :~>. Ma il congresso dichiarava col protocollo XVI che quella disposizione era mantenuta. Quindi l'intenzione delle Potenze e della Porta medesima era manifesta.

Comunque però, le riforme allo statu quo regolato dagli Hatti Scherif del 1830 e 1839, non sembrano essere di competenza della sola Serbia, che per mezzo del Principe e dell'Assemblea può certamente proporle, ma doversi fare coll'intervento delle Potenze garanti.

Venendo alla natura di queste riforme, è certo che il Senato quale lo avevano fatto gli ordinamenti del 1830 e 1839, era una vera oligarchia, d'impaccio al Principe, di niun ajuto agli interessi popolari. La parte da esso avuta nelle varie rivoluzioni del Principato lo dimostra piuttosto stromento d'influenze straniere e d'ambizioni personali che di politica nazionale.

Il riformarlo è dunque provvida risoluzione, ma questa come le altre riforme organiche non può compiersi senza il consentimento della Porta e delle Potenze garanti. I nostri consigli però, sia al Principe sia al Governo Ottomano, debbono tendere a fare sì che le istituzioni della Serbia e fra queste segnatamente il Senato si modellino secondo le migliori norme suggerite dai principii costituzionali e le vere condizioni del paese cui debbonsi applicare.

Quanto alle attribuzioni del Principe, ci sembra che stando alle disposizioni del Trattato di Parigi, la facoltà di fare trattati e convenzioni non gli appartenga e che tutto al più possano da lui prendersi intelligenze per quistioni ài dogana, di polizia e simili; nè pensiamo che la Porta o la maggioranza delle Potenze siano in questa materia così importante disposte a concedere al Principe oiù ampie prerogative.

Maggior larghezza a parer nostro, anzi intiera libertà vorrebbesi lasciare all'azione della Serbia nel regolare gli affari dell'intema sua amministrazione, e particolarmente le imposte, poichè, sebbene queste abbiano qualche relazione o con anteriori regolamenti emanati dalla Porta o col tributo che deve pagarle la Serbia, pure spettano all'essenza di quell'autonomia che dal Trattato di Parigi le fu guarentita. Lo stesso dicasi della parte giudiziaria, male ordinata sin'ora e b'isognevole per conseguenza di ragionate mutazioni.

Più delicata è la questione delle milizie. Il Trattato di Parigi non ne ha parlato. Giudicando da quanto si è statuito per i Principati Danubiani, scorgesi che l'intenzione delle Potenze nel guarentire l'autonomia e la semi-indipendenza di questi Stati vassalli fu di accordare loro i poteri necessari alla tutela dell'ordine pubblico.

Io reputo adunque che da noi si possa equamente appoggiare anche in questa parte il desiderio del Principe, ma in limiti ragionevoli e tali da non cagionare suscettività e timori alla Porta, opinando cioè perchè si riconosca alla Serbia il diritto di avere una forza nazionale in quelle proporzioni che

dalle Potenze si giudicheranno sufficienti al mantenimento della pubblica sicurezza ed alla difesa delle frontiere.

Altra questione importantissima è quella della successione ereditaria nella famiglia del Principe regnante. Se questa questione si potesse giudicare coi soli argomenti della giustizia, ci parrebbe quasi incontestabile, che nel 1839 il vecchio Principe Milosh, nella cui famiglia era stata dall'Ratti Scherif del 1330 riconosciuta senza veruna clausola o restrizione l'eredità al trono, non avendovi spontaneamente rinunciato ed avendo solo dovuto ritirarsi dal paese perchè sopraffatto dalla violenza, questo diritto rinacque in lui e nella famiglia sua quando esso venne richiamato dal paese medesimo. Ma è poco probabile che la Porta voglia consentire ad una concessione che le toglierebbe ogni speranza di riavere più diretto dominio sul Principato, e forse in queste sue viste la Turchia avrà consenzienti alcune delle Potenze garanti.

Tuttavia senza scostarci da una giusta riserva, io credo si possa da noi, quando sia pur tale la condotta della Francia, consigliare alla Porta di soddisfare ai voti del Principe e del paese, giacchè, siccome lo dissi cominciando, è nei veri interessi della Porta il fare che la Serbia come i Principati abbiano l'assetto il più fermo e più quieto che sia possibile.

Meno fondata in diritto ed in ragione ci sembra la domanda del Governo <;erbo che la Turchia allontani le truppe che tiene sulle frontiere del Principato. La Porta ha il diritto di tener guarnigione nelle fortezze della Serbia; se ha questo diritto eccezionale sarebbe assurdo il negarle la facoltà che spetta ad ogni Sovrano di tener truppe in un punto qualunque del proprio territorio, sia o non sia prossimo ai confini di altri Staffi..

D'altronde nello stato di agitazione che si manifesta fra le popolazioni soggette o vassalle della Porta dal Danubio all'Adriatico, è ovvio che la Turchia cerchi di tenersi pronta ad ogni evento ed il chiederle di fare altrimenti sareobe contrario a ragione.

Però appunto perchè nella Servia sono concitati gli animi, ci sembra converrebbe alla Porta evitare ogni pericolo di conflitto ritirando le sue truppe alquanto più discoste dal confine e collocandole in modo da allontanare il sospetto che da lui si aspetti occasione o pretesto ad armato intervento.

Insomma una politica di conciliazione ci sembra essere nelle condizioni presenti la più sana e la più utile per gli uni come per gli altri. Regolando secondo queste massime il Suo linguaggio e la Sua condotta la S. V. Ill.ma interpreterà rettamente le viste del Governo di S. M., eviterà, ne son persuaso, ogni divergenza sia colla Porta, sia con altre Potenze e conserverà nel tempo stesso all'Italia le simpatie delle popolazioni cristiane d'Oriente.

(l) Recte: 23 ottobre e 16 novembre. Col dispaccio 23 ottobre 1861, n. 46. Cerruti comunicava il testo di una nota 22 settembre, trasmessa dal Principe di Serbia per mezzo del suo Ministro degli Affari Esteri al suo Agente a Costantinopoli e comunicata alla Porta Ottomana e ai Ministri delle Potenze garanti. • La prima impressione -scriveva il Cerruti si è quella di una deliberata intenzione per parte del Governo Serbo di riserbarsi per un'epoca non lontana un pretesto di rottura col Governo Ottomano •. E dopo avere riassunto i puntipiù importanti della nota secondo l'ordine seguito nel dispaccio di risposta di Ricasoli, qui riprodotto, concludeva chiedendo istruzioni per un'eventuale azione combinata delle Potenze garanti circa • questa nuova complicazione aggiunta alle tante che già compromettono la tranquillità di questo Impero •.

446

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 15 dicembre 1861.

Il Console di S. M. a Malta, informando il Ministero delle mene reazionarie di cui quell'isola è fatta centro da una frazione del partito borbonico, soggiunge che i capi di questo partito si vantano pubblicamente di godere dell'amicizia e della protezione del Lord Alto Commissario. Questa asserzione non sarebbe, giusta l'avviso del Console, assolutamente priva di ogni fondamento. Essa sarebbe confermata dalla indifferenza con cui le autorità superiori dell'Isola vedrebbero gli intrighi del partito che avversa la causa italiana e tenta ogni via per i~pedire il ristabilimento della tranquillità nell'Italia meridionale.

Nel comunicare riservatamente alla S. V. queste informazioni, non è mio intendimento d'incaricarLa d'indirizzare su questo argomento alcun ufficio al Governo di S. M. Britannica. Bensì credo opportuno ch'Ella conosca l'opinione del R. Console a Malta, affinchè Ella possa giovarsene quando se ne presentasse l'opportunità.

447

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

L. CONFIDENZIALE 45. Parigi, 15 dicembre 1861.

Ho l'onore di mandare qui unita all'E. V. una corrispondenza di Pesth, la quale per le informazioni che contiene parmi tale da poter meritare la di Lei attenzione. La persona da cui emana appartiene al grande partito liberale e nazionale, che costituisce la maggioranza della popolazione ungherese.

ALLEGATO.

Pesth, 5 décembre 1861.

On se trompe si l'on pense que nous attendons de l'Etranger, qu'il fasse une guerre pour notre délivrance. Nous savons très bien que personne ne fera la guerre, pour nous etre agréable, et que la France aussi bien que l'Italie, ne se résoudront à cette extrémité, que lorsqu'elle sera commandée par leurs propres intérets. C'est parceque nous n'ignorons cela et parceque nous ne pouvons nous reposer sur l'incertain, qu' il est de notre devoir de ne pas prodiguer la force de la nation et de la réserver pour le moment, losqu'un effort supreme pourra servir siìrement notre patrie. Sans etre assurés, nous ne ferons pas de diversion pour le compte d'autres:

nous ne nous exposerons pas à etre abandonnés, et à retomber dans la prostration

pendant des années.

Notre tache en ce moment est de tenir la nation éveillée, de maintenir la tran

quillité et d'empecher le Gouvernement de Vienne dans la réalisation de ses plans,

sans nous compromettre nous-memes. Nous avons fait cela, nous le faisons encore

et nous avons atteint notre but. Pour qui connait la situation de notre pays sait que

le Gouvernement y est sans parti; que les soi-disants conservateurs, en se maintenant

sur le terrain du diplome du 20 Octobre, ont perdu toute influence et toute

adhésion, ici aussi bien qu'à Vienne; que parmi les instruments actuels du Gou

vernement, le nombre de ceux qui lui sont sincèrement dévoués, est minime. A

peine si on peut compter une cinquantaine d'hommes indépendants, qui se rallient

aux efforts du Cabinet de Vienne. Parmi les autres il y a de pauvres diables que la

misère pousse, en dépit de leurs sentiments, à accepter des emplois, mais la plus

part appartiennent à cette classe d'hommes tarés, qui se trouvent dans tous les pays.

Nous ne demandons qu'une chose, nous voulons que les Puissances sachent que

nous sommes une force digne de considération et que dans certains cas, dans l'intéret

de la liberté, on peut surement compter sur notre concours.

Nous affirmons, au nom de tous ceux qui exercent quelque influence, que nous

ne nous réconcilierons pas avec l'Autriche sur une autre base que celle de l'ensemble

des droits de 1848, et l'Autriche est d'un esprit beaucoup trop mesquin pour qu'elle

ose se piacer sur ce terrain. Sans la nécessité la plus absolue, sans des circonstances

les plus urgentes (ce ne sont pas les vexations du despotisme qui ~e menacent pas

notre existence, que nous entendons par là, et nous souffrirons tout du Cabinet de

Vienne plutòt que de sacrifier notre droit) nous ne renoncerons pas à la plus petite

des acquisitions de 1848.

Nous affirmons qu'au moment où l'Autriche sera enveloppée dans n'importe quelle guerre sérieuse, personne ne sera assez fort pour empecher un soulèvement général en Hongrie. Dans le cas d'une invasion, fut-ce meme celle des Baskirs, toute la nation se mettra de leur coté: telle est la haine qui nous anime contre l'Autriche. Nous n'avons pas l'habitude d'exagérer, mais l'on peut tenir pour certain que ceux qui arriveraient vers nous n'auraient jamais assez d'armes, pour tous ceux qui sont prets à marcher contre les Autrichiens. Mais il est tout nature! que nous ne veuillions pas risquer un soulèvement indépendent. Où est le voisin sur lequel nous puissions compter avec quelque certitude et de qui ou par l'entremise de qui nous pourrions obtenir des armes et de la poudre? Ensuite nous ne sommes pas dans la position de la France ou d'autres pays d'occident, où les armées se composent des enfants de la nation et où le peuple en se levant pour défendre son droit, peut compter au moins sur le concours de la moitié de ces armées. Parmi les 150.000 hommes de troupes, mis en état de guerre, qui se trouvent en Hongrie et dans les pays annexés, à peine si nous comptons une vingtaine de mille enfants de notre patrie et encore ne sont-ce que des Slaves et des Roumains. Nos fils sont en Italie, dans le Tyrol, dans l'Autriche supérieure, en Bohème etc. Nous ne pouvons non plus espérer qu'une diversion favorable se fasse en Autriche comme cela a eu lieu en 1848 si ce n'est de la part des Tchèques. Il faut dire cependant qu'on a essayé en vain d'exciter les Serbes contre nous et avec les Slovaques nous sommes également sur le meilleur pied.

Pour ce qui est des nationalités non magyares, on nous accuse injustement d'intentions oppressives. Que ceux qui nous accusent ainsi, lisent avec attention la décision respective de la Diète et qu'on nous cite un seul pays, où les différentes nationalités, n'appartenant pas à la race la plus nombreuse, aient tant de droits que ceux que nous sommes prets à leur accorder et que nous leur avons en partie accordés déjà. Chaque commune et chaque département décide à la majorité des voix dans quelle langue ils doivent se gouverner eux-memes, les individus appartenant aux classes les plus infimes, comme aux classes les plus élevées, peuvent se servir pour les affaires politiques et judiciaires de leur langue maternelle et c'est dans cette langue que les Autorités politiques et les tribunaux doivent rédiger leurs réponses et leurs arrets. Chacun peut, par voie d'association, faire ce que l'amour de sa langue lui inspire, en faveur du développement de sa nationalité. Nous ne nous opposons pas non plus à ce que les députés des différentes races se servent de leur langue

dans la Diète mème. Pouvons-nous faire davantage? Ou voudra-t-on voir notre pays

démembré? Eh bien, nous n'y consentirons jamais et si un pareil démembre

ment se faisait, nous rétablirions l'intégrité de notre territoire et dussions-nous gémir

pendant dix ans encore sous le joug de l'absolutisme. Qu'on ne croie pas du reste que

nous soyons aussi mal avec les nationalités comme on voudrait bien le dire. Les

démonstrations dont se prévaut le Cabinet Autrichien sont toutes artificielles. Il ne

faudrait pas oublier que nous et nos amis nous sommes forcés de nous taire, tandis

que toute liberté d'action est donnée à nos adversaires.

Nous avons déjà dit que nous sommes surs et des Slovaques et des Serbes, et il

n'y a que les Roumains, dont le tiers environ s'agite contre nous.

En Croatie, les idéologues et les employés du Gouvernement se sont d'abord prononcés contre nous, dans la Diète (les inspirations du Consul français à Trieste n'ont pas été étrangères à cette attitude), mais la ville de Fiume, le Juropolya et la bourgeoisie des villes, ainsi que les masses populaires désirent le maintien de l'Union avec la Hongrie. On n'a dissout la Diète Croate que parce qu'à Vienne on était st1r qu'elle aurait élevée la parole maintenant contre l'Autriche et en faveur de la Hongrie. En Transylvanie les trois quarts des Roumains (le Consul Français de Jassy est pour quelque chose dans cette hostilité) la moitié des Saxons nous sont contraires. Mais si nous autres Hongrois sommes réellement aussi égoYstes, qu'on nous dise à la fin en quoi nous avons failli, qu'on s'explique nettement et non par des généralités. Quel est le droit que nous avons acquis pour nous, et dont nous avons privé les autres nationalités? Que ceux qui nous blament disent de quelle façon ils voudraient voir résolue cette question dans l'intéret commun et dans l'intéret de la liberté? Que l'on convoque au dehors une commission composée de toutes les nationalités non magyares, sans oublier aucune, qu'elle élabore un pian dont la réalisation ne compromettrait pas l'existence du pays. Nous y consentons d'avance, mais, nous le répétons, nous ne donnerons jamais la main à un démembrement de notre pays. Il est de notre devoir de maintenir les frontières, dix fois séculaires, de cette patrie parceque cette dislocation détruirait un bastion éprouvé de la liberté.

448

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO (Ed. in Ricasoli, VI, pp. 247-252)

L. P. INTIMISSIMA 16. Torino, 16 dicembre 1861.

La discussione su Roma e Napoli ha posto in chiaro che la grande maggioranza in Italia ha una coscienza netta di ciò che vuole. Vuole la libertà ordinata al di dentro, mercè buone istituzioni e buona amministrazione, sia nel civile e nell'economico, come nel militare. Vuole che si proceda mercè una politica dignitosa, ferma e perseverante, verso il compimento della Nazione, ed in special modo verso la soluzione romana. Questo è il significato del voto dell'll dicembre, e questa politica e questi intenti il Ministero da me presieduto, si farà cura indefessa di conseguire, mercè un Governo saggio e vigoroso.

Ora il Ministero si completerà. L'attitudine tenuta dal Rattazzi a Parigi, l'abuso che si è fatto di lui dalla stampa francese, e l'abuso che se ne fa tuttora, ha reso impossibile il suo ingresso nel Ministero presente. La dignità sua e la mia non lo permettono; dirò pure, la dignità stessa della Nazione non lo consentirebbe. I Ministeri del Regno d'Italia non si devono fare nè a Parigi né a Londra.

Tuttavia siccome l'intrigo qui, in questa città, dove pur resta tanto gesuitismo, era molto, io andai dal Re e gli dissi che era mia intenzione di ritirarml; io, null'altro essendo, e volendo mantenermi un volontario, non ero disposto a respirare ulteriormente un'aria che non è confacente al mio spirito; che questi intrighi di Corte e di piazza mi avevano stufato; che la mia politica era chiara e precisa, come chiaro e preciso è il mio carattere; che conveniva scegliere

o me o Rattazzi; e ciò fatto, stare tranquilli e coerenti.

Il Re non consenti nel mio ritiro; e accettò il mio disegno. Vedremo! Ora penserò a completare il Ministero. Mi occorre un buon amministratore, e uomo capace nella polizia. Credo che sarà il San Martino se vuole accettare (1).

*È una gran miseria in un paese costituzionale quando il Monarca con i suoi cortigiani vuoi fare della politica, mentre non vi può essere che quella del Governo e della Nazione legale! A queste miserie deve essersi trovata esposta anco l'Inghilterra; vorre'i sapere come vi ha rimediato e se vi sono delle leggi in proposito voglia mandarmene il testo. Questa politica di Corte di cui parlo è la piaga di questo paese, e lo è tanto più che è fatta da gente senza decoro e senza moralità, e la quale, per essere senza credito, aliena ogni stima della persona del Re. Questi sebbene lo riconosce, non ha la saggezza e la forza dal deSistere. Per la qual cosa io non ho intenzione di star qui lungamente: vorrei perciò che qualcuna delle difficoltà italiane venisse a soluzione, onde potermi ritirare con più tranquillità d'animo.*

Le cose all'interno voltano in meglio. L'abolizione dei Governi eccezionali ha indirizzato gli affari per una via regolare e di già se ne risentono i buoni effetti. Gli ordini si vanno m~n mano perfezionando e tutto procede verso il consolidamento del nuovo Regno; e se avessimo Roma, saressimo nel perfetto assetto politico, perchè per ora siamo nel provvisorio.

Queste considerazioni mi portano a rammaricare che l'Inghilterra sia sul procinto di assorbirsi in una guerra. Il campo adunque d'influenza resta per intero alla Francia, in ciò che concerne l'Italia. Vorrei che l'Inghilterra avvertisse a ciò, e tra le cose ch'Ella dovrebbe tentare di accelerare, sarebbe quella almeno di tentare che la Russia e la Prussia non tardassero ulteriormente a riconoscere Il nuovo Regno d'Italia. È ammirabile la grettezza per non dire stupidità della politica prussiana. La Germania diffida di Napoleone, e teme delle sue mire sul Reno; perchè non disinteressare tosto l'Italia, riconoscendola? E quindi perchè non intromettersi per la cessione della Venezia, e persuadere all'Austria e alla Germania della utilità loro in un buon accordo con l'Italia? Non sarebbero cosi attraversati radicalmente i disegni dell'Imperatore? E come radicalmente~ Non sarebbe così anco assicurata per sempre la pace d'Europa, tolta l'Italia a ogni influenza, e posta invece in grado di essere peso moderatore ad ogni influenza francese? E se questo accordo di Russia e Prussia nel riconoscere l'Italia, e riconciliarla con l'Austria fosse immediato, che i Francesi si trovassero ancora a Roma, non ne verrebbe la conseguenza necessaria della loro immediata partenza? La loro presenza a Roma non avrebbe più motivo, e sarebbe una violazione flagrante di ogni diritto internazionale e del non intervento. Io non so

n. -58, che segna a questo punto una lacuna. Il passo tra asterischi è tratto dall'originale esistente in A. S. T. Carte E. d'Azeglio.

34 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. I

capire come l'Inghilterra non alzi la sua mente ad una politica alta e feconda, e non miri ad un effetto così radicale, e il quale, d'un colpo, varrebbe a sciogliere le più ardue questioni politiche, che ora agitano e agiteranno ancora con sommi pericoli l'Europa. Ora che l'Inghilterra s'impegna in questa guerra, dee con ogni mezzo procurare la piena 'indipendenza e il compimento dell'Italia per la via che ho or ora enunciata. L'Italia ricominciò la sua rigenerazione con l'aiuto di Francia; la compirebbe con la cooperazione delle potenze del Nord, mediatrice l'Inghilterra; lo che porterebbe la pacificaz'ione dell'Europa mercè l'Italia!

P. S. L'occasione del duca D'Argyll mi porge modo d'aggiungere ancom due parole in continuazione di questa mia lettera.

Nel meditare sulle conseguenze probabili che si vanno maturando in un

prossimo avvenire, ed in ispecie nei rispetti d'Italia, impegnata l'Inghilterra

in una seria attenzione fuori d'Europa, io di bel nuovo mi sento forzato a

rientrare sull'argomento qui discorso. Niuna Potenza trovasi al caso come l'In

ghilterra, di parlare con efficace saggezza alla Prussia e alla Russia, e indurre

queste Potenze ad associarsi a lei, onde condurre prontamente l'Italia a quello

stato di riposo così necessario all'Europa, e prevenire che essa sia forzata a

gettarsi nelle braccia della Francia. L'Inghilterra una volta che sia impegnata

nella guerra americana, non può più fare argine all'influenza francese in Italia.

Io stesso ne potrò essere soverchiato. L'occupazione francese a Roma tuttora

pers'istente ci crea tali imbarazzi all'interno, che ci pone, in balìa della Francia.

Il giorno che la Francia ci dicesse: «Vi do Roma, vi assisto per la Venezia... »,

noi italiani accettiamo ogni condizione! Conviene far bene sentire a Lord Pal

merston il vero nostro stato. Eccolo! Non vi è esa~erazione.

Fin qui io non mi sono voluto riunire in un Gabinetto composto di elementi di coalizione. Io non sono tagliato a queste associazioni di vanità e d'interessi personali. Ma per quanto potrò io durare così? Io escirò, e dopo me succederà un Ministero ligio alla Francia. Questo passaggio è inevitabile il giorno della mia escita dal Ministero. Io stesso, col mio carattere, incapace di transigere colla mia coscienza, inclinato a sprezzare il potere piuttosto che a desiderarlo, e soprattutto incapace di transazione con i principj per conservare questo potere, io stesso, ripeto, aprirò la via a questi fatti. Aggiungo ancora quello che ho già detto che presso la nostra (l) * Corte si fanno molti raggiri, molti intrighi politici, che io disprezzo profondamente, ma che possono un tal giorno ridurmi a rigettare da me un portafoglio, che io non veggo, come si deve, onorato dalla Corona. Tutto questo io scrivo con grande serenità, ma con molta e bene studiata previdenza. *

Eccomi alle conseguenze.

Io ritengo che nella prossima primavera si preparano dei fatti. Le condizioni in alcune parti d'Europa sono ardenti. Io faccio alcune supposizioni: 1o Io sono al Ministero. Su due punti io non cederò mai alla Francia. Se

ella ci domandasse di concentrare i pieni poteri nel Re; se ella ci chiedesse la cessione di alcuna parte del territorio italiano, per frutto di Roma e Venezia, io non cederei mai e negherei reciso. Ma se dicesse: « Vi do Roma, vi aiuto

per Venezia; gettiamo insieme lo scompiglio in Polonia, aiutiamo insieme l'Un· gheria a insorgere, e aiutate me per pigliare le provincie Renane », io accetto e mi stringo colla Francia. Il Re monterà a cavallo, e farà appello alla Nazione in massa! Sarà quello che sarà.

2° Io esco dal Ministero. Sono certo che chi mi surrogherà, sarà sì ligio della Francia, conterà totalmente sulla sua protezione, che non vi sarà cosa che non conceda alla Francia. Questa sarà la moderatrice dei nostri destini, e l'Italia è fatta francese per chi sa quanto!

Queste due ipotesi potranno verificarsi alla prossima primavera. Non possono essere sventate che colla proposta ch'io faccio in questa lettera. La Prussia, la Russia con l'Inghilterra fa d'uopo che operino onde l'Italia possa prestamente compire sè medesima, e togliersi da ogni influenza straniera, diventare pienamente libera e indipendente, a garanzia di pace quasi eterna a tutta Europa.

Ella faccia di questa lettera l'uso prudente ed efficace che crederà. Quello che scrivo è frutto di perfetta cognizione di cose e di persone.

(l) -L'edizione del Gotti e Tabarrini è ricavata da una copia esistente in A R B, cass. 53,

(l) Altra lacuna dell'edizione del Gotti e Tabarrini colmata sull'originale in A. S. T. Carte E. d'Azeglio.

449

IL CONSOLE A BELGRADO, SCOVASSO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE 2. Belgrado, 14-16 dicembre 1861. Di giorno in giorno imparo a conoscere meglio il Principe, i suoi Ministri ed il paese. Il Principe non è un genio, ma possiede delle buone qualità fra le quali la onestà, il disinteressamento. Qualità che mancavano ai suoi predecessori. Il suo padre Milosh, quando giunse al potere non aveva un obolo, e lasciò morendo al figlio una rendita di 40/m ducati, o zecchini (480/m fr.). Il Principe Alessan<.lro Karageorgievich, allorchè venne chiamato al Principato, era anche esso povero, e scese, dopo 16 anni circa, dal potere con un reddito di 20/m ducati ossiano 240/m franchi, non avendo d'appannaggio che 40/m zecchini. È perchè questi si occupava piuttosto di ammassar tesori che del Principato. L'altro almeno adempiva al dovere di Principe nel tempo stesso che accumulava il lauto patrimonio. Il Principe Michele desidera il benessere dei suoi sudditi, e se ne occupa. È dotato d'ottimo cuore, gentile, dolce, istruito, ma, argomentando da alcuni fatti, non mi pare inaccessibile all'influenza specialmente di chi conosce il debole del suo carattere. Egli è gelosissimo, ed è naturale, della propria autorità, e vedrebbe assai male che un Rappresentante straniero s'immischiasse nel suo Governo. I Ministri lo sanno e quando si vedono minacciati nei loro portafogli ai quali hanno, in ispecie gli attuali, un singolare attaccamento, insinuano al Principe che il tal Console intriga per far cadere il Ministero e per sostituirlo con altro più favorevole alla politica del Governo che rappresenta. Il Principe se ne adonta e da questo momento, avesse anche risoluto di cambiarlo, lo mantiene e chiude l'orecchio ad ogni rimostranza e resiste ad ogni opposizione, senza curarsi di verificare se la cosa è vera o falsa. Questo stratagemma riusci

ammirabilmente qualche tempo fa al presente Ministero, del quale il Principe non è molto edificato, causa il Console di Russia, e questi essendosene avveduto

quando ritornò da Vienna, dovette persuadere il Principe che egli non aveva sognato mai d'immischiarsi in simili cose. Ma sempre resta nell'animo del Principe un po' di ruggine o dubbio.

I Ministri, l'E. V. li conosce, sono onesti ma d'un'evidente incapacità, massime in questi momenti in cui la Serbia avrebbe bisogno d'uomini all'altezza delle circostanze per profittarne a suo tempo. Il Principe poi, come ebbi già l'onore d'indicare a V. E., è molto ambizioso, ma non mi pare dotato dell'alto intelletto, della energia e della costanza necessari per aprirsi la via ed all'uopo per creare quanto sarebbe necessario a raggiungere la mèta delle sue aspirazioni; mi sembra invece alquanto indolente. Del resto, questo mi pare un vizio proprio della gente del paese.

In un caso di bisogno il più grande servigio che ci potrebbe prestare la Serbia, camminando le cose come camminano, sarebbe quello di permetterei un deposito d'armi, ed altre tali facilitazioni, e se mi è lecito d'argomentare da quanto ho attualmente osservato e studiato, non ci sarà difficile di ciò ottenere, sempre che l'E. V. lo desideri. Il Principe ci è favorevole, e la sua politica d'altronde glielo impone: i Ministri lo sono tutti, e a giudicare dalla popolazione di Belgrado, i Serviani amano molto la nostra nazione. Non nasconderò a V. E. che questa viva simpatia è interessata. Essi sperano molto dall'Italia, e specialmente da una guerra fra Italia ed Austria che fin'isse colla rovina di questa.

Essendoci i Serbi favorevoli e rimanendo neutrali nella possibile rivolta della Croazia, della Voivodina, dell'Ungheria etc. contro l'Austria, si eviterebbe il rinnovamento dei deplorabili errori commessi dalla Serbia nel 1848 che furono funesti all'Ungheria. E poi, o non li conosco ancor bene o i Serbi attuali non rassomigliano punto agli antichi. Essi non hanno più l'indomabile coraggio, l'attività, la risoluzione, l'indole guerriera e la costanza nei forti propositi dei loro padri, i soldati di Karageorgievich e di Milosh per poter sperare da loro un'azione veramente vigorosa e decisiva in favore della rivoluzione ungherese. Si direbbe che 45 anni di pace han mutato l'indole di questa popolazione. I tempi che corrono, non sono favorevoli agli indolent'i nè alla gente pacifica ed irresoluta.

A proposito d'un deposito d'armi devo informare l'E. V. che il Governo Serbo ha finalmente aderito a conchiudere un contratto col fabbricante d'armi di Sassonia che gli aveva offerto, come ebbi l'onore di riferire a suo tempo a V. E., di vendergli 40/m fucili resi in Belgrado, e che d'allora in poi non cessava per mezzo di un suo incaricato di stimolarlo a questo contratto. Esso fu stipulato per soli venti mila fucili rigati, eguali al campione inviato, che fu dal Governo Serbo riconosciuto assai buono, al prezzo di fr. 48 caduno p'iù, credo, il 5 % di commissione, pagabili allorchè saranno tutti consegnati in Belgrado.

Di questo modo il Governo si è guarentito da ogni soperchieria od altro, e

riconoscerà se l'incredibile ingenuità dell'Austria nel permettere l'esportazione

a traverso dei suoi Stati, è una chimera, un'astuzia, od una verità.

Il venditore, da quanto ho inteso, offre di fornirne anche 80 mila e più

in breve tempo allo stesso prezzo ed alle stesse condizioni. Io seguo attentamente

questo affare, e se il risultato sarà, contro ogni mia aspettativa, favorevole,

ne informerò tosto l'E. V. ed allora Ella potrà, ravvisandolo conveniente, avere,

abbassandomi un cenno, un deposito di 60 mila, o più o meno, fucili in

qualunque punto della Serbia, senza che traspiri al pubblico, perchè una sola

persona sarà impiegata nel negozio, e sull'onestà e discrezione di questa persona io dovrò rispondere col mio capo.

Dubito, lo ripeto, che il contratto suddetto venga eseguito da parte del fabbricante o venditore, perchè non posso persuadermi che l'Austria sia diventata ad un tratto così impolitica, così obliosa dei suoi interessi da permettere

o facilitare un tale armamento alla Serbia in queste circostanze, sapendo che nè il paese, nè il Governo gli sono favorevoli, e persisto a crederla una mistificazione, e peggio. Ma se questo miracolo succedesse e che le armi venissero davvero rimesse in Belgrado, e si obbligasse il venditore a provvederne maggior quantità, l'E. V. potrebbe con fiducia sulla mia circospezione, prudenza e conoscimento delle cose e delle persone riposare.

Nel precedente mio rapporto al n. 9 Affari in genere ebbi l'onore di partecipare a V. E. che si trovavano in questa città il Padre e la Madre della Principessa Giulia (moglie del Principe Michele) ed il loro primogenito Conte Ladislao Unyady. Dissi anche che non conoscevo il padre, ma che la madre era un'appassionata austriaca. Il padre è partito da qualche giorno senza che io l'abbia conosciuto, ed il figlio è partito oggi, chiamato in Austria da una disgrazia lii famiglia (si è suicidato suo cugino) ed ha lasciato nell'animo mio una favorevolissima impressione di sè. È un giovane di circa 30 o 32 anni molto instruito. accorto, prudente e se non è un sincero patriota (ungherese), non so conoscer più gli uomini. Ciò premesso ecco quel che succede.

Il Conte Ladislao venne parecchie volte a vedermi e non fu che alla terza visita che cominciò con molta circospezione a parlarmi delle cose d'Ungheria. Però scorgendo che io prendevo solo un mediocre interesse alla sua conversazione, e che rispondevo con monosillabi alle sue interrogazioni mi disse s'io conoscevo tre B. e cominciò a pronunziare la prima parola dell'antico mot d'ordre, io pronunziai la seconda ma con esitanza tale che lui finì la parola, e pronunziò la terza. Allora poi mi espose schiettamente quanto segue (lJ;

«Noi Ungheresi abbiamo bisogno di guadagnar tempo perchè non ancor preparati.

«Non abbiamo armi, non denaro, eppure vogliamo fare una rivoluzion~ tale che l'Europa resterà attonita: 10 o 12 milioni si solleveranno come un sol uomo: le porte di. Vienna ci saranno schiuse, e vi saremo ricevuti a braccia aperte. Ma per ciò fare bisogna aver con noi i Croati, i Serbi austriaci, i Boemi, i Transilvani, i Dalmati, i Viennesi liberali, e li avremo.

« Sono necessari due programmi, uno politico e l'altro militare. Il programma politico dovrà esplicitamente dichiarare cosa si vuol fare, e, fra le altre cose, che si rispetterà l'autonomia di tutti, che si formerà una forte confederazione, che si eleggerà un Re che avrà il titolo di Re d'Ungheria, che sarà il Capo della Confederazione (mi parve di capire che Vi-enna sarà la capitale). Quando la Rivoluzione sarà trionfante, il Re eletto o designato (non ho capito bene), si metterà alla testa del movimento.

«Vi sono quattro candidati possibili: il Principe Napoleone, il Principe Murat, il Duca di Brabante, 'il Duca di Leuchtenberg. Mi parve, ma non oserei assicurarlo, che quest'ultimo avrebbe forse la maggioranza presso i magiari.

«Nel programma militare entrerebbe: essere appoggiati da una grande Potenza, come la Francia, l'Italia etc.; un'insurrezione generale da Vienna all'Adriatico, dalle Bocche di Cattaro alla Transilvania, all'Ungheria, etc.; uno sbarco nelle coste della Dalmazia di 10 o 15 mila uomini comandati da Garibaldi o da altro generale, ma sotto la bandiera d'una Potenza. Però non essere possibile questo sbarco senza l'aiuto di tutta la rivoluzione perchè 15 mila uomini non potrebbero avanzare nell'interno del paese più di 30 circa miglia senza essere schiacciati stante le difficilissime gole, e le disagiose strade che si trovano nei monti per dove dovrebbero passare; gettare delle armi in Ungheria; avere il Principe Couza ed il Principe Michele favorevoli non perchè entrino attivamente nel movimento, ma solo lo secondino permettendo depositi d'armi e di ogni altra cosa necessaria nei loro Principati».

Questo è quanto ho potuto in complesso raccogliere dal suo discorso: Io non apersi bocca.

Mi disse inoltre che il Principe, suo cognato, aveva molta simpatia per l'Italia, che io gli ispiravo fiducia (forse perchè non gli parlo mai di politica?) e che potevo da lui ottenere quanto gli domandassi a condizione però che fossero cose da potersi coprire da impenetrabile secreto. Mi fece capire che il Principe quando giungesse il momento, non sarebbe alieno dal secondare il movimento in modo però da poter sempre conservare una neutralità, non fosse che apparente.

In ultimo mi raccomandò di informare il R. Governo che, quando si tenterà di eseguire con la forza la leva ultimamente decretata in Ungheria ed in Croazia, emigreranno molti giovini per sottrarsi alla medesima, e chiederli se stimerebbe conveniente di autorizzarmi a dirigerli in Italia, munendoli in modo occulto di passaporti, e di mezzi pecuniari per il viaggio, oppure di questi soltanto sino a Costantinopoli, perchè essi sarebbero altrettanti buoni soldati contro l'Austria. Su questo argomento gli ho già risposto che il Governo mi aveva proibito di munire chicchessia di passaporti italiani od altre carte consolari, e di accordar sussidi sotto verun titolo, anzi io lo interessai a sconsigliare, se gli era possibile, una tale, o qualunque altra emigrazione d'ungheresi, croati etc. ch'egli credesse probabile. (Ho ricevuto queste istruzioni dal R. Ministro a Costantinopoli in risposta all'interpellanza che ebbi l'onore di fargli su questo riguardo).

Mi parlò anche di Kossuth e di Klapka, crede Kossuth alquanto democratico, essere molto influente presso il popolo, non tanto co' Magiari, era piuttosto avventato, pensa però che si sarà corretto. Del resto è leale e devoto alla sua patria.

Klapka godere invece maggior considerazione ed influenza presso i Magiari, reputato capitano abile e valoroso, politico sensato, cittadino leale e devoto quanto altri possa esserlo.

È convinzione intima del conte Ladislao che un accordo fra l'Ungheria e l'Austria non è facile, in ogni caso non sarebbe sincero, epperciò non durevole. Una conciliazione coll'Austria non andrebbe a sangue che ad una piccola frazione del partito magiaro che ha radici nella Corte imperiale. Mi pare d'aver

capito che se Deak accettasse una transazione, vi sarebbe forse fedele, ma la maggioranza della Nazione no certo.

Mi prevenne che la di lui madre e due dei suoi fratelli ufficiali al servizio austriaco nutrono opinioni politiche contrarie affatto alle sue (quanto alla madre me n'ero convinto sino dalla prima volta che ho seco lei conversato, i due fratelli non li conosco). Mi parlò di un terzo fratello che vive indipendente come lui (il conte Ladislao), il quale ha gli stessi suoi principii politici e lo dice leale ungherese devoto alla causa della sua Patria. Spera che questo suo fratello verrà fra non molto tempo a Belgrado, e lui, 'il Conte, calcola di poter ritornarvi fra 45 giorni o due mesi. Intanto rimetterà una lettera per me al fratello.

Se il Conte Ladislao Hunyady avesse saputo profferire anche il nuovo mot d'ordre che mi hanno dato i signori Klapka e Kossuth pochi giorni prima della mia partenza da Torino per Belgrado, mi esimerei dal chiedere informazioni sul medesimo, ma egli lo ignorava, e pertanto, non perché io dubiti della lealtà del signor Conte, ma per ubbidire alla più rigida prudenza, dalla quale mi proposi di non discostarmi mai, mi piglio la libertà di pregare l'E. V. a volere far assumere dai signori Kossuth e Klapka esatte informazioni sul lodato signor Conte Ladislao, nel modo il più secreto, ed a volermele far comunicare.

P. S. 16 dicembre. Avant'ieri sera giunse in questa città la notizia della morte del vecchio Patriarca di Carlovitz Giuseppe Rajacich seguita la notte del 13 corrente. Questo Patriarca aveva tanta influenza sui serbi austriaci che si poteva anche considerare come il loro capo-politico. Non era amico degli ungheresi, ma neppur era favorevole all'Austria, e se ho da credere quel che ne dicono persone bene informate, Egli avrebbe preferito vedere li Serbi uniti agli ungheresi mediante il riconoscimento per parte di questi dei loro antichi privilegi, anzichè disuniti e dovere all'Austria una tale ricognizione. Una deputazione composta del Ministro dell'istruzione pubbl'ica, del segretario privato del Principe, del Vice Presidente del Senato, del Ajutante del Principe questi quattro per parte del Principe Michele. Di altri quattro cioè: due negozianti de' più ricchi -un farmacista ed un sarto -per parte di questa municipalità, e due preti per parte del Clero. In tutto dieci individui, partirà il 20 andante per assistere al funerale del Patriarca, e sarà accompagnata da molti altri cittadini. Si dubita che il Governo austriaco permetta ai serbi di eleggere un altro Patriarca; si crede che sarà eletto semplicemente un Vescovo, invece d'un Patriarca, a Carlovitz, però queste non sono che conghietture ma se veramente venisse eletto un patriarca chiunque egli fosse avrebbe pur sempre una grande influenza politica sui serbi della Voivodina. Deve dunque importare al Governo dell'Imperatore che venga eletto a questa dignità unà persona che gli sia ligia. Questa la troverebbe fra gli attuali vescovi di rito ortodosso di Carlstadt, Neusatz, Temesvar, e credo anche di Weisskirchen.

Per contro deve premere al partito serbo che desidera l'unione cogli ungheresi che l'eletto, sia Patriarca o Vescovo, appartenga al partito liberale, infenso

all'Austria, come si pretende lo sia il Vescovo onorario Gruich Vicario del defunto patriarca.

Fra i privilegi che i Re d'Ungheria accordano ai serbi (austriaci) VI e quello di eleggere il proprio Patriarca, ed i loro Vescovi. Il Re si è riservato soltanto il diritto di sanzione.

L'Austria ha promesso ai Serbi di riconoscere i loro antichi privilegi che l'Ungheria non volle riconoscere. Non pare adunque probabile ch'essa voglia così subito togliergli questa lusinga imponendo loro un Patriarca, che presumibilmente non accetterebbero, o rifiutandoglielo definitivamente mentre se ne permettesse l'elezione potrebbe facilmente conseguire il suo scopo quello cioè di farne eleggere uno ad essa devoto senza troppo scostarsi dalla legalità. Infatti l'Assemblea che deve eleggere il Patriarca che si compone di 75 elettori cioè di 25 ecclesiastici rappresentanti il Clero, di 25 borghesi rappresentanti le diverse municipalità, di 25 militari rappresentanti i Reggimenti di frontiera o i Grenze, elegge a maggioranza di voti tre candidati, e fra questi quegli che ottiene l'unanimità di voti è proclamato Patriarca. Se nessuno dei tre ha ottenuto l'unanimità allora l'Imperatore sceglie fra essi quello che più gli piace alla detta dignità.

Converrebbe dunque, perchè il Governo austriaco non riuscisse a conseguire che il Patriarca sia una sua creatura, che i candidati fossero tutti e tre liberali e antiaustriaci, ma disgraziatamente succede del clero ortodosso come del clero cattolico che scarseggiano di liberali, segnatamente, poi nel clero austriaco.

Dal complesso dai rapporti ch'ebbi sin qui l'onore di rassegnare a V. E Ella ha già potuto farsi un'idea della politica, del Governo, degli uom'ini, delle rissorse e della situazione di questo paese, e pertanto mi lusingo che l'E. V. gradirà se mi l'imiterò d'or innanzi a riferirle solo quanto può essenzialmente interessare la nostra politica, riservandomi però di completare le notizie su questo principato nel rapporto chiestomi dalla circolare in data delli 16 settembre p.p.

(I. serie) che mi accingo a comp'ilare.

(l) Un sunto del colloquio col Conte Hunyadi, lo Scovasso aveva trasmesso in data 22 novembre al Cerruti (Costantinopoli), il quale, nel darne, con dispaccio del 4 dicembre, notizia al Ministero, assicurava d'aver raccomandato al R. Console Generale a Belgrado c la massima prudenza nei suoi discorsi anche con persone che sono o che ei crede siano nostre amiche • e di avergli telegrafato, in quanto agli emigrati, di c dissuadere, per quanto possibile,la gioventù ungherese da misure intempestive che, senza arrecar vantaggi al loro paese, possono mettere il R. Governo in seri imbarazzi •.

450

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL CONSOLE A BUCAREST, STRAMBIO, AL CONSOLE A BELGRADO, SCOVASSO, AL CONSOLE A SCUTARI, DURIO.

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 18 dicembre 1861. Nell'intento di rendere alla S. V. Ill.ma pm agevole l'incarico commessole di ragguagliare il Governo del Re sulle condizioni politiche del paese in cui Ella risiede, non che su quelle delle vicine contrade, mi parve utile di formolare alcuni quesiti, che io Le verrò più sotto accennando. In tal modo essendo meno generiche le domande, saranno più determinate le risposte: e queste potranno fornire al Governo un criterio pratico per le sue determinazioni ulteriori. Ciò mi parve tanto più necessario in quanto che le nozioni statistiche contenute nelle più recenti pubblicazioni mancano quasi sempre di esattezza,

e non bastano a dare un concetto preciso di quel complesso di rapporti etnografici religiosi e politici che lega fra loro le popolazioni del sud-est dell'Europa.

Ecco pertanto i quesiti. Non è d'uopo ch'io aggiunga che nel rispondere a ciascuno di essi Ella potrà svolgere subordinatamente tutte quelle considerazioni che la sua esperienza degli uomini e delle cose locali Le potrà suggerire.

l. -Indicare colla possibile esattezza la popolazione dei Principati Uniti, della Serbia, del Montenegro, dell'Erzegovina, della Bosnia e della Croazia Turca ed Austriaca (confini militari).

2. --Far conoscere possibilmente la ripartizione di queste popolazioni pe:r.

razze, e la giacitura geografica di ciascuna di esse, indicando: a) qual numero d'individui appartenga al ceppo latino (Rumeni); b) quale al ceppo jugo-slavo (Serbo-illirico); c) quale al ceppo Slovaco o Sloveno; d) quale al Tedesco o Sassone.

3. -- Indicare pure la ripartizione sotto il rapporto religioso. 4. --Segnare colla possibile cura le strade militari che legano fra loro i paesi suindicati e li rannodano da un lato ai principali porti dell'Adriatico, dall'altro ai principali scali del Danubio. 5. ---Riassumere brevemente i rapporti commerciali delle popolazioni suddette colla Turchia, coll'Ungheria, colla Croazia Austriaca e la Dalmazia. 6. ---Indicare qual'è il numero d'uomini armati che potrebbero fornire i Principati Uniti, la Serbia, il Montenegro, l'Erzegovina e la Bosnia distin· guendo fra le milizie regolari e le irregolari. 7. --Fornire informazioni confidenziali: a) del Principe Nicola (Montenegro); bJ di Luca Vucalovich (Bosnia); c) del Conte Borelli (Dalmazia). 8. ---Verificare se sia esatto che in tutti gli scali più importanti del Danubio v'abbiano nelle amministrazioni dei Piroscafi e delle dogane, Agenti Prussiani che fanno gli affari dell'Austria. 9. --Cercare di conoscere se i magiari siano veramente disposti n dare alle popolazioni di lingua diversa quelle soddisfazioni e guarentigie che richiedono. 10. --Se queste popolazioni hanno fiducia, od all'opposto diffidano dd Magiari. 11. ----Quali sono le domande di queste popolazioni compatibili colla unità del regno ungarico. 12. --Se l'opera dell'Austria tendente a dare od a promettere a quelle popolazioni le guarentigie che nel 1848 non ebbero dall'Ungheria porti i suoi frutti, ossia se le induca a separare la loro causa da quella degli Ungheresi. 13. ---Se in Ungheria sia possibile un movimento un po' generale senza ajuto od intervento estero. 14. ---Quale sia intorno a ciò il giudizio degli uomini più assennati fr3 le popolazioni limitrofe all'Ungheria.

Confido ch'Ella vorrà porre la massima diligenza nel rispondere con chiarezza e precisione a ciascuno di questi quesiti.

451

lL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. 53, n. 62, orig. autogr.)

L. P. Costantinopoli, 18 dicembre 1861.

Con mio rapporto del 4 andante le copiava un articolo di lettera del Cav. Scovasso, nella quale mi riferiva che il Conte Uniade, fratello della Principessa di Serbia, gli avea tenuto la seguente conversazione: «A giorni avremo in Belgrado moltissimi Croati ed Ungheresi che fuggono dalla leva che l'Austria farà imminentemente ed in modo forzato in que' due paesi. Converrebbe ch'Ella potesse dar loro qualche sussidio ed un passaporto perchè tutti si recheranno in Italia».

Io gli risposi, per telegramma cifrato, che procurasse d'impedire ad ogni costo questa emigrazione, tali essendo gli ordini precisi del R. Governo e che se qualcheduno dei già emigrati venisse a proprie spese e senza ricapito italiano a Costantinopoli, vedrei ciò che possa farsi.

A Galatz scrissi in modo più assoluto ancora, affinchè sia fatto giungere

alla gioventù transilvana il consiglio di non muoversi sotto alcun pretesto.

Per altro, nell'incertezza degli eventi europei della prossima primavera, può

convenire a V. E. di conoscere fin d'ora ciò che potrebbesi operare per creare

degli imbarazzi all'Austria ed impedirle di accumulare nuove forze contro l'Italia;

e perciò credo opportuno riferirle alcuni pensieri del Conte Karacsay, agente del

Comitato Ungherese in Costantinopoli.

La leva decretata dall'Austria in Ungheria comincerà a farsi alla metà di gennaio, o tutt'al più tardi, ai primi di febbraio in modo che le reclute abbiano pel mese di marzo raggiunto i loro corpi.

Dalla parte della Transilvania si potrebbe, volendolo, determinare una diser

zione in massa verso la Valachia e la Moldavia. Dalla parte del Banato e deJ.la

Croazia (se è vero quanto scrive 'il Cav. Scovasso sulla fede del Conte Uniade)

si potrebbe contare su d'uguali resultati.

Esaminiamo queste contingenze.

Suppongasi che per mezzo di avvisi segreti, mandati dal Comitato Ungherese nel centro delle popolazioni croate, magiare e transilvane si giungesse a promuovere una repentina e simultanea emigrazione di quattro o cinque mila reclute, queste sarebbero sul territorio serbo e sul territorio rumeno, e certamente, nè il principe Obrenovic nè il principe Couza potrebbero ordinare la estradizione di un corpo cosi numeroso di giovani, tanto più che, non essendo ancora arruolati, non sarebbero considerati come disertori, ma come emigrati politici. Si tratterebbe allora soltanto dei mezzi di mantenimento, e questi potrebbero apparentemente essere provveduti dal Comitato Ungherese con fondi che il R. Governo metterebbe a disposizione del Sig. K.th [Kossuth] se credesse approvare anticipatamente il progetto. (La spesa per altro sarebbe assai forte).

Questa emigrazione, di cui la stampa europea magnificherebbe l'entità, cagio

nerebbe serie preoccupazioni all'Austria e forse determinerebbe delle regolari

diserzioni dall'armata austriaca. Se l'Austria venisse a muovercene querela,

il R. Governo si troverebbe nella posizione del 1859 e, tenendo come allora una condotta passiva, avrebbe in proprio favore l'opinione europea ed all'occasione l'appoggio della Francia. Ad ogni modo la sola emigrazione verso i Principati basterebbe per tener viva per alcuni mesi ancora la resistenza legale dell'Ungheria, travagliata ugualmente in questi momenti dalle carezze e dalle minaccie austriache.

Se l'Austria, non disturbata, riesce, per mezzo di un'artificiale legalità, ad ottenere l'invio dei deputati al Reichsrath, la leva progettata e l'incoronazione dell'Imperatore Re, la causa è per lungo tempo perduta.

Se il Governo di S. M. credesse, dopo aver ben ponderate tutte le circostanze, di adottare il progetto del Conte Karacsay, spetterebbe al Comitato Ungherese di dare le opportune istruzioni a chi fa d'uopo senza che noi abbiamo a muover passo.

Io Le ho riferito quanto precede, ma non mi trovo d'accordo colle opinioni del prelodato agente, che in un sol punto, cioè sulla possibilità di determinare una forte emigrazione. Quanto poi alle sue conseguenze politiche immediate o remote mi paiono assai gravi per non accettarne la responsabilità senza la certezza d'un eventuale appoggio per parte della Francia.

Le corrispondenze degli agenti Francesi nel Levante e quelle specialmente di Bucarest e di Belgrado non sono favorevoli nè agli Ungheresi nè a noi. La nostra situazione attuale (d'Italia) non è, a ch'io sappia, circondata da pericoli imminenti. Dessa può ricevere consistenza da un forte elemento, quello del tempo. Rischiarla senza una grande probabilità di buon esito sarebbe un nuocere a noi ed ai nostri amici!

452

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CONFIDENZIALE 46. Parigi, 18 dicembre 1861. Il ribasso che da qualche tempo e massime dopo la notizia della cattura dei Commissarii del Sud si andò manifestando su tutti i valori che si negoziano alla Borsa di Parigi, colpì di preferenza in questi ultimi giorni il prestito italiano. Jeri questo valore si chiuse a 65.80 dopo esser sceso fino a 65.50, il che, detratto il vaglia d'interesse, equivale a 63. Secondo ogni probabilità questo ribasso è lungi ancora dall'esser giunto agli estremi limiti cui pare debba toccare. Ho chiesto a uomini speciali, quali potevano essere le cagioni di questa ostinata e progressiva depreziazione de' nostri fondi, sorgente di molto danno al credito delle Finanze italiane. La risposta che mi fu data, e che io mi limito a riferire, astenendomi da ogni giudizio che non sarei competente a profferire, può riassumersi nei capi seguenti: l o Anzi tutto si sostiene che una somma così ingente come quella di 500 milioni non si trova che con grande difficoltà sulle piazze d'Italia e di Francia

nelle attuali condizioni del credito, e in un periodo così limitato come fu quello determinato pel nostro prestito. Quindi prima cagione di ribasso, una vera deficienza di denaro, e una conseguente difficoltà nel fare i versamenti a periodi prossimi.

2" L'imprestito, comunque ciò sia capitato, cadde in cattive mani. Alcune case di Torino, alcune di Parigi, ed altre di Francoforte, sottoscrissero per somme esagerate, superiori alle proprie risorse, e quindi furono forzati a gettare sul mercato una parte considerevolissima dei loro titoli, i quali furono acquistati da speculatori e da altra gente di poco credito. Questi alla loro volta, ingannati dai loro calcoli di rialzo, si videro forzati ad esecuzioni, che influirono rovinosamente sui nostri valori.

3" Il Ministro Imperiale delle Finanze, che ha preceduto il signor Fould, trovandosi stretto da urgenti bisogni, o spinto da altri motivi che non conosco ancora, alienò ad un tratto tutte le rendite italiane di cui si trovava in possesso, e che erano state date in pagamento dal R. Governo per la guerra e in seguito alle stipulazioni di Zurigo, e non fu trattenuto dalla grande differenza di prezzo che si verificava sui titoli dall'epoca dell'accettazione a quella della vendita.

4" Le poco buone disposizioni delle principali case di Parigi influirono pure gravemente sul prestito. I fratelli Pereire osservarono un'astensione che fu nociva, per l'importanza grande di questa casa. I fratelli Rothschild, delusi nelle loro aspettative e pretese, non ajutarono il prestito come avrebbero potuto fare, e taluni suppongono che cerchino ora di porsi al sicuro da ogni contingenza, se pure non l'han già fatto. L'attitudine di queste due case nocque considerevolmente al nostro prestito.

5" Si pensa qui che il R. Governo, nel contratto di emissione, non si è debitamente guarentito, per mezzo d'una sanzione sufficiente, contro l'eventualità d'un rifiuto di versamento, e quindi si prevede la possibilità di una tale eventualità, la quale, ove non si provvedesse energicamente a tempo, avrebbe un risultato rovinoso.

6" Si sparse jeri ad un tratto la voce, e la si appoggiò con molta insistenza a corrispondenze venute di Torino, che il R. Governo avesse deciso di non pagare l'intiero interesse del semestre di gennaio fino all'epoca degli ulteriori versamenti. Anche questa notizia contribuì molto al ribasso.

7" Altre cause minori tendenti al medesimo risultato sono state allegate. Noterò le principali: l'assenza d'indicazione sui certificati del luogo di pagamento e di versamento, la conseguente incertezza nei portatori, incertezza che fu tolta finora, volta per volta, solo pochi giorni prima delle epoche di scadenza; la forma stessa dei certificati provvisorii, che fu trovata molto incomoda; gli ostacoli posti alla liberazione e alla conseguente immediata commutazione dei titoli provvisorii nei definitivi, ecc.

Queste sono le ragioni che si mettono in campo dagli uomini d'affari per ispiegare l'enorme ribasso avvenuto sui fondi italiani. Io le espongo a V. E. colla debita riserva per solo dovere d'ufficio, e senza pronunciarmi in merito. Il R. Governo e sopratutto il distinto personaggio che presiede alle nostre Finanze, sapranno senza dubbio distinguere quello che vi è di fondato da quanto è senza fondamento negli appunti che venni brevemente esponendo.

Io per me credo che la ragione vera, e certamente la principale del ribasso manifestatosi con tanta ostinata insistenza nei fondi italiani, deve cercarsi nella inquietudine e nella incertezza e nella sfiducia ingenerate dall'insoluzione della questione romana, e dalla pos1z1one in cui questa insoluzione condanna il Governo del Re. Finchè questa terribile questione rimane sospesa, come la spada di Damocle, sulla nostra testa, e diciamolo pure, su quella dell'Imperatore, non ririascerà la fiducia nè in Italia, nè in Francia; il pericolo della rivoluzione e di tentativi rivoluzionarii in Italia paralizzerà ogni sforzo di rialzo; la condizione finanziaria della Francia, intimamente legata colla nostra, si rileverà difficilmente, e quella dell'Italia correrà serii pericoli.

Questo stato di cose, con tutti gli inconvenienti che presenta, ha pure un vantaggio, ed è quello di spingere il governo francese ad uscire dalla falsa posizione in cui trovasi per causa della occupazione di Roma. La cessazione di tale occupazione è una necessità sentita, credo, dall'Imperatore stesso e dalla maggioranza del suo Consiglio.

È interesse della Francia di evitare un disastro finanziario in Italia, perchè questo ricadrebbe necessariamente sulla Francia stessa. La questione finanziaria parmi quindi un argomento da far valere per la soluzione della questione politica. Mi riservo di parlare di quest'ultima a V. E. in altro dispaccio.

453

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(A R B, cass. 53, n. 63, orig. autogr.)

L. P. 38. Londra, 19-20 dicembre 1861.

La partenza della Contessa Cigala m'offre buona occasione di scriverle con tutta sicurezza. E ne profitto per darle alcuni ragguagli confidenziali sull'accaduto di questi ultimi giorni.

La morte del Principe Alberto è avvenimento dolorosissimo come affare di famiglia. Come calamità pubblica, avrà, per l'Inghilterra, un'influenza che non può disconoscersi. Per noi altri poi, in Italia, sarà sicuramente un bene e non un male. L'influenza ch'egli esercitava sulla Regina, era adoprata a nostro svantaggio. Benchè non potendosi dire realmente austriaco, il Principe era rimasto arei-tedesco. A questo titolo le batoste ricevute da Casa d'Austria lo contristavano come un disonore per la Germania. Con quel meschino modo di vedere le cose umane che dirige la politica del Re di Prussia, egli severamente riprovava quanto dagli italiani erasi fatto perchè, per assicurarsi l'indipendenza e crearsi con un'unità il modo di far cose grandi, essi avevano conculcato certi diritti che, a parer suo, erano sacri. Egli non amava Lord Palmerston perchè troppo indipendente dalla Corona e troppo liberale, troppo popolare. Ora dunque, con questo genio malefico di meno, potremo forse far sentire le nostre ragioni più liberamente.

Certi fatti intimi di famiglia i quali, quando vennero alla conoscenza del piccolo circolo a Corte, destarono piuttosto un sorriso che pensar più grave, poco mancò non prendessero forma più tragica, supponendosi da taluni che la contrarietà provatane dal Principe avesse contribuito da principio ad ammalarlo.

Il Principe di Galles era stato mandato in Irlanda al campo del Curragh per far la sua educazione militare. Una certa gelosia segretamente esisteva nei parenti, i quali temevan, pare, di vederlo acquistar troppo presto una posizione di uomo fatto, tanto più che, checchè si dica ora, per gli inglesi il Principe Alberto era sempre rimasto un forestiere. Al Principe di Galles si metteva moralmente un mattone in testa per impedirgli di crescere; lo si educava a rimaner fanciullo, davasi per istruzione, a chi gli stava d'intorno, di non !asciargli far discorsi, mettersi in evidenza, ecc. Danari se gliene dava il meno che si potea ed il Generale Bruce non lo perdeva mai di vista. A questo campo del Curragh pare che il Principe coll'aiuto dicono di qualche uffiziale collega, potè vedere una donna di condizione inferiore ed alla quale colla na'iveté giovanile, il Principe diede un suo fotografo sottoscritto ed una ciocca di capelli, scusandosi di non poter largheggiare nelle pecunie. La storia si seppe. Il Generai Bruce arrivò una mattina a Windsor a far suo rapporto al Principe Alberto, il quale ne riferì a S. M.: ed ai cortigiani parve veder sul real ciglio turbamento e fieri pensamenti. Il padre andò a Cambridge dove intanto erasi recato all'Università l'erede presuntivo, e pare che il colloquio sia stato degno delle circostanze. Siccome questa gita a Cambridge venne poi mischiata alle cagioni che fecero che il Principe si ammalò, certuni dissero che la contrarietà era stata prima cagione del male; ma non pare che S. M. siasi fitta questa idea in testa, se no il Principe di Galles potea stare allegro.

Intanto imperversando la malattia, siccome sentivo a dir da chi conosce le cose di Corte, ch'eravi da temere per il cervello della Regina, ho saputo, dopo d'aver chiesto a molte persone, che al tempo della morte della madre, uno dei primari medici di Londra disse d'aver trovato in lei qualcosa di strano e singolare. Da altre buone sorgenti seppi che uno dei sintomi era il non voler vedere i figli e quasi quasi il marito. Non scriveva più alla Principessa di Prussia, ma gli faceva scrivere dalla Principessa Alice e cose consimili. Il Principe si diede subito per perso e disse alla figlia secondogenita di scrivere a Berlino che se realmente egli avea febbre lenta (low fever) non guarirebbe. E di malincuore si prestò ai rimedi. L'idea della malattia del Re di Portogallo eragli sempre presente. Non ebbe precisamente delirii, ma, come il povero Conte di Cavour, la mente non si fermava a lungo sopra un'idea.

La debolezza aumentò a passi di gigante, però poche ore prima d'i morire potè alzarsi e muover per la camera con un po' di aiuto. Poi l'agonia durò poco tempo. La Regina forse un'ora prima che morisse, gli domandò se la conoscesse e se l'amasse quanto mai l'avesse amata ed egli chinò la testa verso di lei appoggiando in quella di S. M. la sua mano e così finì.

La Regina, quando l'indomani venne la Duchessa di Southerland, la condusse nella camera dov'era il corpo, che affettuosamente baciò e ribaciò, prorompendo in lacrime e dicendo sembrargli impossibile che mai più il suo capo s'appoggierebbe sull'omero del marito.

Grandi elogi si fanno della Principessa Alice. Del Principe di Galles non sento a parlar molto. Il Times gli ha rivolti certi articoli che sembrarono anche un po' severi, dicendogli che ora era il momento di dimostrare se qualcosa òi buono esistesse in lui, che lo facesse onorare realmente e non solo per consuetudine.

Però scrisse ottimi pensieri a Lord Palmerston il quale da tutto questo fu assente, impedito dalla gotta. E Lord Palmerston gli rispose amorevolmente come colui che ha conosciuti varii sovrani d'Inghilterra. Fa grande onore al carattere di questo Ministro il vedere che, immemore d'aver perso se non un antagonista, uno almeno che potea talvolta dargli fastidii, egli invece provò dolore intenso per questa morte.

Intanto ieri il rumore d'esser morto egli stesso si sparse talmente che a me fu detto in due botteghe e, ieri sera, il popolo s'adunava in faccia al palazzo. Quest'oggi dal Ministero dell'Interno, dovettero mandarsi telegrammi nelle varie parti del Regno per contraddire questi romori. Ed il Gran Cancelliere, con incredibile mancanza di tatto, gli scrisse per raccontargli quanta emozione e letizia avessero provato in famiglia, vedendo questo romore contraddetto. Me lo raccontò il suo segretario privato, il quale, ignaro del contenuto, gli dovette leggere la lettera. Il fatto sta che egli ha un doloroso attacco di gotta, il quale dalla mano sinistra discese in ambo i piedi e potea far di peggio. Durerà per lo meno una diecina di giorni.

So da buona fonte ch'egli si dispera, più ancora che della gotta, di trovarsi così male secondato. Solo egli è a diriger questi preparativi di guerra con energia, e solo si trova a voler condurre le cose con brio e coraggio. Nei colleghi prevalgono incertezze e timidi consigli. Lord Russell stesso non sa decidersi ad agire risolutamente e preferirebbe tentennare ancora per la via delle negoziazioni; anche ove venisse un rifiuto dall'America.

Del resto le notizie che ne vengono variano talmente che so che ieri sera Lord Palmerston, consultato in famiglia sull'opinione sua, rispose che realmente uguali erano le probabilità, potendo darsi che gli Americani cedessero. Ma soggiunse egli, questo non sarebbe altro che rimettere a più tardi una guerra, che dovrà pur aver luogo. Ma egli però pensa in fondo che, personalmente, inchina più a credere alla guerra. Mi si assicura invece che il Ministro americano a questa Corte abbia ricevuto dispacci pacifici.

Sono informato, da buona autorità, che il Governo inglese pensa a richiamare Sir H. Bulwer da Costantinopoli, non per altro se non per la condotta singolarmente disordinata, privatamente, di questo diplomatico. Pare che le tresche e gli scandali sono stati tali da essere di pubblica notorietà e da esser soggetto dei discorsi del pubblico. Viaggiatori ne riferirono qua ed ora si sta maturando una misura di conseguenza.

Terminerò con un aneddoto piuttosto comico relativo all'avventura del Principe di Galles, il quale par piuttosto vanaglorioso di queste scappate e domandò a Lord Granville se credeva vero quanto gli aveva assicurato il padre, cioè che di qui a nove mesi questa donna gli avrebbe partorito un figlio.

Venerdì, [20]

P. S. -Devo aggiungere altre notizie ch'ebbi or ora circa l'affare del Principe di Galles. Purtroppo quanto temevo s'è avverato.

Mi si dice che essendo stato il Principe Alberto informato che quella tal donna aveva seguitato il Principe a Cambridge, v'andò per fargli delle severe rimostranze che furono dal figlio piuttosto male accolte, quasi dicesse che era di tale età da non dover esser trattato come un ragazzo. Questo pare abbia fatto una triste impressione sul Principe, il quale espresse in famiglia il timore che si rinnovassero gli scandali dell'ultimo Principe di Galles, colla differenza che la Nazione Inglese non sarebbe più disposta a tollerarli in silenzio Quindi, nei momenti in cui il Principe vaneggiava, egli non parlò d'altro che dell'ultimo Re, di mandar a chiedere il Principe ed il Generai Bruce. E la Regina deve aver detto: Il Principe di Galles ha ammazzato suo padre. Questo spiegherebbe perchè il Principe non si fece venire a Windsor che quando il caso fu disperato, e perchè ieri, accompagnato che ebbe la Regina a Portsmouth, egli ritornò a Windsor, come non avesse la Regina gran desiderio di vederlo.

Siccome questi avvenimenti potrebbero esercitare ulteriormente gran influenza su quanto sta per avvenire, credo indispensabile informarne V. E. Ma Ella comprenderà che la natura delicatissima di queste notizie fa sì che il Governo, ove sapesse che un Ministro estero è così bene informato, facilmente risalirebbe a ricercare le sorgenti donde tali notizie gli pervengono e, mettendovi buon ordine, farei danno ai miei informanti e così noi stessi ne soffriressimo. Mi raccomando dunque all'E. V. perchè queste informazioni sien custodite come segretissime e non si sappia mai che vengono da me.

454

IL CONSOLE A BUCAREST, STRAMBIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 172. Bucarest, 19-20 dicembre 1861. Ieri ed oggi tutti i miei colleghi, gli Agenti delle altre Potenze garanti, hanno ricevuto dai rappresentanti dei loro Sovrani in Costantinopoli un dispaccio telegrafico identico del tenore che segue: «I Rappresentanti delle Grandi Potenze spediscono oggi costì agli Agenti dei loro Governi istruzioni identiche colle quali s'invitano ad appoggiare il firmano >. In attesa di tali istruzioni gli Agenti suddetti decisero di tenere domani alle tre dopo mezzogiorno una riunione in casa del Decano del Corpo, il Console Generale Austriaco. Io fui invitato ad intervenire a tale riunione. Il Ministro del Re a Costantinopoli non prestò forse il suo concorso agli accordi che ebbero luogo fra gli altri rappresentanti, oppure, avendomi pur egli spedite, colla posta, eguali istruzioni, credè superfluo di prevenirmene col telegrafo? Io credei utile di manifestare queste mie perplessità al signor Commendatore Cerruti sotto forma di domanda d'istruzioni che mi sarebbero giunte assai gradite prima del convegno che dovrà aver luogo dimani. Io indirizzai per conseguenza oggi stesso al Ministro di S. M. un dispaccio cifrato che significa quanto appresso: «I miei colleghi hanno ricevuto jeri un dispaccio telegrafico dei Rappresentanti in Costantinopoli annunziante che una nota ufficiale identica fu loro spedita colla posta, colla quale li si invita ad appoggiare l'esecu

zione del firmano. Domani a tre ore dopo mezzogiorno avrà luogo una riunione degli Agenti, alla quale sono invitato. Il Principe chiede alle Camere la votazione dei bilanci e delle leggi d'interesse locale. L'Assemblea di Bucarest intende rifiutarsi a ciò ed impedire così ogni ritardo alla proclamazione dell'unione. Gli Agenti faranno probabilmente delle pratiche in questo senso. Io credo di non dovermi possibilmente separare da essi. Prego mi siano trasmesse istruzioni

prima della riunione ~.

Per quanto ne ebbi già l'onore di scriverne a V. E. coll'ultimo precedente mio rapporto, io sarò naturalmente disposto ad unirmi ai miei colleghi, quando questi risolvessero soltanto di fare qualche passo conveniente onde indurre il Principe a far ritorno al più presto a Bucarest e qui proclamar.e, senza altre more, l'unione dei Principati in presenza delle due Assemblee unite. Mi preme ad ogni modo di mantenere, per quanto possibile, siccome ho fatto e ne sono riuscito fin qui, la mia posizione di Agente di una delle Potenze garanti in parità perfetta di ufficiale azione ed influenza con quella dei Rappresentanti degli altri Stati.

Qui compiegata ho l'onore di trasmettere a V. E. la traduzione delle parole che il Pr'incipe Couza.proferì all'Assemblea Moldava dopo la lettura del discorso del trono, e delle quali ho dato pur cenno nel precedente rapporto (1).

A proposito dei bilanci, dei quali il Principe chiede la votazione, debbo emendare un errore di scritturazione occorso nell'ultimo mio dispaccio, volendosi in esso alludere ai bilanci del 1862, non a quelli del 1861 della cui approvazione il Governo, secondo l'art. 22 della Convenzione, non ha strettamente bisogno. Questa domanda della votazione dei bilanci 1862 aggrava di soverchio il sospetto che il Principe voglia di troppo ritardare la riunione delle due Assemblee o privar queste, costituite in un'ica rappresentanza, del più importante attributo che ad essa appartener dovrà.

Oggi l'assemblea Valacca non riusci a comporre i suo'l uffici. La destra voleva

elevare alla Vice presidenza il signor Barbo Cattargi il Capo dei Conservatori, ed

il signor Jon Ghika, che fu già presidente del Consiglio e ondeggia fra la destra

ed i liberali moderati. Il Presidente del Consiglio signor Demetrio Ghika si

oppose vivamente, nelle riunioni preparatorie alla candidatura del signor Jon

Ghika minacciando perfino della sua demissione. Il Sig. Cattargi, il quale rap

presenta una frazione della destra che trovasi un po' in disaccordo col Ministero,

combattè il Presidente del Consiglio ed offerse egli stesso le proprie demissioni

da deputato. Queste gare però rimangono senza soluzione perchè una parte dei

Andremo presto a Bucarest, il motivo però per cui non mi vi reco fin d'oggi è che,

andando colà, perderemo per qualche tempo di vista la Moldavia; bisogna dunque prima

regolare le questioni locali di somma urgenza. Abb~amo bisogno. am;it;utt? de.l bilancip. per

poter far funzionare regolarmente lo stato e cosi evrtare anche ar Mmrstn der sospetb. Cosi

dunque la nostra partenza per Bucarest dipenderà dalla premura che vi vrenderete di dar

corso ai progetti riguardanti questa provincia. Quanto a me, !'ignori, io .so~o col_ Pa';'se e pel

Paese. La mia origine è fondata sul vostro voto ed assumerer questa mrss10ne difficrle si ma

bella a ricompiere.

Vi auguro salute. Pensate che il momento _in cui ci troviamo è ben critico, po~chè bisogna

entrare in una nuova era· aiutatevi dunque recrprocamente ver lavorare a vantaggro del Paese

e per sostenere il Governo e il trono della Rumenia, che d'ora innanzi ha bisogno d'essere

fondato su basi solide •.

35 -Dowmenti dihlom tthi -Serie l · Vol. I

conservatori abbandonò le sale dell'assemblea e questa non si trovò più in numero per deliberare.

P. S. -Bucarest, 20 dicembre poco prima delle 3 pomeridiane.

Non ho avuto alcun riscontro da Costantinopoli. Domani avrò l'onore di ragguagliare l'E. V. sul risultato della conferenza d'i oggi ai miei colleghi.

(l) Sono annesse le c parole pronunziate da S. A. il Principe Reggente dei Principati Danubiani alla Camera di Moldavia, dopo la lettura del discorso ufficiale •: c L'Unione, Signori,è fatta; La Sublime Porta, come tutte le Potenze garanti, ha aderito all'unione dei Principati.Abbiamo inteso parlare molto di questa Unione e che ne seguiteranno delle turbolenti, perciòvoglio oggi tenervene anch'io parola, Signori! L'Unione sarà fatta come i Rumeni la sentiranno e la desidereranno; io l'ho domandata, poggiandomi sul vostro voto e l'ho domandata perrisparmiare al paese una situazione pericolosa. Perfino nei più grandi stati, quando si vuoi fare delle riforme di qualche importanza politica, non si agisce senza prendere prima il consiglio delle altre potenze.

455

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 21 dicembre 1861.

Dal tenore delle risposte ricevute da Parigi e da Londra circa il disegno del Governo del Re di spedire una fregata al Messico, io ebbi a riconoscere che l'effettuazione di quel disegno non sarebbe scevra d'inconvenienti. Difficile sarebbe stata infatti la condizione in cui si sarebbe trovato l'Agente Diplomatico incaricato di recarsi colà: giacchè egli non avrebbe potuto nè presentar tosto al Governo Messicano le sue lettere di credito, nè prender parte ai negoziati successivi alle operazioni militari. Mi pare pertanto migliore partito rimandare a tempo più favorevole l'invio di un Console Generale ed Incaricato d'Affari al Messico, rinunciando per ora alla spedizione della fregata.

Nel dare codesto annuncio a S. E. il Sig. Thouvenel Ella vorrà aggiungere che il Governo del Re confida che la Francia vorrà, giusta la cortese e benevola promessa fattaci prima che venisse in campo il disegno suddetto, proteggere gli interessi dei sudditi italiani pei quali il Governo del Re ha richiami da porgere.

Voglia ad un tempo esprimere al Governo Imperiale la nostra riconoscenza per questa nuova prova di amicizia.

456

IL CONSOLE A BUCAREST, STRAMBIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 173. Bucarest, 21 dicembre 1861.

Nella riunione che ebbe luogo degli Agenti delle Potenze garanti, riconobbi, contrariamente a quanto mi era stato asserito il giorno prima da uno di essi, che solo l'Inglese e l'Austriaco hanno ricevuto l'identico dispaccio telegrafico che ho trascritto nel mio rapporto n. 172 con una piccola variante in quello diretto al Barone d'Eder, nel quale è detto che tutti i Rappresentanti delle Potenze garanti hanno spedite colla posta identiche istruzioni agli Agenti delle stesse Potenze, in appoggio al firmano dell'Unione; ciò che meglio mi assicura che le stesse istruzioni perverrano a me pure col prossimo corriere austriaco, il solo che ora ci rimanga per le nostre corrisponden7.e sia con Costantinopoli che colle altre parti d'Europa.

Già prima i miei colleghi avevano ricevuto, come io pure, dai rispettivi Ambasciatori, comunicazioni diverse intorno a questo argomento dell'unior-e, ma essendo fin d'ora constatato che eguale dovrà essere il contegno di tutti rispetto all'esecuzione del firmano, che l'unione stessa consacra, si è unanimamente riconosciuto che bene si interpreterebbero le intenzioni dei Governi provvedendo tosto a quanto v'ha di più urgente, cioè a far rompere gli indugi che il Principe Couza frappone alla convocazione delle due Assemblee ed alla proclamazione solenne dell'unione; i quali 'indugi, oltre ad essere contrarii a quella deferenza che sarebbe opportuno dimostrare alle Potenze che concorsero all'atto dell'unione, produssero già gravi inconvenienti e maggiori guai potrebbero far scoppiare in ambi i Principati. Si ammise però che intanto convenisse astenersi da note ed altre pratiche collettive, e si decise che ciascuno degli Agenti, per mezzo dei Consoli dei proprii Governi che sono in Jassy, facesse col telegrafo manifestare al Principe questa opinione comune, con rispettosa istanza perchè volesse aderirvi, secondo che l'interesse suo e di questo paese consigliano. L'Agente Francese, signor Tillos, mi ha cortesemente promesso dietro il mio desiderio, di unire il mio nome al suo nella comunicazione relativa che avrebbe fatta al signor Piace, il quale, in mancanza di un Console Italiano, è incaricato ufficiosamente degli interessi nostri in Jassy.

L'Agente Prussiano annunziò aver ricevu1o, oltre ad altri documenti, copia delle note dirette dai Rappresentanti alla Sublime Porta, contenenti l'adesione al firmano, e le riserve che la più parte di essi fecero con più o meno calore pel mantenimento, in caso di vacanza Ospodarale, della concessa unione, quando essa abbia fatto buona prova e sia ancora voluta dai Rumeni di ambe le Provincie. È questo un fatto ben importante che ben sarebbe stato utile far conoscere prontamente, perchè è tale da produrre in questo paese un'ottima impressione. Si lamentava infatti un'unione sì precaria, quale quella che s'era vincolata al Principe Couza, il quale non solo per morte, ma, quando che sia, per imprevisti e provocati avvenimenti, avrebbe potuto lasciar vacante il seggio Ospodarale, e lo sfoggio delle precauzioni e delle dichiarazioni espresse nel firmano perchè in tale eventualità tutto dovesse ritornare nel prossimo stato di separazione, mantenendosi per tal guisa continua l'inquietudine prodotta dall'instabilità del Governo e delle istituzioni politiche e vivaci le speranze dei molti pretendenti al trono dell'uno o dell'altro Principato. Già con alcuni dei miei colleghi io cercava di dissipare tali timori, dicendo che quella deve credersi una concessione di pura forma della Porta, a mo' di transazione fra quelli che non volevano affatto dell'unione e gli altri che l'avrebbero voluta perfetta, ma che s'apparteneva ormai ai Rumeni di renderla perpetua colla virtù ed opera loro concorde.

Sgraziatamente manca la base del sincero patriottismo ed ora più che mai la discordia serpeggia dappertutto, nel Ministero bojaresco, che pareva negli scorsi giorni invaso da follia e prima parzialmente e quindi jeri sera diede in corpo la sua dimissione; nel campo conservatore ove le varie frazioni dei Ghika, dei Bibesco, dei Stirbey e degli indipendenti stanno uniti soltanto nei momenti di pericolo e per la difesa degli interessi di casta, ma quindi si guattano, si calunniano, si osteggiano a vicenda, fra i liberali, di cui gli uni più moderati accetterebbero di buon animo le concessioni e le necessità presenti

e sarebbero disposti a conciliazione, gli altri smodati che rigettano ogni fusione

con elementi che non siano affatto omogenei, vorrebbero impedire ogni deli

berazione anzi la costituzione stessa della Camera e sottomettersi all'esame ed

all'accettazione o non dell'Assemblea Unica, che dovrebbe all'istante essere

convocata, il firmano dell'unione e le singole clausole del medesimo, siccome

già seppesi essere stato richiesto nella Camera Moldava, che trovasi regolar

mente costituita, dal piccolo partito democratico che vi è in essa.

Nell'insieme però puossi asserire che nel partito liberale, quantunque per

ciò appunto o per altri versi temuto ed osteggiato dai Governi Esteri e dai Rap

presentanti loro, siavi, mista pure a corruzione ed a improntitudine, assai più

intelligenza e più cuore che non nel conservatore, ciò che è oggi ammesso

perfino da quelli dei miei colleghi che con maggiore parzialità sogliano difen

dere gli interessi di quest'ultimo, la cui condotta nel Ministero, nell'Assemblea,

nel paese veniva severamente censurata nella riunione che ebbe luogo jeri

fra noi.

457

IL CONSOLE A BUCAREST, STRAMBIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. CIFRATO 175. Bucarest, 24 dicembre 1861.

Reçu dépèche Cabinet 18 Novembre. Si j'aurai occasion sure, que j'ai

attendu jusqu'à présent en vain, je répondrai longuement n'ayant aujourd'hui

que poste autrichienne. En attendant j'ai l'honneur d'envoyer à V. E. résumé

informations demandées.

Population roumaine et bulgare des deux rives du Danube, en général très lourdes et très ignorantes, restent impassibles en présence évènement Hongrie dont elles n'ont qu'une connaissance très vague. Elles n'abandonneront cette attitude mème dans le cas où éclate insurrection ou guerre Hongrie si elles ne sont pas violemment sécousée. Classe intelligente Principautés, exc-epté un petit nombre de personnes, sont décidément hostiles aux Magyares. Tous les efforts qui ont été faits et aux succès desquels je travaille moi aussi depuis bientòt trois ans pour amener entente entre Roumains et Magyares sur la base des plus amples concessions aux Transilvaniens compatible avec intégrité Hongrie telle que l'entendent les Magyares, n'ont pas eu de résultat sur lequel on puisse compter. Je crois dangereux espérer indéfiniment de l'obtenir par quelqu'autre moyen que ce soit, j'ai pu à peine contnbuer à empècher l'éclat d'une rivalité de race et dernièrement obtenir attitude plus conciliante de la presse et du parti démocratique.

La Transilvanie voudrait indépendance de la Hongrie et d'Autriche, et confédération Etats libres du Danube sauf à s'unir plus tard aux Principautés; elle préférerait rester soumise faible Autriche plutòt que de faire part du Royaume Hongrois ce qui anéantirait ses aspirations nationales. Si Ies Magyares n'abandonnent pas leurs prétentions quelques fondées qu'elles puiss·ent ètre je prévois de grands malheurs. Les Mayares devraient dans ce cas ètre prets à combattre Autriche et Roumains en meme temps. Sur la base d'une confédération future les Roumains se réuniraient avec enthousiasme aux Hongrois pour combattre Autriche. La plus grande concession que l'on pourrait dans ce moment obtenir est la suivante: que toute discussion prématurée soit abandonnée; tirer parti de Roumains et Magyares combattant en all'iés contre l'Autriche; tirer parti de la question politique et territoriale de la Trans'ilvanie soit réglée après la guerre soit par vote universel, soit par un congrès où l'Italie, la France, la Hongrie et Roumanie seraient représentées.

J'ai accepté provisoirement cette combinaison pour base de mon action. Il serait heureux de la voir accepter par tout le monde. Dans ce cas parti libéral qui seui entretient quelque relation avec Hongrie. sera.lt disposé à fa'ire propagande sérieuse et efficace dans les Principautés en Bulgarie, Transylvanie, Croatie et autres provinces d'après le plan que les chefs révolutionnaires très capables me présenteraient pour etre apportés Turin et selon les moyens qu'on leur fournirait. Prince Couza devrait adhérer et aider.

Prince est le plus raisonnable et favorablement disposé, mais il n'est pas homme des grands exploits et nous aidera pour autant que cela ne pourra pas trop le compromettre; mais il serait dangereux de compter entièrement sur lui, parce qu'au moment décisif pourrait hésiter et nous manquer. Une entente entre Roumains et Magyares qu'il favoriserait lui donnerait courage. Il sera entièrement avec nous si derrière nous il verra France, et l'Empereur le poussera également.

458

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 254-256)

L. P. Torino, 25 dicembre 1361.

Dopo l'annunzio che io feci in Parlamento, sulla fede del suo telegramma, che il Governo Francese era deciso d'impedire il brigantaggio che muove da Roma, Ella comprenderà quale dolorosa impressione io risenta dal sapere per più parti che il Generale francese prosegue nel contegno costantemente mostrato di volere piuttosto appoggiare, e non combattere, le mene e le macchinazioni reazionarie che a Roma si fanno senza desistere.

La posizione delle armi francesi a Roma è umiliante. Le parole dell'Imperatore al P~pa sono sbeffate. Francesco II sostenuto dalla Curia Romana, spinto dalla Spagna e incoraggito dall'Austria, non lascerà Roma. Nuove spedizioni di briganti si organizzano sulle nostre Provincie (1). Il Debito Pubblico si accresce smisuratamente, e d'una maniera spaventosa, ai danni d'Italia. Si vocifera che oggetti preziosi di arte, di storia e di letteratura siano già der-:ignati

• ... On organise nouvelle expédition pour le brigandage formée de plusieurs bandes, on prépare demi-million de cartouches qu'on expédie avec les armes à la frontière par Tivoli. Les français voient tout cela, mais indifférement. Ils ont simulé une perquisition pour réchercher Chiavone, pendant que tout le monde savait sa demeure ... »,

alla vendita, e l'Italia e il Governo del Re potranno tacere, potranno serbare un contegno di rassegnazione davanti fatti così iniqui, cGsì ingiuriosi al decoro della Nazione? Io non oso pronunziare la risposta! Egli è certo che il nome di Napoleone si fa impopolare qua; qua le irritazioni, sebbene contenute, si accrescono, la posizione del Governo si aggrava, e un sentimento universale si corrobora che l'Imperatore dei Francesi fa tutto ciò per avversare la nostra unità, e si accusa, sotto voce, il Governo di essere ingannato dall'Imperatore.

Ella, quale rappresentante d'Italia, pensi a quanto le incombe per conseguire il fine del suo mandato. Parli con gli uomini autorevoli, trovi modo che l'Imperatore conosca che la sua attitudine conduce sè e l'Italia incontro a mali immensi. L'Austria si fortifica e noi c'indeboliamo nell'inazione. Questa inazione accresce, e invigorisce i nostri interni nemici; toglie ogni prestigio ai due Governi. Le popolazioni sono stracche di questa altalena, e le condizioni finanziarie di tutti peggiorano ogni giorno. Non è più qui questione del Papato. L'Europa ne ha giudicato. La Francia occupa l'Italia, protegge le reazioni, e la consorteria romana, permette che i più sacri diritti d'Italia restino conculcati, trattiene e svigorisce il riordinamento della nuova nazione, che, trattenendosi nel suo svolgimento, vede crescere i germi roditori della sua vita, contro cui deve adoperare quelle forze, che altrimenti sarebbero tutte adoperate a crescere la sua vitalità.

È tempo stringente che si esca da questo stato. Aspetto inutilmente da tre mesi la proposta imperiale. Venga e venga degna di colui che prese l'ufficio di rinvigorire l'ordine progressivo in Europa. Il Governo del Re sarà lieto di secondare ogni progetto savio ed efficace.

(l) Ricasoli accludeva il seguente telegramma di Teccio di Bayo (n. 1030, 21 dicembre):

459

IL MINISTRO A BERLINO, LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 364. Berlino, 25 dicembre l R61.

J'ai eu enfin l'occasion de parler hier au Comte de Bernstorff dans le sens de la dépèche que V. E. m'a fait l'honneur de m'adresser le 26 Novembre échu (Cabinet). Je lui en ai mème lu plusieurs passages afin de donner plus de poids à mes observations.

Tout en se montrant plutòt satisfait de nos assurances, le Ministre hésitait à en conclure que notre situation n'offrait rien d'alarmant pour l'étranger, tant que nous maintiendrions notre bon droit de revendiquer Venise. « Dans ces conditions, -ajoutait-il -il serait difficile à la Prusse d'accorder sa reconnaissance. Nous méconnaitrions les convenances stratégiques de l'Allemagne, et les intérèts d'un des principaux membres de la Confédération Germanique, si nous reconnaissions un ordre de choses qui peut aboutir à une guerre pour la conquète d'une province dont la position est envisagée comme le boulevard de l'Allemagne Méridionale. Il en serait tout autrement si vous preniez l'engagement de rester dans vos limites actuelles vers le Pò et le Mincio».

J€ n'ai pas hés'ité à répondre que, quelque fut le prix que nous attacherions à une reconnaissance spontanée de la Prusse, nous ne consentirions jamais à l'obtenir par l'abandon d'une question aussi importante. Ce serait trahir la cause nationale, action à laquelle nous ne saurions consentir. La Prusse exerce si bien la politique de garder les mains libres, qu'elle devrait se rendre compte que nous ne voulions pas enchainer nos destinées par un engagement d'ailleurs sans valeur pratique, comme tout ce qu'i va à l'encontre de la force meme des choses. Il me paraitrait donc plus équitable que le Cabinet de Berlin au lieu de nous demander l'impossible, se contentat de nos assurances de ne nous laisser entrainer à aucune résolution imprudente, de ne pas précipiter les événements, et de nous abstenir de toute provocation périlleuse. Et puis qu'aujourd'hui encore il avait abordé le premier la question de la reconnaissance, il me semblait qu'il pourrait s'y décider du moment où un acte semblable n'impliquait ni une approbation du passé, ni un engagement pour l'avenir, mais une simple reconnaissance des changements opérés de fait.

Le Comte de Bernstorff revenait avec insistance sur la Vénétie Il raisonnait de la sorte: « Il ne serait pas en notre pouvoir, le voulussions-nous, de vous céder cette Province. L'Autriche s'y refusera. D'un autre cOté, si la France méditait une attaque contre la Prusse, lui nierez-vous un concours qui vous serait compensé par un nouvel agrandissement territorial? Quelle serait votre nouvelle frontière? A cet égard des paroles prononcées par quelques employés haut placés dans votre Gouvernement, seraient de nature à nous inspirer des appréhensions meme pour le territoire allemand. Quelles garanties en général nous offrirez-vous? ».

J'ai essayé de faire comprendre à S. E. que nos procédés vis-à-vis de la Prusse, que nous considérions comme une alliée naturelle, devraient à eux seuls lui donner de solides garanties; que le sentiment de notre dignité et de notre force nous porterait à ne recourir désormais qu'à nos propres ressources pour compléter notre territoire; que nous désirions sincèrement prévenir un conflit; que dans le but nous ne négligerions rien pour amener un arrangement à l'amiable; mais que si on pensait ici que nous puissions, contre toute attente et à notre corps défendant, nous laisser induire par l'appat de brillantes perspectives à nous écarter un instant de nos intentions les plus bienveillantes à l'égard de la Prusse, celle-ci devrait s'appliquer dès à présent à nous prémunir contre une semblable tentation. A cet effet, elle devrait se prononcer ouvertement pour l'Italie, renoncer à la doctrine, de si récente création, que la Vénétie entre les mains de l'Autriche est une nécessité pour la défense du Sud de l'Allemagne, et détruire ainsi à Vienne l'illusion d'un appui quelconque de la Prusse. Quand l'Autriche se verra isolée, elle sera de meilleure composition avec l'Italie, et ainsi disparaitrait sans coup férir une cause de perturbation en Europe etc. etc. Quant aux paroles pretées à quelques uns de nos employés, je ne me souvenais que d'une proclamation de M. Valerio Commissaire à Ancòne, proclamation qui avait été hautement désavouée par notre Gouvernement.

Le Ministre des Affa'ires Etrangères de Prusse a produit d'autres arguments de moindre valeur que j'ai également combattu de mon mieux. Il résulte de son langage que si nous n'avons pas encore réussi à lui faire agréer un programme meme de temporisation pour Venise, il est du moins déjà disposé à faire bon marché des prétentions des Souverains dépossédés dans la Péninsule. J'ai déjà mandé son opinion sur la Question de Rome. Il m'a meme dit très confidentiellement, de crainte que sa façon de penser ne fut dévoilée à S. Pétersbourg, qu'il s'étonnait que la Russie, qui n'avait pas autant de ménagements à garder que la Prusse, ne nous eut pas encore reconnus, quoiqu'elle y fut presque moralement engagée par son attitude lors de la guerre de 1859 (1).

460

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 702. Torino, 27 dicembre 1861, ore 9,45.

J'ai consigné une lettre pour vous à Scialoja. La lettre et le télégramme joint (2) vous engageront à des démarches sages destinées spécialement à sonder les esprits sur les affaires de Rome, et si on pense à en préparer la solution. Voyez-vous jamais le Prince Napoléon, Pietri et autres de la meme autorité? Vous ne m'avez accusé réception de ma précédente.

461

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 704. Torino, 27 dicembre 1861, ore 13,15.

Veuillez vous présenter à Lord Cowley et vous entendre avec Lui pour arriver à quelque résultat dans le sens d'assurer efficacement la frontière italienne contre le brigandage, épargnant à la France de le faire elle-meme, chose qui ne parait lui réussir comme Elle le voudrait.

462

IL MINISTRO A LONDRA, AZEGLIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (A R B, cass. 53, n. 8!J, orig. autogr.)

L.P. 39. Londra, 27 dicembre 1861.

Lord Palmerston, nel trasferirsi dal castello di Walmer alla sua privata campagna di Broadlands, ha passato qualche giorno a Londra e siamo andati discorrendo varie volte de' casi nostri. Anzi io pranzai ieri sera con Panizzi,

alla quale si accenna poi, non v'è traccia nè all'Archivio del Ministero degli Affari Esteri, nè all'Archivio di Brolio.

Odo Russell e Delane, il direttore del Times. Tutti questi signori sono zelantissimi amici nostri e ognun di loro ne' varii loro dicasteri vale un tesoro. Un amico intimo di Panizzi, Merimée, Senatore e nella confidenza dell'Imperatrice, aveagli fatto gran istanze acciò venisse a Biarritz, ma non accettò, credo perchè, essendo piuttosto male assieme, anche dopo tornato dai bagni, trovava la distanza troppo grande. Ma sapendosi dai famigliari dell'Imperatore come la pensi il buon Panizzi, mi par buon segno d'averlo voluto sentire e mi rincresce non sia andato. Odo Russell partirà a giorni per ritornare a Roma passando per Torino ove si fermerà quattro o cinque giorni. Le lodi del Times sono superflue, egli ci ha resi de' grandi servizi ed anche le sue ottime relazioni col Primo Ministro, le quali non datano che da due o tre anni, sono in gran parte basate sulla sua politica estera, così simpatica alle cose d'Italia. Il signor Delane, con i suoi corrispondenti, può certe volte fornir al Ministro utili schiarimenti, mentre il giornalista, vivendo in questa atmosfera semi italiana, può talvolta vedersi combattere un pregiudizio e capir meglio le decisioni prese.

Non si persuaderà facilmente a Lord Palmerston che l'Imperatore sia per aderire ad una politica che risulti nel richiamare le sue truppe da Roma. Ho già scritto a V. E., nell'ultima mia, che nelle idee del Ministro inglese esiste la persuasione che l'Imperatore vuol mantenere in questa posizione centrale un corpo d'armata, che gli serva per qualunque occorrenza. Anzi devo notare che fra queste, Lord Palmerston, annovera talvolta una guerra coll'Austria alla primavera, ch'egli non considera come improbabile. Penso che la unisca con qualche trambusto che fosse per succedere in Turchia nelle provincie settentrionali. Dunque, per credere che l'Imperatore voglia unirsi con noi per compire il Regno d'Italia, lo vorrà vedere.

Riguardo al Papa, il modo di vedere di Lord Palmerston è, da quanto parmi, interamente d'accordo con Lei, anche più di Lord Russell, il quale, poco prima partissi per Spa, parlava non solo di città Leonina, ma dell'Isola d'Elba in guisa di villeggiatura, ond'evitare qualche volta incontri spiacevoli fra i due Sovrani, spirituale e temporale.

Lord Palmerston è d'opinione di non dare al Papa un palmo di terreno oltre al Vaticano ed alla Chiesa di San Pietro ch'egli avrebbe però in tutta sovranità. Aggiunge Lord Palmerston che se si riconosce esser necessità pel Papa di esser indipendente sovrano temporale, ed allora gli si lasci non solo il territorio attuale, ma gli si restituiscano le Legazioni, l'Umbria, etc.; anzi gli si costituisca un regno tale che possa realmente menar le mani per mantenersi questa indipendenza. Ma questo, nel tempo attuale, essendo assurdo, non lo è meno che si voglia stabilire che, perchè la cristianità crede dover stabilire come necessità teologica che il Papa deve esser sovrano temporale, che perciò poche migliaia di cristiani dovranno essergli sacrificati in olocausto, onde questi infelici sudditi diventin vittime e del S. Padre e dei cattolici d'America, Indie, ecc.

Inoltre, dice Lord Palmerston, che fintanto che resterà al Beatissimo Padre qualcosa da perdere al temporale, egli sarà molto più in balia nostra ed altrui, poichè gli si potrà sempre dire: badate che se non fate a modo nostro, vi piglieremo il fatto vostro, mentre come Capo della Cristianità avrà una vera potenza.

Ecco all'incirca il ragionamento tenutomi a questo riguardo da Lord Palmerstoo. Ed è da notare che, benchè egli m'abbia parlato prima che si cono

scessero a Londra le condizioni che si suppongono presentate da V. E. alla Corte romana, pure sui punti sovra indicati pare che sia interamente d'accordo. Naturalmente non siamo qui al caso d'indovinare che cosa intenda farsi dal Governo del Re ove, com'è da aspettarsi, la Corte romana ricusi le condizioni.

Movimenti del partito d'azione repressi con spargimento di sangue dalla truppa francese, metterebbero questa in posizione così odiosa all'Europa, all'Italia ed anche alla Francia, che forse assisterebbero a determinare l'Imperatore a non mettersi in tal cimento. E Lord Palmerston, quando gliene feci la supposizione, mi rispose : There is something in that.

Del resto se il Papa lasciasse Roma siamo qui convinti che lo farebbe per condizioni politiche e non per salvare la religione.

Delane, tornato ora da una corsa in Germania, ne riporta la convinzione che i Tedeschi, mossi dall'esempio delle cose grandi e patriottiche fatte ultimamente dalla gente italiana, cominciano a scuotersi e a volerli imitare. Dice che cresce il discontento contro il Re di Prussia per non mostrarsi, quel sovrano, all'altezza di una tale missione. Di fatti, da quanto risulta a Lord Palmerston, il Re di Prussia è tutt'altro che disposto a mettersi alla testa del movimento unitario e liberale. Ed avendogli, in guisa di semplice osservazione, detto che se l'Austria cercava sotto alla maschera di liberalismo di contrastar alla Prussia la predominanza in Germania, il Primo Ministro mi disse sorridendo, che il liberalismo dell'Austria non era fatto per dar gran inquietudine alla Prussia.

Credo non inutile mandar all'E. V. una brochure pubblicata a Londra dal Signor Lever M. P., il fedel compagno di Roebuck e come lui interessato nelle associazioni Anglo-austriache di Trieste. Questa pretesa glorificazione è curiosa, essendo infatti una formale ammissione dello stato retrogrado di quel paese dichiarato cosi con la penna dei suoi più caldi fautori.

Domandai a Lord Palmerston circa la spedizione al Messico, e mi disse che di fatti, benchè nulla ancora si fosse deciso, stavasi in trattative con la Francia e la Spagna per un intervento comune, o, per meglio dire, per presentar assieme reclami che da gran tempo si credono giusti. Voler la Spagna e forse anche la Francia favorire il ristabilimento del partito clericale. Naturalmente non esser queste le viste dell'Inghilterra, la quale avea già deciso di metter la mano sulle dogane del Messico, Vera Cruz e Tampico onde indennizzar i suoi sudditi creditori del Governo messicano. Anche gli Stati Uniti furono invitati a cooperare e, cosa curiosa, si mostran disposti, non solo a dir di sì, ma volevano, tempo fa, incaricarsi di pagar i debiti mess'icani a condizione d'ipoteca sulle miniere. Natuarlmente ognuna di queste potenze ha in vista d'impedir l'altra d'agir separatamente in vista di certa sua politica particolare; ma l'Inghilterra non pare si dia gran fastidio di progetti d'annessione del Messico alla Spagna, non credendolo possibile.

Parlando di quest'ultima potenza ecco quanto mi scrisse Lord Palmerston riguardo all'affar degli Archivi: « Ho ricevuto la vostra lettera del 17 e sono d'accordo con Voi riguardo la condotta del Governo Spagnuolo. Riferirò l'affare a Crampton istruendolo di far rappresentazioni officiose al Governo Spagnuolo circa l'assurdità e la vessazione di questa loro condotta. Ma Calderon Collantes è alquanto pedante e non so qual disposizione esista a tal riguardo nel diritto internazionale».

Quanto poi all'Egitto Lord Palmerston deplora la cecità del Pascià, il quale, educato Francese, s'è lasciato divorare somme immense di danaro da Lesseps e poi da altri di quella Nazione. Ora i francesi parlano di fargli un imprestito mediante certe condizioni che, permettendo d'ipotecare gran parte delle sostanze egiziane, metterebbe quel paese nelle loro mani. Tutto questo era stato di lunga mano previsto dal Governo Inglese. Il Primo Ministro parve dunque colpito da quanto contenevasi in questo rapporto e farà fare indagini onde scoprire il vero stato delle cose.

Desidero sottometterle un'idea che da qualche giorno sto meditando. Non crederebbe Ella utile che potesse venir a Londra, l'anno venturo, il Principe di Carignano? Da qualche tempo in qua la Corte d'Inghilterra ha giudicato poco favorevolmente la condotta del nostro Governo. Non sentendo mai interpretar le cose nostre che da Sovrani, come il Re dei Belgi, i Principi Prussiani e persino l'Arciduca Massimiliano, non è molto da stupire che idee storte e pregiudizi si sieno introdotti. Non sarebbe egli conveniente che la Regina potesse anche un po' discorrere con una persona di gran senso comune e di modi affabili come il Principe? Da anni ho sempre desiderato la venuta del Principe, perchè lo credo l'uomo il più atto a farsi benvolere in questa Corte e ne parlai sia al Conte di Cavour che a S. A.; ora l'occasione si presenterebbe propizia coll'Esposizione per non parer dargli una missione. La Francia manda il Principe Napoleone, la Prussia il Principe ereditario. Sarebbe forse meglio, quand'anche al Principe di Carignano si desse un incarico di questa specie, che aspettasse a venir dopo l'apertura. Dico questo perchè evidentemente la Regina non può patire il Principe Napoleone e se anche volesse far certe attenzioni al Principe di Carignano, sarebbe imbrogliata a non far lo stesso per l'altro. Se il Principe Eugenio avesse la nomina di Presidente onorario della Commissione Italiana, parrebbe naturale che facesse una gita in Inghilterra, per esempio in fine di maggio, all'epoca delle corse, ove forse sarebbe invitato a Windsor dalla Regina. Avendo il Principe avuto tanto da fare in questi recenti avvenimenti, potrebbe spiegare e dilucidare molti fatti e dar impressioni affatto nuove a Sua Maestà. A me basta intanto di sottometterle l'idea. La sua eseguibilità ed opportunità avran miglior giudice nel Consiglio dei Ministri.

(l) -In un rapporto dello stesso giorno n. 365, il Launay scriveva tra l'altro: • La mort prématurée du Comte de Pourtalès est une perte de plus regrettables non seulement pourla Prusse, mais aussi pour l'Italie. Il m'avait promis de travailler dans nos intérets. et il tenait parole au risque de froisser les sentiments légitimistes de sa Cour. C'est M. de Bismarck Schoenhausen, actuellement envoyé à S. Pétersbourg, qui a plus de chances de lui succéder. Ce choix serait fort désirable •. (2) -V. il n. 458 col telegramma del Teccio di Bayo. Della lettera precedente del 21,
463

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

Parigi, 28 dicembre 1861, ore 11,05 (per. ore 12,10).

T. 1037. Cowley est à la campagne, il ne reviendra pas avant de lundi. Je vous prie

de m'envoyer des instructions plus détaillées sur les démarches que V. E. m'a chargé de faire auprès de lui.

464

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 1038. Parigi, 28 dicembre 1861, ore 11,30 (per. ore 13,35).

M'autorisez-vous à mettre sous les yeux de l'Empereur votre dernière lettre?

465

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 705. Torino, 28 dicembre 1861, ore 14,45.

Mes deux dernières lettres avaient, comme vous avez reconnu, tout le caractère de l'intime ouverture d'ame sur nos questions, destinées à transmettre en vous les memes jugements comme la parfaite connaissance des faits. Je n'ai pas conservé copie de ces deux lettres, ainsi je ne puis vérifier les termes et les expressions dont je me suis servi. En me demandant la permission de soumettre ma dernière lettre à l'Empereur je dois retenir que vous le croyez utile. Toutefois je vous invite à relire ma lettre, et me dire encore votre avis.

466

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

T. 1039. Parigi, 28 dicembre 1861, o1·e 18,55 (per. ore 19,50).

Je crois utile que la lettre soit mise sous les yeux de S. M. l'Empereur avec le télégramme, en changeant toutefois quelques expressions de l'une et de l'autre. Je demanderai l'avis du Prince Napoléon, s'il partage mon opinion, je n'hésiterai pas.

467

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 707. Torino, 28 dicembre 1861, ore 21,30.

Je consents à la présentation de la lettre dans les termes de votre télégramme. Quand je saurai à qui confier ma lettre, je vous écrirai de quoi il s'agit pour Lord Cowley.

468

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI, AL MINISTRO REGGENTE A COSTANTINOPOLI, CERRUTI

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 257-260)

D. CONFIDENZIALE S. n. Torino, 28 dicembre 1861.

Quali sieno le intenzioni del Governo Italiano intorno la parte che egli intende prendere oggi nei possibili movimenti della nazione ungherese, Ella già le conosce e Le sono state fatte note. Sono poi lieto di vedere che Ella c::~~ssa ha una persuasione conforme alla mia. Non tema l'Ungheria; che, ove essa abbia verace volontà, e creda nei suoi interessi nazionali di non transigere con l'Austria, e questa volontà prorompesse con moto unanime e vigoroso, l'Italia non starebbe un istante per assaltare l'Austria, e accanitamente, nella Venezia, qualunque fossero e di questa e di se stessa le forze, nessun mezzo di guerra sarebbe risparmiato. Il Re nostro monterebbe a cavallo, si porterebbe alla testa degli Eserciti, farebbe appello a tutte le forze vitali e generose della nazione italiana, e l'ora fatale sarebbe sonata per le due nazioni contro il nemico comune.

Ma siamo chiari, ciascuna delle due dee avere fatto avanti e fare all'ora solenne il suo compito; debbono operare ad un fine comune, con un'anima sola, sebbene per due vie diverse; l'una non deve separarsi dall'altra al momento dell'azione; ma ciascuna dee portare il suo cont'ingente. Ecco come intendo che si possa e si debba operare oggi nelle cose ungariche. Se l'Italia per lo contrario si chiarisse in un modo o nell'altro fomentatrice, aiutatrice di resistenze o di movimenti in Ungheria, si caricherebbe di responsabilità e d'impegni e si comprometterebbe per modo tale e dirimpetto i protetti, e dirimpetto agli amici, e dirimpetto a sè medesima, che neppure sforzi da giganti le basterebbero a trarsene dal grave impaccio, facendo pericolare a sè stessa quell'avvenire, che oggi non le può mancare. L'Italia è oggi in stupenda posizione, ella avendo da parte sua tutto il diritto di avere Roma, e l'avrà.

Nessuna Potenza può contradire all'Italia il diritto di riacquistar la Venezia, quando potrà. A far questo, ove l'Italia potesse essere padrona degli avvenimenti, dee aspettare il giorno, in cui avrà un esercito regolare, che l'assicuri della vittoria. Non credo che possa averlo avanti il 63. Questa è l'opinione dei pratici, ma di ciò non è ora questione; ma sì bene di concludere che l'Italia non dee esporsi ad avere bisogno di nuovo aiuto straniero, che sarebbe per lei micidiale. L'Italia adunque non dee far follie, non dee fare rodomontate, non deve farsi apportatrice di rivoluzioni, o meglio di agitazioni, di resistenze che sconnettono. è vero, quello che vogliono rovesciare, ma nulla riconnettono di ciò che vogliono edificare. L'Austria ha ancora una immensa forza di coesione nella sua armata. Che farebbe l'Italia fomentando la diserzione in Ungheria? Io credo che non f<~rebbe nulla di veramente solido; finirebbe col caricarsi d'i.mmenso dispendio, porrebbe la diffidenza nell'animo dei suoi alleati, accrescerebbe ancora le titubanze a di lei riguardo, crescerebbe l'ardire nei suoi nemici e via discorrendo

in questo senso.

Io che amo l'Italia e l'Ungheria e voglio veramente il fine per il bene dell'una e dell'altra, non sono pazzo al segno da compromettere l'esistenza della patria mia, che ormai ritengo per fatta, e sol perchè mi è venuta la furia di finirla, di compirla troppo presto.

Pigliamo un piccolo esempio a comprova, che col volere correre più che non si deve, o si pericola, o ci si rende ridicoli; rammentiamo la spedizione delle armi e dei fucili in Ungheria. Che ci guadagnammo? Lo dica Lei.

E noti bene, che non dico ciò per alcun timore; perchè Ella deve sapere che, se gli avvenimenti vorranno che l'Italia giochi la sua ultima carta prossimamente, non me ne spavento per questo; che anzi ho l'animo preparato anche a questo caso; ma appunto perciò voglio ancor più con opera diligente, indefessa, intelligente, conseguire a fare ordinato il mio paese, a crescere l'autorità del Governo, a calmare ogni agitazione, onde, se il destino richiederà, si abbia un paese solidamente ordinato, e rispondente alla voce del legittimo capo della Nazione. Ecco adunque quale è il mio pensiero.

Questo pensiero potrei forse modificare se l'Italia, con la sua capitale, contasse due anni di vita quieta e ordinata. Bene s'intende che allora disporrebbe di ben altre forze, di ben altro credito, di ben altre influenze. Ma oggi conviene che l'energia sia temperata dalla giusta apprezzazione di sè medesimi, e non ai desiderii si misuri ma alla realtà. Tanto più deve così farsi che l'Imperatore non ci dà ancora Roma, che ci bisogna; e se gli si parla di Venezia, risponde: Abbiate prudenza; e agli Ungheresi, men che parole di simpatia, nessun aiuto egli dà. Notisi poi che la Francia è divisa, e molti sono gli avversi all'Ungheria ed all'Italia. Solo su noi dobbiamo contare.

Vadano gli Ungheresi sotto le armi, se sono insieme uniti, concordi sulla opportunità di una rivoluzione formidabile. Il giorno che l'Ungheria si solleverà e l'Italia attaccherà la Venezia, i soldati ungheresi passeranno nel campo dei loro compatrioti, o in quello dei loro amici italiani.

Importa poi che tra Ungheresi, Transilvani, Croati, s'intendano per il maggior bene comune, e questo è parte capitale.

469

IL CONSOLE A BUCAREST, STRAMBIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

R. 178. Bucarest, 2 8 dicembre 1Rfìl. Il Monitore Valaco di avanti jeri pubblica l'indirizzo stato votato all'unanimità e per acclamazione dai Deputati Moldavi il 25 del corrente mese in risposta al Discorso del Trono ed al Messaggio Principesco relativo alla proclamazione dell'unione, quale indirizzo fu presentato a S. A. dall'Assemblea in corpo. Ho l'onore di trasmettere all'E. V. in traduzione un estratto del Giornale Ufficiale suddetto (l) che comprende oltre al citato 'indirizzo le parole state pro

nunciate dal Principe in risposta al medesimo, e che il giornale aggiunge essere state accolte con evviva.

L'Assemblea Moldava non fu da meno di questa Valaca nella manifestazione

di sentimenti patriottici e della ferma volontà di rendere perpetua l'unione.

Dal canto suo il Principe Couza pare voglia porsi risolutamente a capo del

movimento nazionale, che si ridesta, ed al quale sono trascinati ad associarsi,

con più o meno buona fede, anche i partiti dinastici e reazionarii che fin qui

l'osteggiarono. Il Principe rallegrandosi coi Deputati Moldavi ch'essi avessero

accolto con entusiasmo il compimento del precipuo voto del Divano ad hoc,

li assicurò che non avrebbe ommesso alcun sforzo perchè venga data soddisfa

zione anche agli altri voti di quell'Assemblea madre cui Egli pure avea preso

parte.

Si sa che i voti stati emmessi nel 1857 dal Divano ad hoc di Moldavia, egualmente che quelli del Divano ad hoc di Valachia sono, salva qualche lieve differenze di forma, i seguenti: l o Riconoscimento e garanzia dell'autonomia Rumena, e dei diritti internazionali di questo paese a tenore delle antiche capitolazioni colla Porta Ottomana; 2° Unione della Valachia e della Moldavia in un solo Stato, sotto il nome di Rumania e neutralità del medesimo; 3° Principe forestiero ereditario che sarebbe scelto in una Dinastia Regnante di Europa ed i cui eredi, nati nel paese, verrebbero educati nella religione nazionale; 4° Governo Rappresentativo, con una sola Assemblea, secondo gli antichi usi, nella quale gli interessi di tutte le classi della Società dovrebbero essere rappresentati.

Così i messaggi, i proclami, i discorsi ufficiali che vennero pronunziati o pubblicati in questi giorni trovansi in opposizione flagrante col recente firmano di Costantinopoli che non solo non venne fin qui promulgato, ma si passa onninamente sotto silenzio, una sola volta, nel messaggio del Principe alle Assemblee, essendosi accennato vagamente all'atto che constata il riconoscimento dell'unione per parte della Sublime Porta e delle Grandi Potenze garanti, quasi che l'unione che qui si fa o vuolsi fare, come i Rumeni la sentono e la desiderano, e quanto disse il Principe, sia quella stessa che fu accordata dalla Porta ed acconsentita dalle Potenze.

Se si potesse far assegnamento sulla costanza del Principe e l'appoggio sincero dei suoi concittadini, vi sarebbe certo di che rallegrarci per veder sortito questo paese da quel marasmo politico, in cui giacque finora, ed incamminarsi per una via più conforme ai nostri principii ed interessi suoi e nostri. A tale scopo conversero pur sempre i miei consigli e la mia azione, per quanto la necessità della posizione ufficiale me lo hanno consentito.

La Camera di Moldavia ha autorizzato il Governo ad esigere le entrate ed a fare le spese durante il primo trimestre del venturo anno. Quella di Valachia invece consenti le esazioni per un trimestre ma le spese per sei settimane soltanto, dando così, per anticipazione, un voto di sfiducia al futuro unico Ministero e creandogli occasione d'imbarazzi. A questo voto presero solamente parte i conservatori, malgrado le belle frasi di fraternità e di concordia, che furono profferite dal loro oratore sig. Cattargi, dopo che venne proclamata l'unione, e che vennero si prontamente disdette dal fatto. I liberali, anche i più distinti e moderati, quale il sig. Jon Ghika ed altri, si astennero dal votare per rispetto a principii, parendo loro che meno che mai potesse la Camera deliberare dopo che venne ufficialmente proclamata l'unione. In seguito a tale voto l'Assemblea di Bucarest si è sciolta di fatto.

Dicesi che il Principe sarà qui di ritorno verso il 10 gennaio p. v. (v. s.), e che a capo del futuro Ministero verrà posto il sig. Negri, il quale da parecchi giorni trovasi presso S. A.

(l) Non pubblicato.

470

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI

(Ed. in Ricasoli, VI, pp. 262-268)

L. P. 29. Parigi, 29 dicembre 1861. Mi fo a render conto all'E. V. delle impressioni in me lasciate dalle conversazioni che ebbi in questi giorni con parecchi personaggi, in conformità di quanto Ella mi consigliava con sua lettera particolare del 21 corr. Giova anzitutto ch'io premetta una distinzione che è essenziale. Semprecchè si tratta di Roma, qui si distinguono due questioni, o, per dire più esattamente, due fasi, due momenti della questione, cioè: la cessazione dell'occupazione francese, e la presa di possesso di Roma per parte del Regno italiano. Questa seconda parte è qui messa fuor di questione nel senso che o se ne crede impossibile o dannoso l'ottenimento, o quanto meno si giudica inopportuno l'occuparsene finchè non sia risolta la precedente questione dell'occupazione. Finora su questo punto, cioè sul possesso di Roma, non si ammette la discussione; intendo per parte degli uomini che costituiscono la frazione liberale del Gabinetto Imperiale. Perciò ogni qualvolta parlasi qui di soluzione della questione romana, intendesi della cessazione dell'occupazione francese. Ciò premesso, comincio dall'esporle l'opinione del signor Fould, la cui voce ha gran peso nei consigli della Corona, e che è uno dei membri più influenti della frazione liberale del Gabinetto. È bene però che Le accenni prima brevemente i capi dei due partiti che si avversano sul terreno della questione romana. Stanno dalla parte liberale il Principe Napoleone, il signor Thouvenel, il signor Fould, il signor Rouher, * la Principessa Matilde *, il s'ignor Billault e il Conte di Persigny. Stanno dalla parte opposta l'Imperatrice, i Ministri Marescialli, il Conte Walewski, e con essi la maggioranza delle due Camere. Il signor Fould mi ha detto egli stesso che aveva insistito presso l'Imperatore pel richiamo delle truppe francesi da Roma. Egli pose la questione sul terreno finanziario, e ragionò a questo modo: Il richiamo delle truppe da Roma, oltre al costituire un'economia pel tesoro imperiale, fa rinascere la fiducia nel Governo Italiano. Questa fiducia influirà beneficamente sui fondi italiani, la cui deprezzazione pesa in un modo così fatale sui valori francesi. Senza il richiamo, i fondi italiani continueranno a ribassare, e sarà impossibile procurare un serio miglioramento nelle condizioni finanziarie della Francia. Eccole in succinto il linguaggio tenuto dal signor Fould in uno degli ultimi consigli. L'Imperatore ascoltò, ma non disse nulla, e conservò, come fa da qualche tempo, la medesima posi

zione fra le due opposte frazioni del suo Consiglio, che teneva Giove nell'Olimpo fra le divinità avverse od amiche a Troja. Il signor Fould tornerà ad insistere?

Otterrà qualche risultato? Non posso dire ch'esso sia senza speranza, ma non me ne mostrò certamente molta. Io credo che non sarebbe lontano dall'avvicinarsi al progetto Thouvenel, di cui Le parlerò infra. Questo parmi certo che il signor Fould farà il possibile per rilevare il prestito italiano, ovvero per isbarazzarne il mercato francese. Ove non riesca al primo intento, che farà per ottenere il secondo? Non me lo disse, nè io so indovinarlo. È forse possibile che la proposta fatta al Governo del Re dai signori Pereire per stabilire in Italia un credito fondiario si rannodi ai progetti del signor Fould. Badi che questa è una semplice induzione mia. Però parrebbemi bene che Ella ne tenesse parola col Ministro delle Finanze e con quello del Commercio, al quale ultimo fu inviata la proposta Pereire, rimasta finora senza risposta. È in ogni caso utile che il Ministro delle Finanze sappia essere sfuggita al signor Fould questa espressione: essere egli lieto, se meglio non si trovi, che il prestito italiano cessi d'ingombrare il mercato francese.

Il signor Thouvenel e il Principe Napoleone appoggiano il progetto, di cui mandai confidenzialmente il tenore in una mia lettera particolare del 10 novembre scorso. So che questo progetto fu formulato dal signor Thouvenel e dato all'Imperatore or son circa due mesi. Tanto il Principe quanto il Ministro degli Affari Esteri, ai quali si possono aggiungere anche i signori Rouher e Fould, consiglierebbero d'accettarlo. Ma il progetto in questione, intorno al quale Le rinnovo la preghiera di osservare la massima riserva (il signor Thouvenel me ne parlò oggi per la prima volta nel modo il più confidenziale, e il Principe me lo aveva comunicato in allora con obbligo di segreto), si fonda sostanzialmente sul fatto del riconoscimento, per parte nostra, dell'attuale possesso temporale del Papa. L'Imperatore d'allora in poi non ne fece più motto con persona viva. L'E. V. dal Suo canto non me ne parlò, e da questo silenzio ho ragione di credere che Ella giudichi il progetto incompatibile col recente voto del Parlamento e coi principii del nostro diritto pubblico.

Tuttavia, se avvi modo d'indurre l'Imperatore a lasciar Roma prima dçlla morte del Papa, questo modo consiste nell'accettazione d'un tale progetto, quando venga presentato dall'Imperatore. Tale almeno è l'avviso del Principe Napoleone e del signor Thouvenel. Quest'ultimo ripete spesso il seguente ragionamento: Se cessa l'occupazione francese a Roma, nel giorno medesimo scoppia una insurrezione che distrugge il Governo papale e mette in fuga il Papa; se l'occupazione francese è sostituita da un'occupazione italiana, il Papa non consente a rimanere a Roma. Ora la Francia non vuole la fuga del Papa. Tentare una riconciliazione vera? Impossibile. Che fare adunque? Proporre al Papa tali condizioni per parte del Regno italiano, che il ricusarle sia stimato dall'intera Francia cosa ingiusta ed assurda. Quando la Francia abbia visto che il Papa ricusa condizioni non solo ragionevoli, ma a lui singolarmente benigne e favorevoli, l'Imperatore potrà agire con minori riguardi verso il Papa stesso, e la Francia non gli darà torto·. Ma ora la Francia intera disapproverebbe che l'Imperatore consegni, per dir così, il capo della religione cattolica in mano di quelli che esso, a torto o a ragione, considera e proclama come suoi nemici. Questo è il linguaggio del signor Thouvenel. Per queste ragioni egli e il Principe ed anche gli altri Ministri liberali consentirebbero al progetto sopra mentovato; il quale, per quanto ricordo, può formularsi brevemente così: « Ricono

3G -Documenti diplomatici -Serie I-Vol. I

scimento per parte del Re d'Italia degli attuali possessi temporali della Santa Sede: il Re accetta il titolo di Vicario Apostolico per gli altri possessi già appartenenti al Papa ed ora facienti parte del Regno italiano. L'Italia assume la quota parte del debito pubblico della Santa Sede; accorda i diritti civili e politici a tutti i sudditi del Papa; il Pontefice accorda riforme nella legislazione e nell'amministrazione dei suoi Stati attuali, può reclamare e ottenere una guarnigione italiana; l'Imperatore richiama le sue truppe da Roma. Se il Papa ricusa, come è probabile, cessa parimente l'occupazione». Come Le dissi, l'Imperatore, dopo il soggiorno di Compiègne, non fece più parola di questo progetto. Per quale ragione non saprei dirlo. Eppure la causa della cessazione dell'occupazione ha fatto in questi ultimi tempi un certo progresso.

La parte liberale del Ministero si è rinvigorita coll'entrata di Fould. Il Conte Walewski, avversario di quest'ultimo, diventò meno temibile. L'Imperatrice a cui tenni in Compiègne un linguaggio abbastanza severo intorno alla sua attitudine politica, si mostra più riservato, senza che però abbia rinunziato, in fondo, a nessuna delle sue idee o convinzioni intorno a Roma. Vero è che d'altra parte la sessione del Parlamento francese non si annunzia sotto buoni auspici per noi. E devo pure confessarle il vero, non si è qui molto contenti del modo con cui camminano le cose in Italia. Non formolano accuse, non gravami, non citano fatti, ma mostrano inquietudini e apprensioni, e considerano il nostro Ministero da circa un mese come in istato di continua crisi. Queste ragioni forse han contribuito a mantenere l'Imperatore nello stato di mutismo, in cui da tre mesi si trova per rispetto alla questione romana.

Io aveva pensato che forse il sottomettere a S. M. I. la lettera che Ella mi scrisse in data del 25 e l'unito telegramma del Conte Teccio di Bajo, potesse imprimere una salutare scossa all'animo dell'Imperatore. In seguito all'autorizzazione da Lei avuta, ne feci copia, mutando alcune espressioni troppo crude che avrebbero potuto ferire la suscettibilità imperiale. Comunicai confidenzialmente la copia al signor Thouvenel, e gli domandai se a suo giudizio la lettera poteva utilmente esser posta sotto gli occhi di S. M. Il signor Thouvenel la lesse attentamente e mi disse che bisognava evitare di metterla ex abrupto sotto gli occhi dell'Imperatore, per tema di irritarlo. Però mi domandò che gliela lasciassi; esso avrebbe veduto l'occasione opportuna e studiato il modo di farne conoscere all'Imperatore il contenuto. Io gliela lasciai, osservando che l'Iìltenzione del Governo del Re era, ora come sempre, non di forzare la mano dell'Imperatore o di irritarne l'animo, ma di compiere al dovere che gli incombe, di segnalare alla di lui attenzione i gravi pericoli della condizione attuale, e di cercare d'accordo i modi d'evitarli. Posso accertarla, signor Barone, che io tenni tale linguaggio, quale conviene al rappresentante d'Italia. Non uno degli argomenti esposti nella di Lei corrispondenza ufficiale e particolare fu da me obliato. Se con parole e persuasioni fosse stato possibile d'ottenere lo sgombro

di Roma, abbia per fermo che si sarebbe ottenuto. Ma gli ostacoli furono insuperabili. Lo sperare che l'Imperatore abbandoni Roma, senza ottenere da noi quello ch'esso chiama guarentigie pei possessi attuali del Papa, è vano ed illusorio, a meno che nascano tali eventi, che mutino la volontà dell'Imperatore, e l'opinione dei grandi Corpi dello Stato. La sola soluzione che abbia probabilità d'esser presa in considerazione, è quella contenuta nel progetto accennato di sopra.

È mio dovere il manifestarle apertamente lo stato vero delle cose. L'E. V. ci rifletta, ci pensi seriamente, e veda se il progetto può essere accettato dall'Italia. È evidente che il Papa non l'accetta, e allora l'Imperatore potrà compiere il suo desiderio, che credo sincero, d'abbandonare Roma. Certo la soluzione fondata com'è sulla non accettazione del Papa, veste l'apparenza d'una finzione. Ma d'altra parte presenta un risultato pratico immediato. Le ripeto: ci pensi seriamente, pacatamente. Io non mi arbitro di darle un consiglio in cosa di così enorme gravità e che trae seco una responsabilità immensa. Le espongo la cosa, e la probabilità dell'attuazione. Ella decida. Io seguirò in ogni caso fedelmente le sue istruzioni, usando ad un tempo lo zelo necessario e quella moderazione di forme che credo indispensabile non doversi mai scompagnare dai miei atti e dalle mie parole.

Io non penso, come molti, che la pubblicazione del Capitolato da Lei proposto al Papa sia stata inutile o dannosa; credo anzi che fu vantaggiosa. Non divido il pregiudizio di chi teme soverchia libertà per la Chiesa. Non abbiamo a temere la libertà in nessuna delle sue applicazioni. Sono convinto che la formula Libera Chiesa in libero Stato deve necessariamente dare la soluzione finale della questione romana. Ma prima d'arrivare a quest'ultimo risultato, bisognerà forse passare per molte prove e per molti spedienti intermedii. La politica è arte di transazioni continue. La prudenza consiste nello scernere quali di esse transazioni sieno utili, opportune, oneste e necessarie.

Ove il progetto, che posso chiamare progetto dell'Imperatore, non sia creduto accettabile dal Re e dall'Italia, non rimane che attendere la morte del Papa, a meno che eventi, nati naturalmente o preparati o provocati, non mutino lo stato delle cose a Roma e in Europa. In caso di morte del Papa, benchè nessuna assicurazione esplicita sia stata data, è molto probabile che si coglierà l'occasione di evacuare Roma; e, se male non m'appongo, il Marchese di Lavalette avrebbe istruzioni di presentare al Conclave una specie d'ultimatum d'accomodamento fra la Santa Sede e l'Italia, con dichiarazione dello sgombro di Roma in brevissimo termine. Che se il Conclave, come s'è supposto, avesse istruzione dal Papa attuale d'eleggere immediato il successore senz'attendere l'arrivo dei Cardinali esteri e passando oltre alle forme d'uso, la Francia, secondo che mi disse il signor Thouvenel, non esiterebbe allora ad adottare la misura del richiamo immediato.

Eccole, signor Ministro, esposta la situazione. Essa è molto grave. Credo non averla esagerata nè in bene nè in male. Non v'ha questione che abbia destato in Francia passioni più ardenti. Gli amici di Roma diminuiscono di giorno in giorno; ma quei che rimangono diventano più accaniti e più audaci; e sventuratamente ne avremo la prova nei prossimi dibattimenti delle Camere francesi. La posizione del Governo del Re collocato tra le legittime impazienze d'Italia e l'attitudine del Governo Imperiale, deve necessariamente essere oltremodo difficile. Ella può quindi pensare qual sia quella del Ministro del Re a Parigi. Il solo pensiero della nobile e santa impresa che l'Italia prosegue con sì grande costanza, può sostenerci l'animo e le forze in questa lotta continua e disgustosa con un Governo, il quale è pure, checchè si pensi

-o dica, il nostro solo amico efficace ed al quale abbiamo tanto obbligo di gratitudine. P. -S. -So positivamente che l'Imperatore diede denari agli Ungheresi. Tenga la cosa come certa e l'abbia come sintomo delle disposizioni di qui.
471

IL CONSOLE A BUCAREST, STRAMBIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, RICASOLI (l)

R. 180. Bucarest, 31 dicembre 1861.

Il 26 corrente ebbe luogo una seconda riunione degli Agenti delle Potenze Garanti in casa del Decano, il Console Generale Austriaco. Questi e l'Inglese avevano avuto coll'ordinario corriere le istruzioni identiche (allegato l) (2) che già col telegrafo veniva annunziato essere state qu'i trasmesse a tutti gli Agenti dai Rappresentanti dei loro Governi a Costantinopoli. Le istruzioni russe e le francesi differivano alquanto nella forma. L'Agente Prussiano ed io ne eravamo tutt'ora privi, a me essendo state annunziate con telegramma, col quale dicevamisi intanto di consigliare l'accettazione del Firmano fuor il caso che ordini contrari mi fossero stati dati dall'E. V.

A fronte delle manifestazioni del Principe e delle Assemblee, riferite negli ultimi miei precedenti dispacci, nelle quali non tiensi alcun conto del Firmano della Sublime Porta che non venne mai esplicitamente menzionato e meno ancora pubblicato, i miei colleghi manifestarono l'opinione che fosse necessario rompere il silenzio, onde questo non venisse poi tolto a pretesto di tacita approvazione, specialmente dacchè questo Ministro degli Affari Esteri aveva creduto di trasmetterei con nota ufficiale (allegato Il) la proclamazione del Principe e far detta nota pubblicare nei giornali. Fu sogg'iunto che nella risposta che dovevasi alla nota suddetta avressimo avuta un'occasione opportuna di eseguire convenientemente le istruzioni dei nostri Governi ed era a desiderarsi che la risposta fosse, nella sostanza almeno, identica, perché riescisse più efficace. Dimostravasi una tendenza forse soverchia a provvedere con frasi sentite ad una tale efficacia.

Chiamato io pure a manifestare le mie idee dissi che in sostanza erano conformi a quelle dei miei colleghi, come il Ministro del Re a Costantinopoli avea pur dato in comune cogli altri Rappresentanti la sua adesione al Firmano, che però e per ora io credeva convenisse usare la maggiore mitezza in presenza di un movimento non ancora ben definito ed al quale parevano associarsi col Principe non uno, ma tutti i partiti; che dichiarazioni troppo vibrate o velate proteste, quando dovessero poi rimanere senza ~ffetto, avrebbero nociuto, anzi che no, alla dignità dei nostri Governi ed alla nostra influenza stessa,

contro cui, ora specialmente, cercasi di far insorgere la pubblica opmwne non solo col mezzi di giornali liberali, ma di quelli eziandio che sono redatti dai conservatori od inspirati dal Ministero; che. ben sapevasi che la maggior parte dei Governi avevano fatte riserve sul punto più importante del Firmano, quello relativo alla durata dell'unione e volevasi da molti dedurne che in qualche modo ne venissero fin d'ora infirmate altre clausole che il Governo Ottomano volle stabilite in vista appunto di assicurarsi più facilmente dell'esecuzione di quel punto primario; che infine troppo non pregiudicando fin d'ora alle deliberazioni ulteriori dei Governi pel caso di maggiori o più manifeste infrazioni al Firmano, !asciavasi anche qualche cosa a fare alla Porta che è pure la principale interessata.

Si procedè allora alla redaz'ione di un progetto di nota (allegato III) cui servirono di norma le istruzioni russe, le altre non essendo state allora prodotte. Seppi dipoi che i miei colleghi hanno redatte le loro note o testualmente secondo il progetto, come l'Inglese, o con forma elegante mutata, ma più accentuata, come il Francese che consigliò venisse il Firmano posto lealmente e francamente ad esecuzione; questo però premettendo che il suo Governo nell'annunziargli l'adesione data al Firmano avevagli pure dato cenno delle spiegazioni rassicuranti per l'avvenire dei Principati che erano state scambiate in quella circostanza.

Ho creduto io pure di servirmi di tale frase che avrebbe fatto buona impressione e di attenermi per quanto era possibile nella forma (allegato IV) al progetto della riunione ed alle istruzioni ingl~si, che presumo saranno quelle che mi furono spedite ed ancora non mi giunsero da Costantinopoli. Ho menzionato col suo proprio nome, siccome rilevasi, l'atto costitutivo dell'unione e nella manifestazione della speranza che il detto Firmano venga accettato come l' opera comune delle Potenze ho creduto possa comprendersi l' idea della sua pubblicazione ed esecuzione. Spero adunque che la mia nota debba essere considerata come identica a quelle dei miei colleghi ed in pari tempo riuscir meno sgradita a questo Governo.

È notevole poi che mentre qui gli Agenti in certo qual modo protestavano, i Consoli in Jassy fra i quali sonvi due Agenti politici, l'Austriaco e l'Inglese, si presentavano in corpo ed in uniforme al Principe per offrirgli le loro felicitazioni, precisamente pochi momenti dopo che S. A. avea ricevuto l'indirizzo dei Deputati e risposto a questi che niun personale pericolo l'avrebbe arrestato nel proseguire il compimento di tutti i voti del Divano ad hoc. Il Principe, dopo avere ringraziato i signori Consoli delle loro congratulazioni, li ha assicurati che tanto la nazione rumena quanto il suo Eletto sapranno giustificare colla loro gratitudine il concorso che l'Europa lorc ha fornito. Ed è lo stesso Ministro Valacco che dà questa notizia con molta compiacenza. Tali sono gli inconvenienti di una doppia rappresentanza in uno stesso paese.

(l) -In testa al rapporto, di mano di Cerruti: «Approvare la condotta di Strambio. Dire che il Governo non può non desiderare pei Principati ciò che ha voluto in casa sua; che bisogna rispettare i trattati che determinano lo stato di diritto dei Principati ma aver l'occhio ad una soluzione finale, etc. ». (2) -Non si è ritenuto necessario pubblicare questo allegato e i seguenti.
<
APPENDICI